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Papà ~

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con Azrael, Kaori

11:38 Azrael:
 È una mattina placida, calma, l’orario è piuttosto tardo. Ha portato Ken via dall’Ospedale ove il piccolo ha subito una delicata operazione per il recupero della vista e gli ha chiesto di aspettarlo in camera propria per la medicazione giornaliera. Tra le mani ha il collirio che occorre per la corretta idratazione dell’occhio offeso ed una piccola sorpresa per il bambino. In un rivestimento nero di stoffa, che altro non è che un mantello su misura per la corporatura del figlio, ha chiuso una maschera che il Nara ha dipinto personalmente in modo da farla rassomigliare al muso di un felino. Attualmente si trova fuori dalla porta della propria camera, al cui interno dovrebbe star attendendo suo figlio, il figlio che non sa di suo padre, non sa quato egli lo ami in maniera viscerale ed istintiva, come qualunque genitore con la propria prole. Ha chiesto ad Ai di rimanere nelle sue stanze, in modo da fornire ai due Nara un po’ di privacy. Ogni giorno che passa a contatto col giovane Ken, nel cuore di Azrael preme sempre più forte il desiderio di potergli narrare della sua storia. È un bambino intelligente, coraggioso, che ha sofferto tanto e che non merita affatto ulteriori menzogne. Che meriterebbe tutto l’affetto che suo padre non è stato mai pronto a dargli, per debolezza e vigliaccheria. Azrael indossa soltanto un paio di pantaloni grigi, parte di una tuta di cui si disconosce il pezzo superiore, essendo indossata sempre mentre il Dainin è nella propria casa, a torso nudo. L’unica cosa che gli ricopre il petto e la parte alta dei bicipiti è la solita benda le cui spire gli avvolgono il corpo, candide ed aderenti, al fine di nascondere alla vista il proprio tatuaggio anbu ed il marchio maledetto. Un profondo respiro verrebbe preso, prima di aprire la porta per cercare con le iridi buie l’infantile figura della propria progenie. < Ehi campione, pronto a mettere le gocce? > Domanderebbe, qualora lo trovasse lì, stringendo il collirio nella mancina ed il pacchetto stretto tra braccio destro e busto. [ Chakra ON ]

Una mattina come tante in quel di Konoha. Una mattina che non promette nulla di nuovo, che non sembra essere assai dissimile alla precedente e probabilmente a quella che sarà la successiva. Il sole è sorto, il vento soffia, la Foglia si risveglia e i konohani passeggiano ridacchiando e chiacchierando per le vie del Villaggio. C'è vita ed un allegro brusio a percorrere le strade di Konoha, qualcosa che in questo momento è di quanto più diverso e lontano da quanto c'è nella camera di Azrael in casa sua. Nel momento in cui il Dainin bussa alla propria stanza per richiamare l'attenzione di Ken, il bambino risponde con un semplice e prolungato. < Mhhhhhhhhhhhhn. > che potrebbe perfettamente essere una onomatopea per "Nessuno mi allontanerà mai da questo letto". Le lenzuola pulite, rosse del Consigliere vengono raccolte a formare un fagottino ben acciambellato e mugugnante per una manciata di secondi prima che un piccolo sospiro preceda un sonoro ed infantile sbadiglio. Le lenzuola si muovono ancora e questa volta una testolina dai capelli neri e arruffati va a fare capolino da queste mentre un ometto molto assonnato si mette a sedere strofinandosi l'unico occhio visibile con una manina piccola e ancora leggermente paffuta, a segno di una infanzia ancora in corso. Le labbra sottili sono piegate in una sorta di broncio assonnato mentre una benda scura è posta a protezione dell'altro occhio. Il bambino finisce di strofinarsi l'occhio per svegliarsi e quindi annuisce piano col capo per rispondere alla domanda del Nara dopo solo un paio di minuti di ritardo. Nel seguire con lo sguardo la figura di Azrael, tuttavia, il bambino si sofferma ad osservare il pacchetto che l'altro regge col braccio, inclinando appena la testolina assonnata con fare interrogativo. Il piccolo prende a muovere le braccia per mimare -lentamente- dei segni che Azrael riesce a tradurre come "Cosa è?". Potrebbe scrivere ma appena sveglio il massimo che può offrire per comunicare è quello. [Ambient]

12:17 Azrael:
 All’entrata nella propria stanza la scena a cui assiste gli fa sobbalzare il cuore nel petto ed incurvare le labbra in un piccolo e tenero sorriso, praticamente involontario e non controllato dalla propria volontà. Tra le coperte scarlatte del proprio letto giace, ancora assopito, un bambino rannicchiato sul materasso. Il suo bambino, il suo piccolo Ken. Resta fermo sull’uscio per qualche istante, con il cuore pesante e gli occhi a pizzicare leggermente di un’emozione troppo forte da essere trattenuta, ma facilmente confondibile co il semplice risultato dell’essere appena svegli. Avanza ora di qualche passo, seguendo specularmente il movimento del capo del bambino che si inclina curioso ed interrogativo. “È la mia fotocopia…” Comunicherebbe mentalmente a Kaori, chissà dove, in modo da sentirla anche solo parzialmente vicina in un momento così concitato e pregno di amozioni. Andrebbe quindi a consumare la distanza che intercorre tra sé ed il proprio letto, sedendosi sull’orlo del materasso, ben attento a non colpire alcuna parte del corpo del bambino ancora nascosto dalle coperte e dalle lenzuola rosse. Poserebbe dietro la propria schiena il mantello che nasconde la maschera ANBU e si avvicinerebbe al piccolo, per carezzargli i capelli ancora arruffati dal sonno conslusosi solo da poco in un moto amorevole ed affettuoso < Buongiorno campione, spero tu abbia dormito bene. > Gli direbbe, andando poi a ritrarre la mano tra le cui dita stringe il piccolo contenitore del collirio datogli in Ospedale. < Questo? > Domanderebbe retorico alla volta di Ken, in risposta all’interesse mostrato per il regalo che Azrael gli ha portato < Ho pensato che avrebbe potuto farti piacere, è un dono che ti ho dipinto io personalmente. Con l’approvazione di alcuni miei amici, ovviamente. > Sorriderebbe radioso, lasciando che il mantello avvolto attorno la maschera felina resti abbandonato lì tra le coperte, ad invogliare il bambino a destarsi completamente dal sonno ed aprirlo, come fosse la mattina di Natale. Non ha mai potuto festeggiare un suo compleanno o qualunque altra festività, non ha mai potuto portargli un regalo, l’unico favre e presente che pensava avergli fatto fu quello di allontanarsi da lui, quella notte, portandolo via dalle grinfie di una donna la cui psiche celava chissà quali minacce. Solo ora ha potuto rendersi conto di quanto, invece, quella scelta avrebbe potuto fargli male, farlo soffrire. < Aprilo, alle gocce pensiamo dopo, mh? > E resterebbe così fermo in quella posizione, seduto accanto a lui, attendendo che possa vedere sul suo infantile viso il risultato di quel pensiero che ha avuto per lui. [ Chakra ON ]

