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Hello Goodbye

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con Azrael, Kaori

18:06 Azrael:
 Notte fonda. Quale che sia l’orario non importa. Il tempo è profondamente relativo, ultimamente. Tanti sono i pensieri che affollano la mente del Nara, ma sono andati dispersi sotto lo scorrere dell’acqua calda sul proprio corpo. Sarà stato lì, dentro quel bagno, per qualcosa come diverse ore, quasi. Ha dovuto prendersi il proprio tempo per ricaricarsi, per pulirsi di dosso la pioggia, il sudore, il puzzo di fumo e di cenere, ma più di tutto, le tensioni accumulate nel corso della giornata. Il chakra non scorre più all’interno del proprio corpo, non ne sente il bisogno attualmente, ed ogni tanto è bello sentirsi spento, privo di quella cerulea energia che lo classifica di diritto come ninja. Esce dalla porta del proprio bagno, quello personale, che dà direttamente sulla propria camera, su quel letto che ha appena condiviso con Kaori. Un sottile filo di vapore dato dall’acqua calda addensatasi nella stanza esce dalla porta appena riaperta. Quello è il proprio spazio, che non condividerebbe mai con nessuno perché- chi avrebbe la pazienza di attenderlo lì per ore, in attesa che completi tutta la propria usuale routine atta a mantenersi quanto più esteticamente presentabile? È il motivo per cui ha diversi bagni per gli ospiti, per così dire. Quello in fondo al corridoio dello stesso piano su cui si trovano i due è quello che ha indicato alla Hyuga. Una porta posta sul fondo di un corridoio che vede diverse camere, di cui una spicca in particolare perché la porta pare più usurata delle altre, oltre a riportare svariati chiavistelli che la tengono chiusa sia dall’esterno che dall’interno. Sembra non essere stata toccata dalle ristrutturazioni che, nel tempo, quella casa ha naturalmente avuto. Ed il bagno sarebbe lì di fronte, antistante a quel luogo che pochi, pochissimi hanno potuto vedere dall’interno. Che la Hyuga sia nuovamente nella propria camera o meno, il Nara uscirebbe con indosso unicamente un accapatoio nero ben allacciato in vita, sul petto reca il ricamo di “A K” in filo bianco. I capelli ancora inumiditi dalla doccia appena fatta, la barba trattata e sagomata di fresco. Avanza all’interno della camera a capo chino, passando il cappuccio dell’indumento indossato ad asciugare brevemente e per l’ultima volta il crine corvino, lasciato poi libero di incorniciargli il volto candido e liscio, privo di imperfezione alcuna. E si andrebbe a sedere sul bordo più esterno del materasso dalle lenzuola ancora sfatte, osservando i propri vestiti, riposti con cura ai piedi dell’armadio ed il proprio armamentario al completo poggiato sulla parete. La nodachi che si estende per oltre due metri d’altezza, la zanbato che quasi la raggionge, ma la raddoppia in spessore e la supera in larghezza, le katane ed i kunai sistemati in una perfetta piramide ai piedi delle restanti armi. E se ne starebbe lì per qualche interminabile attimo. Pensieroso, assorto e perso. Avrebbe così tanto da voler condividere con Kaori, così tanto da dirle. Hanno avuto così poco tempo per conoscersi, eppure- eppure sente di volerne di più ha bisogno di più tempo. Un tempo che, nella vita di ogni ninja, potrebbe scadere e terminare ogni giorno in cui si va in issione o, beh, si va a parlare con la persona sbagliata dell’argomento sbagliato. È su questo che sta riflettendo, ora. Sul dirle oppure no di quanto quel tempo, per lui, potrebbe esser vicino alla scadenza ultima. [ Chakra off ]

18:29 Kaori:
 Stanca. Sente le membra pesanti, le palpebre calanti. Rannicchiata fra le lenzuola del letto del Nara, sfatte per via di quanto accaduto solo poche ore prima fra i due. I suoi vestiti tagliati e strappati sono stati ripiegati e riposti a terra sotto la finestra assieme agli stivali. I capelli sono ora sciolti, asciutti, puliti. Le ginocchia son portate al petto, le braccia piegate con le mani abbandonate accanto al viso, sui cuscini. Indosso ha una camicia bianca decisamente troppo grande per lei; le maniche sono troppo lunghe e arrivano a coprirle i palmi delle mani e per poco le dita, gli orli inferiori arrivano a cingerle le cosce e solo pochi bottoni sono stati richiusi più o meno all'altezza del ventre. Quando Azrael è andato a farsi una doccia ne ha approfittato per fare lo stesso sentendosi decisamente stordita. E' uscita in corridoio raggiungendo il bagno in fondo alla via, di fronte ad una porta marchiata dalla presenza di diversi chiavistelli. E' rimasta ad osservare quelle serrature per diversi minuti con fare perso prima di voltarsi ed abbandonarsi ad un getto di rigenerante acqua calda. Si è liberata della sensazione della pioggia e del sudore dalla pelle, ha sciolto la treccia e ha lavato con cura i lunghi capelli viola. Ha lasciato che l'acqua portasse via il peso di quella missione, la sensazione del sangue dalle sue mani. I polsi presentano dei segni rossi per via del continuo sfregare della pelle contro le manette ma la cosa non le dispiace. Un po' la fa arrossire, il pensiero di quanto si è appena verificato la imbarazza adesso ma non se ne pente neppure per un istante, anzi. Forse non si è mai sentita così vicina a lui come in quel momento. No. Non vicina. Complice. Felice di questa sensazione ha continuato a strofinarsi di dosso la stanchezza del giorno con le braccia pesanti, cercando di essere il più rapida e sbrigativa possibile. Sebbene sia stato lo stesso Azrael ad invitarla ad approfittare della stanza, non vuole ugualmente sfruttare più del necessario la sua gentilezza perdendo tempo inutile sotto il getto dell'acqua. Si lava con cura ma rapidamente avvolgendosi quindi in un accappatoio morbido e pulito. Si pettina con dovizia, con attenzione, sentendosi più leggera ma anche molto più assonnata. Le emozioni del giorno sono travolgenti e l'avere ora i muscoli così rilassati a seguito della doccia facilita il sonno. Lo combatte, però, desiderando tornare da Azrael e passare ancora altro tempo con lui. Si asciuga i capelli e quindi ritorna in camera a piedi scalzi, totalmente scoperta. Non ha abiti con sé per cambiarsi, i suoi vecchi sono inutilizzabili. Rimane il mantello abbandonato da qualche parte al piano di sotto, ma non ha voglia di indossare quella veste madida di pioggia ora che s'è appena lavata. Così, timidamente, azzarderebbe d'aprire un'anta dell'armadio del Dainin scorrendo una fila di camicie dai toni del bianco e nero, sorridendo per quella continua alternanza di sfumature che sembrano scandire la loro vita. Afferra una camicia bianca e la porta al viso inspirandone a fondo il profumo. Odora di bucato e-- quella fragranza che ha imparato ad associare a lui. Sorridendo si fa avvolgere dalla stoffa richiudendo l'armadio con attenzione, salendo quindi sul letto. Azrael è ancora in bagno e lei si sente stanca. Lo aspetta raggomitolata sulle lenzuola e crogiolandosi nella sensazione d'esser abbracciata da lui. Immagina che quella camicia altro non sia che la pelle dell'altro, chiudendo gli occhi quasi le pare di poter sentire il suo respiro sul collo così avvolta dal suo odore. Esso viene dall'indumento, dai cuscini, dalle lenzuola. Ogni cosa, in quella stanza, le parla di lui. Il suo Azrael... Alla fine avverte il suono della porta che si apre e di soprassalto apre gli occhi rendendosi conto che stava per addormentarsi. O forse si era addormentata davvero, non lo sa, non ne è sicura. Vede il ragazzo avanzare per la stanza con i fumi della doccia appena fatta ad accompagnarlo, i capelli umidi sul capo a venir scossi ed asciugati dal cappuccio dell'accappatoio. Non parla, sembra piuttosto pensieroso e Kaori lo segue con lo sguardo fino a quando non lo vede sedersi ai piedi del letto. A quel punto andrebbe alzandosi a sedere fra le lenzuola per poi gattonare piano verso di lui fermandosi alle sue spalle, tentando di portare il braccio sinistro a piegarsi dinnanzi al suo petto, la mancina ad afferrare la sua spalla dal davanti con le dita a sfiorarne il retro. Poggerebbe le labbra alla base del suo collo, lì ove i capelli umidi solleticano la sua pelle, sul piccolo lembo di pelle lasciato scoperto dall'accappatoio. < Ehi. > mormorerebbe la Hyuga stringendo il busto alla sua schiena, la voce bassa mentre inspira il profumo di lui. < Cosa c'è? > chiederebbe inclinando ora il capo sulla sua spalla così da ricercare le iridi d'onice del Nara, il suo sguardo profondo. < Ho preso in prestito una delle tue camicie visto che i miei vestiti sono... beh- da buttare. > sorride teneramente a mezza voce. < Spero non ti dispiaccia. > aggiunge, poco dopo, tacendo ora del tutto, lasciando che sia semplicemente Azrael ad avere la parola.

