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Giocata del 02/07/2018 dalle 16:17 alle 19:02 nella chat "Luogo Sconosciuto"
[Flashback - Infanzia] E' da questo pomeriggio che la pioggia non fa che battere contro i vetri delle finestre dell'orfanotrofio. Tuoni e lampi si sono susseguiti in un ritmo irregolare e scostante accompagnando quello scroscio continuo che ha reso l'aria fredda e densa di quell'odore caratteristico di terra bagnata. Haran non riesce a dormire. Siede con la schiena poggiata contro la parete di pietra della sua stanzetta spartana con le gambe raccolte contro il petto e le braccine corte ed esili ad abbracciare le ginocchia. Ha il mento poggiato su queste e gli occhiali un po' troppo grandi a scivolarle sul piccolo nasino leggermente all'insù. Osserva le gocce di pioggia scivolare lungo il vetro fondendosi in miriadi di scie trasparenti sui vetri dell'unica finestra della sua cameretta. E' tutto buio, a quell'ora non è consentito rimanere svegli. Il suo letto -assai più simile ad una brandina, in verità, riempie la stanza assieme ad una piccola scrivania di legno scuro ed un armadio con pochissimi abiti all'interno. Sul suo letto, accanto a sé, giace abbandonato un peluche a forma di orso polare bianco con le zampette morbide che paiono quasi richiedere un abbraccio. Qualche volontario, nei giorni scorsi, è venuto in orfanotrofio a lasciare ad ogni bambino un regalo in vista del Natale ormai alle porte e alla piccola Haran è capitato quel pupazzo. Ha accettato il dono con un sorriso cortese e lo ha stretto per un po', ma non ha affidato a quel piccolo ammasso di cotone e tessuto i propri pianti o le proprie paure. E' solo un giocattolo e lei ha già sette anni: è troppo grande per i giocattoli. Un tuono romba improvviso e i vetri vibrano forte nei propri cardini senza però spaventare la bambina ancora sveglia. Continua ad osservare la finestra in attesa di quel lampo che avrebbe reso tutto bianco per un solo, lunghissimo secondo. Le piace vedere come un semplice fulmine può rendere tutto uniforme, cancellando per una frazione di istante qualunque forma. Il mondo è, per un istante, una immensa tela bianca tutta da disegnare. Ad Haran piace disegnare. Le piace immaginare mondi fantastici e inventare storie nella sua mente. Le scriverebbe se non fosse che questo vorrebbe dire che tutti potrebbero leggerle. I suoi sono pensieri privati, nati solo per sé. Inspira a fondo andando a sistemarsi gli occhiali sul naso ed una ciocca di quei corti capelli neri dietro l'orecchio. Come ogni notte sarebbe rimasta sveglia fino a quando non fosse stata troppo stanca per esserlo e questo vuol dire che sarebbe rimasta ad osservare la pioggia per diverse ore ancora. Almeno, però, nella solitudine e nel silenzio della notte, non avrebbe dovuto fare i conti con gli altri bambini e le donne che lavorano lì con i loro sguardi annoiati e i toni cattivi. Ghiaccio. Null’altro che una immensa e gelida distesa di ghiaccio. La neve in cui i piedini affondano sino alle caviglie, in cui le piccole ed esili manine scavano sino a perdere ogni tipo di sensibilità, sino a ferirsi con la dura roccia sottostante allo strato di bianchi e morbidi fiocchi. L’innata propensione alle scarse temperature a sorreggere quel corpicino malfermo, smagrito e spossato dai giorni di ricerca, interi giorni in cui che non ha fatto altro che urlare, sbraitare e piangere. < Papà! Papà! > La vocina infantile risuonava in tutta la vallata, nelle lande innevate di una Kiri distrutta ed abbandonata dopo la guerra. Il suo bastone sempre con sé, a tratti nascosto dalla coltre nivea che lo avvolge, che affonda sotto il suo esile peso, che fa da letto e da unico compagno al piccolo, disperso in quel mare di bianco gelo. Giorni interi passano, giorni in cui il bambino ha dovuto ricorrere al furto di cibo da case oramai disabitate e poi ancora ricerche. Non può crederci. Non è vero. Suo padre deve essere lì, da qualche parte. ma non c’è. Ed un altro giorno passa, assieme ad un altro ed un altro ancora. Le energie terminano pian piano, il riposo manca per la forte tensione a cui un ragazzino così piccolo non dovrebbe essere sottoposto, le case da cui sottrarre viveri diventano sempre di meno ed il mare di Kiri è un posto troppo pericoloso per permettergli di pescare senza l’ausilio di qualche strumento adatto. Ha con sé solo le sue manine gelate, i piedini nudi ed il suo fedele bastone. Oltre che la speranza. La calda fiamma che gli impedisce di intirizzirsi, che gli consente di rimanere vigile ed attento, che gli dà l’innaturale forza di scavare ancora ed ancora nella neve. < Pa—pà… > Un’ombra in lontananza viene vers di lui. Il piccolo, in ginocchio, tremante e quasi assiderato dal penetrante freddo del luogo, solleva la manina in direzione di quella figura dai contorni non ben distinti. Sempre più vicina, sempre più vicina, finché… < T-tu non sei papà… > Poche ultime parole, poi, il buio. Le palpebre del bambino si chiudono, troppo stanche per rimaner sollevate ed il ragazzino, ancora in tenerissima età, viene preso e portato chissà dove, chissà da chi. Inerme, senza origini, senza una famiglia ed una casa dove stare ha visto tante, tante persone. Tutte nei loro camici bianchi, tutte che dicevano di prendersi cura di lui, ma tra i volti di nessuna di queste ha riconosciuto un volto amico. Nessuno è mai stato ad ascoltare quel che aveva da dire, qualcuno ha persino tentato di separarlo dal suo bastone, scatenando in lui una furiosa ed incontrollata reazione fatta di urla e pianti isterici. Lo hanno fatto mangiare, bere, hanno cercato di riportare la sua temperatura ad un livello più sano, scatenando ancora una volta un fortissimo dissenso. Poi, quando quell’ambiente era divenuto troppo difficile da sopportare, quando le mura bianche della sua stanzetta d’Ospedale s’erano fatte troppo stretta da impedirgli di dormire e di socializzare in alcun modo, lo hanno portato nuovamente via da lì. Ed ora che ne è del povero, piccolo Kaiba?. Ciondola mollemente tra due figure