Sobbalza il cuore nel vedere quel piccolo ammasso di capelli neri che si mette a sedere cercando di svegliarsi controvoglia, le manine paffute e così piccole da poter tranquillamente entrarti solo nel palmo della mano. Quel bambino è sangue del tuo sangue, è il figlio che per tanto, troppo tempo non hai avuto la forza di cercare perchè spaventato dall'idea di poter essere deleterio per lui. Frutto di una violenza psicologica, di un inganno, di un rapporto malsano e abusivo da parte di una madre-- nonna, degenere. Eppure eccolo. Una fuga non è mai eterna, alla fine i nostri incubi, le nostre paure, ci raggiungono sempre. E lui è lì, fra le tue lenzuola, così innocente e candidamente assonnato e non ti pare d'aver mai visto nulla di più bello al mondo. Hai provato, tentato di fuggire da lui e da ciò che rappresenta, ma come si può scappare dal proprio sangue. Dalla somiglianza -non solo fisica, ma anche mentale che vi lega? La voce di Kaori giunge morbida nella tua mente, puoi percepire il suo sorriso nel suono delle sue parole. "Più di quanto immagini" mormora la Hyuga con tenerezza, quasi puoi sentire la sua mano stringersi attorno alla tua per darti coraggio, la forza di aggirare il letto e sederti su di questo, attento a non pesare sui piedini del bambino. Metti da parte il collirio e poggi sulle lenzuola cremisi quel mantello piegato a mo di fagotto arruffando i capelli già spettinati del piccolo. Ken arriccia appena le labbra sfuggendo a quel contatto ma è palese l'approvazione sul suo viso, quel suo apprezzare quel gesto sebbene le sue manine vadano a comporre ben altre parole. "Mi scompigli i capelli", come se non fossero già somiglianti ad una specie di nido stopposo a causa dei movimenti fatti sul cuscino durante la notte. "Buongiorno. Ho ancora sonno" continua poi, piano, per aiutarti a leggere i suoi gesti. Stringe l'occhio, lo strofina ancora e dunque vai a rispondere alla sua domanda ricercando quel momento solo per voi, quel momento unico nel suo genere e che mai prima di allora hai potuto vivere con lui. Ken si illumina all'idea di aver ricevuto un regalo e ti fissa con il suo occhio grande di stupore, la manina ad indicarsi il petto con l'indice come a voler dire: "Per me?". Ma è una domanda retorica: Ken non fa mai domande stupide. Non attende infatti una risposta e poggiandosi di ginocchia sul letto va ad allungarsi verso il pacchetto. Nel tirarlo a sé il mantello si apre e da questo rotola sulle lenzuola una maschera. Una maschera bianca dai tratti felini rimarcati da lineamenti di vernice viola. Una maschera ANBU. Ken si immobilizza e schiude le labbra in una espressione basita, l'emozione è palpabile sul suo viso mentre lo alza per guardarti in faccia, incredulo. Uno sguardo ricolmo di trattenuta felicità e speranza che viene subito dopo portato verso la maschera che questa volta viene presa fra le manine tremanti così da poterla guardare in tutta la sua interezza. Il sorriso si spalanca sulla bocca del bambino, le gote si tingono appena di un rosa più brillante mentre l'occhio visibile è scintillante di eccitazione e impazienza. Lascia cadere la maschera per slanciarsi contro di te buttandoti le braccia al collo in un abbraccio istintivo e silenzioso. Un abbraccio che vale più di mille parole, che esprima tutta la sua riconoscenza e la sua felicità. [Ambient]

10:44 Azrael:
 Vederlo muoversi in quel modo, agitarsi sotto le coperte e ritrarsi da quella carezza amorevole per paura che gli si scompiglino i capelli fa stringere il cuore in una morsa di tenerezza e sofferenza al tempo stesso. È insostenibile. Il senso di colpa, l’amore che prova nei confronti di suo figlio e che non può esprimere… è semplicemente insostenibile. Il supporto morale di Kaori non tarda a farsi sentire come un caldo abbraccio, una lenitiva stretta tra le mani dei due amanti, seppur avvenuta unicamente solo nelle loro menti, per ovvi motivi. “Dammi la forza di non dirgli tutto. È troppo dura—” Le confessa, sfogando nell’empatia quel desiderio di essere, a tutti gli effetti, il padre del bambino che ha di fronte e che ora va scartando il suo regalo. La maschera ben presto rotola tra le lenzuola scarlatte. Il Nara si esibisce in un sorriso gentile, ma ricolmo di evidente disagio. Il suo bambino vuole seguire le prme del padre, pur non conoscendone la vera identità o sapere quanto AAzrael abbia effettivamente posto in quella corporazione segreta. Magari ha deciso di diventare ANBU proprio perché ha sentito parlare di Yami, delle cose che ha fatto mentre aveva indosso la maschera. Il pensiero lo riscalda e lo strazia nello stesso tempo, in una lenta e dolce tortura. < Ho chiesto il permesso ad alcuni Luogotenenti degli ANBU e hanno accettato che tu avessi questa maschera a patto che-- > Ma la voce gli si blocca in gola nel momento in cui il bambino si lancia contro di lui, allacciandogli le braccia al collo. Si irrigidisce totalmente, gli occhi scuri sgranati di una sensazione senza nome, intensa ed invadente che gli fa tremare il petto, le mani ed il respiro. Timidamente allunga entrambe le braccia per avvolgere l’esle corpicino di Ken, di suo figlio e deglutisce a fatica il groppo amaro che gli si è formato in gola, cercando di far passare inosservate quelle reazioni < --che la usi solo a casa finché non sarai diventato abbastanza grande per entrare ufficialmente tra di loro, ecco. > Si schiarisce debolmente la voce, rafforzando la stretta delle braccia con cui sta tenendo Ken contro il proprio corpo. Socchiude le palpebre, trattenendo a fatica qualche lacrima di commozione e disperazione, stringe le labbra per ricacciare indietro l’urlo di frustrazione che gli sta premendo dal fondo della gola. < Puoi provartela subito se vuoi, al collirio pensiamo dopo. > Gli dice, un po’ immaginando l’impazienza di giocare col suo nuovo regalo, un po’ per avere tempo e respiro per reprimere quanto gli si sta agitando nel cuore e nell’anima, lasciando quindi la presa delle mani e degli avambracci in modo che Ken possa essere libero di muoversi. [ Chakra ON ]