19:03 Azrael:
 Avvolto nelle morbide stoffe dell’accappatoio sente il calore e la consistenza della stoffa cullarlo in una sensazione di stasi, di rilassatezza totale. Talmente abituato a dormire da solo, che nemmeno si avvede della figura posta sul proprio letto, per quanto il candore della sua pelle contrasti col tessuto scuro delle lenzuola. Se ne resta seduto, immerso in quei pensieri che lo stanno – letteralmente – tormentando. Akedo, l’Akatsuki, Mekura, Ai, Ken, una serie di pensieri che, per via dell’assenza di chakra ad instaurare il contatto mentale tra di loro, non sarebbero udibili alla Hyuga. Per una volta, per la prima volta da quando le ha impresso il sigillo dell’empatia, le loro menti sono sciolte, libere di viaggiare sui propri binari senza incrociare quelli altrui. Sospira profondamente, quasi con l’istinto di distendersi sul materasso e lasciarsi andare al sonno, ma non sono di Morfeo le braccia che vanno ad accogliere la propria figura. rialzerebbe il capo di scatto, come se si fosse appena ricordato della presenza di u’altra personain quella camera. Volterebbe il capo a ricercarla, le labbra che teneramente s’incurverebbero in un dolce sorriso, portato dal breve contatto delle labbra di Kaori con a propria pelle, ancora ammorbidita dalla doccia appena fatta. < Ehi. > Le risponde di rimando, cercando coi propri occhi quelle brillanti perle incastonate nel viso della donna. Le mani correrebbero al proprio petto, per cingere tra le dita l’avambraccio della giovane che gli passa innanzi. Ne accarezzerebbe dolcemente la pelle nivea, fresca anch’essa di doccia. < Non preoccuparti per la camicia, non so se hai notato- non ho molta varietà d’abbigliamento. > Affermerebbe senza mai perdere quel tenero sorriso. In fondo, il proprio armadio è pieno di camicie di ogni tinta tra il bianco ed il nero, presenti in almeno tre copie di ognuna. Facile intuire i gusti del Nara in fatto di vestiario, insomma. < Va tutto bene, stavo solo-- > Riflettendo sul fatto che a breve potrei morire e lasciarti da sola. < --pensando. > Parole che non esprimono molto, nell’assenza del contatto mentale tra di loro. < Come va il lavoro per cui mi hai chiesto di non entrare nella tua adorabile testolina per giorni e giorn? Qualche nuovo criminale da far esplodere? > Domanderebbe infine, portando il discorso sul generico, allontanandosi da argomenti ben più pregnanti. Chissà se lei ci cascherà, chissà se lo conosce davvero così poco da non comprendere il proprio modo di parlare, di sviare e di controllare i discorsi perché vadano come si era predisposto.

19:38 Kaori:
 E' una situazione piuttosto strana quella che vede la Hyuga protagonista. Si sente rilassata, a suo agio su quel letto, eppure in qualche modo si sente al tempo stesso ospite. Ha timore a sfiorare qualcosa che non dovrebbe, di fare un passo di troppo in una casa che non è sua. Azrael non le ha mai imposto reali limiti nelle varie occasioni in cui le ha aperto le porte della propria dimora, anzi, è sempre stato piuttosto gentile ed accogliente. Nonostante tutto, però, il non sapere cosa i due siano davvero porta Kaori a sentirsi parzialmente estranea a quelle mura. Un ospite gradito, certo, ma con le ovvie e costanti limitazioni che un semplice ospite deve osservare in casa altrui per buona creanza. La sola idea di prendere in prestito una sua camicia l'ha piuttosto tormentata. Non aveva avuto il chiaro permesso di frugare fra le sue cose ma, al tempo stesso, l'idea di rimanere nuda in casa sua l'ha messa a disagio. Quel rapporto indistinto fra loro lascia piccole distanze che la fanno sentire fuori posto non appena il sorriso del Nara non è a portata di sguardo, pronto a rassicurarla. Così, nell'attesa di lui, si limita a farsi piccola piccola per non toccare niente e non invadere spazi che non le appartengono. L'attesa si protrae per un tempo indefinito che la vede anche chiudere le palpebre pesanti per diverso tempo fino a quando, finalmente, Azrael non è di ritorno. Le iridi bianche di Kaori seguono ogni suo movimento notando distintamente lo sguardo quasi perso del Dainin. Come se non l'avesse affatto notata, come se non fosse realmente presente in quel momento. S'accomoda silente portando la Hyuga a ricercare un contatto con lui, teneramente. L'abbraccia dalle spalle cingendolo con dolcezza, le loro voci ridotte a flebili sussurri che si disperdono nel silenzio penetrante della notte. Una risatina soffocata sale alle labbra della special quando il Nara fa riferimento al proprio stile portando la giovane a sentirsi intenerita di quel momento di leggerezza. < Mi piacciono i tuoi vestiti. > mormora lei sinceramente abbassando appena il capo così da poggiare le labbra contro la sua spalla, il naso a sfiorare il tessuto dell'accappatoio su di essa. < E poi le tue camicie sono dei pratici vestiti per me. > aggiunge, poco dopo, facendo riferimento alla grandezza delle vesti che ha indosso. Rimane silente così poggiata contro di lui, leggera, assonnata in un'atmosfera domestica che le fa tirare un interno sospiro di sollievo. Adesso che ha parlato con Mekura dei suoi sentimenti per lui si sente decisamente più leggera, più tranquilla, eppure al tempo stesso ancora non realizza come -effettivamente, lei si trovi realmente lì. Con Azrael. Un Azrael che le sembra quasi spento, mogio, assorto in pensieri che sembra non avere voglia di condividere con lei. Glissa bellamente la sua domanda con una risposta che non risponde affatto al suo quesito portando Kaori a rimanere silente sbattendo le palpebre con fare tranquillo. Solitamente il Nara mette le cose in chiaro senza troppi problemi eppure adesso le dà una risposta che non vuol dire di fatto molto; Kaori vorrebbe chiedere ma non vuole neppure soffocarlo quando semplicemente ha voglia di tenere dei pensieri per sé. Anche lei, dopotutto, ha i suoi segreti da tenere come ad esempio quello in risposta alla domanda che ora Azrael le rivolge con quel tenero sorriso che lo fa apparire quasi un uomo qualunque. Un uomo come tanti, con forze e debolezze, invece che una leggenda assai vicina al divino. Kaori schiude le labbra boccheggiando per un istante, ritrovandosi a sorridere nervosamente contro la sua spalla. < Uhm ancora non saprei. Devo fare delle ricerche negli archivi domani per cercare dei vecchi documenti che potrebbero richiedere di essere rivisti. Sarà una lunga giornata. Dovrò chiederti ancora un po' di pazienza. > mormora lei cercando di nascondere il panico all'idea che l'altro possa volerne sapere di più. Non vuole mentirgli, ma nemmeno può dirgli la verità: come potrebbe dargli una speranza sulla possibilità di rivedere libera sua madre e poi strappargliela nel caso in cui il Consiglio dovesse non essere concorde con lei? Ha bisogno di mantenere il segreto fino a quando tutto non sarebbe andato in porto. < Azrael... > le labbra si scostano dalla sua spalla e la lingua va scivolando rapida fra le rosee per umettarle in un gesto rapido e involontario. < Sai che puoi parlarmi di qualunque cosa, vero? > domanda, a bassa voce, ricercando il suo sguardo. Cercherebbe di lasciar andare la presa sulla sua spalla per portare la mancina sul suo viso a carezzargli la gota ancora umida di doccia. < Non devi parlarmi di tutto. Va bene se teniamo delle cose per noi, ma-- ricorda che io ci sono. Per qualunque cosa puoi contare su di me. > gli rammenta con sguardo serio, lasciando scivolare il pollice sulla sua gota in lenti movimenti circolari. < Se posso aiutarti in qualcosa... dimmelo, e accorrerò da te. > sorride solo a questo punto distendendo gli estremi delle rosee verso l'esterno, tendendoli di poco verso l'alto in una espressione gentile, dolce, atta a volergli dire semplicemente che è libero di chiederle aiuto in qualsiasi momento per qualunque cosa possa presentarsi dinnanzi al suo cammino.

10:31 Azrael:
 Gli occhi scuri si perdono in quei lineamenti delicati, in quelle labbra piene poggiate sulla propria pelle, in quei grandi occhi di perla che – ogni volta – gli danno la sensazione di potersi perdere, abbandonarsi in una sicurezza che non ha mai conosciuto in altri momenti della propria amara esistenza. Ne ascolta le parole, da quelle più superficiali, quelle battute e quegli apprezzamenti sul proprio modo di vestire, sino a quelle un po’ più serie, riguardanti il lavoro, sino a quell’ultimo dire. La mano della Hyuga che si posa sul proprio viso. Socchiuderebbe gli occhi, le palpebre si abbasserebbero pesanti sullo sguardo scuro. Si risolleverebbero subito dopo, senza che le iridi siano puntate in quelle di Kaori. Vagherebbero lungo il profilo del letto, le lenzuola sfatte, le di lei labbra. Piuttosto incerta, quella serie di sguardi. Per nulla affine a quanto il Dainin rappresenta. Vorrebbe parargliene, vorrebbe aprirle la propria mente csì che lei stessa possa sbrogliare quei fili che si mischiano confusamente nella psiche del prodigio dei Nara. È roppo distratto per chiederle di più sul lavoro in Magione, nelle vesti di Consigliera. Troppo distratto per mormorare qualcosa che non sua più che un semplice e vago < Va bene, non c’è problema. > Assicurandole la propria assenza dai di lei pensieri, in quelle lunghe ed intense giornate di lavoro e fatica tra le varie scartoffie. Quel che più lo colpisce, però, è quella comprensione. Il capire, da parte di Kaori, quel di cui il Nara necessita da uno sguardo, da una parola detta o non detta, neanche pensata. Da un semplice non rivelare una risposta chiara o dal distogliere lo sguardo quando quegli occhi non vogliono rivelare quanto scritto a chiare lettere nella propria anima. Stringe gli occhi in due sottilissime fessure, prendendo un profondo sospiro, quasi frustrato. Perché tenerle nascosto quanto si scatena nella propria mente? Perché non dirle tutto e basta? Dopo averle rivelato l’appartenenza agli Anbu – non che ci fosse troppo da tenere nascosto, considerando il tatuaggio evidente sulla spalla , dopo averle rivelato la parte più oscura di sé, dopo averle mostrato Yami da una prospettiva più prossima, più vicina di quanto chiunque sia mai arrivato a vedere, dopo aver trattato dei sentimenti che li legano. Perché non riesce a dirlo? “Sono tornato per restare” Le aveva detto. Lo aveva promesso. È per questo che non riesce a metterla e mettersi davanti all’idea che lui, Azrael Nara, potrebbe non mantenere la parola data. Non per cattiveria, certo. Ma sarebbe comunque la rottura di un giuramento che sentiva davvero nell’istante in cui lo ha pronunciato. Le leve inferiori fanno forza per portarlo ad alzarsi, le braccia a frapporsi tra sé e l’abbraccio della Hyuga per svincolarsi alla presa delle di lei braccia. Si alzerebbe, dandole la schiena, avanzando qualche passo in direzione dell’armadio. Le mani correrebbero al volto, per passarvi i palmi e terminare in un intreccio frustrat della dita tra i folti capelli corvini. Espira rumorosamente, colto da un attimo di profonda insicurezza ed indecisione, emozioni che non gli si addicono per nulla. Deve saperlo. Deve essere partecipe anche di quel lato della propria vita. Se ha deciso di donarsi totalmente a lei non v’è motivo per non pronunciare quelle parole, irrompendo forti – ma basse – nel silenzio che sta addensandosi nella sanza. < Io-- > Si volterebbe adesso, per sforzarsi di puntare le iridi scure in quelle color perla. Il coraggio di terminare quel breve dire lo irradierebbe nell’attimo stesso in cui quei due sguardi si fossero incrociati. < --sono Azrael Nara. Dainin della Foglia, figlio di Khalux Nara-- > Tutte cose che la ragazza già sa, che potrebbe pensare siano, semplicemente, un rivangare i propri onorevoli natali, le proprie eroiche gesta, ma c’è di più. C’è qualcosa che non le ha mai detto apertamente, che forse lei avrà già capito, ma che ora ha assunto un peso diverso. < -- Anulare destro dell’Alba. > Si fermerebbe, a questo punto. Studierebbe ogni reazione proveniente dall’altrui viso prima di lasciar penzolare le braccia molli lungo i fianchi ed abbassare il capo. Stanco, quasi arreso. Non aggiungerebbe altro, né una parola su Akendo, né sulle proprie reali intenzioni. Non per nasconderle alla Hyuga, ma perché – semplicemente – ancora non è certo neanche lui di quel che ha intenzione di fare. Quale che sia la decisione, però, potrebbe non essere portata a compimento, data la probabile decisione del possessore del Rinnegan di punire la sparizione del suo Anulare con la pena più alta.

