Alla fine arriva mamma!
Quest
Giocata del 03/04/2018 dalle 10:35 alle 19:34 nella chat "Luogo Sconosciuto"
Ha dovuto attendere il mattino successivo. Dopo aver ricevuto il permesso da Hitomu e dal Consiglio sul procedere del suo progetto, Kaori ha dovuto attendere il terminare della notte prima di potersi alzare e dirigere alle prigioni di Konoha. Non ha chiuso occhio. L'impazienza e l'aspettativa di quel momento le hanno impedito di dormire e l'hanno portata a trascorrere la notte seduta dinnanzi al davanzale della finestra indossando una camicia rubata dall'armadio di Azrael, il suo fazzoletto al naso per inspirarne il profumo rimasto e una tazza di tè caldo. La pioggia contro i vetri ha reso tutto molto suggestivo ma anche piuttosto malinconico. Sebbene una parte di lei fosse felice di essere riuscita a fare concretamente qualcosa di buono, un'altra parte di lei non è riuscita a smettere di chiedersi dove fosse Azrael. Cosa stesse facendo, se avesse già raggiunto Akendo, se stesse bene. Ha provato più volte a mandargli dei messaggi mentali ma non ha mai ricevuto alcuna risposta. Non può sapere se il canale telepatico fra loro è attivo oppure no, ma non ha potuto fare a meno di provare. Alla fine l'alba è sorta e la ragazza si è dedicata un lungo bagno rigenerante. Tornata in camera ha indossato uno yukata nero con una fantasia di ciliegi rosa a risalire il fianco dalla coscia fino al seno e poi giù lungo le maniche ampie e lunghe. L'obi rosso attorno ai fianchi le tiene ben stretta la veste e si richiude sulla schiena in un grande e vistoso fiocco. L'haori bianco raffigurante l'effige del clan Hyuga sulle scapole è sempre presente al di sopra dell'abito e arriva ad ondeggiarle attorno alle caviglie come un mantello svolazzante mentre i lunghi capelli viola sono tenuti lisci e liberi dietro il capo. Il coprifronte di Konoha è annodato dietro la nuca con la placca di metallo con il simbolo della Foglia a protezione della gola e ai piedi son presenti dei sandali scuri che le donano solo pochi centimetri in più d'altezza. A testa alta e petto in fuori Kaori si fa largo per le strade di Konohagakure diretta al carcere del Villaggio. La notte precedente ha stilato i moduli di scarcerazione dei prigionieri che quella mattina sarebbero dovuti giungere a destinazione specificando che si sarebbe occupata lei personalmente della detenuta Kazama. Il pensiero le toglie il respiro le fa salire il cuore in gola. Avrebbe incontrato la madre di Azrael, l'avrebbe liberata e non sa neppure se la donna avrebbe mai più rivisto suo figlio. Il pensiero le fa salire un conato di nausea che ricaccia prontamente giù allontanando tale possibilità dalla propria mente. Sarebbe tornato. Gliel'ha promesso. Arriva dunque in carcere e tenterebbe di fermare il primo agente che dovesse trovarsi dinnanzi schiarendosi la voce. < Buongiorno. Sono venuta ad informare la signora Kazama della sua scarcerazione. I documenti dovrebbero essere arrivati questa mattina. > mormorerebbe con tono di voce fermo ma non troppo alto, senza mai distogliere lo sguardo da quello dell'eventuale agente al quale dovrebbe starsi rivolgendo. [ Chakra: on ]La prigione si presenta come un posto angusto. Molto largo, l'architettura esterna si presenta come un grosso cubo in pesante muratura, poche finestre, tutte sbarrate e nessuna presente ad un'altezza tale da permettere a qualcuno di sopravvivere in una ipotetica caduta. Il cortile è vuoto, il terreno circostate quasi sterile, la poca erbetta presente non rasenta il centimetro di altezza. Nessun detenuto presente sull'esterno della struttura, circondata su tutto il perimetro del cortine da una rete alta e a maglie strette, coronata da uno spesso strato di filo spinato. L'entrata non è altro che una porta metallica, blindata. Un luogo freddo, privo di vita, ove albergano alcuni tra i più pericolosi criminali civili del Villaggio della Foglia. Ma non solo. V'è molto più di questo. Si tratta del motivo per cui Kaori è qui, in questo giorno così significativo e malinconico al tempo stesso. Il cielo par quasi più grigio in quella zona, la viva natura che tappezza Konoha in ogni luogo di intrattenimento sembra quasi morta, a simboleggiare la vita priva di libertà dei detenuti rinchiusi nelle celle di quella lugubre struttura. Vite che sono sospese in un limbo eterno. Non terminate, ma senza possibilità di sbocchi, di libertà. Questa è l'aria che si respira nelle prigioni. E la Consiglierà potrà sentirlo bene sin da subito, appena messo piede in quello scenario il cui unico sottofondo sonoro sono urla di dolore, datica, rabbia e varie volgarità. L'agente che sta cercando, il primo a vista, è quello a guardia della porta d'ingresso e d'uscita. E' un uomo che, dai tratti facciali, s'avvicina alla cinquantina. La corporatura è imponente, fasciata da una divisa tipica dei poliziotti della zona. I capelli neri sono disordinati, corti ed ispidi. Un manganello ed altre armi del mestiere, tra quelle da taglio e quelle da botta, gli decorano la vita, tutte attaccate saldamente alla cinta di cuoio. Gli occhi castani si puntano immediatamente sulla figura della Consigliera, ed un sorriso assimilabile quasi ad un misto tra sdegno e divertimento si fa strada sulle sue labbra, mostrando una dentatura non molto curata. < Buongiorno a lei, signora Consigliera. Benvenuta i un luogo dove le ragazzine non dovrebbero nemmeno essere. > Il tono è aspro, quasi acido in quel suo dire che rasenta di poco la presa in giro. < Sappiamo il motivo per cui è qui, i suoi documenti ci hanno tenuti impegnati per giorni. Come se avessimo tempo da perdere nel decidere quale feccia sia meno feccia delle altre, qui dentro. > Prosegue sarcastico, ponendo particolare accento su quella parola: "feccia". A quanto pare è così che, almeno quell'uomo, considera le persone che hanno per casa quella fredda prigione. Un atteggiamento particolarmente contrastante con quello della Special Jonin, così propensa al perdono ed alla redenzione. < Sì, quello della detenuta 709 è arrivato stamattina, gliel'abbiamo impacchettata e preparata per l'uscita, ma quasi non sembrava essere d'accordo. Per fortuna- abbiamo i nostri metodi per convincere questi sacchi di merda che i nostri ordini devono essere rispettati. > Termina, aprendo la grossa porta dinanzi a sé e alla Hyuga, rivelando un grande corridoio bianco, asettico, illuminato da tubi al neon che corrono lungo le pareti. Celle sono disposte sulla destra e sulla sinistra, disponendosi in blocchi che vanno di cinquanta in cinquanta ad ogni piano, il cui distacco è rappresentato dalle scale con cui termina ogni corridoio. < Preferisce che venga con lei o si sente coraggiosa? > Chiosa infine la guardia, sprezzante ed arrogante come poche persone al mondo, concludendo poi il proprio dire con una sonora e squillante risata. [ ambient ]
Il poliziotto ha un sorriso assai poco rassicurante sul volto e incontra immediatamente l'antipatia della Hyuga che, tuttavia, nel pieno rispetto del proprio ruolo tenta di dissimulare con impegno qualsiasi tipo di fastidio dietro la solita espressione tranquilla e pacata. Ha cose più importanti a cui pensare al momento che non siano un poliziotto poco fiducioso nelle capacità di una ragazza. Almeno, nella sua mente, quella è l'unica spiegazione possibile a quel sorrisetto sdegnoso e sfacciato. L'uomo la saluta con pungente sarcasmo portando la giovane ad inarcare semplicemente un sopracciglio e guardarlo con espressione di distaccata indifferenza. < Buongiorno a lei signor... uhm- > si ferma assottigliando di poco lo sguardo nel fissare l'uomo con impegno per pochi secondi con fare riflessivo. < -scusi, non ho idea di chi lei sia. > commenta con un sorrisetto apparentemente cordiale e gentile sulle labbra ma che vuole invero nascondere la ben poca cortesia delle proprie parole. Non replica al modo in cui l'altro l'ha apostrofata cercando di dimostrarsi ben superiore alla pochezza di spirito dimostrata da lui e si limita ad ascoltare quanto le viene detto di seguito. Il fastidio le sale improvviso in petto, le labbra vengono serrate mentre lo sguardo s'indurisce nel posarsi sul volto dell'uomo che, sarcastico, va commentando il lavoro da lei svolto, il tipo di inquilini di quella fredda struttura. < Cerchi di darsi un contegno se ne è capace. Non ho tempo da perdere con i suoi inappropriati pareri personali. Se proprio ci tiene a continuare a lavorare qui è pregato di farlo in silenzio. > Assottiglia lo sguardo, Kaori, quasi a voler trapassare il capo altrui da parte a parte con quel suo fissarlo trucemente. Tiene i denti stretti, le mani rigide lungo i fianchi mentre andrebbe a vedere l'altro aprire la grande porta di metallo continuando