Una mattina come tante in quel di Konoha. Una mattina che non promette nulla di nuovo, che non sembra essere assai dissimile alla precedente e probabilmente a quella che sarà la successiva. Il sole è sorto, il vento soffia, la Foglia si risveglia e i konohani passeggiano ridacchiando e chiacchierando per le vie del Villaggio. C'è vita ed un allegro brusio a percorrere le strade di Konoha, qualcosa che in questo momento è di quanto più diverso e lontano da quanto c'è nella camera di Azrael in casa sua. Nel momento in cui il Dainin bussa alla propria stanza per richiamare l'attenzione di Ken, il bambino risponde con un semplice e prolungato. < Mhhhhhhhhhhhhn. > che potrebbe perfettamente essere una onomatopea per "Nessuno mi allontanerà mai da questo letto". Le lenzuola pulite, rosse del Consigliere vengono raccolte a formare un fagottino ben acciambellato e mugugnante per una manciata di secondi prima che un piccolo sospiro preceda un sonoro ed infantile sbadiglio. Le lenzuola si muovono ancora e questa volta una testolina dai capelli neri e arruffati va a fare capolino da queste mentre un ometto molto assonnato si mette a sedere strofinandosi l'unico occhio visibile con una manina piccola e ancora leggermente paffuta, a segno di una infanzia ancora in corso. Le labbra sottili sono piegate in una sorta di broncio assonnato mentre una benda scura è posta a protezione dell'altro occhio. Il bambino finisce di strofinarsi l'occhio per svegliarsi e quindi annuisce piano col capo per rispondere alla domanda del Nara dopo solo un paio di minuti di ritardo. Nel seguire con lo sguardo la figura di Azrael, tuttavia, il bambino si sofferma ad osservare il pacchetto che l'altro regge col braccio, inclinando appena la testolina assonnata con fare interrogativo. Il piccolo prende a muovere le braccia per mimare -lentamente- dei segni che Azrael riesce a tradurre come "Cosa è?". Potrebbe scrivere ma appena sveglio il massimo che può offrire per comunicare è quello. [Ambient]
Sobbalza il cuore nel vedere quel piccolo ammasso di capelli neri che si mette a sedere cercando di svegliarsi controvoglia, le manine paffute e così piccole da poter tranquillamente entrarti solo nel palmo della mano. Quel bambino è sangue del tuo sangue, è il figlio che per tanto, troppo tempo non hai avuto la forza di cercare perchè spaventato dall'idea di poter essere deleterio per lui. Frutto di una violenza psicologica, di un inganno, di un rapporto malsano e abusivo da parte di una madre-- nonna, degenere. Eppure eccolo. Una fuga non è mai eterna, alla fine i nostri incubi, le nostre paure, ci raggiungono sempre. E lui è lì, fra le tue lenzuola, così innocente e candidamente assonnato e non ti pare d'aver mai visto nulla di più bello al mondo. Hai provato, tentato di fuggire da lui e da ciò che rappresenta, ma come si può scappare dal proprio sangue. Dalla somiglianza -non solo fisica, ma anche mentale che vi lega? La voce di Kaori giunge morbida nella tua mente, puoi percepire il suo sorriso nel suono delle sue parole. "Più di quanto immagini" mormora la Hyuga con tenerezza, quasi puoi sentire la sua mano stringersi attorno alla tua per darti coraggio, la forza di aggirare il letto e sederti su di questo, attento a non pesare sui piedini del bambino. Metti da parte il collirio e poggi sulle lenzuola cremisi quel mantello piegato a mo di fagotto arruffando i capelli già spettinati del piccolo. Ken arriccia appena le labbra sfuggendo a quel contatto ma è palese l'approvazione sul suo viso, quel suo apprezzare quel gesto sebbene le sue manine vadano a comporre ben altre parole. "Mi scompigli i capelli", come se non fossero già somiglianti ad una specie di nido stopposo a causa dei movimenti fatti sul cuscino durante la notte. "Buongiorno. Ho ancora sonno" continua poi, piano, per aiutarti a leggere i suoi gesti. Stringe l'occhio, lo strofina ancora e dunque vai a rispondere alla sua domanda