Frustrante. Doloroso. Difficile. Oh, così dura osservar crescere quel bambino sotto i propri occhi e doversi trattenere ogni volta che lo si vorrebbe chiamare "figliolo", "piccolo", "bambino mio". Difficile doversi mordere la lingua ogni volta che il pensiero vorrebbe ricordargli che il suo papà non lo avrebbe mai più lasciato, che lo avrebbe sempre protetto e salvato a qualsiasi costo. Fa male. E' nauseante, è distruttivo. E quella preghiera rivolta alla Hyuga riceve immediata risposta da parte di lei che, amorevolmente, ti resta accanto per darti man forte. "Pensa-- pensa che se glielo dicessi dovresti anche dirgli chi è sua madre." dice Kaori evidentemente in difficoltà nel cercare un motivo per non dire al piccolo la verità. "E' un discorso che immagino non vuoi ancora affrontare." Nel mentre che questa conversazione avviene, mentalmente, Ken osserva e studia la sua nuovissima, bellissima maschera, lasciando correre le iridi scure su ogni dettaglio, su ogni forma, quasi a volersi stampare nella memoria ogni centimetro di quell'oggetto. Probabilmente se avesse avuto voce avrebbe detto qualcosa, ma le sue labbra permangono schiuse, tremanti d'emozione e le sue mani sono impegnate a reggere la maschera per poter comporre parole. Tuttavia in pochi istanti la felicità prende il sopravvento e il piccolo t'abbraccia stringendoti forte, con gioia, distaccandosi da te solamente quando gli proponi di provarla da subito. Le sue manine si distaccano dalla tua nuca, il suo corpicino si fa da parte e il capo annuisce con vigore, convinto, mentre scendendo dal letto coi suoi piedini nudi va a recuperare la maschera per indossarla immediatamente. Quindi tira a sé il mantello e se lo lega addosso un po' storto, con mani impazienti, guardandosi attorno con fare curioso. E' davvero buffo. Un ometto alto un metro appena con un lungo mantello nero e questa maschera bianca da ANBU a farlo apparire quasi davvero minaccioso. Il bambino è impaziente, agitato ed inizia a correre per la stanza come un vero e proprio ninja flettendo il busto e tenendo le braccia all'indietro per sentirsi più veloce e aerodinamico. Corre raso muro fino a portarsi accanto alla porta aperta e fermarsi prima della soglia. Le spalle al muro, i palmi aderenti alla parete, la posa attenta e guardinga mentre si sporge appena per assicurarsi che nessun temibile nemico sia appostato in corridoio. Muove la testolina dai capelli arruffati per guardare sia a destra che a sinistra e dunque corre fuori scendendo le scale fin troppo rumorosamente per quello che è il tuo finissimo udito. Ken corre, gioca, finge di essere un ANBU di guardia alla ricerca di qualche mukenin immaginario nascosto per casa e poi-- inciampa. Il piedino nudo scivola sul bordo inferiore del mantello storto e cade a terra, di pancia sotto. Le manine vanno d'istinto ad attutire l'impatto nel timore di rovinare la sua nuovissima maschera, evitandogli di sbattere il viso al suolo. Tuttavia, mentre questo accade, ecco che qualcosa d'imprevisto si verifica. La libreria attaccata alla parete di fronte al piccolo, traballante da un po' essendo vecchia di anni, si distacca sempre più dalla parete scricchiolando, portando Ken a sollevare lo sguardo. Il suo occhio scoperto, attraverso la maschera, vede il grande e pesante mobile sporgersi verso di lui prossimo a staccarsi del tutto e cadere nel giro di un paio di secondi e la paura gli fa stringere il cuore nel petto nel timore di venirne schiacciato data la differenza di stazza fra sé e gli scaffali, una paura tale da portarlo a... < PAPA'! > la voce è rauca, graffiata dato il periodo di silenzio durato tutta la sua vita -o gran parte di questa, e risulta quasi uno stridio nel silenzio della casa. Il capino s'abbassa, il corpo -gattoni- si fa ancora più piccolo, rannicchiandosi su se stesso, con le manine a portarsi a difesa della parte posteriore del capo esposta all'ormai inevitabile botta. [Ambient]

