Una notte insonne.
Quest
Giocata del 07/07/2018 dalle 11:24 alle 13:04 nella chat "Centro di Kusa"
Waiting for fato.
È una notte buia, di quelle in cui i banchi di nubi coprono le stelle e la Luna, accrescendo l’oscurità e dando una certa sensazione di claustrofobia, privando le persone della possibilità di alzare gli occhi al cielo ed accorgersi che l’empireo è incredibilmente vasto sopra le loro este. L’ora è tarda e le strade di Kusa si sono svuotate quasi del tutto. Gli ultimi commercianti stanno chiudendo i loro negozi, pronti a tornare a casa, i giovani sono già tornati alle loro abitazioni ed il silenzio regna sovrano in tutti i vicoletti del Villaggio dell’Erba. E poi c’è Haran. Una ragazza sola, priva della compagnia di qualsivoglia amico o parente, probabilmente per una passeggiata notturna o, semplicemente, per il rientro alla propria dimora. Quale che sia il motivo non importa. Nessuno la sta notando, nessuno la attornia, nessuno commenta la sua presenza che pare così inopportuna in strada a quell’ora della notte. Quella che sta percorrendo ora è una strada piuttosto larga, con degli alti palazzi a far da cornice quasi continua, vari bidoni pieni e ricolmi di spazzatura costellano i marciapiedi, dando un odore non eccessivamente penetrante, ma ugualmente fastidioso. Vari vicoletti, privi di lampioni o di qualsivoglia illuminazione s’aprono, spesso per terminare ciechi, sia sulla destra che sulla sinistra rispetto all’incedere della giovane ragazza. In realtà non v’è molto di inconsueto, chi ha praticato le strade di Kusa in orari serali, come probabilmente è già accaduto ad Haran, ma quel che c’è di più strano non è qualcosa di visibile o tangibile. È una sensazione. La sensazione di essere osservati. Di percepire gravoso lo sguardo di qualcuno sul proprio corpo, strisciare come mani insistenti e sudice lungo tutta l’epidermide, ma senza percepirne effettivamente il tocco. L’oppressione e la paranoia provati nel girarsi attorno, convinti che vi sia qualcosa che non vada, senza riuscire a trovar nulla che possa spiegare quell’atavica percezione di non essere soli, pur essendolo. Ed ogni tentativo di trovare una spiegazione logica a tutto ciò porterà ad una convinzione, data dalla realtà dei fatti, di essere sciocchi, di starsi lasciando trasportare dall’atmosfera cupa della serata, di essere pazzi, addirittura. Eppure, tutto tace. [ Ambient per Haran ]
Ha fatto tardi. Decisamente tardi. Era uscita per andare a fare una passeggiata e senza rendersene conto... ecco la notte. La luce è svanita, la sera è calata e con essa il buio opprimente dovuto alla presenza di banchi di nubi scure a nascondere la presenza di luna e stelle. Deve tornare a casa, Kaiba potrebbe essere in pensiero per la sua assenza e questo la porta ad accelerare il passo mentre ripercorre le vie di Kusa diretta verso la propria abitazione. Indossa una casacchina rossa, senza maniche, che dal collo scende fino alle cosce aprendosi sui lati in due spacchi vistosi. Sul busto è stretta e delinea la forma di un addome piatto e di fianchi sottili, nonché di un seno non particolarmente vistoso ma proporzionato alla sua corporatura. Sotto la casacca indossa un paio di shorts grigio chiaro al di sopra di parigine nere che da sopra le ginocchia scendono fino a perdersi in un paio di calzature ninja del medesimo colore. Dai bicipiti, inoltre partono dei manicotti neri di tessuto leggero che arrivano a coprire il resto del braccio fino ai palmi, lasciando dunque le dita libere di impedimento. I capelli neri, lunghi fino alle scapole, sono sciolti e lisci mentre attorno alle tempie è legato il coprifronte di Kusa. Un paio di occhiali dalla montatura rossa completano la sua figura sebbene, considerando il buio di questa notte, ben poco di quanto descritto sarà visibile da chiunque dovesse incontrarla. Non che sembri