ricercando quel momento solo per voi, quel momento unico nel suo genere e che mai prima di allora hai potuto vivere con lui. Ken si illumina all'idea di aver ricevuto un regalo e ti fissa con il suo occhio grande di stupore, la manina ad indicarsi il petto con l'indice come a voler dire: "Per me?". Ma è una domanda retorica: Ken non fa mai domande stupide. Non attende infatti una risposta e poggiandosi di ginocchia sul letto va ad allungarsi verso il pacchetto. Nel tirarlo a sé il mantello si apre e da questo rotola sulle lenzuola una maschera. Una maschera bianca dai tratti felini rimarcati da lineamenti di vernice viola. Una maschera ANBU. Ken si immobilizza e schiude le labbra in una espressione basita, l'emozione è palpabile sul suo viso mentre lo alza per guardarti in faccia, incredulo. Uno sguardo ricolmo di trattenuta felicità e speranza che viene subito dopo portato verso la maschera che questa volta viene presa fra le manine tremanti così da poterla guardare in tutta la sua interezza. Il sorriso si spalanca sulla bocca del bambino, le gote si tingono appena di un rosa più brillante mentre l'occhio visibile è scintillante di eccitazione e impazienza. Lascia cadere la maschera per slanciarsi contro di te buttandoti le braccia al collo in un abbraccio istintivo e silenzioso. Un abbraccio che vale più di mille parole, che esprima tutta la sua riconoscenza e la sua felicità. [Ambient]
Frustrante. Doloroso. Difficile. Oh, così dura osservar crescere quel bambino sotto i propri occhi e doversi trattenere ogni volta che lo si vorrebbe chiamare "figliolo", "piccolo", "bambino mio". Difficile doversi mordere la lingua ogni volta che il pensiero vorrebbe ricordargli che il suo papà non lo avrebbe mai più lasciato, che lo avrebbe sempre protetto e salvato a qualsiasi costo. Fa male. E' nauseante, è distruttivo. E quella preghiera rivolta alla Hyuga riceve immediata risposta da parte di lei che, amorevolmente, ti resta accanto per darti man forte. "Pensa-- pensa che se glielo dicessi dovresti anche dirgli chi è sua madre." dice Kaori evidentemente in difficoltà nel cercare un motivo per non dire al piccolo la verità. "E' un discorso che immagino non vuoi ancora affrontare." Nel mentre che questa conversazione avviene, mentalmente, Ken osserva e studia la sua nuovissima, bellissima maschera, lasciando correre le iridi scure su ogni dettaglio, su ogni forma, quasi a volersi stampare nella memoria ogni centimetro di quell'oggetto. Probabilmente se avesse avuto voce avrebbe detto qualcosa, ma le sue labbra permangono schiuse, tremanti d'emozione e le sue mani sono impegnate a reggere la maschera per poter comporre parole. Tuttavia in pochi istanti la felicità prende il sopravvento e il piccolo t'abbraccia stringendoti forte, con gioia, distaccandosi da te solamente quando gli proponi di provarla da subito. Le sue manine si distaccano dalla tua nuca, il suo corpicino si fa da parte e il capo annuisce con vigore, convinto, mentre scendendo dal letto coi suoi piedini nudi va a recuperare la maschera per indossarla immediatamente. Quindi tira a sé il mantello e se lo lega addosso un po' storto, con mani impazienti, guardandosi attorno con fare curioso. E' davvero buffo. Un ometto alto un metro appena con un lungo mantello nero e questa maschera bianca da ANBU a farlo apparire quasi davvero minaccioso. Il bambino è impaziente, agitato ed inizia a correre per la stanza come un vero e proprio ninja flettendo il busto e tenendo le braccia all'indietro per sentirsi più veloce e aerodinamico. Corre raso muro fino a portarsi accanto alla porta aperta e fermarsi prima della soglia. Le spalle al muro, i palmi aderenti alla parete, la posa attenta e guardinga mentre si sporge appena per assicurarsi che nessun temibile nemico sia appostato in corridoio. Muove la testolina dai capelli arruffati per guardare sia a destra che a sinistra e dunque corre fuori scendendo le scale