femminili che tentano di prendergli le manine ghiacciate, senza ricevere alcun tiopo di risposta. Le braccia stretta al petto, il bastone posto di traverso tra di esse e l’espressione imbronciata. Ha sonno. Lo hanno destato dopo l’ennesima notte troppo difficile da sopportare, preferendo portarlo in un luogo che potesse suonargli come vagamente più familiare, dove avrebbe potuto conoscere altri bambini e sperare di avere una nuova famiglia, un nuovo tetto sotto il quale stare. I capelli argentei sono arruffati al di sopra di quel visino dalle sopracciglia aggrottate e dal labbruccio inferiore spinto in avanti, in una chiara espressione di infantile disappunto. Gli occhi, nonostante il colore azzurro, tendente quasi al bianco del ghiaccio in cui ha vissuto per un tempo indefinito, sono pieni di malcelata curiosità nei riguardi della struttura in cui lo stanno portando quelle due signore. Non ha la più pallida idea di cosa sia un orfanotrofio. In fondo ha solo sei anni, come potrebbe comprendere l’importanza ed il significato della struttura ove si sta dirigendo? Come potrebbe sapere che sta andando in mezzo a dei bambini che, come lui, non hanno un papà ed una mamma a rimboccare le loro coperte, quando cala la sera? Indosso ha una felpa blu chiaro, certamente più grande di almeno una taglia rispetto al corpicino esile ed un paio di pantaloni grigio scuro, consunti e strappati in più punti. Non ha permesso a nessuno di toglierglieli, temendo che volessero fargli del male, sbraitando ed agitandosi come un matto al solo pensiero che qualcuno lo toccasse senza avere la giusta confidenza con lui. Eppure ci ha provato, non si è mai mostrato restio alla socialità, ha sempre cercato di parlare, di attaccare bottone, ma nessuno ha mai prestato più di due minuti d’attenzione a questo piccolo orfanello. Entra all’interno della grossa struttura, buia, data l’orario, nessuno è in giro se non lui e le due signore delle quali non conosce neanche il nome, motivo per il quale non si lascerà mai prendere per mano. La pioggia batte violenta in tutto il circondario, mentre le donne lo accompagnano alla stanzetta che dovrebbe essere stata adibita per lui e poi, arriva un tuono. Un fortissimo flash squarcia il cielo, lasciando nei banchi di nubi grigiastre delle venature dorate ed elettriche, seguito a breve a un rombo simile al ruggito d’una bestia feroce. < AAAAAAAAAAH! > Uno strillo acuto viene liberato istintivamente, acuto ed infantile, che spacca il silenzio di tutto il circondario. Il piccolo Kaiba si abbarbica dietro le gambe della signora a lui più vicina, abbracciandone uno stinco con un braccio e reggendo il bastone nella manina opposta, come se gli bastasse quello scudo umano e quell’arma per proteggersi dal mostro di cui ha appena udito il fortissimo e terrorizzante verso. Trema, restando guardingo per assicurarsi che nulla esca dalle ombre, guadagnandosi occhiate non molto rassicuranti, probabilmente preoccupate dal fatto che quello strillo acuto possa aver svegliato gli altri bambini, a cui avrebbero avuto intenzione i presentarlo il mattino successivo. [Flashback - Infanzia] Sembra sempre fermarsi, di notte, il tempo. Tutto rimane immobile ed immutabile, ogni cosa s'arresta e tutto sembra ritrarsi dalle ombre che avvolgono ogni cosa. Ad Haran piace la sera. Le piace tornare nella sua stanzetta e stare da sola. Insomma, no, non è che le piaccia stare da sola, ma preferisce rimaner con se stessa piuttosto che con la gente lì presente, ecco. I bambini che vivono con lei sono rumorosi e disordinati; gridano, piangono oppure ridono e giocano correndo qua e là senza alcuna disciplina. A lei le urla danno fastidio. Non riesce a giocare con loro, non riesce a parlare con nessuno. Tutti troppo diversi, tutti troppo- vitali. A nessuno interessa stare con lei che parla poco e sta sempre a fissare tutti da dietro i suoi occhiali un poco storti. Alcuni non vogliono giocare con lei perchè è troppo grande, altri perchè la trovano torva e brutta. Altri ancora, semplicemente, si sentono quasi in soggezione dal suo modo di stare in silenzio a fissare tutti dall'alto in basso come se volesse giudicarli. Ad Haran va bene così. Le dispiace non riuscire a mescolarsi agli altri bambini ma perchè sente di essere come difettosa. Sente di essere strana, diversa, con quel sentirsi infastidita dalle loro grida, dal loro modo di giocare saltando qua e là come fossero conigli impazziti. Lei preferisce parlare a bassa voce, seduta davanti ad una finestra o ad un bel camino acceso. Leggere un libro o colorare qualche disegno seduta ad un tavolo illuminato dalle candele. Le donne che lavorano lì, invece, sembrano perennemente annoiate dall'essere circondata dai bambini. Sbuffano quando devono dar loro da mangiare e alcune gridano quando i piccoli non vogliono smettere di giocare. La bambina non ha mai avuto troppi problemi con loro: è silenziosa e ben educata, quasi si potrebbe non accorgersi di lei. Tuttavia Haran studia in silenzio ciò che le succede attorno e guardando queste persone si è convinta di una cosa: a loro, stare lì, non piace. Almeno qualcosa in comune ce l'hanno tutti quanti là dentro. Grandi e piccoli. Mentre il temporale prosegue e la pioggia cade, il silenzio viene squarciato improvviso da uno strillo improvviso a seguito di un tuono piuttosto vicino. Haran raddrizza subito la testa voltandola verso la porta della sua cameretta, avendo percepito il suono venire dal di fuori. Che qualche bambino si sia fatto male? Incuriosita e un po' preoccupata, la ragazzina va distendendo le gambe oltre il bordo del letto per poi poggiare i piedi nudi sul pavimento freddo. Rabbrividisce un po', freddolosa, andando a strofinarsi le braccia con le manine alla ricerca di un po' di calore. Indossa una maglietta rossa con le maniche a righe nere troppo lunghe, tanto da arrivare a coprirle quasi tutto il pollice. I pantaloni sono larghi, arrivano a pendere ai lati dei piedi sul pavimento, anche questi scarlatti. Muove pochi passi verso la porta per poi aprirla ed affacciarsi