11:42 Azrael:
 Impaziente il bambino va a distaccarsi da lui per indossare la sua nuova maschera ed il mantello. Sembra un piccolo supereroe e questa cosa fa esprimere Azrael in un largo sorriso che snuda la dentatura candida, scuotendo la testa con fare decisamente divertito. Ken si muove, corre per la stanza come un vero e proprio ANBU alla ricerca del bersaglio da catturare. Suo padre non dice nulla, limitandosi ad inviare solo il suo profondo disagio a Kaori, mantenendo aperto quel contatto mentale tra di loro. Lo osserva, lo segue con lo sguardo finché non esce, guardingo ed attento, dalla stanza. Con tutto il rumore che fa per le scale sarebbe già stato scoperto diverse volte, ma questo non gli importa affatto. Quei pochi attimi che ha da passare da solo, Azrael, li trascorre a fissare un punto vuoto del proprio letto dalle lenzuola sfatte e che, fino a pochi attimi prima, ha ospitato il suo bambino. La mancina s’alza per sfiorarne i bordi con i soli polpastrelli, come se stesse accarezzando la pelle chiara del viso infantile del piccolo. Un sospiro stanco esce dalle di lui rosee appena schiuse. “Tutto questo è davvero troppo, Kaori. Davvero davvero troppo. Non posso continuare così, è un bambino sveglio, promettente… e se entrasse davvero negli ANBU? In quegli archivi scoprirebbe senz’altro la verità e—” Ma poi un suono gli raggiunge le orecchie. Un tonfo sordo, come quello di un corpo che cade al suolo. Poi uno scricchiolio sinistro, che appare decisamente poco rassicurante. Pericolo, paura e panico sgranano gli occhi d’onice del Dainin che, senza pensarci neanche un attimo, scatta in piedi, avanzando a grandi falcate per raggiungere la porta ed affacciarsi per comprendere meglio la situazione. Potrebbe essere caduto dalle scale, potrebbe aver sbattuto contro il corrimano, ma poi arriva quel suono. La voce rauca che mai ha sentito uscire dalla gola chiusa del bambino. Una voce che lo chiama “papà”. Ed il timore è chiaro in quel suono graffiato ed occluso da anni di forzato silenzio, al punto tale da trasmettere al padre il terrore che sta provando il proprio figlio. Il corpo si muove in maniera più che automatica, le leve inferiori si caricano, sfruttando chakra ed adrenalina, portando tutto il peso a concentrarsi sulle piante dei piedi che, al momento in cui si distaccherebbero dal suolo, dovrebbero dargli la spinta necessaria per uno scatto al massimo della propria velocità. Macinerebbe rapidamente i metri che compongono il corridoio, arrivando in fretta alle scale che non andrebbe a percorrere gradino dopo gradino, ma di cui sfrutterebbe il corrimano per poggiarvi la mano sinistra e darsi la spinta per scavalcare col resto del corpo e ritrovarsi nel minor tempo posiziole al piano inferiore. La scena chhe dovrebbe trovarsi davanti gli fa sobbalzare il cuore, per poi lasciarlo schiantare rovinosamente contro la parete delle costole una, due, tre volte. Una libreria staccata dalla parete che sta minacciando la vita del suo bambino, rannicchiato ed impotente a proteggersi il capo. < KEN! > Urlerebbe a pieni polmoni, un grido basso e dalle tonalità gravi, tipiche sfumature della voce del Nara, graffiata dal vizio del fumo. Rapido correrebbe in sua direzione, evitando tutti gli altri movimenti d’arredo presenti nella staza con movimenti precisi e studiati, degni solo di chi quella casa l’ha praticamente messa a nuovo di proprio pugno. Il busto chino in avanti, le leve superiori volte all’indietro, ma per nulla rilassate, bensì flesse e pronte ad agire per fermare quell’ammasso di legno che sta per abbattersi sul capo del bambino. Tenterebbe di portarsi dinanzi a lui, frapponendosi tra suo corpicino rannicchiato e la libreria. Il braccio destro andrebbe a cingere il corpicino del figlio, mentre l’altro braccio verrebbe posto piegato in direzione del pericolo, in modo che vada ad impattare contro il di lui avambraccio, con cui poi potrà lanciarla via. Lo sguardo sarebbe fisso sul piccolo, per assicurarsi che stia bene e che non abbia altre ferite o che la paura non abbia un effetto troppo devastante su di lui, già abbastanza traumatizzato per la propria età. [ Chakra ON ]

Mentre Ken gioca fuori dalla porta e per le scale, rimani su quel letto a carezzare quel figlio che per ora non puoi permetterti di avere davvero. Immagini di sfiorargli il volto, di poterlo trattare come quello che è: il tuo bambino. E sfoghi questa opprimente sensazione dolorosa nella mente di Kaori, ricerchi in lei aiuto e consiglio usando le tue ultime forze per nascondere a tuo figlio la sua vera natura. "Credo che per entrare negli ANBU, pur volendo, ci vorrà ancora qualche anno e so per certo che non potresti mai sopportare di nascondere questa cosa per un anno intero. Ti sta consumando." osserva la Hyuga con dolcezza, a bassa voce, nella tua mente. "Se è così insostenibile per te allora diglielo. E' suo diritto sapere di avere il suo papà accanto a sé. L'hai detto tu, no? E' un bambino sveglio, ti ascolterà prima di decidere se è arrabbiato con te o no" Ma le ultime parole della ragazza non sono altro che un suono ovattato di sottofondo perchè il tonfo della caduta del piccolo ti mette subito in allarme. Il tuo corpo agisce prima della mente e alzandoti vai a controllare cosa stia accadendo. Ed è come se tutto andasse avanti al rallentatore. Papà. Quella parola arriva come un fulmine a ciel sereno nella tua mente. Papà. Per quanto tempo hai desiderato sentirla? Per quanto tempo hai voluto che Ken sapesse, che ti chiamasse a tal modo? Per quanto tempo ti sei trattenuto dal dirglielo, dal palesarti tale nonostante quella parola fosse costantemente lì, sulla punta della tua lingua? Papà. Ken sapeva già...? Improbabile che qualcuno gliel'avesse rivelato, deve averlo capito da solo intelligente com'è. Ma-- perchè non l'ha mai detto? Perchè non ha mai chiesto? Mille e più domande, quesiti che ti riempiono la testa nel giro di un istante forzando i tuoi muscoli a muoversi prima ancora di rendersi conto che, per la prima volta, tuo figlio ha parlato. La sua voce rauca, incerta, graffiante per via di anni ed anni di silenzio ha squarciato il silenzio della casa per chiedere il tuo aiuto. Papà. La sua prima parola. E d'improvviso, non ti rendi conto neppure di come sia successo, di quando sia successo, sei lì. Il tuo braccio e la tua schiena a far da scudo al corpicino rannicchiato del bambino, il tuo arto superiore destro a proteggerlo tirandolo a te, stringendolo così da coprirlo, da difenderlo e trarlo in salvo. L'impatto della libreria col tuo braccio porta il legno a incrinarsi, spezzarsi, i libri cadono e si rovesciano tutt'attorno mentre il mobile ormai spaccato a metà viene spinto dal tuo avambraccio lontano da voi, all'indietro, finendo contro la parete dalla quale s'era primariamente staccata. Ken è salvo, neppure una scheggia è andata a graffiarlo e i libri non l'hanno urtato. Trema appena sotto il tuo abbraccio col respiro corto e l'espressione nascosta dalla sua maschera. Semplicemente, nel silenzio di quel momento, dopo la caduta della libreria spinta dal tuo braccio, si ritrova a boccheggiare un timido e roco: < Pa--pà... > [Ambient]