esserci nessuno per strada. E' sola. Percorre questa larga via silenziosa accompagnata solo dal suono del proprio respiro e dei propri passi che si ripetono rapidi sul terreno. Non v'è nessuno accanto a lei eppure-- eppure non può fare a meno di sentirsi a disagio, di sentirsi come osservata. Avverte dentro sé l'orribile sensazione di essere tenuta sotto controllo, di essere seguita nonostante, guardandosi cautamente attorno, non le sembri di vedere nessuno. Per via di questa sensazione, la ragazza decide di andare ad impastare il proprio chakra nell'eventualità di doversi difendere da un attacco imprevisto. Respirando tramite un profondo inspirare del naso, cerca di regolarizzare il fiato ed il battito cardiaco concentrandosi su se stessa. Cerca di non pensare alla possibile presenza di qualcuno accanto a sé, di allontanare il pensiero di un Kaiba impensierito ad attenderla a casa, di allontanare ogni distrazione. Quindi comporrebbe all'altezza del petto il sigillo della Capra e qui andrebbe a far vagare i propri pensieri verso le profondità di se stessa. Vorrebbe andare a raccogliere alla propria mente le energie psichiche maturate grazie ad ogni singola esperienza vissuta. Vorrebbe andare a prelevare dai propri ricordi e da tutto quanto ha imparato la forza che da queste è derivata per radunarla in un unico punto all'altezza della fronte a formare una specie di sfera che immagina essere celestina. Fatto questo vorrebbe fare la stessa cosa con le energie insite nel proprio corpo ad un livello più materiale: vorrebbe richiamare al ventre la forza presente nei propri muscoli, nelle ossa, in ogni fibra che fisicamente compone ciò che lei è andando a ricreare una specie di sfera d'energia levitante di colore rosso brillante. Quindi, solo a questo punto, se fosse riuscita in tale procedimento, tenterebbe di andare a sospingere tali sfere in un moto rispettivamente discendente ed ascendente al fine di farle incontrare all'altezza del plesso solare ove è stato in precedenza composto il Sigillo della Capra. Qui vorrebbe andare a far muovere ambo le sfere in un moto a vortice sempre più rapido e veloce che vorrebbe andare a farle fondere e mischiare fino a divenire un'unica nuova fonte di energia cerulea che verrebbe fatta esplodere dentro di sé così da permettere a questa di raggiungere ogni nervo del suo corpo ed irrorarlo e potenziarlo. [ Tentativo Impasto ]La giovane Haran, oppressa da quella fastidiosa sensazione di essere osservata che mai la lascia durante quella camminata, attiva il proprio chakra con successo, ma è in quel momento che qualcosa cambia. Da un vicoletto, posto sulla sinistra, dei rumori provengono forti ed acuti. Sembra un combattimento, figure che si scontrano. Poi un tonfo. Di natura piuttosto indefinita, Haran sentirà un colpo più forte degli altri ed un urlo. Maschile, proveniente da un giovane. Un giovane a lei estremamente familiare. E, successivamente, vedrà qualcosa uscire dal vicolo, a pochi metri di distanza da lei. Un bastone, composto da diversi rami intrecciati, intriso ed ancora grondante di liquido scarlatto che va a versarsi sulla strada, seguito da una pozza ben più larga che si protrae sotto di esso, quasi fino ad arrivarle ai piedi. È sangue vivo, appena uscito dal corpo a cui pria apparteneva. Il pungente odore ferroso le penetra le narici, surclassando di gran lunga il puzzo dell’immondizia posta ai lati delle strade. Quello a cui ha assistito, seppur non visivamente, è evidentemente una morte. Una morte a lei particolarmente cara, di un giovane che, probabilmente preoccupato per il suo tardivo rientro a casa, era uscito per cercarla, trovando la fine della propria vita. Quale che sia la reazione della giovane, a tutto questo avvenimentok seguiranno una serie di risate, dalle tonalità diverse, provenienti da più persone. Risate forti, di scherno, che