a chiosare con quel suo tono volgare e rozzo, piuttosto gretto. Il solo pensiero che quel miserabile essere possa aver fatto qualcosa alla donna che sta andando a liberare le fa salire il sangue alla testa. E' un istante prima che la Hyuga, con un movimento quanto più rapido possibile, vada ad afferrare l'uomo per il colletto della divisa tentando di sollevarlo verso l'alto con tutta la sua forza, forte del potere del chakra che scorre dentro di lei, i pensieri offuscati dall'istinto e dal desiderio di giustizia che per troppo tempo ha tenuto separata una madre dal suo bambino. < Ascoltami bene, *coso*. Adesso tu mi indichi come arrivare dalla signora Kazama e poi la smetti di parlare a meno che non ti venga espressamente richiesto di rispondere ad una domanda. Mi hai sentito bene? > domanderebbe assottigliando lo sguardo, l'espressione mai stata così truce e determinata come in questo momento nel minacciare qualcuno di prestarle attenzione. < E se trovo anche solo un livido addosso a quella povera donna appena arrivo nella sua cella, sappi che non esiterò un istante a scoprire chi l'ha toccata e gliene farò pentire. > Con una smorfia disgustata delle labbra, Kaori andrebbe a rilasciare la presa sul colletto dell'agente in una sorta di lieve spintone se fosse primariamente riuscita nel suo tentativo di afferrarlo. Quindi, attese le indicazioni richieste, andrebbe ad inoltrarsi per i bianchi corridoi freddi del penitenziario diretta a testa alta -e con una certa fretta- verso la cella indicatale con il desiderio opprimente di assicurarsi delle condizioni della donna dopo l'infausto messaggio udito da parte della guardia. [ Chakra: on ]L'uomo permane fermo nella propria posizione, sprezzante nel guardarla e nel ricevere quelle sue prime risposte < Tsk > Sibila tra le labbra schiuse ed i denti digrignati, quasi sputacchiando fuori dalla bocca il proprio sdegno < Non mi sorprendo. Voi femminucce aristocratiche, coi vostri kimono ben puliti, il posticino sicuro dietro la scrivania dell'Hokage non avete capito nulla e non v'importa di chi è qui, come me, a sporcarsi le mani con questi ammassi di carne putrida. > Risponde laddove sarebbe bastato anche solo presentarsi, esponendo - ancra una volta - i propri pareri personali, piuttosto piccati e rabbiosi nei confronti di una donna che nemmeno conosce, che ha giudicato solo dal sesso e dal ruolo che occupa all'interno della Foglia. E continua nel suo orrendo ridacchiare, finché Kaori non prende il toro per le corna e-- la guardia per il colletto. L'omone si abbassa, la schiena si inarca quasi innaturalmente per via della forza esercitata dalla giovane. Per quanto l'agente sia fisicamente più prestante non si tratta d'altro che di un uomo normale, che nulla può contro la forza della kunoichi del clan Hyuga. Gli occhi si sgranano di sgomento ed una gocciolina di sudore freddo gli percorre dalla fronte fino allo zigomo destro, per poi ricadere dal mento sul terreno. Boccheggia a vuoto un paio di volte, ascoltando quanto lei ha da dire e non ribattendo, come se avesse perso tutta la spavalderia che lo ha contraddistinto sino a quel momento. La fronte aggrottata, le estremità fattesi più fredde, la leggera pelle d'ora che gli increspa tutto il corpo indicano una sola ed unica cosa: è fortemente preoccupato e spaventato da quanto la "ragazzina" gli ha appena detto o, semplicemente, dalla forza - sia fisica che d'animo - che la stessa ha appena mostrato. Quando lei lascia andare la presa, l'uomo si ritrae, indietreggiando di un passo. Con un udito abbastanza fino si può addirittura intendere l'appesantirsi del suo respiro i risposta alla forte paura appena provata. < S-si trova nel blocco Q, all'ottavo piano... c'è un secondino oltre ogni scala, chieda a quello che le serve per farsi condurre alla cella. Non l'abbiamo fatta scendere perché non è propensa ad uscire, come le ho detto e per quanto mangi solo perché costretta dai morsi della fame è molto tenace e resistente... > Pronuncia quasi tutto d'un fiato, senza accennare un passo a seguire la Hyuga, nel suo avanzare per i corridoi. Questi ultimi paiono più cunicoli, che veri e propri corridoi. Il soffitto è basso, basta a stento per farci passare una persona d'altezza media in piedi. Circa un metro e ottanta, persino la Hyuga potrebbe trovarli leggermente claustrofobici. Lo spazio vuoto che intercorre tra le celle di destra e quelle di sinistra è studiato per farci passare non più di due persone in fila, restando a distanza di un braccio dalle celle. Il motivo è molto semplice e la giovane potrà capirlo immediatamente. Come si accinge ad attraversare quel tunnel di desolazione e criminalità, gli inquilini delle celle si alzano di scatto, accorrendo alle sbarre per lasciar passare i rinsecchiti arti superiori attraverso le sbarre, come a volerne afferrare vestiti e capelli. Molti di loro hanno gli occhi quasi spiritati, qualcuno le rivolge qualche parola incomprensibile, altri - purtroppo - ben più udibile alle di lei orecchie. < Sento il tuo odore. mi piace il tuo odore! > Gracchia uno di loro, che quasi sta abbracciando le sbarre per sentirsi più vicino alla donna che sta passando. < Ehi, bocconcino. E' l'ora della visita coniugale? > Le rferisce un altro detenuto, grosso e pelato. Sembra quasi unto tale è la sua poca igiene personale, intento ad intagliare con le unghie dei pezzi di legno in forme vagamente umane. < Chissà come sei fatta dentro... > Mormora un altro uomo ancora, quasi sognante, nell'atto di passare la lingua sulle sbarre arrugginite della propria cella, allungando le braccia a cercare il corpo di Kaori. E così via, quasi ogni detenuto dedica la propria attenzione alla giovane donna che sta donando loro la propria presenza. Una bella atmosfera, davvero. i secondini di ogni piano non dicono nulla, qualcuno ridacchia della situazione, altri si limitano ad osservare con la mano sul manganello in caso qualcuna delle mani dovesse avvicinarsi troppo alla Consigliera. La strada è lunga, fino all'ottavo piano, ma presto sarà raggiunta, se Kaori avrà il fegato di proseguire quell'infausto cammino in quel lugubre luogo, per poi trovare, alla fine un cartello la cui scritta in giallo su nero riporta "Blocco Q: celle 700-750" ed un'ennesima guardia che sosta sullo stipite dell'inizio del corridoio, col cappello abbassato sul volto ed un leggero ronfare proveniente dal suo viso coperto. [ ambient ]
Una risatina quasi di incredulo scherno fuoriesce dalle rosee della Hyuga quando il poliziotto va lamentandosi delle condizioni di chi, in quella struttura, ci lavora ogni giorno. Certo: sicuramente dev'essere deprimente vivere giorno dopo giorno in un posto così grigio e freddo, ma sicuramente non è la condizione di vita peggiore possibile da dover sopportare. Sicuramente fra tutti coloro i quali che vivono in quel luogo, le guardie sono quelle che soffrono di meno. < Aspetta. Fammi capire bene. *Io* dovrei avere compassione di *te* che, tutto armato e al sicuro in corridoio, devi solo assicurarti che questi uomini *in cella* > sottolinea quelle ultime parole per evidenziare l'ilarità della situazione. < non facciano casini quando queste stesse celle sono piene perchè *noi* le riempiamo? > chiede il tutto con un tono vagamente pungente, sillabando piano e con rimarcate enfasi assottigliando lo sguardo all'indirizzo dell'uomo. < Capisco. > annuisce, alla fine, con accondiscendenza cercando di rimanere comunque quanto più calma è possibile. Nonostante desideri rimarcare la sua posizione e ottenere il rispetto che merita, non può neppure concedersi di sfogarsi con un civile vista la differenza di forza tra loro. Tuttavia il suo tentativo di rimanere pacata viene mandato a monte quando il timore che Kaime possa esser stata toccata le arriva al cervello. La mano scatta prima che possa rendersene conto e si ritrova a sollevare per il colletto la guardia che, improvvisamente, pare rendersi conto del perchè quella "ragazzina" lavori ai diretti comandi dell'Hokage. Kaori è perentoria, glaciale in quello snocciolare ordini e si ritrova a respirare profondamente quando lascia la presa sul civile che, indietreggiando appena, opta saggiamente per non contrariare ancora la Consigliera. Kaori l'ascolta e annuisce ad intervalli irregolari man mano che riceve informazioni utili alla sua ricerca. A quanto pare Kaime sembra ancora tentare di punirsi per quanto ha fatto anni addietro e la cosa porta la Hyuga a sentirsi sempre più di fretta. < Grazie. > termina, infine, freddamente, alla volta dell'uomo per poi dirigersi verso i piani superiori alla ricerca dell'ottavo. Il posto sembra per certi aspetti quasi ospedaliero. Mura bianche, luci abbaglianti, pavimenti grigi, stanze