fin troppo rumorosamente per quello che è il tuo finissimo udito. Ken corre, gioca, finge di essere un ANBU di guardia alla ricerca di qualche mukenin immaginario nascosto per casa e poi-- inciampa. Il piedino nudo scivola sul bordo inferiore del mantello storto e cade a terra, di pancia sotto. Le manine vanno d'istinto ad attutire l'impatto nel timore di rovinare la sua nuovissima maschera, evitandogli di sbattere il viso al suolo. Tuttavia, mentre questo accade, ecco che qualcosa d'imprevisto si verifica. La libreria attaccata alla parete di fronte al piccolo, traballante da un po' essendo vecchia di anni, si distacca sempre più dalla parete scricchiolando, portando Ken a sollevare lo sguardo. Il suo occhio scoperto, attraverso la maschera, vede il grande e pesante mobile sporgersi verso di lui prossimo a staccarsi del tutto e cadere nel giro di un paio di secondi e la paura gli fa stringere il cuore nel petto nel timore di venirne schiacciato data la differenza di stazza fra sé e gli scaffali, una paura tale da portarlo a... < PAPA'! > la voce è rauca, graffiata dato il periodo di silenzio durato tutta la sua vita -o gran parte di questa, e risulta quasi uno stridio nel silenzio della casa. Il capino s'abbassa, il corpo -gattoni- si fa ancora più piccolo, rannicchiandosi su se stesso, con le manine a portarsi a difesa della parte posteriore del capo esposta all'ormai inevitabile botta. [Ambient]
Mentre Ken gioca fuori dalla porta e per le scale, rimani su quel letto a carezzare quel figlio che per ora non puoi permetterti di avere davvero. Immagini di sfiorargli il volto, di poterlo trattare come quello che è: il tuo bambino. E sfoghi questa opprimente sensazione dolorosa nella mente di Kaori, ricerchi in lei aiuto e consiglio usando le tue ultime forze per nascondere a tuo figlio la sua vera natura. "Credo che per entrare negli ANBU, pur volendo, ci vorrà ancora qualche anno e so per certo che non potresti mai sopportare di nascondere questa cosa per un anno intero. Ti sta consumando." osserva la Hyuga con dolcezza, a bassa voce, nella tua mente. "Se è così insostenibile per te allora diglielo. E' suo diritto sapere di avere il suo papà accanto a sé. L'hai detto tu, no? E' un bambino sveglio, ti ascolterà prima di decidere se è arrabbiato con te o no" Ma le ultime parole della ragazza non sono altro che un suono ovattato di sottofondo perchè il tonfo della caduta del piccolo ti mette subito in allarme. Il tuo corpo agisce prima della mente e alzandoti vai a controllare cosa stia accadendo. Ed è come se tutto andasse avanti al rallentatore. Papà. Quella parola arriva come un fulmine a ciel sereno nella tua mente. Papà. Per quanto tempo hai desiderato sentirla? Per quanto tempo hai voluto che Ken sapesse, che ti chiamasse a tal modo? Per quanto tempo ti sei trattenuto dal dirglielo, dal palesarti tale nonostante quella parola fosse costantemente lì, sulla punta della tua lingua? Papà. Ken sapeva già...? Improbabile che qualcuno gliel'avesse rivelato, deve averlo capito da solo intelligente com'è. Ma-- perchè non l'ha mai detto? Perchè non ha mai chiesto? Mille e più domande, quesiti che ti riempiono la testa nel giro di un istante forzando i tuoi muscoli a muoversi prima ancora di rendersi conto che, per la prima volta, tuo figlio ha parlato. La sua voce rauca, incerta, graffiante per via di anni ed anni di silenzio ha squarciato il silenzio della casa per chiedere il tuo aiuto. Papà. La sua prima parola. E d'improvviso, non ti rendi conto neppure di come sia successo, di quando sia successo, sei lì. Il tuo braccio e la tua schiena a far da scudo al corpicino rannicchiato del bambino, il tuo arto superiore destro a proteggerlo tirandolo a te, stringendolo così da coprirlo, da difenderlo e trarlo in salvo. L'impatto della libreria col tuo braccio porta il legno a incrinarsi, spezzarsi, i libri cadono e si rovesciano tutt'attorno mentre il mobile ormai spaccato a metà viene spinto dal tuo avambraccio lontano da voi, all'indietro, finendo contro la parete dalla quale s'era primariamente staccata. Ken è salvo, neppure una scheggia è andata a graffiarlo e i libri non l'hanno urtato. Trema appena sotto il tuo abbraccio col respiro corto e l'espressione nascosta dalla sua maschera. Semplicemente, nel silenzio di quel momento, dopo la caduta della libreria spinta dal tuo braccio, si ritrova a boccheggiare un timido e roco: < Pa--pà... > [Ambient]