11:05 Kaori:
 Se da un lato la Hyuga si sente sollevata dall'assenza di domande da parte di Azrael circa il suo attuale operato in Magione, dall'altro la cosa un po' la impensierisce. E' felice che il Nara non stia cercando di capire a cosa Kaori sta lavorando in quei giorni visto che è qualcosa che lo riguarda così da vicino e che è così importante per lui, il fatto di non potergli dare risposte la logora e l'avrebbe messa in estrema difficoltà. Tuttavia nella semplice accondiscendenza dell'altro c'è qualcosa che stona. Una sfumatura malinconica, distratta, che porta la giovane a chiedersi se forse non siano ben altri i pensieri ad affollarsi attualmente nella sua testa. Pensieri non tanto felici quanto ci si aspetterebbe a seguito di una nottata come quella. Pensieri che lei non può immaginare e che non riesce a prevedere e che, per questo, la impensieriscono nel profondo. E' questo timore a spingerla a ricordargli che lei è lì. Ricordargli che qualunque difficoltà possa porsi dinnanzi a loro, lei sarebbe sempre stata al suo fianco per affrontarla con lui. Non chiede cosa ci sia che non va, non pone domande. Non vuole forzare l'altro a parlare se non se la sente, ma vuole solamente donargli la consapevolezza di non essere solo. Non più. Mai più. Ed Azrael l'ascolta, tace, distogliendo da lei lo sguardo con un fare schivo e sfuggevole che la porta a sentirsi impotente. Odia vedere il tormento nei suoi occhi e odia quel sentirsi inutile ed incapace di aiutarlo. Se in principio era solo leggera apprensione quella che le stava covando dentro, adesso è autentica preoccupazione. Il Nara scioglie l'abbraccio della ragazza attorno a sé e, silente, si leva in piedi muovendo pochi passi verso l'armadio e semplicemente va passandosi le mani fra i capelli, quasi soppesando delle possibilità che per lei appaiono adesso illeggibili. L'osserva in silenzio, a labbra schiuse, con le ginocchia puntellate sul materasso e le mani abbandonate fra le gambe, sulle lenzuola, la larga camicia bianca a coprirla come fosse una bambolina di porcellana. L'osserva paziente, attenta, fino a quando non lo vede voltarsi verso di sé con una nuova risoluzione a brillargli nelle iridi buie. Parla, si ripresenta sorprendendo la special con quel principiare ma senza venir mai interrotto da lei. Prende solo una breve pausa prima di aggiungere qualcosa di nuovo e che Kaori ha solo una volta sospettato anni addietro. Azrael è un membro dell'Akatsuki. L'anulare destro. Lo confessa come fosse una grave colpa, un pesante fardello. Lo confessa con abbandono, quasi arrendevole, come un animale incatenato alla sua gabbia. Le braccia molli, inermi, il capo basso. Kaori non comprende. < Okay. > mormora semplicemente, dopo diversi attimi di denso silenzio, inspirando. Lascia scivolare le gambe sottili oltre il bordo del letto, ponendosi in piedi sul pavimento. I lunghi capelli viola, leggermente scompigliati, l'avvolgono come un mantello e l'ampia camicia bianca di Azrael la copre a tratti lasciando scoperti alcuni lembi di pelle bianca. La spalla sinistra è nuda, la stoffa a scivolare troppo larga oltre la curva del braccio, il basso ventre è coperto dai pochi bottoni opportunamente infilati nelle rispettive asole. Uno scollo generoso, innocente, mostra lo sterno e parte del seno mentre le gambe sono nude da mezza coscia fino ai piedi scalzi. Qualche ciocca fuggiasca le ricade lungo le spalle, spettinata, dandole l'aria di una ragazzina vulnerabile ed innocente. Muoverebbe lei pochi passi così da raggiungere l'altro, frontalmente, senza però toccarlo per timore di fare un movimento troppo brusco dinnanzi ad una creatura fragile e spaventata. < E cos'è a preoccuparti tanto? > domanda lei assottigliando appena lo sguardo, timorosa, cercando di comprendere i processi mentali dietro le iridi scure dell'altro. Ha conosciuto tanti membri dell'Akatsuki fino a quel momento, la cosa non l'ha mai sconvolta: perchè avrebbe dovuto? Per questo non comprende come mai la notizia sembra quasi dilaniare l'altro in quel frangente. < Non è mica un crimine... > mormora lei inclinando appena il viso, cautamente, cercando di capire, di mostrargli come niente sia cambiato per lei al sapere quell'ulteriore verità. Azrael è ancora il suo Azrael e non pensa meglio o peggio di lui ora che lo riconosce come membro dell'Alba. E' ancora la stessa e identica persona che ha avuto accanto poco prima. Non sa quali sono le regole all'interno dell'organizzazione, non sa cosa comporti essere uno dei guerrieri al comando di Akendo e per questo non sa cos'è che ora si ritrova a pungolare così fastidiosamente l'animo e la coscienza del Nara.

11:48 Azrael:
 Non è la propria appartenenza all’organizzazione Alba, quello che vuole comunicarle. Non è la corrispondenza di generazione con Itach Uchiha, non è la sottomissione alla guida di Akendo. Non proprio. Non è quello che gli sta premendo sul fondo della gola. Non è quello, ciò che voleva e doveva realmente dirle. Le parole ed i gesti della Hyuga giungono, teneri, dolci ed amorevoli, ma il Nara non sa cosa rispondere. Lo sguardo perso nel vuoto, come se neanche la vedesse, le iridi buie a rispecchiar davvero il cielo di una notte senza Luna e senza stelle. Solo- tenebre. Non u singolo muscolo viene mosso in direzione di Kaori, le palpebre s’abbassano e si alzano sulle iridi d’onice in vari, lenti battiti. Le labbra ridotte ad una linea dura, sottile. Non u sorriso ad incurvarle, non un sospiro a schiuderle prima di proseguire con quello che – davvero – lo sta preoccupando al punto tale da fargli sentire un macigno gravare sul petto. < Dall’Akatsuki non si esce. da Akendo- > La mancina a stringersi a pugno in un movimento di forte frustrazione. È di un suo amico, che sta parlando. Prima ancora del proprio capo corporazione. Non è il possessore del Rinnegan, è soltanto Akendo. Ma, stando a quanto detto dalla stessa Mekura, proprio quell’uomo potrebbe avere intenzione di ucciderlo, puirlo ingiustamente per un’assenza forzata, ma che comunque lo ha tenuto lontano. Dall’esterno appare come un disertore, non un combattente che tiene davvero alla parola data, al giuramento portato al pollice destro. < -non si scappa. > Terminerebbe, dunque, rilasciando la presa delle unghie sul palmo, rilassando la mano che torna molle a sfiorare il morbido tessuto dell’accappatoio. < Che io voglia o meno continuare a stare nell’Alba, dovrò confrontarmi con lui e- temo… > Volterebbe il viso sulla sinistra, a fissare un punto lontano dalla Hyuga, una porzione anonima di pavimento, per escluderla dal proprio campo visivo, per non dover sostenere il di lei sguardo nell’ammettere quella innegabile verità < …temo non finirà bene. > Pronuncerebbe, quidi, alla fine. Colpevole, consapevole del fatto che quelle parole sono giunte all’improvviso, come un fulmine a squarciare i cieli di una giornata tersa e priva di nuvole. La ferirà, quasi certamente. Potrebbe addirittura andar via, la comprenderebbe. Comprenderebbe a pieno la possibilità che lei si arrabbi, che ce l’abbia a morte con lui per esser tornato, aver preso parte nella sua vita e poi- e poi questo. Sarebbe più che comprendibile pensare che l’unica risposta plausibile ad una tale concatenazione di eventi sia un sonoro schiaffo in faccia e nulla più. Non si tratta d’avere o meno paura del Dainin, del Sadico, di Yami o di chissà cosa. Si tratta solo del fatto che, dall’altrui punto di vista, quel comportamento potrebbe suonare come una presa in giro. Non ha i mezzi per comunicarle mentalmente quanto, invece, sia tutt’altro. Quanto ha pensato di abbandonare l’Akatsuki per tornare a Konoha e stare con lei, quanto romperebbe qualunque promessa e qualunque parola data, per farla sorridere. Quanto desidera vivere ancora, per lei. E non ha nemmeno le forze per esporre quel messaggio a parole. La gola chiusa, la bocca secca, il respiro corto. Le labbra schiuse, ora, alla ricerca di aria che non pare gonfiar davvero i propri polmoni. Gli occhi andrebbero a richiudersi e la mascella a contrarsi in un moto di impotenza. Non è solito essere in assenza di forze. Che sia per parlare, per combattere o a qualunque altro scopo. Eppure, in quel momento, sente d’essere l’ultimo uomo sulla faccia della terra. Spento e privo di forze. Un verme strisciante nel terriccio fangoso. Semplicemente- nulla.