da questa sul corridoio buio. Qui dovrebbe notare la presenza delle due donne e del bambino dai capelli d'argento assieme a loro. Un bambino che non le sembra di aver mai visto e che, a giudicare dalla sua posa, par essere stato la fonte di quel grido spaventato. < Va tutto bene? > domanda Haran sulla soglia della sua stanza, le braccia quasi morte lungo i fianchi, molli e lente, lo sguardo carico di curiosità e ingenuità a puntarsi sul trio dinnanzi a sé. Tutto rannicchiato dal basso della sua posizione, tiene stretta la gamba di una delle due dipendenti della struttura. Qualche bambino si affaccia, preferendo, poi, tornare a letto, probabilmente immaginando che altrimenti si sarebbero beccati una bella ramanzina. “Dai piccolo, devi andare nella tua stanza, staccati.” Gli dice la povera donna a cui è ancorato il piccolo Kori. < No, no e no! C’è un mostro e io l’ho sentito! > Esclama a voce alta il bambino dall’argenteo crine e dagli occhi di ghiaccio. Prenderebbe un profondo sospiro, notando solo ora la ragazzina in rosso che ha domandato se è tutto a posto lì. Si separerebbe dalla gamba della donna, ponendosi dinanzi alle due, fissando dritta negli occhi l’unica bambina rimasta sull’uscio della porta. < Sì, va tutto bene! E lo so per certo perché *io* sconfiggerò il mostro che ruggisce! > Direbbe, infine, imbracciando goffamente il bastone che reca con sé con entrambe le mani. Si tratta di un lungo ramo, probabilmente appartenuto ad un albero dalle fronde sottili, composto da più fuscelli intrecciati, terminanti con una sorta di biforcazione a forma di ‘u’ sulla sua sommità. Lo tiene ben stretto tra le manine gelate, faticando evidentemente a trovare il baricentro per un bastone addirittura più alto di lui. < Con la mia arma leggendaria abbatterò qualunque nemico! > Fenderebbe l’aria un paio di volte, combattendo contro il nulla più assoluto e scatenando una reazione di palese disappunto da parte delle due inservienti del luogo “Quando hai intenzione di dormire, la tua camera è l’ultima sulla destra. Haran, tu torna a dormire.” Direbbero, andandosene immediatamente e lasciando il bambino da solo nel corridoio, in compagnia unicamente della ragazzina in rosso. < Non preoccuparti, posso proteggerti io dal mostro. Sono un abile combattente! > Non le si presenta, ma mostra un larghissimo sorriso, carico di infantile ingenuità, snudando la dentatura candida quasi più della sua nivea pelle. Avanzerebbe qualche passo, abbracciando nuovamente il bastone al petto, tra le braccia incrociate, fino ad avvicinarsi all’uscio della ragazzina, guardandola con gli occhioni pieni di curiosità e speranza. < Non volevo svegliare nessuno… capisco se ti ho dato fastidio. Dicono tutti che sono fastidioso. > Le parole dicono questo, ma lui resta lì, a fissarla con le iridi azzurrissime e gli occhi grandi di speranza, la primordiale speranza di non essere ricacciato una volta ancora, per la prima volta da quando è stato portato via da Kiri. [Flashback - Infanzia] Non troppo più piccolo di lei il bambino dai capelli bianchi la fissa negli occhi senza alcun tipo di ritrosia o paura. Si fa invero avanti distaccandosi dalla barriera costituita dalle gambe della donna e le si pone davanti, osservandola tenendo stretto quel bizzarro bastone fatto di rametti intrecciati. A sua volta, Haran, lo osserva incuriosita dall'alto della sua statura e inarca un sopracciglio con fare interrogativo quando il bambino parla di un mostro ruggente. < Un m-mostro? > domanda confusa, sbattendo le ciglia, aggrottando ora la fronte ed inclinando la testolina con fare interessato, ancor ferma sulla soglia della stanza senza quasi dar importanza alle donne presenti, ben sapendo che di lì a breve le avrebbero intimato di tornar dentro a dormire. L'unico motivo per il quale s'azzarda a permanere ancora lì è il fatto che il suo essere ancora sveglia potrebbe venir giustificato da quel grido improvviso da parte del piccolo e non da una sua trasgressione alle richieste delle signore che lavorano in quel posto. E poi è incuriosita da quel piccoletto con i capelli bianchi: che sia un altro orfano come loro? Il pensiero le smuove dentro un moto di compassione. Lei lì dentro ci è praticamente cresciuta e non ha ricordi di una vita al di fuori di quel palazzo. Non sente la mancanza di una mamma o di un papà non avendone mai avuto ricordo, ma i bambini arrivati lì già grandi solitamente soffrono la mancanza di quelle figure per lei leggendarie e misteriose. Anche quel bambino avrebbe pianto, come gli altri, al pensiero della sua mamma e del suo papà? Il pensiero è deprimente considerando il sorriso che or ora il piccolo mostra alla volta della bambina, dichiarando con convinzione di poterla proteggere grazie alle sue doti ed alla sua strabiliante arma. E' la prima volta che qualcuno si offre così ingenuamente di aiutarla e di difenderla. Sorride d'istinto prima di tornare seria e compunta alla raccomandazione delle donne che, quasi, sembra un rimprovero per il modo perentorio e secco con cui viene pronunciata. < Sì, signora. > replica a capo basso con malcelato scontento, stringendo le labbra in una linea sottile. Sta già quasi per rientrare nella camera quando il bambino le parla ancora e il modo in cui si avvicina di pochi passi a lei per guardare la sua stanza la portano ad evincere che il piccolo non voglia affatto andare a cercare la sua stanza. La ragazzina schiude le labbra e sporgendosi per il corridoio, osserva le donne allontanarsi e svanire nelle ombre della notte. Solo a quel punto torna a guardare il ragazzino e quindi portarsi un dito alle labbra in segno di silenzio. < Ssssh. > intima a bassa voce indietreggiando. < Vieni dentro prima che ci sentano. > lo invita a seguirla nella sua stanza scoprendosi a sua volta desiderosa di non far terminare così quell'incontro. < Puoi sederti sul letto se vuoi. Quella sedia è dura, è scomoda e il pavimento è freddo. > gli direbbe richiudendo la porta alle loro spalle se lui fosse entrato, per poi andare a sedersi a sua volta sulle lenzuola