che si affacciano sui corridoi. Qui, però, tutto è più freddo e piccolo: fra un lato e l'altro del corridoio non c'è poi molto spazio e il soffitto è abbastanza basso. I corridoi sono lunghi e le celle si susseguono in un infinito affacciarsi di volti più o meno incoraggianti, braccia che si tendono verso di lei nel tentativo di toccarla, di stringerla. Kaori continua ad avanzare a testa alta cercando di volgere lo sguardo qua e là fra i detenuti per notare le condizioni di vita alle quali si adattano ogni giorno. Sente i loro commenti, le loro parole e si limita ad ignorarli avvertendo un brivido gelido risalirle la schiena. La maggior parte di quelli sono assassini, ladri, violenti, stupratori, folli... qualcuno può anche essere lì per reati minori ma, la maggior parte, è lì perchè non è sicuro per il Villaggio che loro siano in libertà. E' tutto così-- sinistro. Lo stomaco le si contorce, la bocca si secca e i passi la conducono sempre oltre verso il piano successivo fino a quando, spinta dal solo desiderio di tirare fuori da lì quella povera donna, Kaori non raggiunge l'ottavo piano. Tirando un sospiro di sollievo la Hyuga si ritroverebbe a lanciare uno sguardo alla guardia della quale ha bisogno per poter raggiungere l'altra nella sua cella. Inspirando a fondo andrebbe a picchiettare con l'indice destro il bicipite dell'uomo addormentato, ricercando la sua attenzione. < Avrei bisogno di parlare con la signora Kazama, cella 709. > dice lei con voce ferma, sicura, incapace di riferirsi a lei come "prigioniera" o "detenuta". Per quanto le riguarda, lei è semplicemente la signora Kazama. [ Chakra: on ]Il cammino della Hyuga procede in maniera spedita, accompagnata da un commento volgare, qualche velata - neanche troppo - minaccia di morte e vari sguardi che oscillano tra l'ammirato e lo psicopatico. Non v'è gente molto affabile, in quel luogo. Ma, arrivata all'ottavo piano, al blocco Q, Kaori potrà sentire solo un denso e statico silenzio. Solo i suoi passi a riecheggiare all'interno del corridoio. Avvicinandosi di più alla sagoma della guardia posta all'entrata potrà notare una figura più longilinea, più esile. Nel tamburellare sul suo bicipite non incontrerà la consistenza tipica di un fisico maschile e la conferma sarà anche data dalla voce che, femminile ed acuta, esce dalle labbra del secondino adibito a quel blocco di celle. < Oh! Che-- > Si smuove, scossa da un brivido di sorpresa, il copricapo ricade a terra, rivelando uno chignon biondo, due grandi occhi azzurri ed una smorfia di stupore dipinda sul candido volto. < Chi- > Viaggia con le iridi sulla figura della Special Jonin, quella donna che fa di guardia al settore Q, mettendosi immediatamente sul'attenti nell'atto stesso di riconoscerla. Piedi uniti, schiena ben dritta, forme praticamente inesistenti al di sotto della divisa, tanto da far trasparire solo dai tratti facciali che si tratta d'una donna nemmeno troppo più anziana della Consigliera. < Signora Kaori. Buongiorno. Sono Hachi e-- > Avvampa in viso, visibilmente imbarazzata per essere stata colta nell'atto di dormire sul posto di lavoro. Si guarda attorno, andando a sbattere le folte ciglia un paio di volte, prima di rendersi conto della richiesta della Hyuga nei suoi confronti < Certo, la detenuta 709. Mi segua. > E s'avvia a passo svelto all'interno di quell'ennesimo corridoio. Identico agli altri, ma profondamente diverso al tempo stesso. Non vi sono sbarre a delimitare le celle, ma trasparenti lastre di un materiale simile al vetro, ma decisamente più spesso e resistente. Un cassettino per cibo, bevande ed oggetti a mezza altezza di ognuna delle piccole stanze e diversi buchi atti a far traspirare la giusta quantità d'aria. La fondamentale differenza, però, risiede nelle persone che sono rinchiuse là dentro. Donne, tutte, dalla prima all'ultima. Dai tratti a volte gentili, a volte più bruschi, che non s'avvedono minimamente della nuova presenza all'interno del loro luogo sicuro. Pochi passi dividono la Consigliera e la guardia dalla cella segnata coome "709". Prima di giungervi di fronte, però, Hachi si accinge a spiegare all'ospite qualche piccola nota di colore riguardo la donna che stanno andando a liberare. < E' da quando è arrivato il certificato di rilascio che non la lasciano stare. Sembra non voler uscire e quel mostro di Ichi ha usato la cosa come scusa per sfogare la sua rozza violenza su di lei. Sono riusciti a vestirla, ma non ha voluto né mangiare né bere per tutto il giorno e non ha spiccicato nemmeno una parola. Spero che lei sarà più fortunata. > Termina il proprio breve discorso dinanzi la lastra di vetro che accoglie una figura femminile piuttosto avanti con l'età. Una cinquantina, per quel che se ne può stimare solo ad una prima occhiata. E' seduta su una brandina malmessa, che pare non essere per nulla confortevole, sulle pareti della cella sono appesi vari disegni di paesaggi, fiori, animali. Lei porta lunghi capelli neri che le scivolano in due fugaci ciocche ai lati del viso, superando l'altezza delle spalle sino ad arrivare al seno pieno, il restante crine è tenuto in una morbida coda tenuta insieme da un nastro di raso bianco che le ricopre tutta la schiena, quasi a raggiungere le cosce. Porta un paio di occhialini sulla punta del naso, tondi e dalla montatura sottile, a coprire a malapena le iridi rosso pallido. La pelle è lattea, diafana in tutta la sua estensione, meno che per un punto. Lo zigomo destro è di una intensa sfumatura violacea, che le deturpa lo spazio dalla guancia fin sotto l'occhio corrispondente. Anche il piede destro sembra offeso, si nota l'assenza di calzature e la benda improvvisata che le stringe sino alla caviglia. L'abito che indossa è un semplice kimono rosso scuro, dei rami di ciliegio neri le corrono lungo il fianco, sfumando in un rosa più tenue in corrispondenza dei petali. < Ci sono visite, signora Kazama. > La richiama la guardia, ma la donna non solleva lo sguardo da quello che sta facendo. Se ne sta a capo chino su un foglio bianco, un carboncino stretto nella mancina nell'atto di tracciare varie linee dalla forma imprecisata. Nel notare la non reazione della prigioniera, la povera Hachi rivolge uno sguardo colpevole nei riguardi della Consigliera e torna al proprio posto di lavoro, lasciando le due - finalmente - sole. [ ambient ]
Al sentire la consistenza del braccio sotto le dita Kaori si ritrova ad inarcare le sopracciglia con sorpresa. Il cappello della guardia cade ed una donna dai morbidi capelli biondi fa la sua apparizione svegliatasi bruscamente dall'insistenza della Hyuga. Kaori osserva la ragazza e si ritrova quanto meno sollevata dalla educazione e dal rispetto dimostrato dalla poliziotta. La special jonin annuisce con un sorriso quanto mai cordiale e quindi segue la sua guida lungo quel corridoio così tanto diverso dai precedenti appena percorsi. Questo qui è silenzioso e dalle celle non vi sono braccia a dimenarsi e allungarsi verso di lei, né minacce o insulti rivolti alla sua persona. Tutto ciò che la circonda sono lastre di vetro spesso e donne sole, silenziose, rinchiuse come cavie di laboratorio nelle loro piccole celle bianche. C'è qualcosa di spettrale e ancor più freddo in questo settore e la Hyuga si ritrova a ricercare lo sguardo della guardia dinnanzi a sé. < Come mai queste celle non hanno le sbarre? > domanda come se si sentisse in dovere di spezzare quell'assordante silenzio troppo denso, deglutendo a vuoto. Il cuore le batte sempre più forte in petto man mano che si avvicina alla sua meta e quasi non le pare vero di essere così prossima al suo scopo. Lungo il tragitto verso la cella, comunque, la secondina va spiegando qualcosa a Kaori che, raggelandosi, impallidisce per un istante stringendo nuovamente le labbra ed i pugni lungo i fianchi, fissando la bionda con espressione indecifrabile a metà strada fra l'urgente e il professionale. < Ichi? Chi è Ichi? > domanda assottigliando lo sguardo, le lunghe ciglia nere a contornare le palpebre appena calate, mentre i loro passi le portano infine dinnanzi la cella in questione. Kaori trattiene involontariamente il respiro nel portare lo sguardo sulla figura della donna presente. E' ancora molto bella nonostante gli anni passati in cella e forse un po' più magra della donna la cui foto ha osservato per giorni durante le ricerche per portare la proposta di scarcerazione in Consiglio. I capelli sono neri e lunghi come nell'immagine, e la pelle bianca come il latte. Tuttavia non sfuggono al suo esame nè il livido sul volto, nè la fasciatura attorno alla sua caviglia che le fanno accelerare il battito cardiaco nel petto. La donna sembra non averle neppure notate troppo impegnata a continuare un