12:21 Kaori:
 Il tempo s'è fermato e la Terra ha smesso di girare. La pioggia batte contro le finestre, imperversa, ancora, instancabile. Non v'è luna, non una stella. Solo il perpetuo oblio ed il silenzio di respiri lenti che si susseguono tesi. E si vanifica la leggerezza di quell'amplesso che li ha uniti e li ha legati. Si disperde nell'etere la dolcezza di quei graffi che hanno scavato nelle loro carni e resta solo una tensione densa e palpabile, un assordante caos di parole non dette, di sottintesi poco chiari. Grava fra loro il peso di responsabilità senza nome e v'è il delicato equilibrio di due anime che lottano per tenersi strette. Voler sapere. Non chiedere. Incoraggiare. Dar spazio. Un continuo scontrarsi di contrari che cozzano duramente l'un con l'altro. Quel volerlo tirare a sé e il conseguenze tenerlo distante per non invadere quell'area di cui egli ha bisogno per respirare e pensare. Distano un passo soltanto, Azrael e Kaori, eppure v'è una parete di vetro impenetrabile a dividerli. Le loro mani si abbandonano tremanti contro quella lastra e paiono quasi incontrarsi senza tuttavia potersi sfiorare. Vorrebbero. Ma osano. Perchè temono che tirare l'altro a sé possa fargli semplicemente del male, perchè l'egoistico bisogno di non lasciarsi andare potrebbe non essere la migliore soluzione per l'altra persona. E allora il timore di ferirlo, di ferirla, semplicemente- li blocca. E entrambi restano immobili sull'orlo di un confine pericoloso delimitato da lingue di fuoco danzanti. Azrael chiosa, infine, con un vociare lento e cadenzato, arrendevole, che porta la Hyuga a comprendere cosa lo stia adesso logorando. Schiude le labbra trattenendo il respiro, sentendosi precipitare dalla prospettiva di quella situazione. Azrael avrebbe dovuto incontrare Akendo dopo esser svanito per anni. Akendo potrebbe vedere la sua assenza come una fuga. Un tradimento. Potrebbe punirlo per questo. Il bagliore violaceo di quelle divine iridi concentriche pervade i suoi sensi e la paura striscia gelida nelle vene. La paralizza, la porta a fissarlo senza vederlo quasi senza rendersi conto di come egli non sia neppur capace di portare su lei i propri occhi. Azrael. Il suo Azrael. In pericolo. Potrebbe perderlo. No. No. E' l'unica parola che la sua mente è capace di processare, l'unica parola che è capace di formulare. No. Non vuole. Non può. Ma non può impedirlo. E' impotente. Inutile. Debole. E vorrebbe piangere, vorrebbe tenerlo a sé ed impedirgli di andare. Fare i capricci come una bambina incapace di lasciar partire il suo affetto più caro, ma non ci riesce. Congelata in un eterno istante di tempo dal terrore di quella consapevolezza. Rimane immobile, silente, per un tempo infinito a crogiolarsi nella paura di quella prospettiva prima di riuscire a riscuotersi. Non può concedersi di avere paura. Non lei. Non quando tutto ciò di cui Azrael ha bisogno è che qualcuno creda nella sua salvezza proprio ora che lui per primo non ce la fa. Deve essere forte. Per se stessa. Per lui. Essere l'appoggio di cui necessita per affrontare quella sfida, quella prova. Essere la roccia alla quale sostenersi nei momenti più duri. Sì. Deve farlo. Non dice nulla, inspirando dalle piccole narici e quindi si volta dandogli le spalle. Aggira il letto e senza dire una sola parola va risistemando le lenzuola sfatte muovendosi come se l'altro non fosse neppure presente. Non guarda Azrael, non dice alcunché. Semplicemente si muove, da un lato all'altro del talamo per risistemarne la forma e renderlo nuovamente accogliente. Ne scosta solo a quel punto le lenzuola cremisi infilandosi sotto di esse, scoperchiando l'altro lato del materasso della copertura rossa del tessuto. Solo allora, tranquilla, solleva le iridi perlacee sulla figura del Nara allungando verso lui le leve superiori, i palmi all'insù, le dita mollemente tese verso di lui in un cenno invitante. < Vieni qui. > lo esorterebbe con tono serio, basso, deglutendo. Nasconde la paura, nasconde il timore, il *terrore* e ostenta tutta la sicurezza di cui è capace, tutta la calma che riesce ad imprimere nella voce. Con le mani lascia intendere all'altro di sistemarsi accanto a lei, di trovar rifugio fra le sue braccia, sul suo petto. Non abbandona la sua figura con le iridi color perla e attenderebbe, semplicemente, che Azrael si accomodi accanto a lei per tentare dunque di cingerlo fra le sue braccia, di portare il suo capo ad abbandonarsi sulla propria spalla, le dita a sfiorargli i capelli scuri, umidi di pioggia, in carezze lente e premurose. < Akendo ti ha voluto al suo fianco. Ti ha scelto come suo Anulare. Sei Azrael Nara e soltanto uno sciocco non vorrebbe averti nelle sue schiere. > principierebbe col dire lei, allora, tentando quasi di rassicurare persino se stessa con quel dire, oltre che il Dainin. < E noi sappiamo che lui non è uno sciocco. Non si priverà di te senza un valido motivo. > continua lei deglutendo, respirando a fondo, cercando di mantenere la voce stabile, cercando di non tremare mentre tenterebbe di proseguire in quelle lente carezze sul capo del moro se l'altro avesse voluto trovar riparo nella sua stretta, contro il suo corpo. < Non lo hai tradito. Lo capirà. E tu-- > la voce solo allora, delicata, s'affievolisce con timore. < --tu tornerai. Tornerai. > mormora con voce flebile, spezzata, mentre il cuore le si contrae nel petto e gli occhi pizzicano brucianti, lucidi. Non piange, non cede, trattiene stoicamente la paura ricacciandola in fondo allo stomaco con ostinazione. Forte. Ha bisogno di essere forte. Per lui. E questo è un incentivo sufficiente a farle tirar fuori tutta la forza che possiede. < Io lo so che tornerai. E aspetterò. > annuisce, piano, con un movimento leggermente rigido, meccanico, nel disperato tentativo di convincersi di quelle parole, affidando ad esse ogni sua speranza, tutta la propria fede. Se c'è qualcosa al mondo nella quale crede è proprio lui, è proprio Azrael.

16:54 Azrael:
 Ha più e più volte posato lo sguardo in quelle iridi concentriche. Nei violacei occhi di Dio. Ha persino combattuto al suo fianco, contro Kuugo, ha potuto vedere il potere del Rinnegan da vicino. Ha potuto scorgere frammenti dell’animo del Seiun in tre lunghi anni in cui sono stati eremiti assieme nel deserto di Suna. Ha persino potuto scorgere l’amore ammorbidire i gelidi tratti di quel volto che richiama a sé il ricordo di Madara. Il figlio del Kami, pollice destro, possessore del Rinnegan. L’uomo a cui deve tutto, che lo ha aiutato quando aveva più bisogno, un uomo per cui avrebbe sempre e comunque fatto si ttto, asservendosi completamente al suo volere, un uomo che non ha mai esato di associare alla malevola figura di Shin, che governò l’Akatsuki prima di lui. Una figura in cui non ha mai visto un pericolo né per se stesso, né per le persone che ama. Come egli stesso gli assicurò, lasciando che il nara si fidasse ciecamente di lui, desiderava ardentemente averlo nelle proprie schiere, nel proprio esercito, senza che la cosa si interponesse al codice morale del Dainin. Difenderò sempre e comunque Konoha ed i Konohani, gli disse all’epoca. Quello che ricevette fu un rassicurante invito ad entrare nell’organizzazione Alba, quando sarebbe venuto il momento. E la pace. L’equilibrio. Sensazione di cui, ora, non ha più bisogno. Che non trova nella figura del Rikudo Sennin, ma in se stesso. Non sa neppure se ancora vale quella promessa, quel tacito accordo di non belligeranza nei confronti della Foglia. Non sa se sussistono ancora i motivi che gli consentivano di far sfoggio dell’anello che appartenne ad Itachi Uchiha. I pensieri si affollano nella mente del nara, una mete da sempre famosa per la propria freddezza, per la capacità di calcolo, di strategia. Ora soltanto ridotta ad una psiche confusa, affollata di elucubrazioni ed allo stesso tempo sgombra e vuota. Non s’avvede da subito del fare della Hyuga, ma il silenzio che si addensa tra loro diventa a dir poco assordante. Rialza gli occhi e non v’è più la figura della ragazza che ha amato e che ha avuto nelle ore precedenti, non è più dietro quella immaginaria parete di vetro che pare li tenesse divisi. È lontana, prossima al letto. Lo sistema, lo ricompone in modo da renderlo adatto a distendersi. Ed Azrael, semplicemente, non capisce. Non comprende bene qual è il suo obiettivo. L’ha vista piangere e soffrire, quando minacciava d’andar via in preda alle paure che il solo pensiero di starsi legando a lei lo tormentavano. Adesso, invece, nulla. Non una parola, non una lacrima, non una reazione. Schiude le labbra in un sibilo che vorrebbe dar forma a delle parole, ma che altro non esprime se non un timido respiro spezzato. Vorrebbe chiederle cosa sta facendo, domandarle cosa pensa di quella situazione o anche solo chiamare il suo nome. Stringerla, abbracciarla, baciarla. Ma nulla di tutto ciò accade o potrebbe accadere in quegli interminabili attimi che le occorrono per risistemare le lenzuola scarlatte. Il capo del Dainin si china leggermente sulla sinistra, rasentando la spalla coperta dal’accappatoio. La tipica posizione di quando non comprende, di quando è curioso. Eppure, ancora una volta, le labbra non si incurvano in alcun sorriso tenero o giocoso. Una semplice linea quella formata dalle labbra da cui non esce alcunché. Le narici ad allargarsi alla ricerca di aria che non serve a cessare quel bruciore che, nel petto, gli preme e gli schiaccia i polmoni, il cuore. Le iridi buie ed incupite dalla tristezza, dalla malinconia, dalla rabbia e dalla paura la seguono. Seguono i movimenti di Kaori nell’atto di aggirare il letto e dare un ordine al talamo su cui hanno giaciuto solo poco prima. Cerca le sue iridi, ma lei non lo sta guardando. Non trova sollievo nello sguardo di perla della donna che – inutile e ridicolo non ammetterlo – ama. Edè solo dopo aver preso posto al di soto delle lenzuola, che gli rivolge uno sguardo e la mano. Una mano che lo invita ad avvicinarsi ancor prima della voce. Un tono sicuro, deciso, che le ha sentito più volte adottare quando aveva intenzione di dirgli che non sarebbe scappata, che non aveva paura, che voleva gettarsi in quell’immaginario dirupo buio e senza fine in sua compagnia, mano nella mano. Le labbra si separano appena, i denti perdono la presa gli uni sugli altri. Espira profondamente, sibila in quel poco spazio appena aperto il poco ossigeno che alberga nei suoi polmoni vuoti ed ardenti. Richiama a sé la propria presenza, la sua Kaori. Come potrebbe non raggiungerla? Come potrebbe non ricercare nuova aria da immettere nel proprio corpo? Come potrebbe essere così arrogante da pensare di poter vivere un attimo di più senza dar possibilità al proprio cuore di battere? Non può. Semplicemente, non può. Per questo le leve inferiori del Nara lo portano quasi istintivamente verso il letto. Silente, assorto, rapito dai pensieri e dalla figura della Hyuga. Così bella, avvolta in quella camicia bianca e da quelle lenzuola cremisi. Un angelo. Il suo angelo. Arrivato al bordo del materasso, dal lato scoperto per accoglierlo, per far sì che possa accomodarsi tra le braccia della donna che ama. La mancina va scivolando per liberare la spalla opposta dalla copertura dell’accappatoio, la destra fa subito lo stesso gesto, lasciando ricadere le stoffe umide sul parquet. Così. Totalmente nudo e scoperto, va raccogliendo il corredo scarlatto per coprirsi e stendersi di fianco a lei. Il capo andrebbe a portata della Hyuga, i capelli vengono smossi da quelle dolci carezze. Il mare agitato dalle emozioni confuse ed irrefrenabili si tranquillizzano al suono della voce di kaori, a quelle tenere rassicurazioni. Il canto di una sirena che guida un naufrago perso, ma non verso la morte, verso gli scogli, ma verso la calma e la tranquillità. E l’oceano, così, si calma. Si appiattisce. Le palpebre calano sugli occhi scuri, leggermente velate di profonda tristezza, rassegnazione. No, non è la paura che Akendo possa considerarlo come un disertore, un vile, un traditore.è piuttosto sicuro di riuscire a spiegare le proprie motivazioni. È un altro il motivo che lo porta a pensare che quella rimpatriata potrebbe finire nel più tragico dei modi. < Io-- > Mormorerebbe, inalando a fondo il proprio profumo misto a quello di Kaori. < --non è per il timore di non essere capito che credo di non tornare. È perché non andrò da lui con l’intento di rientrare tra le sue schiere. > Prosegue, allungando la mancina a carezzarle debolmente il fianco, sfiorandone la curva con la punta delle dita, con le unghie. < Voglio restare qui. Il mio posto è qui. > A Konoha? No. O meglio, sì- ma non è quello che intende in questo momento. < Con te. > Terminerebbe, precisando quanto si senta appartenente alla donna che lo sta stringendo tra le braccia, che lo sta mantenendo saldo al piano materiale, alla Terra stessa.