si riverberano per la strada che Haran sta percorrendo. Quante volte le ha sentite, quelle risate? Quante volte in orfanotrofio l’hanno presa in giro? L’hanno evitata, parlando alle sue spalle, incuranti del fatto che lei potesse ancora sentirli? Quante volte si sono divertiti a sue spese, privandole della compagnia, della possibilità di crescere come una bambina normale, costringendola ad anni ed anni di repressione, di isolamento. E adesso, pare che lo stiano facendo di nuovo, privandola dell’unica cosa che l’abbia mai resa felice, il piccolo Kaiba. [ Ambient per Haran ]
E' rassicurante la sensazione del chakra che va invadendole i canali del keirakukei. Si sente più sicura, più determinata, pronta e riflessiva. Certo, per contro c'è da dire che il puzzo dell'immondizia ai lati delle strade par essere decisamente più penetrante ora che i suoi sensi sono stati acuiti, ma questo è un dettaglio. Muove soltanto un altro paio di passi prima di trasalire. Rumori. Rumori di lotta. Un grido. Un tanfo. Ma quest'ultimo quasi non arriva al suo udito perchè è la voce che ha gridato a rapire tutta la sua attenzione. Haran si paralizza sul posto avvertendo un freddo gelido stringerle le viscere. Rigida ruota il capo verso il vicolo dal quale ha sentito provenire il grido, col cuore pesante nel petto e il viso pallido. < No. > sussurra quasi senza voce, senza fiato, sentendosi improvvisamente instabile. Deve aver sentito male, probabilmente stava pensando così tanto a Kaiba che l'aspetta a casa da aver pensato di aver sentito la sua voce. Dev'essere così. Lui non è qui. Non può. Ma se la sua mente cerca da un lato di rassicurarla, dall'altro i suoi sensi non possono mentire. Vero...? Dal vicolo Haran vede cadere al suolo, alla penombra esterna, qualcosa che potrebbe riconoscere ovunque, un oggetto che potrebbe persino disegnare ad occhi chiusi e che conosce da tutta una vita. In un secco 'clack', un bastone formato da rametti intrecciati cade al suolo rotolando appena per pochi centimetri scaricando la forza accumulata durante la caduta in quel breve ruotare. Questo è grondante di sangue fresco, probabilmente caldo, che va allargandosi in una pozza nauseante e sinistra al suolo fin quasi a raggiungerle i piedi. L'odore ferroso del liquido le sale alle narici penetrandole il cervello, le pupille si restringono, il respiro si spezza e d'istinto indietreggia con le gambe molli improvvisamente fatte di gelatina. Il mondo gira, vortica attorno a sé mentre piccole esplosioni di colore si ripetono silenziose sotto i suoi occhi facendo apparire ogni cosa tremolante e indefinita. Le sembra di sentire il corpo pesare tonnellate, l'aria mancarle mentre la gravità la spingerebbe contro il terreno con forza impressionante. La nausea le sale alla gola mentre la realizzazione arriva tardiva alla sua mente. < NOOO! > uno strillo che le graffia dolorosamente la gola andando a bruciare con forza, un grido che esce stridulo e straziato dalle sue labbra riscuotendola da quella specie di torpore che le aveva irrigidito le membra. Sente gli occhi bruciare, le lacrime pizzicare mentre la paura la paralizza. E poi quelle risate. Quello scherno, quella sfrontatezza, la crudeltà di quel tentare di umiliare qualcuno senza neppure un reale perchè. Haran ricorda bene quel suono. Ricorda bene lo scherno di quelle risate subite per anni, in silenzio. E ricorda la risata di Kaiba. E le sue battute tristi per coprire il suono di quegli sberleffi crudeli. E quel suo farneticare infinito sulla potenza leggendaria di quel bastone che non è altro che legno intrecciato. Sente le lacrime colare brucianti lungo il viso man mano che come dei fotogrammi i ricordi della sua vita con il Kori si ripetono sotto i suoi occhi ciechi. Improvvisamente non ha più controllo di sé, le sembra di sentire la coscienza svanire a tratti in un ritmo