disegno, uno come quelli che tappezzano le pareti dell'angusta camera che la ospita. Kaori rimane silente ad osservare quella figura per la quale prova un profondo senso di gratitudine e colpa e lascia che sia la secondina a richiamare la sua attenzione. La donna, tuttavia, non accenna neppure ad alzare lo sguardo e la guardia si ritrova a guardare Kaori quasi con mortificazione prima di voltarsi e tornare al proprio posto di guardia. Da ora, Kaori è sola. Rimane silente dinnanzi la parete trasparente della cella e andrebbe a muovere un solo passo verso di questa così da cercare di poter osservare più da vicino la donna all'interno, inspirando. Si chiede quanto sia cambiata in tutti quegli anni. Quanto abbia perduto durante il periodo di detenzione oltre alla libertà. C'è ancora umanità in quel corpo o si tratta di un mero guscio vuoto dal quale hanno già strappato ogni speranza e fede? Il suo kimono rosso copre la reale consistenza delle sue carni ma Kaori sospetta sia ben più magra di quanto non dovrebbe. Non può fare a meno di osservare la trama floreale che ripercorre il suo abito e ripensare agli stessi rami di ciliegio neri che decorano le pareti della casa di Azrael. Stringe le labbra, inspira e quindi le smuove per liberare poche parole. < Anche Azrael disegna, lo sa? > Okay. Sì. Forse avrebbe potuto optare per una presentazione meno esplosiva del spararle così all'improvviso il nome del figlio addosso, ma... ha bisogno di richiamare la sua attenzione, no? < Molto bene, direi. Lo fa come mestiere quando non combatte il crimine per il Villaggio. E' un tatuatore. Non so se glielo ha detto, mi pare che siano anni che non riesce a venire a trovarla. > E adesso qualcuno potrebbe anche dirle che una mamma sa sempre qualcosa del genere sul proprio bambino, ma Kaori non lo sa, non ne è sicura. La donna ha dovuto abbandonarlo che lui era molto piccolo e negli anni passati in cella dubita che abbia mai avuto modo di vedere Azrael disegnare, né che lui sia venuto fin lì per dirle che bei disegni avesse fatto a casa quel giorno. Insomma, spera di poterle aver riferito qualcosa di nuovo sul figlio, qualcosa che possa attirare la sua attenzione, che possa portarla quanto meno ad ascoltarla con maggiore attenzione di quella dedicata alla secondina. < Mi chiamo Kaori Hyuga, signora Kazama. Vorrei parlare con lei, se non le dispiace. > aggiunge, alla fine, tentando di mostrare una espressione quanto più tranquilla e pacata possibile, uno sguardo che sia sereno e rilassato così da tentare di trasmettere all'altra la medesima sensazione. [ Chakra: on ]La secondina balbetta qualcosa, qualche insulto sporadico a questo fantomatico "Ichi" < E' quel rozzo cafone che sta a guardia del primo piano e dell'entrata. > Chiosa, come disgustata da quanto sta dicendo, evidentemente in disaccordo con la figura di cui sta parlando, che Kaori ha incontrato solo poco prima. Poi si esclissa, lasciando in qualhe interminabile attimo di silenzio tra la Consigliera e la prigioniera. La donna prosegue col proprio disegno, senza alzare minimamente la testa ed incrociare lo sguardo della Hyuga. Ma quel primo dire, quel nome che lega entrambe, le fa alzare di scatto la testa, puntando le rubine a fissare il viso di Kaori, quasi perforando la lastra di vetro che le separa. L'espressione gelida, imperturbabile, ma un fuoco negli occhi che tutt'altro esprime fuorché indifferenza. Arrotola lentamente il foglio nella propria mano, tenendo il carboncino nella destra ed il disegno nella mancina. Si alza, a fatica, Kaori quasi potrà percepire lo scricchiolio delle ossa della caviglia smuoversi disordinatamente al di sotto delle bende e delle carni della donna. Ora che è in piedi si può notare quanto il kimono sia troppo largo per lei, al punto di scivolare sulla spalla sinistra della donna, lasciandola scoperta. La clavicola a far capolino a causa dell'innaturale magrezza che esibisce dopo anni di prigionia e di forzati stenti. Sul letto, dietro di lei, vi sono due vassoi che recano - intatte - il pranzo e la colazione della stessa giornata che sta ancora trascorrendo. Avanza qualche zoppicante passo, non una singola smorfia di dolore a deturparle il volto, la macchia violacea e livida a campeggiare come unico screzio su quella diafana cute. Si porta sino al limitare della parete di vetro, senza mai lasciare lo sguardo dal volto della Hyuga che arriva a presentarsi, a parlare dell'uomo che entrambe amano, sebbene per motivi diversi. < Non lo vedo da dieci anni. Non ho sue notizie da tre. Nessuna notizia. > La voce è flebile, sottile, molto più sottile dello spesso vetro che la tiene imprigionata lì dentro. < Sono la detenuta 709. Nessuno mi chiama per nome da fin troppo tempo, Kaori. > Pronuncia il nome della Hyuga con una dolcezza che solo una madre potrebbe esternare, per un istante le potrà persino parere di star incurvando le labbra in un tenue sorriso. < So di mio figlio, non ho fatto altro che informarmi su cosa stesse facendo in tutto il periodo della mia detenzione, finché non ci sono state più notizie di lui. > Solo affermazioni, nessuna domanda viene posta alla Hyuga, almeno finché Kaime non si trova ad essere mossa dalla viscerale curiosità di voler sapere cosa ne è stato del suo bambino, da una persona che - pare - ne sa qualcosa più di lei. China leggermente il capo sulla sinistra, le labbra leggermente schuse in un'espressione incuriosita che a Kaori potrà sembrare estremamente-- familiare. < E' morto? > Domanda infine, il tono di voce rotto da una profonda ed astratta crepa di malinconia e tristezza.
La reazione della donna al sentire il nome di questo Ichi porta Kaori ad aggrottare le sopracciglia fino a quando non si ritrova a scoprire la vera identità di questa figura. Le labbra le si schiudono e il cuore si contrae. Lui. Ancora lui. Stringe gli occhi ritrovandosi a notare come anche la stessa agente sembri essere piuttosto contrariata dai modi e dalla presenza stessa di quell'essere. < Oh. Lui. > chiosa Kaori con voce di miele, la minaccia perfettamente udibile sotto le parole. < Gli ho fatto una promessa prima di salire qui. Spero per lui di non doverla mantenere. > quasi ringhia, a mezza voce, prima che la donna la lasci sola dinnanzi alla cella a seguito del beato ignorarle da parte di Kaime. Le due rimangono sole e Kaori si ritrova a sfruttare immediatamente la carta che maggiormente sa potrebbe aver presa sulla donna. Azrael. Qualunque madre vorrebbe sapere qualcosa del proprio bambino non potendo avere informazioni da sé e perciò la Hyuga tenta di sfruttare il nome del Nara per richiamare la di lei attenzione. Un po' si sente meschina a farlo, ma d'altro canto non è che stia cercando in alcun modo di farle del male, insomma: tutto l'opposto. Il suo piano funziona e immediatamente Kaime alza lo sguardo su di lei alzandosi in piedi. Smette di disegnare e lentamente s'avvicina alla parete di vetro lasciando che sia solo quella spessa lastra a separarle. Kaori osserva le iridi rosse della donna, quel livido che deturpa la bellezza rimasta quasi intatta nel tempo nonostante il viso smagrito, le ossa evidenti sotto la pelle sottile, l'abito largo a scivolarle di dosso. Kaori si sente stringere lo stomaco a quella vista ma cerca di dissimulare ogni sensazione dietro una apparente, serafica calma. La donna parla, la sua voce giunge debole, piccola oltre lo spesso strato di materia che le divide ma per fortuna i sensi sviluppati della Hyuga dovrebbero comunque permetterle di capire perfettamente il suo dire. < E' questo il punto. > abbozza una specie di sorriso, Kaori, toccata dal tono materno che l'altra ha utilizzato nel chiamarla per nome. < Non siete più la prigioniera 709. > Si ferma lasciando piombare quelle parole nel silenzio di quel corridoio per alcuni istanti prima di inspirare a fondo e tenere fermo lo sguardo in quello della donna. < Sono venuta a parlarvi di questo. Mi hanno detto che avete cercato di ribellarvi quando hanno tentato di tirarvi fuori da qui. Vi va di dirmi perchè? > domanda la Hyuga con tono calmo, lento, osservando la donna con pacatezza. < A giudicare da come vi hanno trattata dubito vi abbiano persino spiegato cosa stia succedendo. Mi dispiace. > sincera, triste, abbassa lo sguardo sulle condizioni della sua caviglia, su quella fasciatura che anche da quella distanza può considerare blanda e insufficiente. < Sono stati riesaminati dei casi, recentemente. Casi come il suo, dove qualcuno è stato ucciso per salvare qualcun altro. Ci siamo ritrovati a constatare che la pena inflitta è stata troppo dura considerando le motivazioni dietro i crimini commessi e abbiamo deciso di intervenire. > si ferma espirando piano, umettandosi le labbra. < Voi