18:57 Kaori:
 Sta cercando di non pensarci. Sta scacciando quell'idea con tutta se stessa. Sta cercando di non permettersi neppure per un istante di pensare che Azrael potrebbe non tornare. In maniera definitiva. Non può permettersi di pensare ad una simile possibilità, il suo cuore -ne è certa- non potrebbe reggere un simile dolore. Se la morte di suo padre in passato l'ha spezzata, l'eventuale dipartita del Nara potrebbe, definitivamente, devastarla. Non lasciare altro che frammenti insanabili della fu Kaori. Come potrebbe rincuorarlo? Come potrebbe non temere la minaccia costituita da Akendo Seiun, possessore del Rinnegan? Come potrebbe dirgli di non temere il mistico potere di un Dio? Sarebbe una sciocca e una ipocrita a dirgli di non aver paura, a dirgli che tutto sarebbe andato per il meglio. Cerca con tutta se stessa d'aggrapparsi alla fredda logica dei fatti. Akendo non potrebbe mai privarsi di una pedina così utile e potente come Azrael, sarebbe davvero uno stupido a non riaccoglierlo dopo che il Nara gli avesse spiegato i motivi della sua forzata assenza. Non riesce minimamente a cogliere il motivo dietro le preoccupazioni del Dainin. Non si aspetta affatto l'arrivo di quella rivelazione: come potrebbe? Per quanto non sottovaluti affatto il sincero affetto che l'altro nutre nei suoi riguardi, non può fare a meno di avvertire l'impossibilità della possibilità di essere il motivo di un tale mutamento nella sua vita. Lei è solo-- Kaori. Piccola, insignificante, debole. Una ragazza senza pretese, senza grandi pregi se non la sfacciata fortuna d'esser stata vista da lui. Nella sua mente non riesce ad immaginare di essere l'ancora che tiene legato il Nara alla Foglia, più del suo stesso amore per la propria patria. Non riesce ad accettare l'idea che quella venerazione sempre presente in ogni suo sguardo, in ogni suo più misurato gesto, sia autentica e genuina. Sconfinata. Come potrebbe, un uomo come lui, dipendere a tal punto da qualcuno come lei? Qualcuno di così-- anonimo? Ordinario? Il pensiero neppure sfiora la sua mente, troppo profondamente convinta di non valere abbastanza per essere beneficiaria di tanta fortuna, e quindi la porta a non capire totalmente i timori di lui. Azrael accoglie l'invito della Hyuga avvicinandosi al letto. Si sveste di quell'accappatoio bianco andando ad infilarsi sotto le lenzuola cremisi che la ragazza stessa ha appena risistemato. Ancora un po' umide, stropicciate, ma calde. Scivola al suo posto andando a distendersi contro la giovane, permettendole di carezzargli il crine corvino che, morbido, umido, le scivola fra le falangi affusolate. Kaori lo stringe a sé, carezza il suo capo con dolcezza, con tenerezza, come una mamma che culla il proprio bambino. Tenta di rassicurarlo, tenta di infondergli forza, coraggio, di convincere l'altro delle motivazioni per cui Akendo non dovrebbe volerne la morte. Ma quando Azrael schiude le rosee per parlare una volta ancora, Kaori si ritrova a sentire il cuore farsi pesante nel suo petto. Avverte la mano del Nara cingerle i fianchi, scivolare sulle curve del suo corpo, innocentemente, solo per stringerla a sé come per non farla sfuggire. Vuole rimanere a Konoha. Permanentemente. Con lei. E i battiti della Hyuga si susseguono violenti nei polsi, nella gola, nelle tempie, nelle orecchie. La mente si fa ovattata i suoni distanti. Le mani si fermano in quel lento carezzare mentre lei par quasi smettere di funzionare. A labbra schiuse osserva un punto imprecisato dinnanzi a sé sentendo il mondo vorticare attorno a sé ad estrema velocità. La nausea le sale violenta alla gola, l'aria viene respinta dalle labbra immobili e i polmoni bruciano, vuoti, alla ricerca d'ossigeno. Si sente paralizzata, bloccata, esattamente a metà strada fra la più sottile felicità e la più profonda disperazione. Lui-- sarebbe pronto a capovolgere la sua vita, il suo futuro, per rimanere con lei. Le ha promesso di restare, le aveva detto che non aveva alcun motivo a tenerlo legato a Konoha la sera del loro secondo primo incontro. Eppure sentiva che non c'era altro posto al mondo dove volesse essere. Perchè lei era lì. Le ha promesso di rimanere, di non andarsene più. Ed ora si ritrova ad affrontare la morte per quel desiderio di non partire, di non assentarsi ancora dalla terra alla quale lei lo ha incatenato ancor più di quanto non lo fosse già in precedenza. < No. > la sua voce esce in un soffio sottile, quasi inudibile, mentre un lampo illumina ogni cosa di un bianco abbacinante per un rapidissimo istante. < Non-- non puoi. > continua lei, meccanicamente, scuotendo piano il capo con la stessa rigida mobilità di chi non è totalmente lucido. < Tu-- devi tornare da lui. Devi-- > "--vivere" pensa incapace di sillabare quella parola, senza sapere se l'altro la stia udendo oppure no in quel momento. Scuote la testa, a scatti, boccheggiando nervosamente, lo sguardo sbarrato mentre si sente adesso raggelare le viscere dalla prospettiva di quell'incontro. Si sente responsabile, si sente colpevole dei rischi che ora incombono sull'altrui capo. Sente essere propria la mano ch'ora regge, letale, la Spada di Damocle che pende sulla sua testa. Si scosta dal suo fianco per mettersi in ginocchio sul letto, il corpo ruotato verso di lui, l'espressione febbrile e folle di chi sta perdendo il senno e la ragione. Andrebbe a fissarlo con il fiato corto, le labbra tremanti, la voce spezzata. < S-se torni da lui andrà tutto bene. No? Potrai ancora stare qui, n-non starai sempre con loro. Mekura è sempre qui, anche lei è nell'Akatsuki! E Yukio? Yukio è l'Hasukage, non può nemmeno lasciarlo il suo Villaggio! > esclama Kaori quasi istericamente, le mani ad agitarsi nevrotiche attorno a sé, il respiro a spezzarsi mentre gli occhi si fanno luccicanti di lacrime trattenute. Le mani si levano a portarsi dinnanzi alle labbra, le dita a coprire persino il naso unendosi per le punte fra gli occhi colmi di gocce salate mentre il capo viene scosso rapidamente da un lato all'altro. < No, no, no, no, no, no, no. Non puoi... > piagnucola con la voce rotta, supplicante, impastata di pianto. Le dita andrebbero a scivolare dinnanzi a sé, a chiudersi a pugno, a posarsi contro l'altrui petto. < Ti prego... ti prego, ti prego, ti prego. Tu devi vivere. Tu-- tu devi vivere perchè se tu muori io--! > E si eleva il tono di voce, si fanno acute le parole mentre il pianto esplode in un fiume di lacrime amare. Le inondano il viso, righe di dolore a screziare la sua pelle d'avorio mentre la voce si blocca e il cuore le si spezza nel petto. Come può dirgli che se lui dovesse morire, lei morirebbe con lui? Come può dirgli che il solo pensiero la porta tanto vicina alla pazzia? L'aria le manca dalla gola, il corpo si contrae in conati secchi, vuoti, mentre le mani andrebbero a portarsi alla gola. Rantola, incapace di respirare, richiudendosi su se stessa col corpo, i capelli viola a scivolare ai lati del capo come una tenda sottile. Annaspa, soffoca, tenta di respirare mentre i singhiozzi la spezzano e la sconquassano per infiniti, terribili istanti. Vorrebbe solo dirgli di sì, di restare con lei, di non andare, di stringerla forte e non lasciarla andare via mai più dalle sue braccia. Vorrebbe dirgli che ovunque lui sia, lì è il di lei posto. Che sarebbe felice di averlo a Konoha, con sé. Che non c'è niente che desideri di più. Ma se l'idea di averlo con sé vuol dire rischiare la sua vita allora preferisce lasciarlo andare e chiedergli di vivere. Preferisce spezzarsi, spegnersi e rompersi piuttosto che accettare la possibilità di un mondo senza lui, senza il suo Azrael.