intermittente. Sta correndo. Quando si è mossa? E' nel vicolo, quando ci è entrata? < Kaiba! KAIBA?! > sta gridando ma con che fiato? Le sembra di sentire i polmoni esplodere, vuoti, col cuore che le fa male nel petto e il puzzo di sangue che le fa salire la nausea alla gola. Se fosse riuscita a raggiungere il vicolo si guarderebbe attorno, disperata, cercando il corpo del ragazzo, la fonte da cui quel lago di sangue ha preso vita, quasi senza neppure considerare l'ovvia presenza di una minaccia dalla quale dovrebbe stare attenta. Non ha occhi che per lui, per il suo amico, per il suo compagno di tutta una vita. Neppure di morire le importa se Kaiba non è lì con lei. [ Chakra: on ]
Giocata del 07/07/2018 dalle 17:43 alle 20:11 nella chat "Centro di Kusa"
Nel buio e nel silenzio della notte un urlo squarcia il velo di apparente pace e tranquillità. Un urlo che segue quello di dolore straziante appena udito da Haran, un urlo disperato emesso proprio da lei. Corre, senza neanche rendersene conto. Entra nel vicoletto da cui ha udito i rumori dello scontro, da cui proviene il sangue che la kunoichi calpesta, emettendo il tipico rumore di una scarpa in una pozzanghera. Calde lacrime le sfuggono dagli occhi, bagnandole il volto ed ecco che gira l’angolo, rivelando a se stessa ciò di cui più aveva paura. Un ragazzo, non più di vent’anni, dai lunghi capelli neri e dalla barba incolta. È fisicamente prestante, veste una canotta grigia ed un paio di pantaloni neri. Ed è completamente sporco di sangue. Tra le mani regge un corpicino molto più esile del proprio, i capelli bianchi ed arruffati sono sporchi di liquido vermiglio, il volto è rivolto proprio verso la genin dell’Erba. Gli occhi sono ancora più chiari di quanto lei non ricordasse e non hanno nessuna delle scintille di gioia e curiosità che potrebbero ricordarle il suo giovane amico. Il busto, coperto dalla canonica felpa blu oceano, ma quel che la ragazza potrà notare è come la cassa toracica sia orribilmente divelta ed attraversata dalla mano dell’energumeno che lo regge sollevato a mezzo metro da terra. Totalmente ricoperto di sangue, trova le forze per guardare verso la sua amica di una vita e sgranare gli occhi gradualmente sempre più vitrei. < Ha—haran… s-scappa… > Biascica, con le sue ultime forze, prima di vedere i propri occhi ribaltarsi all’indietro ed il resto del corpo perdere vigore e nervo, diventando solo un manichino inanimato. Dalle spalle del ragazzone spuntano altri tre giovani, i cui volti potranno ricordare ad Haran qualche ragazzino incontrato all’orfanotrofio anni prima. Osservano la ragazza dall’alto in basso, sogghignando a mezza bocca. I loro pensieri sono chiaramente visibili anche dalle loro espressioni. Sembrano affamati, intenzionati ad umiliare la ragazzina come tante altre volte hanno fatto nei corridoi di quella struttura in cui Haran e Kaiba sono cresciuti. Quello di loro più grande, sfila la mano dal petto del kori oramai esanime, per gettarlo contro la parete alla sua destra, in mezzo a dei bidoni dell’immondizia. < Ed ora… ci divertiamo con te. > Pronucia, con una voce piuttosto grottesca e ferale ed in quel momento altri tre individui arrivano alle spalle della ragazza, afferrandola dalle braccia e sollevandola di qualche centimetro da terra. Risate si susseguono. Risate alte, penetranti, accompagnano delle mani dal numero indefinito che strisciano sul corpicino esile della ragazzina, scostando vestiti, stoffe, arrivandole quasi sottopelle. Impotente, dopo aver assistito alla morte dell’unica persona che per lei aveva importanza, quella potrebbe essere l’ultima notte per Haran o, quantomeno, l’ultima della vita che ha sempre conosciuto fino ad adesso. finché un qualcosa si risveglia in lei. Un pizzicore simile a quello delle lacrime che le preme dietro gli occhi, iniettando la sua visione di un brillante rosso scarlatto, portandola – come fosse un gesto che ha sempre compiuto ogni giorno, il più naturale del mondo – a permetterle di sbloccare un qualcosa che ha sopito per troppo tempo dentro di sé. [ Ambient per Haran ]