avete ucciso un uomo. Avete ucciso un uomo che più di una volta è stato notato dalle autorità per comportamenti al limite del legale. Avete ucciso un uomo che era un pericolo. Avete ucciso un uomo che vi ha fatto del male. Spesso. Avete salvato una vita. Un bambino. > La sua voce si disperde, lo sguardo le si ammorbidisce mentre avverte un fremito nel respiro. < Vostro figlio era piccolo, indifeso e innocente. Sarebbe morto se voi non lo aveste difeso perchè noi non lo abbiamo potuto proteggere. Avete dovuto farvi giustizia da sola perchè noi non vi abbiamo protetto nonostante i segnali di pericolo già notati in passato. Mi dispiace. > Kaori fa un passo indietro, porta le mani a distendersi lungo le ginocchia e s'inchina dinnanzi a lei. Flette il busto il più possibile in segno di mortificazione, col capo basso e i lunghi capelli viola a scivolare ai lati del volto coprendolo alla vista. Rimane così per una manciata di secondi prima di rialzarsi e cercare con lo sguardo la donna. < Avete perso la libertà. La serenità. Il vostro bambino. La vostra vita è stata rovinata perchè nel condannarvi non è stata posta la giusta attenzione alle vostre gesta e per questo non potremo mai fare ammenda. Ma se non possiamo restituirvi il passato almeno,- > la voce le si fa più accorata, più decisa, mentre deglutirebbe a fatica un groppo amaro. < -per favore > sottolineerebbe con supplica < permetteteci di darvi un futuro migliore. Non potremo restituirle molto, ma... una casa. Suo figlio. La luce del sole... > Kaori si ferma, boccheggiando, prima di fermarsi e lasciare modo alla donna di dire la sua, di pensare alle proprie parole. Lascia che sia lei a dire qualcosa, a decidere cosa fare e quindi ascolterebbe quel successivo dire ritrovandosi a sorriderle con tenerezza al pensiero di quella donna che, nonostante tutto, non ha mai smesso d'essere una madre. < Suo figlio è-- molte cose. > mormora la Hyuga avvicinandosi di nuovo al vetro, l'espressione addolcita e ammorbidita al solo pensiero di lui. < Azrael è... forte. Una delle persone più forti che conosca. Ha imparato a convivere coi Demoni che la vita gli ha messo accanto e ne ha fatto una forza. Azrael è vanitoso. Gira sempre per casa a petto nudo perchè sa che è un bel ragazzo anche se dice che è per comodità. Bugia, mente. > sorride accennando una piccola risata al pensiero del Nara e di come sia solito girare con solo un paio di pantaloni da tuta per le stanze della sua abitazione. < Azrael è elegante. Credo abbia preso da lei. Avete lo stesso modo di piegare la testa e lo stesso passo aggraziato, ora che ci penso. > aggiunge riflettendo, pensando, portando una mano al mento. < Oh, mangia di tutto. Davvero, non ho ancora trovato qualcosa che non gli piaccia mangiare e sembra che se la cavi a cucinare anche se generalmente preferisce andare da Ichiraku a ordinare del ramen caldo. > .. < E' ordinato. Casa sua è una specie di tempio, è tutto pulito e sempre a posto, credo che potrebbe essere un disturbo a livello patologico, ma niente di preoccupante. > ridacchia ancora cercando di smorzare l'atmosfera, di dare alla donna tutte le informazioni che le vengano in mente che una madre potrebbe voler sapere sul proprio figlio e che da quella prigione non potrebbe aver scoperto. Può aver saputo dei suoi successi, dei suoi traguardi, delle sue vittorie... Kaime può conoscere il Dainin della Foglia ma, Kaori teme, potrebbe non sapere chi sia Azrael Nara. Non davvero, almeno. Questa possibilità le è stata strappata via. < ...ed è in missione. > Non può dirle che non è morto perchè neppure lei lo sa. Non può dirle che è vivo e rischiare di non vederlo più tornare illudendola, nè può dirle che è morto e strapparle anche quell'ultimo briciolo di pace che le è rimasta. Si limita a darle una mezza risposta. "E' in missione, sapremo se è vivo solo se tornerà a casa". Ma Kaori lo sa... sa che tornerà perchè gliel'ha promesso. E Azrael mantiene sempre le promesse. [ Chakra: on ]
Giocata del 04/04/2018 dalle 09:47 alle 14:55 nella chat "Luogo Sconosciuto"
La donna permane ferma, dritta in piedi per quanto la sua caviglia continui a scricchiolare sotto il suo esiguo peso. Eppure non accenna a mostrare dolore, non dà segno di cedimento alcuno, benché Kaori può ben immaginare quanto dolore possa star provando nel semplice atto di reggersi in piedi sulla leva malconcia. La guarda attraverso il vetro trasparente, una semplice lastra a dividerle, a dividere Kaime dal mondo esterno, dalla libertà e dalla luce del sole. Solerte si appresta a rispondere a quel primo dire della Consigliera che si scusa e si dispiace per la mancanza di reazione della legge dinanzi un caso così particolare. < Non avete di che dispiacervi. Né tu, né il Governo sotto cui mi sono costituita, né quello attuale. > Pronuncia inizialmente, mostrando ancora quanto sia preparata in fatto di storia e di attualità. < Un crimine è un crimine, un omicidio è un omicidio. Per quanto io possa aver avuto ragione nelle motivazioni, ciò non toglie che ho spezzato la vita di un uomo. > Non abbassa lo sguardo, tiene sempre il contatto visivo con la Consigliera, in segno di rispetto. < Non mi pento di ciò che ho fatto, sono contenta della vita che ho salvato a scapito della mia e di quella del mio defunto marito, ma ciò non toglie che io dovessi pagare. E permettere a mio figlio di vivere una vita tranquilla, non in compagnia di un'assassina. > Permane silente, infine, per lasciare Kaori alle prese con la seconda parte del suo discorso. Riguardo Azrael. La donna schiude le labbra al sentire quelle parole, gli occhi rossi si riempiono di scintille di speranza e di dispiacere al tempo stesso, si velano gradualmente di lacrime che scendono imperturbabili lungo le candide gote, capitolando poi al suolo. La mancina, che stringe ancora il foglio del disegno arrotolato, si solleva fino alle labbra, sfiorandole con la punta delle dita, nel tentativo di trattenere un singhiozzo, un respiro spezzato dal pianto che scende pesante dalle palpebre. Le socchiude, lasciando scivolar via qualche ultima goccia salata, prima di riabbassare la mancina mollemente lungo il fianco e riprendere un sorriso cortese, affettuoso, materno. Istanti di silenzio, gli occhi che si riaprono, senza più lasciar scappare una lacrima, ma restando velati di quella serie di forti emozioni che la stanno evidentemente travolgendo. Solo infine, dopo che il silenzio è ripiombato tra le due per istanti eterni, prende fiato per proferir parola < ... lo zenzero. > Dice con semplicità, la voce leggermente più forte e decisa di quanto non fosse all'inizio della conversazione < Non gli piace lo zenzero. In qualunque modo avessi potuto prepararlo, non sono mai riuscita a farglielo mangiare. > Resta silente per qualche istante, aprendo verso l'interno il cassettino posto a metà altezza della lastra, riponendovi dentro il disegno e spingendolo fuori, in modo che Kaori possa prenderlo e studiarlo. Non sarà difficile capire il soggetto. Quelle poche linee abbozzate a carboncino ricalcano i tratti del figlio com'era una decina d'anni prima, l'ultima volta che i due hanno avuto occasione di vedersi. E' ben fatto, sembra quasi provenire dalla mano di un disegnatore professionista, per quanto sia solo una iniziale bozza. < Venne qui dieci anni fa, proponendomi di uscire, ma-- non volevo costituire una macchia sulla sua reputazione. Era così fiero, orgoglioso di sé, sicuro. E aveva guadagnato tutto da solo, non avrei mai permesso che mettesse tutto a repentaglio per tirare fuori di prigione un'omicida. E adesso-- se mi sono ribellata all'idea di uscire è perché non pensavo di aver più nulla per cui vivere. > Un singulto le fa tremare leggermente il petto e lo sguardo s'abbassa a fissare un punto vuoto del pavimento oltre i piedi di Kaori < Sono tre anni che non leggo più di lui, che nessuno ne parla più. Mi ero rassegnata all'idea di averlo perso. Per questo non avevo intenzione di rimettere piede fuori da qui... > Rialza lo sguardo, ora, per puntarlo sul disegno di un paesaggio erboso e ricco di fiori, tipico dei dintorni di Konoha in una giornata segnata dal bel tempo < Rivedere la luce del sole non è una consolazione sufficiente. Ma dimmi... se lui è in missione, se non è da lui che è partito questo nuovo tentativo di liberarmi, allora perché? Perché sei venuta a parlarmi di persona? Perché-- > Si blocca per qualche altro istante, ripuntando gli occhi cremisi e quasi indagatori sull'espressione della Consigliera, come se fosse pronta a scrutare la verità direttamente dalla sua anima < --perché è così evidente che non è solo il senso di giustizia a farti pronunciare queste sentite parole su mio figlio? > Domanda, infine, piegando il capo sulla sinistra come aveva fatto poco prima. [ ambient ]