11:48 Azrael:
 Sospesi su di un filo sottilissimo, a tenersi in equilibrio al di sopra di un dirupo di cui non si vede il fondo, immerso nel buio di una tenebra che – con un solo passo falso – potrebbe inghiottirli entrambi. Fare un solo boccone delle loro anime rese più fragili da quel momento, da quelle poche e semplici parole. Ed il nara si sente rassicurato, rafforzato da quelle tenere carezze che gli passano tra le volute dei capelli ribelli, ancora umidi per la doccia. Potrebbe quasi addormentarsi, cullato dalla dolcezza dei gesti e delle attenzioni di kaori. Nonostante l’incombenza della morte, nonostante i propri sogni tormentati dal luccichio delle concentriche iridi viola del destino, di Dio. È questo l’effetto che Kaori gli fa, queste le reazioni che scatena nel proprio corpo, ammansendo ogni paura, ogni incertezza, ogni accezione negativa che tormenta un animo così incline al privarsi della speranza stessa riguardo la vita, il genere umano e la progressione degli eventi secondo i dettami che il Nara reputa giusti. Il respiro si calma, smette di fargli tremare il petto, le palpebre si abbassanoo pesantemente su quegli occhi ora più rilassati, più tranquilli. Il dolce abbraccio di Morfeo che sta sostituendosi a quello della Hyuga per trasportarlo in uno stato di bramata incoscienza, brevi e flebili raggi di sole che si fanno spazio tra le nebbie che offuscano la psiche del Dainin, finché- finché qualcosa non lo riscuote a forza da quell’estasiante sensazione di pace. E si ridesta, il Nara, sollevando il capo a puntare le iridi sul volto candido di quella donna che, con tanto sforzo, sta tentando di tenerlo saldo a delle certezze, a delle convinzioni, che gli sta infondendo coraggio con poche, morbide carezze. No? Cosa vuol dire no? Lo sguardo del giovane si fa interrogativo, quasi indagatorio nei confronti di una reazione che mai e poi mai si sarebbe aspettato. E nota l’espressione della Hyuga cambiare radicalmente, passare da una pace serafica in cui lo stava amabilmente trascinando a qualcosa di molto più insicuro, meccanico, incerto. Qualcosa che rivela tutto quello sforzo compiuto da lei sino a quell’istante per mantenere un barlume di speranza acceso tra i due. Le successive parole giungono alle orecchie di Azrael, lasciandolo di sasso. La presa sul di lei fianco a farsi molle, priva di spinta, priva di quella salda presa che stava disperatamente cercando di mantenere per trattenerla ancorata a sé. Non riesce a capire sin da subito cosa vogliono dire quei repentini gesti di diniego, quella parole di negazione, semplicemente- non capisce cosa Kaori gli sta chiedendo. Che non può, non deve andar via dall’Alba. Che deve rimanere tra le fila dell’esercito che il possessore del Rinnegan ha creato per una miriade di scopi che, data la natura enigmatica dell’uomo, lo stesso Anulare Destro non saprebbe enunciare con precisione. Le labbra si schiuderebbero nel vano tentativo di dire qualcosa che non esce sotto forma di parole, ma di un affaticato sospiro sibilato tra le rosee appena separate l’una dall’altra. Gli occhi sgranati e le sopracciglia appena corrucciate in un misto tra incapacità di comprendere e timore, invece, di aver capito perfettamente cosa la Hyuga ha intenzione di domandargli, quasi di imporgli. Quel che gli sta domandando è di andarsene di continuare a seguire qualunque percorso il Pollice Destro abbia intenzione di porgli innanzi, che sia con o senza di lei. Un singulto gli vibra in gola, nel seguire il gesto delle mani di kaori andarle al viso, coprendo il pianto che irrompe violento da quelle meravigliose perle candide, che macchia il niveo viso. E lui è lì, impotente, senza saper cosa fare con esattezza. Il pensiero di rassicurarla, di soddisdae quella folle richiesta, di pronunciare un secco “Va bene” lo sfiora per qualche lungo istante, mentre osserva in silenzio la donna che lo ha stravolto totalmente andare in pezzi, dar mostra di un’isteria di cui il nara è l’unica causa. Ma no. Non può. Quello che non può fare non è dire ad Akendo la verità, essere onesto e sincero con il Rikudo Sennin. Quello che non può fare è accontentare ed assecondare le parole che gli stanno giungendo alle orecchie i quel momento. Permane silente, durante tutto il processo, persino nel vederla agitare nervosamente le mani, dar sfogo all’oppressione che sente in gola con lacrime amare ed incontrollate, persino dirgli che – dovesse morire – lei non potrebbe che seguirlo. Resta attonito, lasciado semplicemente che quelle emozioni trovino sfogo in singhiozzi rotti, parole acuite dalla disperazione, gesti inconsulti e richieste prive di una vera e propria logica. Poi, alla fie, sorride. Un piccolo sorriso, di quelli che increspano appena le labbra. I lineamenti morbidi, gli occhi luminosi tutt’altro che di pianto. Parrebbe quasi felice, sollevato. L’aria uscirebbe a fiotti dalle narici in un piccolo risolino trattenuto che gli fa vibrare appena le rosee. Benché abbia i polmoni totalmente compressi dall’ansia, il cuore fermo ed – al tempo stesso – aritmico in una tachicardia sempre crescente, benché sul fondo della propria gola si celi un grumo di preoccupazioni e timori, il volto non è segnato da altro che da quel sorriso e quello sguardo intenerito. Non da Kaori, o meglio, non dalla reazione che ha appena visto, ma da una semplice consapevolezza che quelle parole così sinceramente portate al di lui orecchio hanno generato. Muoverebbe entrambe le mani a cercare quelle altrui, ripercorrendone gli avambracci e cingendone delicatamente i polsi per portarli rasenti alle proprie labbra. Labbra che, morbide, vanno a poggiarsi sui dorsi e sui palmi di kaori in qualche timido bacio appena accennato. Unirebbe i propri palmi a quelli che starebbe tenendo stretti – se lei non si sottraesse a quel gesto – ed intreccerebbe le proprie dita alle sue, lasciando che ricadano mollemente tra loro, sul materasso. < Ehi. > Richiamerebbe l’altrui attenzione, la voce ad uscire in soffi caldi, profondi e carichi di quella dolcezza che lei e soltanto lei sarebbe in grado di suscitargli. < Kaori. > Pronuncerebbe il suo nome lentamente, con fare pacato di chi ha da ammansire un animale ferito che non vuole farsi accarezzare o curare. Il tono che utilizza sempre quando ha intenzione di calamitare su di sé tutta l’attenzione, non per intento di affascinare, quanto più per far intendere alla persona con cui sta parlando le proprie emozioni, il proprio desiderio di aiutarla a star meglio. < Guardami. > Proeguirebbe, dunque, ricercandola con lo sguardo. Non tenta di asciugarle le lacrime, è più che giusto che scorrano, se ciò potrà aiutarla ad evitare di tenere dentro quelle sensazioni che premono con violenza nell’animo di entrambi. < Quel che fanno Mekura e Yukio non è affar mio. So solo che se un giorno il mio ruolo all’interno dell’Alba dovesse costringermi ad allontanarmi da te, non potrei che aver solo ritardato la mia fine. > Direbbe con estrema semplicità, analizzando la possibilità che gli ordini di Akendo e l’obbligo di scindere ogni legame col proprio villaggio, una volta indossato l’anello dell’Akatsuki, potrebbero portare il nara a dover scegliere tra l’onore e l’amore. È già capitato, in passato, che si trovasse a fare quell’infausta sceta, con esiti che lo hanno visto sempre e solo anteporre il proprio rigido codice morale agli interessi personali. Ma non adesso, non più. < E’ proprio perché la prospettiva che io possa parlargli, dirgli che voglio tornare a Konoha come ninja della Foglia ed, effettivamente, far ritorno sulle mie gambe sembra impossibile, che penso di potercela fare. > Si fermerebbe a questo punto, chinando il busto in avanti per poggiare la propria fronte su quella di kaori, la voce a ridursi ulteriormente a quello che non è più di un sussurro, anche più basso ed intimo di quanto potrebbe essere la comunicazione mentale di cui adesso non possono giovare. < Più di una volta una ragazza, una donna, colei a cui tengo di più a questo mondo, mi ha detto che io sono capace di compiere l’impossibile. > Tali sarebbero le parole che verrebbero sussurrate a fior di labbra, così sottili da interrompere a stento il silenzio che gli gravita attorno, appena udibili ad recchio umano, ma che mai potrebbero essere più sentite. < Non voglio vivere. Non alle condizioni che mi porterebbe il tornare con lui. Preferisco la morte, alla possibilità di passare il resto dei miei giorni senza di te. Te l’ho promesso, ti ho detto che sono tornato per restare. Non è una parola a cui non posso tener fede, perché-- > Perché Azrael Nara mantiene sempre le proprie promesse? In parte, solo in parte. Non è quella la motivazione che gli preme sul fondo della gola, non è quello il motivo che sente bruciare a fior di labbra, attendendo solo di uscire. Attendendo solo che la voce trovi forza per dar forma a quel concetto che, silente, sta bruciando nel petto di entrambi. Attimi, lunghi attimi di silenzio, in cui il Dainin non può che mantenere il contatto visivo con lei in quella perfetta giunzione di nero e bianco, di luce ed ombra, di Yin e Yang. Distinti, ma indivisibili. L’uno contenente in maniera indissolubile una piccola parte dell’altro, senza la quale – semplicemente – non può esistere. < Ti amo, Kaori. > Il tono a farsi più deciso, più sicuro in quella confessione che aleggiava da troppo tra di loro, ma che nessuno dei due aveva ancora trovato la forza di esternare totalmente, non in maniera così chiara, almeno. < Non serve che tu mi chieda di restare o di andar via. Un uomo non può andare tanto lontano e sperare di vivere a lungo, senza il proprio cuore. > Terminerebbe così il proprio discorso, il sorriso sempre ad aleggiare sulle labbra appena incurvate, il petto smosso da un battito che racconta tutto fuorché ansia, ma che scandisce solo quelle parole appena pronunciate, il nome della donna a cui ha appena concesso di entrare nella parte più profonda del proprio animo. La donna che ama. La sua Kaori.