13:28 Azrael:
 Non s’è nemmeno reso conto di quanto è appena accaduto, di come il tempo sia corso lento e veloce al tempo stesso attorno ai due Nara. In qualche frazione di secondo si ritrova a far scudo col proprio corpo a quel bambino rannicchiato dai capelli scuri in preda alla paura di essere schiacciato dalla libreria. Il mobile di legno gli si schianta violentemente contro il braccio, in un moto che avrebbe senza ombra di dubbio fatto del male al bambino, ma che al Dainin non provoca nemmeno fastidio. Il legno si spacca, dividendo in due gli scaffali e lasciando che la cascata di libri precipiti attorno le loro figure, senza ledere a nessuno, ma capitolando semplicemente a terra. Il respiro del Dainin è corto, non tanto per la fatica, quanto più per il panico che si è impossessato di lui alla consapevolezza che Ken potesse essere potenzialmente in pericolo. Attimi di silenzio intercorrono tra i due, ancora abbracciati, interrotti soltanto dal rumore del legno contro la parete, senza più possibilità di nuocere a nessuno. Attimi di silenzio in cui il cuore del Nara batte all’impazzata, il sangue corre nelle orecchie generando un fastidioso fischio di acufene. “M—mi ha… Mi ha chiamato…” Comunicherebbe con Kaori, preoccupato anche dal fatto di aver interrotto la loro connessioe mentale in maniera così brusca. E pensare a quelle parole lo aiuta a rendersi effettivamente conto di quanto sia appena accaduto. “…papà. Con la sua voce.” Gli occhi si sgranano, diventando due larghe pozze nere, puntate sulla maschera che ha regalato al figlio, quasi a volerla forare per giungere al suo vero volto. Porrebbe le braccia attorno ai di lui fianchi per prenderlo in braccio, non un filo di voce ad uscire dalle sue labbra, come fosse in una sorta di stato catatonico. Lo solleverebbe e lo porterebbe fino al divano in pelle nera, su cui andrebbe a sedersi, adagiandolo sulle proprie gambe. Sempre mantenendo quell’immutato silenzio andrebbe a togliere la maschera che gli copre il visino infantile e a slacciargli il mantello, lasciandolo scivolare sui cuscii su cui si sono accomodati. Resterebbe a giardarlo un altro po’, l’indecisione chiaramente dipinta sul volto. Eppure deve fare qualcosa, dire qualcosa. Non può permanere in quella stasi troppo a lungo, dovrebbe dirgli quanto è contento di aver sentito la sua voce per la prima volta o chiedergli perché lo ha chiamato papà, chi glielo avesse detto o se lo pensasse già. Resta, invece, a guardarlo ancora per interminabili secondi, abbracciandolo in modo che possa poggiarsi sul proprio petto e tranquillizzarsi dopo la paura appena cessata che lo ha evidentemente scosso al punto tale da consentirgli la parola. < Avessi saputo che bastava metterti paura per convincerti a parlare, ti avrei gettato giù dal Monte dei Volti e avrei aspettato di sentire la tua voce prima di venirti a salvare. > Una battuta decisamente fuori luogo gli sfugge dalle labbra curvate in un’espressione di totale inadeguatezza, nel vano tentativo di sdrammatizzare la situazione e di calmare se stesso, prima ancora che il pccolo. Ma poi una domanda gli pungola il retro della testa con talmente tanta insistenza da forargli quasi la nuca. Una domanda che riguarda quella prima parola pronunciata da Ken, che ha aspettato tanto di sentirsi dire proprio da lui, ma che mai si sarebbe aspettato che sarebbe arrivata prima di un lungo discorso che gli spiegasse le sue origini. < Come mai mi hai chiamato così? > Gli domanda, lasciandogli le braccia libere di muoversi in caso volesse tornare ad esprimersi a gesti, per evitare di sforzare le corde vocali rimaste sopite fin troppo a lungo. [ Chakra ON ]

Rimane immobile, Ken, fra le tue braccia. Quasi teme di fare un passo, quasi non voglia allontanarsi da quella stretta. Il suo respiro è ancora corto, forse è ancora preda della paura per quell'enorme spavento. Insomma, se non fossi intervenuto così prontamente chissà quanto male avrebbe potuto farsi nel ricevere addosso una libreria così pesante e colma di volumi. Il tuo pensiero tuttavia è ancora bloccato a quanto appena verificatosi. A quella parola che ancora riecheggia assordante nella tua mente tanto attesa e spaventosa da farti tremare il cuore. Ricerchi nella tua donna un appoggio, un sostegno, aprendoti a lei- vulnerabile. "Questa sera mi racconterai ogni cosa! Adesso stai con lui, avrete molto di cui parlare. Non avere paura, non spaventarti: è tuo figlio. E sei suo padre. Riprenditi il tempo perduto, amore mio." La voce di Kaori è amorevole, protettiva, gentile e va svanendo in pochi istanti mentre tutto sembra procedere nuovamente a velocità normale in casa tua. Afferri il piccolo in braccio e lo porti sul divano con te adagiandolo sulle tue gambe. Ne sfili il mantello scuro e la maschera bianca senza ch'egli si ribelli in alcun modo. Ken rimane invero a capo chino, timidamente, giocherellando nervosamente con le dita paffute ed un lembo del suo pigiama spiegazzato. Lo abbracci, lo tieni stretto a te e il piccolo espira piano, rilassandosi un poco, chiudendo l'occhietto libero con tenerezza prima di irrigidirsi di colpo nell'avvertire le tue prime parole. <Ugh!> deglutisce nervosamente rialzando il capino, fissandoti un po' impallidito. Forse l'idea di volare giù dal Monte dei Volti non gli è sembrata esattamente allettante. Tuttavia nel vedere il mezzo sorriso impacciato sulle tue labbra Ken si rilassa e rimane a fissarti in silenzio mordicchiandosi il labbro inferiore. E' palesemente nervoso, timido e a disagio. Non sa che fare, cosa dire, quasi non sa dove guardare lasciando saettare lo sguardo dal tuo viso alla maschera alle sue manine, fino a quando quella domanda non va a raggiungerlo diretta. Ken fissa le sue mani per un po' prima di rialzare la testa e guardarti col suo occhio sano, l'espressione preoccupata e in difficoltà per via del momento così delicato e complesso. < Ho--s-sbagliato? > domanda titubante, a fatica, deglutendo forse per alleviare la sensazione di bruciore che si diffonde per la gola in preda a questo nuovo, immenso sforzo. < I-io s-sono un Na-Nara... > si ferma avendo palesi difficoltà in quella forma di linguaggio, le mani a muoversi nervosamente come se si stesse sforzando di non ricorrere a queste per dialogare. < --c-come te. E.. e ti s-somiglio. Ci p-piacciono le s-stesse cose e- e tu sei gentile con me d-da quando mi ha-hai visto la prima volta. > spiega il piccolo lentamente, non senza una certa difficoltà, adesso più timoroso e preoccupato di prima di essere saltato ad una conclusione troppo affrettata. Troppo bella per essere vera. < Pe-per questo ho pe-pensato c-che... > deglutisce abbassando il visino per stringere le labbra in una linea sottile e dura, le mani a sbottonare e riabbottonare uno stesso bottone del pigiama con fare nervoso per evitare di guardarti in faccia ora che teme di essersi illuso per tutto questo tempo. [Ambient]