grige con le gambe penzoloni. < Non mi hai svegliata. Ero già sveglia. > rivela la bambina tranquilla, stringendosi nelle spalle. < Non riuscivo a dormire. > spiega tornando ora a guardarlo con fare stranito. < Non mi hai dato fastidio, tranquillo. E non preoccuparti di quello che dicono gli altri, non sono importanti. A me dicono che sono spaventosa e musona. Ormai ci sono abituata. > dice facendo spallucce, abbassando un po' lo sguardo nel rimuginare un po' stizzita su quella situazione. < Io mi chiamo Haran comunque. E tu? > prosegue, alla fine, la bambina tornando a guardare il piccolo albino con fare tranquillo, la voce mantenuta bassa onde evitare di richiamare l'attenzione delle donne che lavorano lì: sicuramente non avrebbero apprezzato l'idea di saperli nella stessa stanza di notte. La notte non è fatta per giocare o per parlare, ma solo per dormire. La ragazzina sembra arretrare, salvo poi restare affacciata al suo uscio. Non va via. Non lo lascia da solo e tanto gli basta per iniziare a fidarsi. Per quanto possa dar l’idea di un bambino freddo e scostante, con la carnagione di poco distante da quella di un cadavere, i capelli bianchi e gli occhi innaturalmente chiari, adora fare amicizia, ma solo se trova qualcuno disposto a sopportarlo. Si guarda attorno, prima a destra e poi a sinistra, ma non per individuare la posizione delle due donne in allontanamento, ma per assicurarsi che davvero non ci sia il mostro che tanto lo sta mettendo in agitazione. Annuisce silenziosamente all’avvertimento della ragazzina di non proferire altra parola e si getta dentro la stanza senza aggiungere altro, chiudendo la porta alle spalle come un vero e proprio agente segreto, non troppo segreto. < I-il pavimento è freddo? > Bisbiglierebbe, andando a raccogliere l’offerta di sedersi, ma non sul letto come gli è stato suggerito. È proprio sul pavimento che va ad adagiarsi, con le esili gambe aperte e divaricate sotto di sé ed il busto dritto, ma oscillante. Il bastone verrebbe poggiato a terra, mentre il piccolo Kaiba si gode la sensazione dei brividi che gli risalgono la schiena, per via della bassa temperatura del pavimento. < Mi piace il freddo. > Chioserebbe, infine, andando ad abbandonarsi disteso anche con le braccia larghe, lì per terra. < Guardami, sono un angelo della neve! > Esclama, pur tentando di mantenere il proprio tono di voce più basso del normale, iniziando ad agitare gambe e braccia chiudendole e riaprendole come se volesse davvero disegnare una figura angelica su un manto innevato. Questo suo silente giocare durerebbe ancora un po’, finché non capterebbe un qualcosa di particolare nelle parole di Haran. Si rimetterebbe seduto, tirando le gambe per incrociarle e poggiare le manine sulle ginocchia, guardandola dal basso, senza mai abbandonare i suoi occhi. < Il mio nome e Kaiba. E tu… non sei spaventosa. I mostri sono spaventosi. Tu non sei un mostro. L’altra parola non so cosa voglia dire. > Forse “musona” è un termine un po’ troppo complicato per un bambino ingenuotto ed i cui neuroni sono ancora atrofizzati dal freddo. Forse è solo la stanchezza che parla. < Chi è che dice queste cose brutte sul tuo conto? Lo colpirò con la mia arma leggendaria! > La manina destra va cercando il bastrone per sfiorarne il manico con le esili ed affusolate dita, come ad attendere il permesso da parte di Haran di uscire fuori ed attaccare chiunque le abbia rivolto tali cattiverie che lui, dalla poca conoscenza che ha di lei attualmente, non riscontra affatto. È il tuono ad avergli fatto paura, lei lo ha accolto, non poteva far nulla che gli fosse più caro.
Giocata del 03/07/2018 dalle 18:11 alle 19:50 nella chat "Luogo Sconosciuto"
[Flashback - Infanzia] E' la prima volta che un altro bambino, lì dentro, decide di seguirla volontariamente nella sua stanza. Beh, è la prima volta che un altro bambino entra in quella camera in generale, da quando la stanza è di Haran. Il suo non essere riuscita a stringere particolari amicizie all'interno dell'orfanotrofio l'ha sempre portata a vivere da sola fra quelle mura e realizza solo ora come sia strano vedere qualcun altro lì dentro, a parte lei. Osserva il piccolo chiudere la porta sempre tenendo quel bastone fra le manine paffute e quindi lo invita ad accomodarsi accanto a sé sul proprio letto, unica seduta abbastanza comoda e confortevole della camera. Il bambino però, sentito dalla fanciullina delle temperature raggiunte dal pavimento, opta per abbandonarsi su di questo con espressione assai felice e soddisfatta, rivelando come -per parte sua, adori il freddo. La bambina lo trova quasi assurdo essendo per sua natura freddolosa e, guardandolo, le par quasi di avvertire la sensazione delle piastrelle gelide sul sedere attraversare il tessuto dei suoi pantaloni. Rabbrividisce al solo pensiero di sedersi su quel pavimento ghiacciato e incassa la testa nelle spalle ritirando le gambette verso il petto, raccogliendo le ginocchia con le braccia. < Io lo odio. E'-- > non sa esattamente come descrivere al meglio il motivo per cui provi questa repulsione verso tali sensazioni, ritrovandosi semplicemente a borbottare un breve < --freddo. > E grazie al piffero, direbbe qualcuno. < Preferisco il caldo. Mi piace stare vicino al fuoco. Nella grande sala comune dove si mangia c'è un camino enorme però non vogliono mai che ci avviciniamo. > spiega la bambina un po' infastidita da quel pensiero, ricordando le volte in cui aveva provato ad avvicinarsi solo per poterlo vedere più da vicino: non è che volesse infilarci le mani dentro. E' piccola, mica stupida eh? E' a quel punto che il bambino va distendendosi a terra spalancando le braccia ai suoi lati, il bastone poggiato con cura sul pavimento, ed inizia ad allargare gli arti in un movimento a semicerchio che sicuramente le inservienti non avrebbero apprezzato. Avrebbero detto che così facendo non starebbe facendo altro che raccogliere polvere e sporcarsi, ma Haran lo trova semplicemente tenero e un po' folle. Se prima vederlo seduto a terra le faceva provare