C'è qualcosa di stoico nella figura di quella donna. Piccola, esile, racchiusa in un abito troppo largo per lei, con quei capelli troppo lunghi dopo anni privi di una reale cura se non la minima ed essenziale. Apparentemente fragile ed indifesa con quello zigomo livido e la caviglia ferita, non mostra alcun cenno di dolore, alcun tremito. Si regge in piedi ferma, eretta, tenendo lo sguardo alto sulla figura di Kaori e snocciolando quella spiegazione così tanto pregna di un profondissimo senso di lealtà e di giustizia. Kaori annuisce, comprende bene il pensiero della donna ma ugualmente ritiene ch'ella sia troppo dura con se stessa. < Lei è un'assassina. Certo. Come lo sono io. Come lo è Azrael. > reprime il brivido al pensiero di come, in realtà, il ragazzo stesso sia molto più di un semplice assassino. < Le nostre mani grondano sangue e per quanto continui a lavarle mi sembra di sentirlo sempre lì. Eppure siamo acclamati come eroi. E' giusto questo? > La sua voce cade nel silenzio assordante di quel corridoio bianco, le sue iridi sembrano quasi profondamente confuse nel momento in cui pone questa domanda alla donna dinnanzi a sé, come se ancora oggi stia combattendo con il senso di colpa che succede ogni vita strappata durante le missioni affrontate. < Mi ripeto che non avevo scelta, che si tratta di noi o loro. Di proteggere Konoha e tutte le persone che questi uomini potrebbero uccidere se io non li fermassi. Ma nonostante tutto non mi sento più pulita, non mi sento più leggera. > Abbassa lo sguardo sollevando appena le mani, i palmi rivolti verso l'alto, le dita appena flesse come se stesse osservando il candore della sua pelle alla ricerca del sangue che ha versato negli anni. Il suo sguardo vacilla per un attimo solo prima di tornare a puntarlo sulla lastra di vetro che la separa d Kaime. < Ma non me ne pento. Mi faccio volentieri carico di questo peso in cambio della certezza di aver concesso alla mia gente una notte di sonno tranquillo in più. > Lo sguardo è sicuro, la voce ferma mentre fissa la donna con decisione negli occhi. < Avete tolto una vita, sì. E' sbagliato, sì. Ma questo non vi rende una malvagia. Se è vero che avete ucciso un uomo è anche vero che avete salvato una vita. Perchè non dovreste essere anche un'eroina? Per me lo siete. > Si ferma, fissandola, riprendendo solo dopo poco. < E' ammirevole che abbiate sentito il bisogno di essere punita per quanto avete fatto, ma è anche vero che la punizione che avete ricevuto è stata ben superiore al male che avete inflitto. Vent'anni in una cella senza possibilità di uscire, di vedere il sole, i prati di Konoha, i monti ardenti all'orizzonte. Vent'anni senza poter cucinare per vostro figlio, senza potergli rimboccare le coperte, curargli un ginocchio sbucciato. Vent'anni senza un abbraccio, una carezza. Senza una torta di compleanno. Avete scontato la vostra pena. Siete stata sufficientemente punita per la vostra colpa. Adesso è tempo di vivere di nuovo. > Tace per pochi istanti, osservandola, cercando di convincerla a vedere la propria situazione da un punto di vista più generale. Se è innegabile che abbia ucciso qualcuno e che meriti una punizione per aver tolto la vita ad un uomo che altri non era che suo marito, è altresì vero che ha anche protetto un indifeso da una minaccia che avrebbe potuto ucciderlo a sua volta. In alcuni casi non è possibile arginare il danno. In alcuni casi è vivere o morire. La donna mostra il suo interesse nei riguardi del figlio e Kaori cerca di darle tutte le informazioni che le vengono in mente su Azrael come ragazzo, come persona, come figlio. Cerca di informare la donna sul proprio bambino, su come è cresciuto, sul suo essere un uomo e non il soldato del quale ha letto e sentito parlare negli anni. Cerca di darle tutto ciò che può, tutti i motivi che le vengano in mente per convincerla a tornare alla vita fuori da quella cella, da suo figlio. E funziona. Kaime piange, si commuove, ascoltando in religioso silenzio quanto Kaori le dice prima di darsi un contegno e sorriderle con dolcezza, rivelandole quale sia l'unica cosa che Azrael non abbia mai gradito mangiare quand'era piccolo. La Hyuga sorride illuminandosi di tenerezza e affetto immaginando il volto del Nara che arriccia capriccioso il naso nell'avvertire il pungente odore della spezia. < Davvero? Non me lo immagino. > ridacchia lei intenerita, toccata, scuotendo appena il volto prima di fermarsi e notare la donna passarle nel vano porta oggetti il foglio che aveva fra le mani. Kaori lo afferra e non ci mette molto a riconoscere in quei tratti di carboncino i lineamenti del ragazzo quand'era più giovane. Stessi capelli ribelli e scuri, i lineamenti solo poco più tondi, più adolescenziali. Un Azrael che lei non ha mai conosciuto. Il sorriso le si ammorbidisce, lo sguardo s'alza e ascolta il dire della donna ritrovandosi quindi ad annuire piano. < Negli ultimi tre anni è stato.. via. > ammette la Hyuga stringendo le labbra. < Nessuno sapeva dove fosse, neppure noi abbiamo avuto alcuna notizia. Per questo non avevate novità su di lui. Ma è tornato.. da poche settimane è tornato e sta bene e-- voleva venire a trovarvi. > spiega Kaori ricordando come l'altro le abbia parlato di lei quando gli ha chiesto chi fosse Kaime, ricordando il modo in cui ha guardato quel tatuaggio che ha voluto incidersi sulla pelle semplicemente per non dimenticare. Dimenticarla. < Credete davvero che se foste uscita lui vi avrebbe considerato una macchia nella sua fama? Credetemi, per voi non gli importerebbe neppure della legge. Se voi aveste voluto uscire avrebbe ridotto questo posto in cenere per farvi tornare libera. Siete sua madre. Sono sicura che farebbe qualunque cosa pur di riavervi a casa con lui... Chi non rivorrebbe la propria mamma? > La sua voce è straziata di malinconia, il tono tenuto alto solo perchè la sua voce possa giungere oltre la lastra di vetro fino all'orecchio della donna. E quindi ascolta il suo dire sconfortato, quell'assenza di ragioni per cui vivere in mancanza del proprio bambino. Comprende perfettamente i sentimenti della donna e si ritrova a sorriderle con candore nel momento in cui ella le rivolge quella domanda. Nel suo inclinare il capo ritrova la mimica di Azrael, ritrova quel suo semplice modo di fare quando qualcosa non gli torna o lo incuriosisce. Non sa come dovrebbe rispondere, quanto sarebbe giusto da parte sua dire circa il rapporto che intercorre fra lei ed Azrael senza che lui stesso lo sappia e tace per alcuni istanti prima di espirare e stringersi rassegnata nelle spalle. < Perchè- > "Lo amo" < -è importante per me. > sorride Kaori semplicemente, sinceramente. < Io e Azrael siamo-- > Ancora si ritrova a non saper definire il rapporto fra loro ad un livello ufficiale ed oggettivo. Per quanto entrambi si siano rivelati d'amarsi, sarebbe giusto dire che è suo? Che è il suo ragazzo, il suo uomo? Sarebbe giusto diffondere quest'informazione senza che lui sia espressamente d'accordo? Soprattutto, poi, con la madre che non vede da oltre dieci anni? < --amici. E mi ha raccontato di voi. E' così che ho iniziato ad indagare sui detenuti del carcere, a controllare le sentenze emesse, le pene che stanno scontando. Oltre voi anche alcuni altri prigionieri sono stati vittime di condanne troppo dure. Così il Consiglio si è riunito e abbiamo lavorato sulla situazione fino a trovare una soluzione giusta per tutti. > spiega la Hyuga tranquilla, annuendo, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. < Avete ancora una vita a cui tornare fuori da qui. Una vita che vi sta aspettando da anni. Permettetevi di riportarvi indietro... A casa. > mormora allora Kaori con voce accorata, con timore, tenendo lo sguardo fisso in quello scarlatto e stanco dell'altra. [ Chakra: on ]Le parole scorrono cadenzate da lunghissimi silenzi e sospiri rotti d'emozione da parte di entrambe le interlocutrici. Kaime lascia che la Consigliera enunci tutte le sue ragioni, le sue perpessità riguardo la giustizia e l'essere acclamati come eroi, pur avendo posto fine a numerose vite di colore che sono considerati cattivi. < E' il vostro lavoro. Io falciavo il grano, voi falciate le persone cattive, no? > Sorride giocosa, esprimendosi in quella battuta di spirito, che la porta a sorridere più serenamente. Sembra molto più convinta di quanto non fosse prima. La mancina, ora libera dal disegno che la Hyuga è libera di portare con sé, scivola verso l'obi del kimono, le dita esili passano tra i lembi della stoffa, rivelando un mazzo di chiavi. Molte piccole chiavi. Ne cerca una in particolare, Kaime, per andare a centrare il punto in cui v'è la serratura atta