Rimane immobile, Ken, fra le tue braccia. Quasi teme di fare un passo, quasi non voglia allontanarsi da quella stretta. Il suo respiro è ancora corto, forse è ancora preda della paura per quell'enorme spavento. Insomma, se non fossi intervenuto così prontamente chissà quanto male avrebbe potuto farsi nel ricevere addosso una libreria così pesante e colma di volumi. Il tuo pensiero tuttavia è ancora bloccato a quanto appena verificatosi. A quella parola che ancora riecheggia assordante nella tua mente tanto attesa e spaventosa da farti tremare il cuore. Ricerchi nella tua donna un appoggio, un sostegno, aprendoti a lei- vulnerabile. "Questa sera mi racconterai ogni cosa! Adesso stai con lui, avrete molto di cui parlare. Non avere paura, non spaventarti: è tuo figlio. E sei suo padre. Riprenditi il tempo perduto, amore mio." La voce di Kaori è amorevole, protettiva, gentile e va svanendo in pochi istanti mentre tutto sembra procedere nuovamente a velocità normale in casa tua. Afferri il piccolo in braccio e lo porti sul divano con te adagiandolo sulle tue gambe. Ne sfili il mantello scuro e la maschera bianca senza ch'egli si ribelli in alcun modo. Ken rimane invero a capo chino, timidamente, giocherellando nervosamente con le dita paffute ed un lembo del suo pigiama spiegazzato. Lo abbracci, lo tieni stretto a te e il piccolo espira piano, rilassandosi un poco, chiudendo l'occhietto libero con tenerezza prima di irrigidirsi di colpo nell'avvertire le tue prime parole. <Ugh!> deglutisce nervosamente rialzando il capino, fissandoti un po' impallidito. Forse l'idea di volare giù dal Monte dei Volti non gli è sembrata esattamente allettante. Tuttavia nel vedere il mezzo sorriso impacciato sulle tue labbra Ken si rilassa e rimane a fissarti in silenzio mordicchiandosi il labbro inferiore. E' palesemente nervoso, timido e a disagio. Non sa che fare, cosa dire, quasi non sa dove guardare lasciando saettare lo sguardo dal tuo viso alla maschera alle sue manine, fino a quando quella domanda non va a raggiungerlo diretta. Ken fissa le sue mani per un po' prima di rialzare la testa e guardarti col suo occhio sano, l'espressione preoccupata e in difficoltà per via del momento così delicato e complesso. < Ho--s-sbagliato? > domanda titubante, a fatica, deglutendo forse per alleviare la sensazione di bruciore che si diffonde per la gola in preda a questo nuovo, immenso sforzo. < I-io s-sono un Na-Nara... > si ferma avendo palesi difficoltà in quella forma di linguaggio, le mani a muoversi nervosamente come se si stesse sforzando di non ricorrere a queste per dialogare. < --c-come te. E.. e ti s-somiglio. Ci p-piacciono le s-stesse cose e- e tu sei gentile con me d-da quando mi ha-hai visto la prima volta. > spiega il piccolo lentamente, non senza una certa difficoltà, adesso più timoroso e preoccupato di prima di essere saltato ad una conclusione troppo affrettata. Troppo bella per essere vera. < Pe-per questo ho pe-pensato c-che... > deglutisce abbassando il visino per stringere le labbra in una linea sottile e dura, le mani a sbottonare e riabbottonare uno stesso bottone del pigiama con fare nervoso per evitare di guardarti in faccia ora che teme di essersi illuso per tutto questo tempo. [Ambient]