freddo per lui, adesso quasi può sentire il gelo del pavimento penetrarle le ossa. La visione di lui che si diverte così semplicemente nonostante sia appena stato imprigionato in quel posto così grigio e tetro assieme a loro la porta a sentirsi scaldata dalla sua innocenza, da quell'ingenuità che alcuni perdono più in fretta di altri fra quelle mura. Ridacchia a labbra chiuse, con una mano dinnanzi alla bocca e la voce a venir soffocata nel tentativo di non farsi sorprendere ancora sveglia dalle donne che lavorano lì. Alla fine il piccolino si rimette seduto e si presenta alla ragazzina come Kaiba. Haran annuisce piano decidendo che non lo avrebbe dimenticato e quando l'altro le rivela di non sapere cosa voglia dire il termine 'musona', si ritrova a scurirsi un po' in viso. < Musona vuol dire che non sorridi mai. Che sei sempre serio o triste. E noioso. > gli spiega abbassando lo sguardo, un po' ferita da quel termine. Ci è abituata e ormai non ci fa più caso quando lo usano, ma non può nascondere che un po' la rattrista sapere che tutti la pensino una noiosona sempre triste e inavvicinabile. La verità è che ha paura di esserlo davvero e che questo la porterà ad essere sola per sempre. Tuttavia la reazione di Kaiba a quel suo dire la porta a rialzare la testolina e fissarlo con lo sguardo sinceramente sorpreso di quelle parole, un po' preoccupata nel vederlo impegnato nell'atto di metter mano al bastone. < No no! Stai fermo, lascia stare il bastone! > esclama nel sussurro più alto che le riesce di fare agitando le mani verso di lui come a volergli intimare di non colpire nessuno. < Se ti vedono colpire un altro bambino ti metteranno in punizione. > lo avverte con tono intenerito, prima di riabbassare le mani e rilassare le gambe che ora scivolano oltre il bordo del letto. Afferra le lenzuola con le dita ai lati delle cosce esili e lo guarda con una espressione timidamente felice. < Non importa chi lo dice. Lo fanno più o meno tutti. Ma non mi interessa. Loro non contano, non siamo amici. > spiega lei cercando di fare la bimba grande, quella che non piange e che non ha mai paura. < Ma-- davvero quel bastone è un'arma leggendaria? > domanda lei cercando di veicolare l'attenzione di Kaiba verso qualcosa al quale apparentemente tiene tanto. Osserva i rami intrecciati con fare incuriosito sistemandosi gli occhiali sul viso, mentre un altro tuono romba distante, non troppo rumoroso. Non abbastanza da far tremare le finestre, almeno. Ha passato talmente tanto tempo in mezzo al ghiaccio e alla neve che non riesce davvero più a farne a meno. La sensazione di quel gelido pavimento lo fa sentire un po’ più a casa, per quanto la cosa potrebbe risultare strana ai più. E non è solo il pavimento a farlo sentire riscaldato nell’animo, ma è la stessa presenza di Haran. Da quando è stato portato via da Kiri, ma anche nel Villaggio stesso a dirla tutta, non ha mai avuto molti amici. Diciamo pure nessuno. Tutti i bambini lo trovavno irritante, troppo vivace, incapace di non infastidire. E dopo tutta questa epopea non gli è rimasta nemmeno la propria casa, la neve con cui giocare. Ha solo il suo bastone e… quella bambina che siede sul letto di fronte a sé. < Io lo amo. È così-- > Una piccola pausa, portando le manine ad intrecciarsi dietro la testa, pur senza stendersi nuovamente, per poter tenere le grandi iridi chiare su Haran < --freddo. > Risponderebbe, ripetendo le di lei parole in quel moto così infantile ed ingenuo, allargando le labbra in un sorriso candido come la neve stessa. < Il fuoco brucia e fa del male. Le cose che fanno del male sono cattive—no? > Domanderebbe, infine, riportando le mani sulle ginocchia delle gambine incrociate. < Non voglio cercare di convincerti adesso, ma col tempo ti farò apprezzare il freddo! > Si ritroverebbe, poi, a riflettere sul significato della parola ‘musona’, che tanto sembra far soffrire la bambina. Il vedere le di lei emozioni negative dipinte sul suo candido viso lo porta a storcere la boccuccia dalle sottili rosee. Le sopracciglia si aggrottano, lo sguardo si assottiglia. Assumerebbe un’espressione a metà tra l’arrabbiato ed il pensieroso. Poi si distenderebbe, sollevando ed arcuando le sopracciglia, nel classico moto di qualcuno che ha avuto un’idea geniale. < Ho capito perché il mostro non si è fatto vedere! > Una breve pausa, la voce leggermente più alta, incurante del fatto che potrebbero sentirli, impegnato unicamente nel catturare la sua attenzione. < Perché non ama… mettersi in mostra! > Schiuderebbe le labbra sorridenti, attendendo una reazione dalla sua piccola – ma più grande di lui – interlocutrice. È una battuta, di quelle che spara completamente fuori contesto, senza un reale motivo, sebbene adesso abbia intenzione di confutare la teoria altrui riguardo il suo essere sempre seriosa, scostante e… musona. Quale che sia la sua reazione si ritroverebbe a guardare il bastone, senza impugnarlo come avrebbe voluto fare poco prima. < Combatterò i cattivi congelandoli, oltre che con la mia arma leggendaria. E non ho dubbi che sia leggendaria, me l’ha detto il mio papà quando me la regalò. E se mi metteranno in punizione… > In effetti è una cosa a cui non ha pensato, ma che troverebbe immediatamente una soluzione. < …congelerò anche quella. > E certo, quale altra potrebbe essere la soluzione per un Kori? < Quindi per te contano solo le parole degli amici, mmh… è semplice! Se diventiamo amici e io ti dico che non sei una musona dovrai tener conto solo di me, no? > Domanderebbe, infine, dopo un ragionamento degno del più intelligente dei Nara, almeno nella sua testolina. Aspetterebbe una risposta, dunque, continuando a fissarla con gli occhi grandi di speranza, ricolmi di emozioni tutte diverse, per quanto siano dello stesso colore del più freddo ed impenetrabile ghiacio. [Flashback - Infanzia] A ben studiarli i due piccolini sembrano diametralmente opposti. L'uno maschio, l'altra femmina. L'uno dai capelli d'argento, l'altra dalla chioma color ombra. L'uno allegro e rumoroso, l'altra mite e silenziosa. L'uno