18:06 Kaori:
 Tutto sembra privo di senso e logica dinnanzi alla possibilità di perdere Azrael. Tutto quello che è accaduto, tutto quello che ha vissuto fino a questo momento, ogni cosa le sembra svanire inghiottita da una oscurità densa e assoluta. Perchè? Perchè è arrivata fino a quel punto se adesso rischia di vedere il Dainin sparire per sempre dalla sua vita? Perchè è diventata una kunoichi? Perchè si è impegnata tanto per migliorare se non è neppure capace di salvare la gente che ama? Suo padre, morto ignobilmente per mano di una sua stessa compagna di clan allo scopo di dimostrare finta lealtà ad un uomo malato e perverso ed ora persino Azrael, costretto alla fedeltà nei riguardi d'un Dio che potrebbe non accettare il suo desiderio di tornare libero. Perchè è uscita viva da quel laboratorio? Perchè si è affannata tanto a sopravvivere se la sua vita non ha visto altro che uno stupro dopo l'altro anche al di fuori di quella cella bianca e fredda? Ha perso dapprima il futuro che aveva organizzato per se stessa con la perdita di Raido e della famiglia che con lui aveva tentato di creare e poi, adesso, si ritrova a fronteggiare la possibilità di veder svanire da un momento all'altro persino il Nara. Azrael, il ragazzo che per primo aveva creduto in lei nel momento in cui era più dubbiosa. Azrael, il Dainin che aveva visto in quell'allieva una speranza per il loro amato Villaggio. Azrael, il non dimenticato ritornato alla vita dopo aver battuto i propri demoni. Azrael che si è sempre ricordato di lei e che ha mantenuto ogni promessa fattale. Azrael che ha strappato pezzi di lei con inaudita dolcezza senza quasi che Kaori se ne rendesse conto. Azrael che ha preso posto in lei e ha posseduto, Re, il suo cuore. Azrael, il ragazzo di cui si è disperatamente, perdutamente, inconsciamente innamorata. Quella consapevolezza la spezza, la strazia, portandola a trovare inaccettabile l'idea di perderlo proprio ora che le sembra d'averlo trovato. Proprio ora che il suo cuore ha ripreso a battere dopo aver tanto a lungo sofferto per Raido e la sua incertezza, proprio ora che aveva assaggiato un po' di felicità, rischia di veder crollare tutto quanto nel peggiore dei modi. Non ce la fa. Non può sostenerlo, non può sopportare anche questo. E' arrabbiata. E' distrutta. Sente vanificati tutti i suoi sforzi, tutti i suoi giorni. Si sente semplicemente sommergere da una vita priva di significato dove alla fine dei conti tutto ciò che fai non ha valore perchè arriverà sempre una forza più grande di te a strapparti via tutto ciò che hai. Ed è disgustata da se stessa, si odia per questi suoi pensieri così egoistici ed egocentrici, per questo patetico crogiolarsi nella disperazione quando l'unico che dovrebbe venir consolato è lo stesso Azrael. Azrael che vorrebbe affrontare una collera divina solamente per rimanerle accanto. Solamente per lei. Ed è questa realizzazione che le dà la forza di reagire, di non lasciarsi precipitare totalmente nell'oblio del terrore e dell'arrendevolezza. Kaori cerca di farlo ragionare, cerca di indicargli la via più sicura. Non importa che non sarebbe tornato da lei, non importa che avrebbe potuto assentarsi da Konoha per settimane, mesi od anni: ciò che seriamente conta è che Azrael viva, che lo faccia al suo fianco o a distanza di miglia. Sapere che sarebbe stato bene, che sarebbe stato salvo le rende persino sopportabile il pensiero di non averlo accanto. Perderlo avrebbe voluto vivere una vita a metà, eternamente afflitta dalla mancanza di lui e dal logorante amore che prova per quell'uomo fatto di leggenda, ma con la consapevolezza che sarebbe stato vivo. Tanto le basta. E' la cosa più giusta da fare, è la scelta più assennata. Non vale la pena di morire per lei, non vale la pena di correre alcun rischio per il semplice desiderio di starle vicino. Lei non merita tanto, sicuramente non vale abbastanza da potersi lontanamente avvicinare ad eguagliare il valore della vita del Dainin. E allora piange, strepita e si dispera mentre legge nella voce altrui la serietà dei suoi intenti, di quel suo voler abbandonare il fianco del Possessore del Rinnegan per seguire la ragazza a Konoha. Stabilmente. Cerca di convincerlo a non farlo, cerca di pregarlo di non rischiare tanto, di fargli capire che rimanere assieme ad Akendo non avrebbe voluto dire per forza che per loro sarebbe stato impossibile continuare ad aversi, ma Azrael non chiosa verbo, allibito, limitandosi a vederla perdere il controllo e spezzarsi sotto i suoi occhi sorpresi. Kaori ha cercato di esser forte per entrambi, ha cercato di non mostrarsi debole perchè voleva essere un sostegno per il Nara, ma il prender coscienza della concreta possibilità di star vivendo con lui gli ultimi momenti che la vita ha messo loro a disposizione la strugge. E lei crolla e piange e soffoca, incapace di incanalare nuova aria a causa dei ripetuti singhiozzi che le scuotono le spalle. Ha paura. E' terrorizzata ed ogni cosa le sembra venir inghiottita dalle malevoli fauci di un fato avverso. Piange per un tempo indefinito, sconquassata dai singulti, col fiato corto, graffiandosi quasi la gola prima di sentirsi troppo stanca persino per disperarsi. Ed è allora che avvertirebbe le mani del Nara andare a risalirle gli avambracci -scoperti dalle maniche della camicia troppo larga, scivolate fino ai gomiti- fino a raggiungerle i polsi, per avviicnare i suoi palmi alle labbra e baciarli lentamente, teneramente in un contatto che le ferma il cuore e la porta a trattenere il respiro. Nessun singhiozzo, nessun singulto, niente sembra scuoterla ora se non il violento battito dolente d'un cuore straziato. Rialza lo sguardo con la vista offuscata dalle lacrime che, brucianti, continuano a fluire. Sente le loro dita intrecciarsi e, di riflesso, andrebbe a stringere la presa contro le falangi altrui come in un volersi aggrappare con disperazione al ragazzo. Le lacrime scivolano calde lungo il volto, le labbra tremano, i respiri si fanno appena più cauti mentre metterebbe a fuoco -con qualche difficoltà- la figura altrui. Ed Azrael muta lentamente espressione mostrandole un sorriso silenzioso, sereno, che lei non può proprio comprendere. “Perchè? Perchè sorridi?” vorrebbe chiedergli mentre il terrore le tratteiene la voce. Ma non lo fa, l'osserva sentendo la sua voce carezzarla, ricercare la sua attenzione. I loro sguardi s'incrociano e se sul viso della Hyuga è palese una disperazione profonda, sul volto del Nara altro non v'è che quieta consapevolezza. Una calma serafica, risoluta che Kaori non comprende e non accetta. Azrael chiosa, parla, le spiega i motivi dietro la sua scelta. Una scelta che lei gli ha chiesto di cambiare, che lo ha pregato di non fare ma che l'altro ha già sancito. Non sta a lei scegliere della vita del Nara, né a chiunque altro. A parte Akendo, apparentemente. Fino a quando qualcuno di più forte di lui non avesse deciso che è giunta la sua ora, è al Dainin soltanto che spetta decidere cosa fare dei propri giorni e l'altro par essere piuttosto convinto di volerli trascorrere nella piena libertà di poter scegliere da sé il proprio futuro. I propri compagni. Le lacrime si susseguono veloci, Kaori stringe le labbra tremanti trattenendo ulteriori proteste degne di una bambina. Capisce ciò che lui prova e al tempo stesso non capisce come non possa voler fare il possibile per sopravvivere e piange, piange incapace di frenarsi sentendosi estremamente piccola e insignificante e persa in quella stanza che potrebbe star vedendo per l'ultima volta. Avvolta da una camicia il cui profumo potrebbe svanire nel tempo come ultimo lascito di un uomo che ha amato in maniera così assoluta e totalizzante nel giro di poche settimane. Sente le lacrime cadere, i respiri rompersi fra le sue labbra mentre il viso di Azrael s'avvicina al proprio; le loro fronti si sfiorano, le loro rosee son vicine ma non alla ricerca d'un bacio. La voce di lui s'infrange contro il suo volto, contro la sua pelle, portandola a sgranare appena le iridi nel sentire quel suo ennesimo fare quasi giocoso. Cerca di tirarla su, cerca di farle forza tornando ad aggrapparsi ad uno dei temi ricorrenti della loro storia. Quel suo esser rimasta costantemente meravigliata dal suo compiere azioni impossibili. L'averlo sempre visto come qualcuno capace di realizzare l'irrealizzabile. E se fino a quel momento ha sempre creduto che Azrael potesse esser capace di sovvertire persino i cieli, perchè adesso -proprio adesso che ve n'è più bisogno- non riesce a credere nelle sue possibilità di vittoria? Perchè Azrael, ai suoi occhi è un uomo. Non una leggenda, non un guerriero, non un militare. Azrael è un uomo. Il bambino cresciuto solo e troppo in fretta, il giovane col passato costellato di relazioni senza importanza e amori infranti. L'uomo che sorride nel rivedere una vecchia amica mai dimenticata e che protegge chiunque ama. L'uomo che non dimentica. E cosa può un uomo, per quanto forte e determinato, contro il potere di Dio? E' questo a spaventarla, è questo a rendere amaro e straziato il suo sorriso. Ci prova, azzarda a smuovere le labbra in un riso confortato, ma non ci riesce; tutto ciò che mostra è una smorfia tremante travolta da lacrime salate. Stringe le dita contro quelle dell'altro, vibra di un pianto incontrollato abbandonando il viso contro il suo, la fronte contro quella di Azrael, spossata. < Azrael... > un sussurro spezzato, tremante, privo di energia quello che libera contro le sue labbra, quasi in una supplica incerta. Non sa cosa dire, non ha la forza di dire altro. Sa che per quanto possa supplicarlo Azrael ha preso la sua decisione e, se davvero l'ama, tutto ciò che può fare è rispettare il suo volere. Anche se fa male. Anche se potrebbe ucciderla. Deve farlo. Per lui. E ci prova. Ci prova davvero. Reprime e trattiene quelle preghiere, quel chiedergli di non rischiare tanto, soffoca ogni possibile polemica cercando di aver fede in lui e nelle sue capacità. Ma quando la sua voce giunge nuovamente al suo udito qualcosa accade e Kaori si ritrova a sentire il cuore bloccarsi nel petto. Le iridi si sgranano appena, le labbra si schiudono e persino le lacrime si fermano. Sente in quei pochi istanti di silenzio aleggiare qualcosa di importante, di grandioso, che calamita su di sé tutta l'attenzione della stanza. Rimane eternamente sospesa in un'aspettativa codarda, non osando sperare davvero in quello che potrebbe star arrivando. “Perchè? Perchè non puoi Azrael?” domanderebbe alla sua mente se solo lui potesse udirla, sentendo quell'ultima lacrima scivolare via dall'occhio sinistro, cadendo sulla propria coscia. E la risposta arriva come una deflagrazione inarrestabile. La bomba cade, esplode, brilla e annienta ogni cosa. La Hyuga trema, senza fiato, sentendo il dolore e la paura di quella conversazione venir contrastati dalla felicità di quell'ammissione, di quel sentimento che per giorni ha battuto violento nel suo cuore senza che trovasse la forza di esternarlo davvero. Sente Azrael parlarle, sorridente, con quella rassegnazione in volto che la uccide e la consola al tempo stesso. Non ha paura. Non sembra, almeno. Pare aver abbracciato le possibili conseguenze della sua scelta. Sembra risoluto e deciso nelle sue intenzioni e disposto a tutto pur di realizzarle. Persino a morire. A testa alta, con coraggio, senza il rimorso di non aver tentato. E Kaori lo ammira e lo ama e lo vorrebbe con sé ancor più di quanto non lo volesse prima. < Azrael... > sussurra ancora, fra nuove lacrime, tentando di sciogliere l'intreccio con le sue dita per drizzarsi sulle ginocchia e tentare di portar le mani al suo volto. Tenterebbe di guidare il suo capo ad incontrare il proprio, cercherebbe di portare le labbra sulle sue in un contatto rapido, disperato, tenero, come se stesse cercando di respirare dopo un prolungato periodo d'apnea. < Ti amo. > sussurrerebbe disgiungendo le loro labbra per una sola frazione di secondo, tentando dunque di ricongiungerle ancora in un secondo, rapido, disordinato bacio. < Ti amo. > E ancora, di nuovo, si scosterebbe per proclamare quell'amore sentito, troppo a lungo trattenuto. < Ti amo. > Un nuovo, ultimo bacio verrebbe lasciato sulle sue labbra prima di scostarsi e rimanere poggiata contro la sua fronte con le iridi perlacee a specchiarsi in quelle d'onie, le ciglia lunghe e nere bagnate di lacrime di fuoco. < E per questo vorrei chiederti di scappare. Vorrei chiederti di non andare, di rimanere qui dove potrei combattere al tuo fianco se necessario. > mormora lei con la voce bassa, tremante, ma appena più risoluta di quanto non lo fosse stata fino a quel momento. Il pianto frenato dall'urgenza di rivelargli quanto profondamente tenga a lui, quanto sinceramente sarebbe disposta a combattere al suo fianco persino contro un Dio. < E perchè ti amo so che non lo faresti. Che non fuggiresti. Che non chiederesti a nessuno di combattere una tua battaglia... > un sorriso malinconico, triste, le si apre sulle labbra mentre con dolcezza andrebbe a smuovere il pollice contro la sua gota in una lenta, tenera carezza. < E perchè ti amo devo impedirmi di seguirti. Devo lasciartelo fare da solo, perchè è quello che devi fare. Perchè ti rispetto, perchè-- credo nelle cose impossibili, e devo crederci anche questa volta. Soprattutto questa volta. > sussurra piano, espirando debolmente sulle sue labbra, per poi chiudere tremante le palpebre e riaprirle un istante più tardi a cercare il suo sguardo. < Torna da me, Azrael. Torna per me. > Una richiesta, una preghiera, un tremante ordine che Kaori tenterebbe di liberare contro le sue labbra prima di unirsi con le proprie alle sue in un ultimo, dolce, più quieto bacio. Nessuna fretta questa volta, nessun disordine, nessuna urgenza. Solo il lento e tenero bisogno di quel contatto, di suggellare quella promessa e soffocare ogni timore fra i loro respiri spezzati.