ad aprire un piccolo spazio all'interno della lastra. Quasi più uno scomparto, che una vera e propria porta d'uscita, posta appena sotto il passa vivande. La spinge verso l'esterno, aprendola e si accuccia per uscire dalla sua cella e consegnare, così, il mazzo di chiavi a Kaori, facendolo tintinnare a mezz'aria finché lei non sarà pronta a raccoglierlo. < Hai ragione. Se è vero che il mio bambino è tornato, non ha più senso restare qui. E sì, sono convinta che avrebbe ridotto in polvere l'intera Konoha, se gli avessi detto che volevo uscire. > Una breve pausa, passando la lingua tra i denti candidi, snudandoli in un sorriso che ha quasi un ché di dispettoso. Non adatto ad una donna di cinquant'anni, ma-- che fa capire chiaramente da dove abbia preso il proprio temperamento, il giovane Azrael. < Capisci perché non l'ho fatto, no? > Termina in un leggero risolino, prima di portare le mani libere, qualora la Hyuga avesse raccolto le chiavi, a sistemare le pieghe del kimono, riportarlo a coprire la spalla nuda, insomma... a darsi un aspetto quantomeno presentabile. < Le chiavi sono di Ichi. Gliele ho rubate mentre mi percuoteva perché non volevo vestirmi. Restituiscigliele all'uscita. > Le strizza l'occhio, la donna che ora è al di fuori della cella, intenta adesso a sistemare i lunghi capelli, stringendo il raso bianco a dargli una forma più consona, in una coda più composta. < Azrael fuma, vero? Ricordo di averne sentito l'odore, quando ci vedemmo l'ultima volta. Meglio che non lo faccia davanti a sua madre. Non mi importa quanto sia > mima delle vistose virgolette con le dita < Azrael Nara, Dainin della Foglia, uccisore di Kuugo e bla bla bla. Il fumo fa male e ha un pessimo odore. > Termina con quel fare particolarmente... materno. Per quanto il figlio di cui sta parlando si accinge a raggiungere la trentina d'anni. < Siete amici, mh? > Rimbecca, osservando Kaori con lo sguardo talmente dubbioso da farle certamente intendere che quel "siamo amici" non è risultato particolarmente credibile. Riprende fiato, prima di accingersi a camminare lungo il corridoio, benché il passo sia incerto a causa della caviglia ferita < Il mio bambino dovrebbe proprio accasarsi, una bella Consigliera, di buona famiglia e con un nome all'interno del Villaggio sarebbe un'ottima compagna. > Termina il proprio dire molto più sciolta, la lingua a sciorinare quelle sentenze imbarazzanti, inopportune. Da madre, insomma. Mentre attende soltanto che la Hyuga la accompagni lungo le scale e fino all'uscita dalle prigioni. [ ambient ]
Sembra più tranquilla Kaime dopo questa breve conversazione. Forse il non sentirsi giudicata dalla Hyuga le ha dato un po' di sollievo, o forse aveva solo bisogno che qualcuno le dicesse che quanto ha fatto non ha fatto di lei un mostro: quale che sia la verità Kaori trova la donna un po' più serena rispetto a quando l'ha veduta ad inizio conversazione e ne è contenta. Sorride amaramente nell'udire quell'iniziale dire e non replica alle sue parole trovando che non vi sia molto da dire in risposta. Nel vedere la donna estrarre le chiavi dal proprio abito ed uscire dalla cella non può fare a meno di sgranare gli occhi con sorpresa facendole spazio e chiedendosi quanto male debba farle la caviglia offesa nell'atto di doversi accucciare per passare da quella porta. Più che una uscita pare quasi lo sportello attraverso il quale i cani son soliti entrare od uscire di casa e questo porta Kaori a mal considerare quelle lastre di vetro poste per ogni cella. Non commenta, comunque, limitandosi ad afferrare il mazzo che le viene allungato dalla -ormai- ex detenuta ed ascoltando il suo dire mentre, rimettendosi in piedi ridacchia con quel modo di fare che par quasi riportarla indietro di anni ringiovanendole il sorriso e lo sguardo. < Sì. Perfettamente... > sorride Kaori con voce bassa, morbida, immaginando perfettamente Azrael dar fuoco all'intera struttura senza il minimo senso di colpa pur di liberare la donna. L'immagine del Nara in piedi sulle acque della baia del porto del fuoco le lampeggia dinnanzi allo sguardo, avvolto dai resti delle navi in fiamme, dalle lingue di fuoco che fornivano una cornice inquietante e bellissima alla figura di quel Dio immorale baciato di schizzi scarlatti sotto la pioggia violenta di quella notte. Quando poi Kaime le spiega di aver rubato le chiavi ad Ichi Kaori si ritrova a scuotere il capo con aria infastidita ed irritata, stringendo il mazzo fra le dita. < Oh non penso affatto. Che senso avrebbe restituirgli qualcosa che non ha diritto a tenere ancora a lungo? > la voce si fa decisa, sicura, mentre infilando l'indice nell'anello da cui pendono le chiavi, muove lo sguardo verso la donna. Ascolta quanto ella le dice in merito al figlio ed alle sue abitudini e si ritrova a ridere forte, con candore, immaginandosi la tenera scena dei due a litigare per una sigaretta. < Immagino che quando tornerà, Azrael avrà un bel po' di anni di rimproveri da dover recuperare, eh? > ridacchia divertita, dolcemente, scuotendo il capo con leggerezza prima di tornare ad una espressione più pacata e quindi schiarirsi la voce. < Comunque non tornerete subito a casa vostra. Considerato il numero di anni passati qui, fuori dal mondo, sarebbe meglio che i detenuti rilasciati possano essere assistiti per un periodo iniziale da qualcuno che possa prendersi cura di loro. Dato che Azrael è in missione e che non mi pare abbiate altri parenti... pensavo che potreste... uh, stare da me. > il pensiero la fa arrossire e si ritrova ad abbassare teneramente il capo portando la mancina dietro il capo, fra i capelli, mentre lo sguardo si fa basso e intimidito. < Avrete bisogno di abiti nuovi e inoltre avrete degli appuntamenti settimanali con un medico specialista che vi aiuti ad affrontare questo ritorno alla normalità da seguire. Sa, per aiutarvi a reintegrarvi nella società, cose di cui vi parlerò più in dettaglio più tardi. > Rialza solo a questo punto lo sguardo puntandolo sulla figura della donna. < Solo per qualche giorno, per aiutarvi a riabituarvi ad una vita in libertà. Poi potrà tornare a casa se lo vorrà. > le spiega quasi ricercando il suo consenso, sperando che la cosa possa non metterla a disagio. Non le sembra una donna debole o traumatizzata, sembra essere davvero molto forte da un punto di vista emotivo, eppure crede che sarebbe meglio per lei se non rimanesse da sola anche ora che è uscita fuori da quella prigione, almeno per un po'. E poi la voce di Kaime arriva seguita da quei passi zoppicanti che la portano a percorrere il corridoio, facendo avvampare il viso di Kaori che, irrigidendosi, diviene improvvisamente di un colore purpureo. Il viso in fiamme, le orecchie a bruciare, le chiavi le cadono di mano tintinnando rumorosamente sul pavimento. < A-ah! > un verso strozzato le esce di bocca mentre, fissando nel panico la donna, inizia a boccheggiare chinandosi meccanicamente a raccogliere le chiavi e quindi raggiungerla macinando con una breve corsetta la distanza postasi fra loro. < M-ma che dice! C-cioè, nel senso, sarei onor- cioè, voglio dire... Azrael-- noi...! > E si ritrova a sentire il cuore imploderle nel petto, il sangue a correre violento nelle vene mentre la voce di Kaime ancora le risuona nelle orecchie. Azrael ha spesso scherzato sull'idea di sposarla, ma Kaori non ha certo mai pensato che potesse esser serio! Sentire parlare adesso sua madre di una loro possibile vita insieme la porta a sentirsi molto più realmente vicina a quel passo di quanto non creda. Giunte nei pressi delle scale Kaori andrebbe a fermare la donna tornando gradualmente in sé, seria. < Aspetti. Con la caviglia in quelle condizioni non può scendere otto piani di scale. Mi faccia vedere. > e, detto questo, tenterebbe -se l'altra gliel'avesse concesso- di chinarsi a sbrogliare la fasciatura e controllare l'entità della ferita. [ Chakra: on ] [ Competenze mediche B (o come si chiama la conoscenza XD) ]La signora Kazama avanza, macinando a piccoli passi qualche metro, prima di fermarsi a strizzare gli occhi per il dolore dovuto a quel che giace sotto il bendaggio improvvisato. Ascolta pazientemente tutto l'iter che dovrà seguire, spostando il peso sul piede sano. < Certo. sarò pronta a seguire tutto quello che serve per reintegrarmi nella società. > Dice, con una sfumatura di dolore nella voce, prima di accogliere con un sorriso profondamente divertito l'imbarazzo della Hyuga. < Non essere così nervosa, il mio bambino è un bravo ragazzo. Forse sembra cattivo, ma in fondo è un tenerone. Non andava mai a dormire senza il suo gattino di pezza, sai? > Ecco che inizia con gli aneddoti imbarazzanti sull'infanzia del proprio figlio. Come se non lo avesse mai lasciato