16:32 Azrael:
 Il piccolo, ancora teso prima dell’abbraccio caldo e sicuro del Nara, si rilassa visibilmente dopo poco tempo passato in quella stretta. Salvo poi rivolgersi piuttosto spaventato ed interrogativo a quella scherzosa affermazione del padre, che non voleva essere una vera e propria minaccia. Ma, insomma, il senso dell’umorismo del Dainin è piuttosto difficile da comprendere a chi non lo conosce abbastanza bene. < Ehi, campione… sto scherzando. Non ti farei mai del male. > Precisa, per poi ascoltare di nuovo la sua voce incerta ed affaticata dai lunghi anni di silenzio, osservando la difficoltà con cui il piccolo si esprime, tenendo le mani impegnate a far altro per evitare di esprimersi nel linguaggio dei segni come è solito fare da tutta la vita. Le mani ben più grandi di Azrael andrebbero a coprire quelle piccole e minute di Ken, cercando di tenerle ferme e strette nelle proprie. < Non devi sforzarti. Se parlare inizia a farti male tu usa le mani ancora per un po’. È come un muscolo, con l’allenamento si rafforza, ma se lo sforzo è troppo allora devi metterlo a riposo. > Gli mormorerebbe amorevolmente, prima di ascoltare ed interiorizzare il senso profondo di quel che gli sta dicendo. Lui è un Nara e gli somiglia più di chiunque altro al mondo. Sono pigri, molto legati all’aspetto fisico ed al modo di presentarsi. Hanno gli stessi interessi, le stesse ambizioni, come se fossero cresciuti assieme in tutto quel tempo in cui, invece, sono stati forzatamente lontani. La somiglianza fisica, poi, sarebbe impossibile da non notare. Gli occhi bui ed i capelli scuri, contrastanti con la pelle diafana, li rendono praticamete due gocce d’acqua identiche. E poi c’è la fie intelligenza che li accomuna, che l’ha portato alla conclusione che quel che ha di fronte sia davvero il padre che ha cercato per tutto quel tempo, senza trovarlo mai. L’atteggiamento insicuro, quasi deluso dal fatto di non ricevere risposte immediate al suo dubbio. Gli logora, lacera e strazia il cuore. È davvero arrivato il momento di dirglielo? Davvero è giunta l’ora di metterlo al corrente di tutta la verità? Non ha intenzione di consegnargliene solo una parte, omettendo quelle che potrebbero essere le piccolezze più traumatiche, non sarebbe giusto e rispettoso nei riguardi di un bambino che, non volendo, ha fatto soffrire fin troppo. È per questo che, dopo lunghi attimi di silenzio ed un profondo sospiro, la sua voce bassa e sottile comincerebbe a risuonare nella stanza. < No… > Una prima sillaba, inframezzata da una breve pausa atta a concentrare tutte le proprie energie per affrontare al meglio quel discorso. < …non ti sbagli. Io—sono il tuo papà. > Avrebbe molto altro da dire, da rivelargli, milioni di spiegazioni si alternano nella di lui mente a proposito di cosa ha fatto in quegli anni, invece di stargli accanto, al perché lo ha chiuso in un orfanotrofio, all’identità di sua madre e alla fine che ha fatto. Ma ha intenzione di attendere che sia il piccolo a voler toccare i tasti che più lo incuriosiscono, preferendo mettere in chiaro una ed una sola cosa, la più importante e fondamentale. < E ti voglio bene. Te ne ho sempre voluto e sempre te ne vorrò. Non… non andrò più via, sarò con te finché vorrai. > Il tono di voce è flebile, ma sicuro, deciso e quanto mai sincero in quelle poche semplici parole rivolte al figlio, su cui sosta con le iridi d’onice con fare quasi intimorito dal peso che quel dire avrà su di lui < Piccolo mio… > [ Chakra ON ]