paragonabile al più candido cristallo di neve, l'altra alla più brillante lingua di fuoco. Eppure non v'è differenza al mondo che possa in questo momento separare le loro strade. Nulla di tutto questo ha importanza agli occhi dei due che, semplicemente, trovano nell'altro l'unica persona alla quale aggrapparsi per non sentirsi soli. Scacciati, ripudiati da chiunque li abbia mai circondati. In quella figura tanto diversa da sé trovano l'unico orecchio amico e, per loro, tanto basta. Kaiba sembra amare il freddo per lo stesso motivo per cui Haran lo odia e quando il piccolo spiega come mai è invece il fuoco a non piacergli, la ragazzina si ritrova a boccheggiare per un attimo senza sapere bene cosa dire. In teoria il suo discorso fila. < Beh... sì. Però- cioè, dipende. > mormora lei inclinando il capino e portando l'indice sinistro a sfiorarsi il mento. < Non è che il fuoco voglio toccarlo. Mi piace stare vicino e sentire le mani calde. O guardarlo. > spiega lei tornando ad osservare il bambino. < E poi se tocco una cosa fredda troppo a lunga, anche quella brucia. Quando mi premono il ghiaccio sulla fronte quando ho la fronte, per esempio. E' così freddo che brucia! > Per quanto, nella sua mente, sia strano pensare che qualcosa di freddo possa bruciare. Comunque i due continuano a parlare e quando Haran rivela di come non abbia un buon rapporto con gli altri bambini presenti all'orfanotrofio, Kaiba si zittisce mettendo su una espressione pensosa che porta la bambina a chiedersi a cosa potrebbe star pensando. Solo quando la sua vocina torna a farsi sentire ha modo di veder risposta la propria curiosità. Solo in un modo che proprio non si aspettava. < Eh? Perc-- > la domanda le rimane bloccata a mezza voce quando poi lo stesso Kaiba va a rispondersi da solo. La bambina lo osserva a labbra aperte, incredula della battuta che ha appena sentito. A lei le barzellette o i giochi di parole non piacciono molto, spesso non li capisce o li prende per quesiti reali, tuttavia è abbastanza sveglia da capire che il piccolo Kaiba sta semplicemente cercando di farla sorridere e di non farle pensare a quanto gli altri bambini dicono di lei. Il pensiero la fa felice e per questo decide di forzare una risata non troppo alta per ringraziare il compagno della sua gentilezza. < E' carina questa! > dice anche se in realtà non la trova così divertente, volendo però incoraggiare il piccolo. E lui allora le dice di come avrebbe sconfitto ogni suo avversario con il potere del ghiaccio, come il suo papà gli abbia regalato quel bastone e comprende perciò come mai quell'insieme di rametti intrecciati sia per lui così speciale. E' un regalo del suo papà, forse l'ultimo che avrebbe mai avuto da parte sua se adesso vive qui con loro che un papà non ce l'hanno. Dentro di lei sente che avrebbe fatto il possibile perché nessuno gli portasse via il suo bastone. < Ohhh... capisco. > mormora lei annuendo piano, sorridendo poi dell'innocenza del piccolo fino a quando questi non le propone la soluzione più semplice possibile alla sua tristezza. Essere amici. Trovare qualcuno che non pensi questo di lei e che glielo ripeta quando serve. Haran lo guarda sorpresa, felice e per la prima volta si apre in un vero sorriso. Uno di quelli grandi e ampi da bambino, quelli luminosi e sinceri che arrivano ad accendere anche gli occhi. Annuisce con vigore a quella proposta e, scendendo dal letto, va ad inginocchiarsi a terra davanti a lui ignorando per una volta il pavimento freddo. < Allora-- > solleva la destrorsa davanti a sé e la frappone fra loro sollevando il solo dito mignolo tenendo le altre dita piegate verso il palmo, sorridendo all'altro con un po' di imbarazzo ed impaccio. < --amici? > domanda, per sicurezza, ricolma di improvvisa speranza. Non ha mai avuto amici lì e non ha mai pensato di farsene qualcuno trovando gli altri bambini fastidiosi e incompatibili con lei. Ma Kaiba è gentile, buono e sembra non pensare davvero male di lei. Forse-- forse con lui poteva essere tranquilla. Forse con lui sarebbe andata sul sicuro. Forse con lui non sarà più sola.
Giocata del 05/07/2018 dalle 10:32 alle 12:11 nella chat "Luogo Sconosciuto"
Ghiaccio e fuoco. Due elementi opposti, incompatibili. La vita nasce dal calore e nel freddo trova la sua fine. Il principio ed il termine di un percorso, su cui tanti sapienti e tanti filosofi si sono interrogati nel corso della storia, ma in quella stanza non vi sono né intellettuali, né studiosi. In quella stanza vi sono soltanto… due bambini. Un piccoletto dal crine argenteo, dalla pelle pallida e priva del sano e normale calore corporeo, così tanto opposto alla ragazzina dal corvino manto e dagli occhi scuri, che ama scaldarsi al fuoco di un camino. Due bambini soli, puniti dal destino e dalla vita, pur senza avere colpa alcuna. Ed è pensando a quanto ingiustamente i due si siano trovati il fato avverso, che nasce nel piccolo Kaiba il desiderio di cambiare le cose. Il desiderio di non essere più solo, egoisticamente, ed al tempo stesso di non far sentire più quella bambina schiava della solitudine, nel più altruistico gesto che potrebbe compiere. Il piccolo sorriso che lei gli rivolge non è dei più coinvolti, certo, ma tanto basta al bambino per illuminarsi, ad allargare le labbra in un’espressione di sorpresa, felicità e speranza. Gli occhi innaturalmente chiari, del color del ghiacio, diventano scenario di mille scintille e fuochi d’artificio, divenendo due stelle luminose e pure. < Da—davvero ti è piaciuta? > La fatica nel tenere la voce bassa è palpabile nel dire del kori, le manine vanno davanti la bocca ad ovattare un acuto < Sì! Ce l’ho fatta! > Esulta ed esplode di gioia, il corpo freme dalla voglia di saltare e correre in giro per la stanza per festeggiare il suo trionfo, ma quel che accade dopo è ancora più sorprendente. Haran si inginocchia davanti a lui, raggiungendolo sul pavimento e gli tende l’esile mignolo. La testolina di Kaiba si china verso destra, avvicinandosi alla spalla e le labbra si richiudono. Non ha bene idea