Quasi non s'avvede del sangue denso che schizza sotto i suoi passi, della sensazione di star pestando qualcosa di fluido e pesante in gran quantità. Non appena arriva nel vicolo non può far altro che bloccarsi nel vedere quanto si sta verificando sotto i propri occhi. Kaiba è lì, come previsto. Sollevato da terra, esanime, con il sangue che sporca la sua felpa blu, quella preferita, e i pantaloni grigi. I suoi capelli bianchi paiono ancora più chiari nel buio di quel vicolo, quasi come fossero l'unica nota di luce nel buio di quel posto. Qualcosa che gli si addice, dopotutto. Kaiba è sempre stato l'unico faro nell'oscurità della sua esistenza, con le sue battute raggelanti, con la sua innocenza, quegli enormi occhi color ghiaccio. Il suo Kaiba. Ed ora eccolo, con la mano di quell'uomo assai più simile ad una montagna ad attraversargli il petto, quasi a strappargli via di corpo lo scheletro. La osserva come è solito fare sempre in ogni attività che i due condividono, ma il suo sguardo è da brivido. Si sta spegnendo lentamente e la guarda, Haran lo sa, per l'ultima volta. Qualcosa si spezza. Non sente neppure la sua voce. Vede le sue labbra muoversi ma ogni cosa è muta. Non sente. Fissa davanti a sé senza vedere alcunché, senza capire. Il corpo del Kori viene lanciato come un rifiuto fra i bidoni dell'immondizia, il suo sangue continua a macchiare l'erba di Kusa come per nutrirne il più profondo nucleo. Kaiba non c'è più. E Haran sparisce con lui. Si sente vuota. Fredda. Per la prima volta è consapevole di essere gelida e non le importa. Non fa male. Non fa bene. Non sente niente. Il tempo si ferma, si blocca e gli uomini davanti a lei sembrano muoversi come al rallentatore mentre si avvicinano ridendo, con espressioni che in un altro momento avrebbe definito da brivido. Ma lei non ha paura. Kaiba non c'è più. Cos'altro ha importanza? Immobile rimane a fissare davanti a sé il mondo che si tinge di rosso. Le sembra di essere diventata di pietra gelida, incapace di muovere un muscolo, di dire alcun ché. Non sa che sta tremando. Non sa che sta fremendo, che il chakra dentro di lei sta ribollendo come fiamma viva agitandosi nelle vene. Il sangue brucia, arde e corre. Le batte nelle tempie, nella gola, diventa improvvisamente un fruscio assordante nella testa. E qualcuno l'afferra, la solleva e Haran si ribella. Sente mani cercarla, sfiorarla, scivolare sopra e sotto la casacca rossa che è solita indossare. Tenta di divincolarsi, ringhia, si dimena cercando di sfuggire alla presa di quelle mani che la trattengono immobile. E grida e piange e poco a poco si sente svanire. Perché Kaiba è morto. L'uomo davanti a lei ride, la sbeffeggia, dice di volersi divertire. Lei vuole cavargli gli occhi con le sue dita. Perché Kaiba è morto. La guarda, la osserva, e intanto la sfiora cercando forse di ferirla, forse di spogliarla: forma diversa, stessa sostanza. Solo questione di semantica. Straordinariamente dotata nell'arte dell'illusione, Haran opta generalmente per approcci mentali e affatto fisici ma questa volta vuole ricorrere alle unghie ed ai denti. Vuole ferire. Vuole uccidere. Perché Kaiba è morto. E più avverte pressante questo bisogno, più la vista par offuscarsi e tingersi di rosso, come se mille capillari le fossero esplosi negli occhi riempiendoli di sangue. Ma non fa male. E'-- rassicurante. E il chakra starebbe scorrendo impazzito nel suo corpo, come un fiume in piena l'attraverserebbe ed esploderebbe in una ondata frastornante proprio lì, alla sua testa, quasi con violenza. Come fiumi di energia andrebbe a riversarsi nei suoi occhi, ribollendo, bruciando, privo di