realmente per tutti quegli anni. Solleva, poi, il kimono fin sotto il ginocchio, per permettere alla Hyuga di controllarle la caviglia offesa, ruotando il capo in direzione della guardia che l'ha accolta all'interno di quel blocco. < Hachi! > Chiosa a voce più alta e decisa, facendo accorrere la guardia a grandi falcate, quasi intimidita dal temperamento della donna o, forse, dal suo legame con una figura di rilievo nel Villaggio o, forse ancora, dalla presenza della Consigliera. < Dai una mano alla signorina Kaori. > Ordina perentoria e la secondina esegue, abbassandosi e dando una mano alla Hyuga nell'atto di togliere le bende sudice e mollemente avvolte attorno la ferita. Danni da botta, apparentemente. La caviglia gonfia e completmente livida, ma nessun osso esposto, né irregolarità nella forma dello scheletro. Una grave contusione, ma nulla che una terapia base non possa curare completamente. < Spero non sia nulla di grave o quel cafone di Ichi dovrà temere me, prima ancora che te o mio figlio. Posso sempre comprare un altro trenino. > Chiosa a metà tra lo scherzo ed una punta di minaccia reale, forse inadatta per una donna che sta uscendo di prigione, ma che non può affatto trattenersi dall'esternare l'odio che prova nei confronti dell'uomo. < Quello screanzato. Percuotere una donna della mia età priva di difese con un manganello. > Sbuffa nervosa, nell'atto di farsi visitare, gesticolando largamente con entrambe le mani < Ad ogni modo, Kaori, puoi darmi del tu e chiamarmi per nome, in fondo se sei *così* anto amica del mio Azrael mi sembra il minimo. > Termina, aspettando di farsi prestare le prime cure sul momento, prima di uscire dalle prigioni. [ ambient ]
Giocata del 05/04/2018 dalle 11:45 alle 12:14 nella chat "Luogo Sconosciuto"
Lo sguardo della Hyuga vola preoccupato alla caviglia della donna nel vedere come, nonostante la forza mostrata, ella si ritrovi a doversi fermare dopo alcuni passi per via del dolore. Annuisce lieta della collaborazione dell'altra, felice del fatto di potersi realmente rendere utile senza doverle spiegare quanto sia possibile che Azrael non sarebbe ritornato. Il pensiero la logora ed ogni volta che arriva a pungolarla si ripete che è una preoccupazione stupida, che le ha promesso di tornare. Azrael realizza l'impossibile, avrebbe convinto un Dio a sciogliere le catene che lo legano a lui per tornare a casa. Da lei. < Bene. > sorride Kaori con candore prima di piombare nel più denso imbarazzo quando la donna va insinuando che la Hyuga sarebbe un buon partito per il suo bambino. Kaori vorrebbe dirle quanto lo ama, quanto sarebbe felice e onorata di averlo accanto per il resto della vita, ma forse non è una buona idea. Forse non è il caso che faccia eclatanti dichiarazioni d'amore alla madre del suo forse ragazzo quando i due non hanno neppure stabilito ufficialmente un vero legame. Soprattutto quando non sa neppure se la loro vita insieme è già finita o è appena iniziata. Ma proprio mentre sta già per replicare qualcosa in un tenero balbettio, ecco che quella rivelazione la porta a bloccarsi e ad immaginare un piccolo Azrael abbracciato ad un gattino di pezza nel suo lettino, in quella stanza adesso sigillata e reclusa che un tempo doveva esser stata accogliente e confortevole. < Davvero? > domanda improvvisamente rianimata, le mani ad unirsi dinnanzi al petto reggendo ancora sia il disegno che le chiavi, lo sguardo ad illuminarsi e accendersi di tenerezza mentre le ciglia sbatterebbero rapide un paio di volte. < Allora gli sono sempre piaciuti i gatti! O meglio, i felini... ogni volta che vede la mia tigre continua a definirla “gatto” e le fa sempre una quantità indefinita di grattini! > Al solo pensiero lo sguardo si ammorbidisce, la voce si fa dolce e ricca di una certa tenerezza. Le due sono praticamente pronte per tornare a casa se non fosse che Kaori vuole prima assicurarsi delle condizioni della caviglia della donna. Questa, concorde, richiama la secondina per far dare una mano alla special che, colpita, nota il modo in cui Kaime si rivolge senza timore alla guardia. < A-ahm. Grazie. > si limita a dire Kaori con un sorriso, osservando a questo punto la gamba offesa della donna. La zona è livida, gonfia, ma le ossa non sembrano essere fuori posto, né tanto meno hanno leso gravemente i tessuti dell'arto. < Non è niente di serio, per fortuna. Ci penso in un attimo. > asserisce la Hyuga dopo una breve ispezione medica andando quindi a richiamare il proprio chakra medico verso le mani. Lo andrebbe a spingere lungo i polsi, i palmi, per poi farlo fuoriuscire dagli tsubo presenti in un alone di energia verdastro che avvolgerebbe ambo le mani in una nube di luce chiara e piacevole, emanante un tepore rassicurante e lenitivo. Avvicinerebbe le mani alla caviglia della donna senza però toccarla, mantenendo una distanza di circa 10 centimetri da questa e quindi lascerebbe fluire il chakra medico verso la ferita avvolgendola, penetrandola, raggiungendo le ossa, i muscoli, i vasi offesi nel tentativo di velocizzare il processo rigenerativo cellulare e permettere una estremamente più rapida guarigione della zona. Le parole di Kaime portano Kaori a dare in un sorriso amaro: sa perfettamente cosa ella intenda parlando di “trenino” e trova quasi incredibile come riesca a scherzarci su così leggermente. Ma, dopotutto, lei è la sola ad aver scoperto di questa faccenda da poco tempo. Sia Kaime che Azrael hanno avuto anni ed anni ed anni per accettare e metabolizzare l'accaduto. Per loro è molto più semplice parlare di quanto successo rispetto a lei che, ancora adesso, è in parte traumatizzata dall'idea di quel racconto. < Magari è meglio di no, eh? > sorride cercando di tenere leggera l'atmosfera, continuando a prestare la propria attenzione alla caviglia tumefatta. < E poi ho un conto in sospeso con quell'Ichi. Mi chiedo chi abbia pensato che fosse saggio farlo lavorare qui... > brontola la ragazza scuotendo il capo, ritrovandosi dunque a stringere i denti nel sentire come quell'infido maiale abbia percosso la donna con il manganello. Il pensiero porta Kaori a sentirsi pervasa dal desiderio di colpirlo, di fargli altrettanto male, ma sa perfettamente che non può abbandonarsi ad un simile eccesso. Deve cercare di calmarsi e per farlo si concentra sulla voce di Kaime che, dal canto suo, va a nominare una volta ancora il proprio bambino richiamando la totale e completa attenzione di Kaori. < A-ah. Certo. Va bene, come volet-- vuoi, Kaime. > sorride lei, impacciata, sentendo le gote farsi rosse, il cuore batterle dolcemente in petto. < Il dolore come va? > domanda, rialzando il capo, informandosi sulle condizioni della caviglia che sta trattando con le sue arti mediche. [ Mani terapeutiche B + 7 ps ] [ Chakra: 90/100 ]Le mani terapeutiche vanno a lenire la zona offesa, da subito si potrà notare come il gonfiore diminuisce, come l'ematoma si riassorbe lasciando solo una sfumatura violacea a colorarle la pelle diafana. Kaime flette le falangi podali, curva la caviglia per testare i miglioramenti immediati e, con sua modesta sorpresa, nota che non le fa più poi così male. Riappoggia il piede a terra, tenendo gradualmente il peso sul piede in via di guarigione più accelerata < Oh... molto meglio. Quel bruto non è nemmeno in grado di rompere una caviglia ad una donna anziana. > Pronuncia, riprendendo a camminare verso l'uscita, prendendo il primo piano delle scale, se Kaori la stesse seguendo. Prima di salutare, però, la guardia si alza, abbozzando un cenno di saluto con la mano e Kaime, di risposta, porta la destrorsa al petto, chinando in avanti busto e capo in un piccolo inchino che dura qualche istante. < Dunque sei un medico e ami anche gli animali. > Chiosa, prendendo la via di ritorno al di fuori di quella lugubre struttura. I detenuti che hanno reso infernale l'ingresso di kaori sono ancora rasenti alle sbarre, come se la stessero aspettando, ma - probabilmente facendo un rapido collegamento alle due donne unite, che conversano gioiosamente - prendono la saggia scelta di tornare nei loro oscuri anfratti e fare silenzio. < Sono sempre più sicura che andremo d'accordo. Chi l'ha detto che suocera e nuora devono odiarsi. > Si lascia andare in una fragorosa risata, pur restando in quell'elegante e fine tono che si addice ad una donna della sua età. Vuole imbarazzarla? Probabilmente. Fatto sta che, a meno che la Hyuga non voglia interrompere il tragitto in alcun modo, arriveranno presto all'entrata, dove un Ichi molto spaventato e scosso le attende, quasi sull'attenti. < S-s-signorina e Signora, prego... > Balbetta insicuro l'uomo, aprendo loro la porta e lasciandole, finalmente, uscire. [ end - se vuoi puoi anche non farla tu ]