di cosa lei gli sta porgendo, di cosa gli sta offrendo di cominciare assieme. D’altrone, sarebbe la sua prima, vera amica. E l’istinto agisce prima dei pensieri, copiando di getto il gesto della bambina, allungando il mignolo destro verso il suo, per intrecciarlo e stringersi in un’unione che, per due ragazzini così piccoli, varrebbe più di un contratto firmato col sangue. < Amici. > Ripeterebbe, rispondendo alla di lei domanda, impacciato ed insicuro almeno quanto la stessa Haran in quel gesto così inusuale per entrambi. Nessuno, né a Kiri, né a Kusa, aveva mai riso ad una sua battuta, a parte i suoi genitori. Era sempre stato troppo esuberante, troppo estroverso, gli altri Kori sono sempre stati molto più freddi e controllati di lui. E nessuno, da quando è approdato a Kusa, si è mai effettivamente mostrato propenso all’ascolto, alla conoscenza reciproca, all’amicizia. Tutte cose che, pensava, non sarebbero mai appartenute a lui, fino ad adesso. adesso che c’è lei, che Haran ha stretto con lui quel patto, che sono diventati amici. La sua manina, se le avessero effettivamente intrecciate, sarebbe ben più calda della propria, in netto contrasto col gelo che il piccolo Kori emana dalla propria pelle ed è proprio da quel calore, da quell’opposizione che in lui nascerebbe una piccola fiammella. Il principio di un fuoco da alimentare giorno dopo giorno, insieme. L’inizio di qualcosa di nuovo. E' quasi rigenerante notare come il piccolo Kaiba si senta entusiasta e sorpreso all'idea che a qualcuno sia piaciuta una sua battuta. Certo, considerando il livello di queste è facile intuire come alla gente non venga spontaneo ridere della sua ironia, tuttavia al tempo stesso, proprio considerando quanto raramente qualcuno debba avergli dato soddisfazione, è comprensibile la gioia che il bimbo prova nel vedere finalmente qualcuno apprezzare il suo umorismo. Haran gli sorride con tenerezza come se stesse guardando un cucciolo fare le feste o, letteralmente, rotolarsi nella neve con fare giocoso. Nota le scintille vivaci brillargli negli occhi e non ha il cuore di dirgli che il suo tipo di umorismo non coincide perfettamente col suo. Si limita pertanto ad annuire sapendo di star mentendo ma confortata dal fatto che sia solo una piccola bugia a fin di bene. Che male potrà mai fare una piccola menzogna? Così la bambina gli sorride e lascia che lui esulti fino a quando non si ritrovano uno di fronte all'altro, sul pavimento, per suggellare quel fatto. Kaiba imita i gesti della piccola e va intrecciando il proprio mignolo a quello di lei in un contatto che quasi la farebbe rabbrividire: la sua mano è davvero fredda. Tuttavia il contatto non è spiacevole, anzi. Haran rimane lì con le loro dita strette e la promessa di quel nuovo rapporto appena venutosi a creare. < Amici. > conferma, a sua volta, ripetendo il dire dell'altro a bassa voce, come fosse un segreto importantissimo e prezioso da tenere soltanto per loro. Rimangono così per qualche istante, guardandosi negli occhi, mentre il silenzio della stanza è rotto solamente dallo scroscio della pioggia all'esterno che continua a cadere. La bambina non sa cosa dire o cosa fare adesso, non ha mai avuto alcun amico prima e pertanto non è certa di sapere cosa dovrebbe succedere adesso. Sa solo che si sente in imbarazzo, che si sente un po' sciocca a rimanere così a guardarsi in silenzio e per questo andrebbe semplicemente a ritirare la mano e rimettersi in piedi schiarendosi la voce. < Uh. Mh-- > mormora arricciandosi una ciocca di capelli attorno all'indice destro in un istintivo gesto nervoso. Si guarda attorno cercando qualunque cosa da fare ma è piena notte e non possono fare rumore. L'idea migliore sarebbe dormire ma questo vorrebbe dire separarsi da Kaiba e questo non le va. Non ora che finalmente ha un amico! < --quindi... uh. Che si fa ora? > domanda, impacciatamente, fissando il piccolo, non sapendo quanto questi debba essere stanco dopo la lunga giornata sulle sue spalle. La domanda che l’altra gli porge, dopo istanti di intenso guardarsi a vicenda, è più che giusta. E adesso? che si fa? Il piccolo Kaiba si guarda intorno, cercando una risposta nella stanza spoglia, notando, invero, qualcosa che attira profondamente il suo interesse. Un pupazzo a forma di orsetto polare che, solo a guardarlo, sembra morbidissimo e triste d’essere abbandonato lì in un angolo. < Orso! > Poggerebbe le ginocchia sul pavimento, poertando i palmi delle mani avanti a sé, gattoando rapidamente sino alla posizione del giocattolo < Orso delle nevi! > Esclama, faticando sempre di più a tenere la voce bassa, indicando con la destra il peluche. < E’ tuo? Ne avrò uno anche io nella mia stanza? > Domanda, incredibilmente entusiasta del semplice fatto di aver visto qualcosa che gli ricorda casa propria. Attendendo risposte da parte di Haran andrebbe, infine, a ragionare sul fatto che la bambina ha davvero apprezzato la sua battuta. Ha funzionato. Voleva sollevarla e ha funzionato. Quasi non ci crede, eppure sembra proprio così. < Da oggi ti dirò tuuuutte le battute che mi vengono in mente. Tutte tutte! Così sarai felice! > Direbbe, alzandosi in piedi e sentendo, solo in quel momento, tutta la stanchezza della giornata, che lo porta a spalancare le piccole fauci in un silente, ma ampio sbadiglio. Porterebbe entrambe le manine alla bocca, per coprire educatamente le sue labbra aperte al loro massimo e chiudendo gli occhi per lo sforzo dell’atto stesso. < Non voglio andare a dormire… > Chioserebbe, con la voce evidentemente impastata dal sonno che sarebbe dovuto arrivare già da almeno un’oretta, da quando lo hanno svegliato di colpo per portarlo lì. < …se torno nella mia stanza il mostro potrebbe venire a orendermi—CIOE’! > Un urletto leggermente acuto, ma non abbastanza per essere un vero e proprio urlo < Volevo dire, potrebbe venire a prendere te. E che amico sarei se non fossi qui a proteggerti. Io mica ho paura dei mostri-- > Un risolino molto incerto si leverebbe dalle sue labbra, prima di esibirsi di nuovo in un altro sbadiglio