Un annuire lento, incerto quello del piccolo Ken quando sente che stavi solo scherzando. Certo, è naturale. Non avresti mai buttato un bambino giù da una montagna, ma la sola idea di cadere da quel monte alto alto porta Ken a farsi piccino piccino, come a voler scacciare semplicemente quella possibilità. Non si sofferma però più di tanto su tale battuta in quanto ciò che davvero cattura la sua attenzione è quanto accade in seguito. Osserva il modo in cui le tue grandi mani vanno ad avvolgere e stringere le sue, vedendole svanire dentro questi palmi ampi e caldi, dal tocco gentile e rassicurante. Osserva in silenzio quell'intreccio di dita notando come le vostre mani siano così-- bianche. Le osserva fino a quando la tua voce non va a richiamarlo e solo allora rialza il viso per fissarti, andando ad annuire quando viene rassicurato sul suo dover parlare oppure no. < C-ce la fa-faccio. > dice piano, deglutendo ancora un paio di volte. < Bru-brucia s-solo un po'... > aggiunge abbassando il capino per guardare, ancora le vostre mani unite. E allora arrivano i suoi pensieri, le sue congetture, quel ragionamento così lineare e semplice da essere troppo logico per poter essere smentito ulteriormente. Come si può negare, in tutta coscienza, il legame di sangue che vi unisce? E' così-- evidente! Eppure la non conferma da parte tua lo porta a temere, ad aver paura di aver sbagliato, di essersi illuso soffermandosi su prove indiziarie e circostanziali prive di reale fondamento. Lo porta a temere di aver trovato una logica incontestabile solo in virtù delle sue speranze di aver finalmente trovato il proprio papà. E non riesce a guardarti in faccia, non ce la fa. Non finchè, finalmente, non capitoli. Quella resa, quella liberazione, porta Ken a sollevare la testa con l'occhio grande di sorpresa e contentezza, la boccuccia schiusa in una piccola e morbida 'o' contornata da labbra infantili e piene. Un singulto va ad attraversarlo nel sentire quella parola pronunciata dalla tua voce. Papà. Un singulto che lo fa irrigidire per un momento, che arrossa il suo viso e va a piegare le sue labbra in una linea incerta e tremante, una specie di arco che dal basso si rialza a raggiungere il suo punto più alto e quindi ridiscendere, quasi fosse un arcobaleno. L'occhio nero è lucido, il mento tremula e così le sue manine dentro le tue. Non piange, è evidente che stia cercando di trattenersi, di evitarlo, ma altrettanto palese è quanto questo gli riesca difficile. Così difficile che non può riuscirci oltre quando vai decantandogli il tuo affetto, il tuo amore, scoppiando in un pianto silenzioso e composto, con le lacrime che scivolano giù lungo le guance e la boccuccia tenuta stretta per non far scappare via nemmeno un singhiozzo, nemmeno un gemito. Piange sulle tue gambe, tirando su col nasino chiuso andando a ritirare le mani dalla tua stretta per cercare di asciugarsi le guance, gli occhi, anche al di sotto della benda nera. Cerca di essere un ometto, cerca di non piangere, ma l'emozione è forte e lui è solo un bambino disorientato che, forse troppo stanco per gli sforzi fatti, si ritrova a muovere le manine tremanti a formare una sola ed unica parola. "Perchè?" Perchè sei andato via, papà? Perchè mi hai lasciato solo? Perchè sei tornato solo ora? Nel suo sguardo però non v'è accusa né rabbia, non c'è astio o rancore in quella domanda ma solamente la sconfinata e triste innocenza di un bambino che per tutta la vita ha desiderato quello che chiunque desidera alla sua età. Una mamma. Un papà. [Ambient]

17:46 Azrael:
 China il capo ad osservare quell’intreccio tra le loro mani, la loro carnagione così simile, le dita affusolate e le unghie naturalmente curate. Così simili da sembrare quasi gemelli, sebbene dall’età differente. Gli occhi gli pizzicano dall’emozione, ma lo sforzo di trattenere le lacrime fino ad ora ha sortito il suo effetto, rendendogli lo sguardo solo leggermente più lucido ed umido. Aiuto, vorrebbe chiedere aiuto. Vorrebbe nuovamente comunicare con la sua Kaori, ma questa è ua cosa che deve fare da solo. Per entrambi, sia per se stesso che per Ken, che si lascia andare per primo ad un silente pianto di emozione. Non vedere rabbia o rancore nel suo sguardo un po’ tranquillizza Azrael, ma la domanda che il bambino, mimando a gesti ogni singolo fonema, lo colpisce al punto tale da lasciargli sfuggire un breve singhiozzo. E come una diga che lascia fluire libere le acqua dopo essersi incrinata, dai di lui occhi sgorga lo stesso silenzioso pianto che vede riempire gli occhi del figlio. Stille di tristezza gli sfuggono dalle palpebre, imperlando la pelle candida. Non sa esattamente cosa rispondergli, nel momento in cui comprende quel che il bambino gli ha appena chiesto, ma istintivamente le sue braccia si muovono per spostarsi su di lui. La destra sulla spalla e la sinistra dietro la sua testolina, avvicinando la propria in modo che le due fronti combacino, se lui lo avesse permesso senza opporsi. Lo guarderebbe negli occhi, sebbene uno di questi sia ancora coperto dalla benda, specchiando il proprio pianto in quello del figlio. Silente, commosso e troppo travolgente da essere trattenuto. < Mi-- > La voce uscirebbe bassa, sofferente, ma totalmente onesta nel pronunciare le parole senza che vengano filtrate dal gelido raziocinio < Mi dispiace, Ken… > Biascicherebbe, deglutendo a fatica quell’ammasso che gli opprime la laringe a causa delle lacrime. < Sei un bravo ometto, veramente un bravo ometto e io… io ho avuto paura. > Principia quel complesso discorso senza che sia effettivamente chiara la motivazione per cui lo ha abbandonato, per cui si è fatto vedere solo dopo tutti questi anni. < Tanto tempo fa ho avuto dei problemi e non pensavo… non pensavo di poter essere un bravo papà per te. > Non si sentiva responsabile abbastanza, non voleva accostare ad un bambino così piccolo un uomo indegno, schiavo della propria rabbia, un assassino che tra le proprie vittime ha mietuto anche sua madre, la madre di entrambi. < Volevo che tu fossi felice, che stessi bene e io non sentivo di essere la persona adatta a farti stare così. La mamma era una persona cattiva… > Jun. Solo pensare a lei gli scatena un ribrezzo ed un disgusto senza pari, che però riesce a mantenere sopito per il bene della linearità di quel discorso. < Ha fatto delle cose davvero brutte a me e ne avrebbe fatte anche a te, quindi ti ho portato via. È stata la cosa più difficile che abbia mai fatto, è stata la cosa più dura, ma… non potevo essere egoista. Ho deciso di soffrire per cercare di renderti felice e… > Un singulto gli spezza la voce, le palpebre si socchiudono rendendo più copioso il flusso di lacrime < Mi dispiace, figlio mio, mi dispiace tanto… > [ Chakra ON ]