controllo. Si concentrerebbe lì, dietro le sue iridi color della notte prima di andare a bagnare e nutrire quel gene di cui non ha mai sospettato l'esistenza. E le iridi dovrebbero tingersi ora di cremisi andando a generare una nuova, seconda pupilla per occhio, che dovrebbe vorticare rapidamente in una orbita sottile e ben evidente attorno alla pupilla centrale. Quel rapido movimento circolare dovrebbe rallentare lentamente fino a determinare la vera forma di quella seconda pupilla: una specie di virgola. Una tomoe. E tutto dinnanzi a lei dovrebbe ora essere nettamente più chiaro, più definito, così come i movimenti di quelle mani dovrebbero apparire ora più lenti. Ma nulla ha ugualmente importanza per Haran. Perchè Kaiba è morto. [ Attivazione Spontanea Sharingan I ] [ Se chakra: 29/30 ]Haran tira un D50 e fa 30
Gli occhi scuri di Haran riflettono il vermiglio colore del sangue del suo migliore amico e pian piano mutano. Le iridi divengono scarlatte, una piccola macchia nera si separa dalla pupilla a formare una virgola che ruota attorno all’asse, aprendo una nuova visione alla ragazza. Il mondo le si tinge di sfumature di rosso e le figure cominciano via via a rallentare. L’uomo più grosso comincia ad avanzare, macinando sempre meno spazio ad ogni passo, fino a fermarsi dinanzi ad Haran, le mani le scorrono addosso con sempre meno insistenza, una di esse le scivola sotto la casacca, sin quasi al seno, bloccandosi prima che possa arrivare al seno. E la realtà comincia a sfarfallare. Come una luce al neon danneggiata comincia a lampeggiare, alternandosi tra verità e menzogna, incubo e realtà. Il rosso che avvolge tutta la zona svanisce in una miriade di scintille che si perdono nell’aria e, finalmente, Haran torna coi piedi a terra. Il cadavere di Kaiba non è più lì, non v’è più odore di sangue, neanche una goccia rossa macchia il suolo e nessuna delle persone fino ad ora presenti davanti alla ragazzina sono ancora effettivamente lì. Davanti agli occhi non appena trasformatisi della genin v’è solo un uomo. Crine corvino come la notte, negli occhi lo stesso rosso di cui ha visto tingersi i propri, ma con due tomoe in più. È alto, sembra adulto ed indossa una camicia bianca con un gilet nero che riporta il ventaglio bianco e rosso simbolo della casata Uchiha sul taschino sinistro. Le sorride, avvicinandosi. Le gambe sono fasciate da pantaloni scuri ed i sandali da shinobi sono di un rosso brillante, a richiamare quello delle iridi. Le rosee scoprono i denti candidi, l’espressione innocente e comprensiva. < Haran. Haran Uchiha. > La voce è solenne, sicura e decisa. < Tu appartieni alla casata più importante ed antica di Oto. Non sappiamo perché i tuoi natali ci sono rimasti sconosciuti, ma i tuoi occhi non mentono. > Continua a parlarle, incurante dei sentimenti che la ragazza ha provato in quella illusione così cruda ed efficace. < Vorrei che tu venissi con me, alla Magione, per poter crescere e vivere come una vera Uchiha, lontano da tutto questo. La nostra storia ed il nostro rango sono stati abbassati da quando siamo stati trasferiti in questo Villaggio, ma io ritengo che accentrare nuovamente tutti i nostri clannati possa aiutarci a ricostituire la supremazia degli Uchiha. > Si ferma un attimo, tendendole la destra in maniera che lei possa accettare l’accordo che le sta proponendo. < Sono quasi l’unico a pensarla così, oramai. Nessuno è più fermamente convinto che individui prescelti come noi non debbano avere così tanti contatti col mondo esterno, ma io ritengo che a te non serva tutto questo. Né tantomeno che ti serva… lui. > Termina, aspettando da lei una risposta in merito a quanto le ha appena presentato innanzi. [ Ambient per Haran ]