che lo porterebbe a sentire le palpebre decisamente pesanti a richiudersi su se stesse richiedendo sempre più sforzo per essere riaperte, come se per lui non fosse un problema mettersi a dormire lì, in piedi, in quel momento. Lo sguardo del piccolo Kaiba si posa dopo pochi attimi sul peluche abbandonato sul letto di Haran. La bambina si volta a guardarlo e nota come il ragazzino paia felice ed entusiasta alla vista di quell'ammasso di stoffa e cotone. In effetti per un amante della neve come lui quale animale poteva essere più interessante di un orso bianco? Lo vede gattonare fino a raggiungerlo e quando le pone quella domanda con quello sguardo tutto speranzoso Haran si ritrova a sentire il cuore stringersi. < Oh-- quello... > mormora fissando il peluche, boccheggiando, non volendo dargli la delusione di non avere alcun peluche ad attenderlo nella sua stanza. < --quello è per te. > termina allora lei annuendo, andando a prendere il pupazzo per tenderglielo. < Voglio regalartelo. > dice glissando semplicemente sulla sua domanda sperando che la notizia di un regalo possa distrarlo dall'idea di non avere nulla di simile nella propria camera. Tuttavia quel bel momento viene presto stroncato da quanto Kaiba le dice in seguito: l'avrebbe subissata di battute. Di *quelle* battute. Forse-- forse a volte è meglio dire la verità invece che una bugia a fin di bene. Haran ride con fare impacciato agitando appena le manine davanti a sé nel tentativo di sistemare la situazione senza offenderlo, il ché per una bambina di soli sette anni potrebbe essere assai più difficile del previsto. < No ma-- cioè, non devi preoccuparti! Io sto bene così, davvero... > Apprezza tanto il suo gesto amorevole, ma quanto sarebbe stato poco carino fingere una risata ogni volta che le avesse propinato una battuta così strana? E se un giorno avesse capito che stesse mentendo? Non sarebbero più stati amici? A lei non piacerebbe se qualcuno le mentisse. Questi pensieri, comunque, vengono lentamente messi da parte quando Haran nota la stanchezza del bambino palesarsi sotto forma di sbadigli. Gli occhioni chiarissimi sembrano sul punto di chiudersi e lui non sembra decisamente desideroso di rimanere da solo. Non ha ancora capito a quale mostro si riferisca ma, quale che sia, decide di dargli una mano. < Allora puoi dormire qui con me. Così uh- non avrò paura del mostro. > propone lei reggendogli il gioco, andando a scostare la coperta per poi infilarcisi sotto nella parte più prossima al muro così da lasciargli modo di raggiungerla quando avesse voluto. A quel punto si sfilerebbe gli occhiali per poggiarli su un piccolo comodino dietro il letto ritrovandosi quasi cieca al buio della stanza, strizzando gli occhi per sforzarsi di vedere la figura di Kaiba il più nitidamente possibile. < E poi se ti trovano in corridoio a quest'ora si arrabbieranno. > aggiunge come per volergli dare un ulteriore motivo per rimanere lì con lei. Quindi, se il piccolo fosse rimasto, ecco che Haran sarebbe andata a posizionarsi sul fianco in posizione fetale accanto a lui e avrebbe iniziato a sentire, solo in quel momento, il sonno calarle sulle palpebre. < Allora... buonanotte, Kaiba. > mugugnerebbe a bassa voce, lentamente, lasciandosi via via sprofondare nel mondo dei sogni. [ End ] Resta con lo sguardo fisso sull’orso polare e sulle sue morbide zampone, non azzardandosi a toccarlo finché Haran non gli dà la più bella notizia che avrebbe potuto dargli. < E’—mio? > Dimenticandok per un attimo tutto il sonno ed il fatto che in camera non avrebbe trovato nulla del genere si lancerebbe in direzione dell’animale di pezza per abbracciarlo e poterne finalmente tastare la consistenza morbida. Vi affoderebbe il viso per strofinarlo sul soffice cotone < Mio, mio, mio, mio… > Ripeterebbe all’infinito, andando a riflettere sulla questione più importante attualmente in atto nella sua piccola ed infantile mente. Come potrebbe chiamarlo? Si distacca per un istante soltanto dall’orsetto per osservarlo con aria leggermente corrucciata per qualche istante, prima di esclamare < Olaf! Il suo nome sarà Olaf. > Chioserebbe, infine, tutto soddisfatto, tornando a porgere le proprie attenzioni ad una Haran quasi impaurita dalla prospettiva di venir surclassata dall’efficacissimo senso dell’umorismo del piccolo Kori. Ancora una volta rifletterebbe, attentamente. Il sospetto che possa aver sorriso solo per fargli un piacere lo sfiora, ma ormai è fatta. La ragazzina si è appena condannata ad una vita di pessime freddure. Il piccolo Kaiba le sorride, andando a rintanarsi accanto a lei sotto le coperte, forte del fatto che la sua bassa temperatura corporea lo avrebbe tenuto al fresco per tutta la notte. Si accuccerebbe dietro di lei, tenendo il petto contro la schiena di Haran. Il sonno gli preme forte contro gli occhi, forzandolo a chiuderli e calare in uno stato di dormiveglia, in cui però andrebbe a rivolgere qualche altra parola alla bambina. < Non devi ridere per forza, va bene anche se mi dici che non ti piacciono… > La voce sarebbe bassa, un sottilissimo sussurro impastato dal sonno < Però prima o poi troverò una freddura che ti farà sorridere. > Sorriderebbe alle di lei spalle, lasciando fluire liberamente i propri pensieri, confessandole una verità per lui nascosta, ma che per chiunque altro sarebbe assolutamente ovvia < Non credo ci sia nessun mostro, cercavo solo una scusa per rimanere qui—con te. > La manina andrebbe ad allungarsi per sfiorarle una spalla. È forte la tentazione di abbracciarla come è abituato a fare con cuscini ed oggetti di fortuna, per aiutarsi a prendere sonno, ma qualcosa di Haran l’ha capita e ritiene più opportuno, in quell’occasione, ritrarre la manina per farla ricadere mollemente sul materasso. < Grazie di tutto… > La voce sempre più bassa, sempre più distante, ma percepisce più urgente che mai il bisogno di ringraziarla e di rivolgerle le proprie parole per l’ultima volta, in quella giornata < Buonanotte, Haran. > E, così, si lascerebbe andare tra le braccia di Morfeo. [ end ]