Quella lontananza ha straziato due anime al tempo stesso. La tua, consapevole artefice di tale separazione, conscio di star lasciando in un luogo sicuro e segreto un figlio che non avevi ancora mai neppure sentito ridere e la sua, anima ignara di essere sempre stato nei pensieri del suo papà, dell'uomo che per salvarlo da ogni sofferenza si è privato egli stesso della sua compagnia. Un sacrificio fatto inizialmente per il desiderio di offrire al tuo bambino una vita quanto più normale possibile, magari con due genitori che lo avrebbero amato e trattato come il bambino più importante e speciale del mondo, senza mai ferirlo in alcun modo. Un sacrificio fatto per timore di essere nocivo al tuo stesso pargolo, di non essere capace di crescerlo quando tu stesso sei dovuto crescere da solo. Un sacrificio che ora non sei capace di tollerare, bisognoso di stringere a te il tuo bambino, di crescerlo e proteggerlo con le tue stesse mani e la tua stessa vita. Entrambi piangete d'un pianto silenzioso e disperato che non sa di rabbia o pentimento ma di paura e speranza. Un pianto che chiede scusa, che chiede perchè. Ken deglutisce nel vederti piangere, tira su col naso cercando di non far più tremare le labbra piene e morbide, e lascia che lo avvicini a te ricercando quel semplice contatto fra le vostre fronti. Ti guarda nell'occhio frontale al proprio scoperto e ascolta le tue scuse alzando una manina paffuta per cercare il tuo viso. Cerca di asciugarti le lacrime, di calmarti, o forse semplicemente di avere un contatto più stretto col suo papà. Ascolta le tue parole, non geme, non interrompe né fugge. Semplicemente attende sulle tue gambe fino a quando il racconto non termina e il tuo pianto si fa più dirompente, più sentito. Il bambino ti osserva col respiro corto, le labbra ora schiuse per respirare visto che il suo nasino non riesce più a raccimolare aria. Ancora trema nel sentirti chiamarlo "figlio mio", ancora non gli pare possibile che tu sia qui, con lui. Per davvero. Risucchia aria dalle labbra in silenzio, guardandoti, pensando, andando solo dopo diverso tempo ad asciugarsi il viso con i bordi delle maniche del suo pigiama. Si impone di non piangere, cerca di calmarsi e si sistema meglio sulle tue gambe mettendosi più comodo, andando quindi ad alzare una manina fra i vostri corpi. < Tu-- non vai p-più via... vero? > domanda con la voce ancora più roca, impastata dal pianto e decisamente più nasale e tenera. < Prometti. > aggiunge poco dopo alzando il mignolino della mano precedentemente posta fra loro, tenendo il resto delle dita chiuse a pugno. < Se-- se lo prometti no-non puoi p-più rimangiartelo. Le p-promesse si ma-ma-mantengono > annuisce piano con la sua testolina dalla chioma arruffata, cercando di tirare di nuovo su col naso, l'espressione ed il tono quasi teneramente saccente, come se volesse spiegare al suo papà una cosa importantissima. < Prometti... > ripete allora Ken stringendo le labbra nel chiaro tentativo di non piangere di nuovo. < Prometti papà... > [Ambient]

18:53 Azrael:
 Il pianto di entrambi prosegue silente, le parole si susseguono in maniera lineare, col bambino che pare comprendere quanto al Nara adulto pesino sul suo animo. E va sistemandosi sulle di lui gambe, continuando a fissarlo in maniera quasi autoritaria, chiedendogli qualcosa che gli spezza il cuore in infinte e sottili crepe, rimarginandole poi subito dopo donando al muscolo una nuova linfa vitale che gli consente di continuare a battere. < Non sono mai voluto andar via… sono stato costretto. E quando volevo tornare con te ho avuto dei… problemi, delle cose da Ninja mi hanno messo in pericolo e-- > Ma non è questo il tempo ed il luogo di parlare di quel che gli è accaduto negli ultimi tre anni. Parlargli di Kenbosho e di quel che è successo nella sua psiche. Questo è solo il momento di fare una promessa. *Quella* promessa. < No, campione. Non andrò più via. > E così dicendo andrebbe a fissare la mano chiusa a pugno, il mignolo alzato verso di Azrael. Verso un uomo che le promesse le mantiene sempre. Da tutta la vita. Ripetendo quello che lo ha accomoagnato come un mantra da quando ha vita. < Hai la mia parola, Ken. > Direbbe, sollevando la mano chiusa a pugno ed alzando il mignolo, per intrecciarlo a quello del bambino. Le labbra tremano, ma la voce è ferma e non presenta alcun genere di insicurezza. < Te lo prometto, figliolo. > Ripeterebbe solennemente, sugellando quel patto in un modo apparentemente infantile, ma che in realtà ha un signoficato a dir poco profondo ed indissolubile. < Io mantengo sempre le mie promesse. E dovrai farlo anche tu. > Ed ecco la prima lezione che ha intenzione di dare al proprio bambino, benché sembra che sia lui il primo a volergli insegnare quell’importante dogma della vita. L’onestà, la totale e completa onestà. < E ora—che si fa? Io non so esattamente cosa fare adesso… non sono un granché come padre, sai? > Le labbra, umide di un pianto ormai quasi totalmente cessato, si allargherebbero in un sorriso, snudando i denti con fare candido e, finalmente, tranquillo. Un vero e proprio vulcano di emozioni erutta nell’animo, il cuore sobbalza continuamente nel petto sino a farglielo tremare di puro e semplice affetto, del primordiale amore che ogni padre dovrebbe provare per il proprio figlio. [ Chakra ON ]

Le vostra dita s'intrecciano, la promessa viene fatta e un enorme sorriso va finalmente a stagliarsi sulle labbra del piccolo Ken. Le rassicurazioni del padre lo fanno sentire più sicuro, più confidente e tutta la tristezza provata poco prima nel timore di aver sbagliato la sua analisi vola via sostituita da una grande gioia. Annuisce energicamente al tuo dire, apparentemente concorde con te per quanto riguarda il vostro modo di interpretare una promessa e quindi si ritrova a fissarti inclinando leggermente il capino verso la spalla sinistra quando le tue parole spezzano il silenzio venutosi improvvisamente a creare. Scivola a terra dalla tua presa mettendosi in piedi così da rinfilarsi il mantello e stringersi la maschera forte forte al petto, guardandoti con tono sicuro. < Gocce > dice con voce bassa e rauca con estrema semplicità, come se non ci fosse niente di strano da fare adesso, niente di diverso da quello che fate ogni mattina. < E-e poi.. faccio ve-vedere la m-maschera a Ai. > aggiunge sicuro prima di voltarsi e iniziare ad avviarsi verso le scale stando ben attento a reggersi alla ringhiera con una mano, attento a salire i gradini con cautela onde evitare di inciampare magari una seconda volta. Adesso la tua vita continua come sempre, Azrael. Con gli stessi ritmi, gli stessi impegni, ma con una nuova consapevolezza: Ken è il tuo bambino e adesso anche lui sa che il suo papà non ha mai smesso un istante di volergli bene. [END]

Azrael regala a suo figlio Ken una maschera dipinta a mano da ANBU così da rinsaldare il loro legame.
Il piccolo, euforico, va a giocare ritrovandosi ben presto preda della minaccia di una enorme libreria in caduta libera su di lui.

Preso dalla paura, Ken urla la sua prima parola chiamando Azrael papà....