Haran osserva stranita tutto quanto le sta capitando sotto gli occhi. E' tutto così-- strano. Tutto si muove ad un ritmo innaturalmente lento, sfumature rosse e nere si confondono e mescolano ovunque lei posi lo sguardo. Non riesce a liberarsi, non riesce a sfuggire a quella morsa che la intrappola alle spalle. Bloccata da quelle mani che la immobilizzano, la sfiorano, la violano. E quell'uomo è vicino. Sempre più vicino. E più lento. Un'ultima lacrima scivola via dal suo occhio e poi tutto svanisce. La realtà crolla su se stessa e tutto ciò che resta è quel vicolo. Vuoto. Il sangue è svanito, il corpo di Kaiba non è più lì e con esso anche il bastone. Gli uomini ridenti son sfumati via e Haran è sola ritrovandosi a realizzare in un istante cosa sia appena accaduto. Una illusione. Come tante ne ha imparate a fare lei stessa nel tempo. Una illusione cruda, violenta e crudele atta a torturarla. A ferirla. E le sale il vomito alla gola, un conato acido e violento che però non trova libertà. Ricaccia giù la bile, velenosa, stringendo i pugni, scorgendo nell'ombra della notte -nitidamente per assurdo, la figura di un uomo avvicinarsi a lei. Un Uchiha a giudicare dai chiari simboli sulle vesti, un membro dell' élite di quel Villaggio. Haran indietreggia d'un passo, rivoli di sudore gelido ad imperlarle la fronte. Stringe i denti, guardinga e circospetta assottigliando lo sguardo. E questi la chiama. Sgrana gli occhi quando il suo nome viene nominato perchè, per la prima volta, non è solo Haran. Non è una senza famiglia. E'-- Haran Uchiha. E non riesce a crederci. Schiude le rosee fissando l'uomo con tono sconvolto, basito, quasi perdendosi a notare quella fiamma cremisi che divampa nel suo corpo senza immaginare neppure che quella sia il chakra che egli ha vivo dentro di sé. Ascolta la sua voce, il suo racconto e sbatte le palpebre come per cercare di liberarsi di quegli occhi cui l'altro si sta riferendo. < Che diavolo vuoi da me? > domanda lei, alla fine, ritrovando la voce, il respiro corto e affannoso. < Sei stato tu? > chiede, allora, con tono adesso violento, feroce. < *Quella* è stata opera tua?! > grida, ancora, indicando il vicolo ove fino a poco prima era certa di aver visto morire il suo migliore amico, come se potesse indicargli a cosa si sta riferendo. E l'altro procede, continua, prendendo a parlare degli Uchiha, del Villaggio, della loro unità come clan e famiglia e di come vorrebbe averla con sé. Parte del clan, come forse avrebbe dovuto essere in origine se solo non fosse stata una orfana sconosciuta e senza radici. E Haran indietreggia incredula, basita, scuotendo leggermente il capo con fare sconvolto fissandolo come fosse solamente un folle. < Tu sei malato. > sentenzia, alla fine, con un filo di voce. < E' così che tratti il tuo clan? TORTURANDOLO?! > domanda rabbiosamente, ancora scossa e profondamente spaventata da quanto ha appena vissuto per quanto sappia e sia certa -ormai, che si trattasse solamente di una menzogna. Una orribile, pessima, impossibile menzogna. < Vattene. Non mi interessa essere una "vera Uchiha". Non mi interessa niente della stirpe alla quale tieni tanto. Essere o non essere una di voi non cambierà mai quello che sono stata per tutta la vita. > Nessuno. Un'ombra. Un'orfana. < *Lui* è l'unico ad avermi accettata per quello che sono e non per il cognome che potevo avere. *Lui* è la mia famiglia e se ti azzarderai anche solo ad avvicinarti, giuro che farò della tua morte la mia missione di vita. > E, detto questo, se l'altro non avesse fatto nulla per impedirglielo, Haran avrebbe semplicemente preso a correre via. Sarebbe scattata, silente, verso casa con il fiato a mancarle dai polmoni e le lacrime a bruciarle ancora negli occhi. Ha bisogno di vederlo. Ha bisogno di vedere Kaiba con i suoi occhi, di saperlo al sicuro. E ha bisogno di rimanere sola, di stare in silenzio, di nascondersi nel buio della sua stanza. Ha bisogno di pensare e capire ma, più di tutto, ha bisogno di lui. [ Se End ]