Un annuire lento, incerto quello del piccolo Ken quando sente che stavi solo scherzando. Certo, è naturale. Non avresti mai buttato un bambino giù da una montagna, ma la sola idea di cadere da quel monte alto alto porta Ken a farsi piccino piccino, come a voler scacciare semplicemente quella possibilità. Non si sofferma però più di tanto su tale battuta in quanto ciò che davvero cattura la sua attenzione è quanto accade in seguito. Osserva il modo in cui le tue grandi mani vanno ad avvolgere e stringere le sue, vedendole svanire dentro questi palmi ampi e caldi, dal tocco gentile e rassicurante. Osserva in silenzio quell'intreccio di dita notando come le vostre mani siano così-- bianche. Le osserva fino a quando la tua voce non va a richiamarlo e solo allora rialza il viso per fissarti, andando ad annuire quando viene rassicurato sul suo dover parlare oppure no. < C-ce la fa-faccio. > dice piano, deglutendo ancora un paio di volte. < Bru-brucia s-solo un po'... > aggiunge abbassando il capino per guardare, ancora le vostre mani unite. E allora arrivano i suoi pensieri, le sue congetture, quel ragionamento così lineare e semplice da essere troppo logico per poter essere smentito ulteriormente. Come si può negare, in tutta coscienza, il legame di sangue che vi unisce? E' così-- evidente! Eppure la non conferma da parte tua lo porta a temere, ad aver paura di aver sbagliato, di essersi illuso soffermandosi su prove indiziarie e circostanziali prive di reale fondamento. Lo porta a temere di aver trovato una logica incontestabile solo in virtù delle sue speranze di aver finalmente trovato il proprio papà. E non riesce a guardarti in faccia, non ce la fa. Non finchè, finalmente, non capitoli. Quella resa, quella liberazione, porta Ken a sollevare la testa con l'occhio grande di sorpresa e contentezza, la boccuccia schiusa in una piccola e morbida 'o' contornata da labbra infantili e piene. Un singulto va ad attraversarlo nel sentire quella parola pronunciata dalla tua voce. Papà. Un singulto che lo fa irrigidire per un momento, che arrossa il suo viso e va a piegare le sue labbra in una linea incerta e tremante, una specie di arco che dal basso si rialza a raggiungere il suo punto più alto e quindi ridiscendere, quasi fosse un arcobaleno. L'occhio nero è lucido, il mento tremula e così le sue manine dentro le tue. Non piange, è evidente che stia cercando di trattenersi, di evitarlo, ma altrettanto palese è quanto questo gli riesca difficile. Così difficile che non può riuscirci oltre quando vai decantandogli il tuo affetto, il tuo amore, scoppiando in un pianto silenzioso e composto, con le lacrime che scivolano giù lungo le guance e la boccuccia tenuta stretta per non far scappare via nemmeno un singhiozzo, nemmeno un gemito. Piange sulle tue gambe, tirando su col nasino chiuso andando a ritirare le mani dalla tua stretta per cercare di asciugarsi le guance, gli occhi, anche al di sotto della benda nera. Cerca di essere un ometto, cerca di non piangere, ma l'emozione è forte e lui è solo un bambino disorientato che, forse troppo stanco per gli sforzi fatti, si ritrova a muovere le manine tremanti a formare una sola ed unica parola. "Perchè?" Perchè sei andato via, papà? Perchè mi hai lasciato solo? Perchè sei tornato solo ora? Nel suo sguardo però non v'è accusa né rabbia, non c'è astio o rancore in quella domanda ma solamente la sconfinata e triste innocenza di un bambino che per tutta la vita ha desiderato quello che chiunque desidera alla sua età. Una mamma. Un papà. [Ambient]
Quella lontananza ha straziato due anime al tempo stesso. La tua, consapevole artefice di tale separazione, conscio di star lasciando in un luogo sicuro e segreto un figlio che non avevi ancora mai neppure sentito ridere e la sua, anima ignara di essere sempre stato nei pensieri del suo papà, dell'uomo che per salvarlo da ogni sofferenza si è privato egli stesso della sua compagnia. Un sacrificio fatto inizialmente per il desiderio di offrire al tuo bambino una vita quanto più normale possibile, magari con due genitori che lo avrebbero amato e trattato come il bambino più importante e speciale del mondo, senza mai ferirlo in alcun modo. Un sacrificio fatto per timore di essere nocivo al tuo stesso pargolo, di non essere capace di crescerlo quando tu stesso sei dovuto crescere da solo. Un sacrificio che ora non sei capace di tollerare, bisognoso di stringere a te il tuo bambino, di crescerlo e proteggerlo con le tue stesse mani e la tua stessa vita. Entrambi piangete d'un pianto silenzioso e disperato che non sa di rabbia o pentimento ma di paura e speranza. Un pianto che chiede scusa, che chiede perchè. Ken deglutisce nel vederti piangere, tira su col naso cercando di non far più tremare le labbra piene e morbide, e lascia che lo avvicini a te ricercando quel semplice contatto fra le vostre fronti. Ti guarda nell'occhio frontale al proprio scoperto e ascolta le tue scuse alzando una manina paffuta per cercare il tuo viso. Cerca di asciugarti le lacrime, di calmarti, o forse semplicemente di avere un contatto più stretto col suo papà. Ascolta le tue parole, non geme, non interrompe né fugge. Semplicemente attende sulle tue gambe fino a quando il racconto non termina e il tuo pianto si fa più dirompente, più sentito. Il bambino ti osserva col respiro corto, le labbra ora schiuse per respirare visto che il suo nasino non riesce più a raccimolare aria. Ancora trema nel sentirti chiamarlo "figlio mio", ancora non gli pare possibile che tu sia qui, con lui. Per davvero. Risucchia aria dalle labbra in silenzio, guardandoti, pensando, andando solo dopo diverso tempo ad asciugarsi il viso con i bordi delle maniche del suo pigiama. Si impone di non piangere, cerca di calmarsi e si sistema meglio sulle tue gambe mettendosi più comodo, andando quindi ad alzare una manina fra i vostri corpi. < Tu-- non vai p-più via... vero? > domanda con la voce ancora più roca, impastata dal pianto e decisamente più nasale e tenera. < Prometti. > aggiunge poco dopo alzando il mignolino della mano precedentemente posta fra loro, tenendo il resto delle dita chiuse a pugno. < Se-- se lo prometti no-non puoi p-più rimangiartelo. Le p-promesse si ma-ma-mantengono > annuisce piano con la sua testolina dalla chioma arruffata, cercando di tirare di nuovo su col naso, l'espressione ed il tono quasi teneramente saccente, come se volesse spiegare al suo papà una cosa importantissima. < Prometti... > ripete allora Ken stringendo le labbra nel chiaro tentativo di non piangere di nuovo. < Prometti papà... > [Ambient]
Le vostra dita s'intrecciano, la promessa viene fatta e un enorme sorriso va finalmente a stagliarsi sulle labbra del piccolo Ken. Le rassicurazioni del padre lo fanno sentire più sicuro, più confidente e tutta la tristezza provata poco prima nel timore di aver sbagliato la sua analisi vola via sostituita da una grande gioia. Annuisce energicamente al tuo dire, apparentemente concorde con te per quanto riguarda il vostro modo di interpretare una promessa e quindi si ritrova a fissarti inclinando leggermente il capino verso la spalla sinistra quando le tue parole spezzano il silenzio venutosi improvvisamente a creare. Scivola a terra dalla tua presa mettendosi in piedi così da rinfilarsi il mantello e stringersi la maschera forte forte al petto, guardandoti con tono sicuro. < Gocce > dice con voce bassa e rauca con estrema semplicità, come se non ci fosse niente di strano da fare adesso, niente di diverso da quello che fate ogni mattina. < E-e poi.. faccio ve-vedere la m-maschera a Ai. > aggiunge sicuro prima di voltarsi e iniziare ad avviarsi verso le scale stando ben attento a reggersi alla ringhiera con una mano, attento a salire i gradini con cautela onde evitare di inciampare magari una seconda volta. Adesso la tua vita continua come sempre, Azrael. Con gli stessi ritmi, gli stessi impegni, ma con una nuova consapevolezza: Ken è il tuo bambino e adesso anche lui sa che il suo papà non ha mai smesso un istante di volergli bene. [END]