11:41 Azrael:
 C’è un certo qual senso di equilibrio in quell’alternanza di cedimento e di presa di coscienza. Un certo equilibrio in quella bilancia che pende ove i sentimenti dell’uno o dell’altra si posano, portando su o giù l’uno o l’altro piatto. E l’ago, in questo momento, è costituito da quella sottile confessione, quelle parole che svolazzavano attorno ai due già da un po’, premendo con forza contro le labbra, ogni volta che si avvicinavano. Un sentimento che li mette entrambi sullo stesso piano. Segue i movimenti di Kaori, rilassato ne lascia le mani per permetterle di portarle al di lei viso. Lo sguardo si addolcisce al sentirla parlare, le labbra incontrano le sue senza remore, senza timore. Una serie di baci leggeri, inframezzati dalla risposta a quanto il nara le ha appena ammesso. Lui la ama. Lei lo ama. E pende su entrambi quella spada di Damocle rappresentata dalla divina potenza del Rinnegan, l’arte oculare del Rikudo Sennin, ma non sembra pesare più così tanto. La mancina viaggerebbe al di lei volto, sfiorandone il mento con l’indice, quasi in una affettuosa presa in giro. < Lo so. > Soffierebbe, il respiro e la voce calda ad infrangersi contro quelle rosee che ha appena smesso di assaggiare in quella serie di baci salati, teneri, morbidi. < Andiamo, era evidente. Insomma, come non potresti. > Il tono ad incrinarsi di una soffocata risata, le labbra incurvate in un sorriso giocoso, snudando i denti bianchi e ben curati. Scherza per distendere quella tensione che li stava tenendo entrambi sospesi su di un oceano di oscura profondità. Non che non pensi davvero quel che ha appena detto, insmma, quante altre persone lo hanno amato nella propria vita? Innumerevoli. Eppure non è quello il punto. Non sta in quante persone gli hanno ammesso quel sentimento, ma in quante, di quelle, sono state ricambiate a quel modo. Con quella intensità, con quella sincerità. Kaori. Unicamente Kaori. Con Mekura era diverso; l’ha amata più di quanto avesse mai fatto prima, ma- era semplicemente diverso. Più difficle, più tortuoso il percorso che lo ha portato sino ad averla al proprio fianco. Solo dopo ha iniziato a sembrare più giusto. La donna che ha innanzi, invece, non riporta ostacoli davanti a sé. Una strada dritta, piana, che non solo è giusto percorrere, ma che sarebbe quanto mai sbagliato ignorare. È il semplice e naturale modo in cui devono andare le cose. Il Destino, per chi ci crede. < Sai che è inutile che tu mi chieda di cambiare idea o di venire con me. > Sottolineerebbe, riprendendo quanto la Hyuga gli ha appena detto. < Non sarei l’Azrael che conosci, se te lo permettessi, mh? > Volgerebbe il capo verso l’alto, posando le labbra sulla fronte di kaori, posandovi un ultimo bacio, restando lì per qualche interminabile istante, ad inspirare il suo odore. < Tornerò. Non posso promettertelo, ma stai certa che farò il possibile. Insomma, non è né la prima né l’ultima volta che vado incontro alla morte. Mi spiace averti fatto preoccupare. Andrà tutto bene. > Si scosterebbe solo a questo punto, soppesando la possibilità di dirle altro, di rivelarle un altro lato di sé. Se quella è una delle ultime notti che passeranno assieme, beh, non può che assecondare il desiderio di lasciarle qualcosa di concreto. Una parte indelebile di sé, che – ne è certo – lei terrà con cura. Si alzerebbe dal letto, andando nell’armadio per prendere un pantalone grigio chiaro, una semplice tuta, di quelle che indossa per stare in casa propria. Lo indosserebbe con estrema calma, dandole le spalle per qualche secondo. < Vorrei mostrarti una cosa. Ma- devi promettermi che, stavolta davvero, non scapperai. Tanto posso raggiungerti ovunque. > Le ricorderebbe nell’ennesima nota di scherzo, con l’ennesima battuta leggera. E così, a questo punto, si volterebbe nuovamente in sua direzione, per tenderle la mano ed aiutarla, eventualmente, ad alzarsi da quel letto.

16:00 Kaori:
 Dirglielo, ammetterlo, la priva di un peso enorme dal cuore. Lo ama. Lo ama con tutta se stessa, con tutto il cuore e finalmente è riuscita a far uscire quelle parole che da giorni ormai premevano per raggiungerlo. E forse è assurdo, forse è folle amarlo così intensamente dopo così poco tempo, ma è quello che sente, è quello che prova ed ora Azrael lo sa. E forse, a conti fatti, l'aveva sempre saputo. Come avrebbe potuto altrimenti giustificare il trasporto di ogni sguardo, d'ogni bacio? Quell'intesa, quell'unione che li ha legati fin da quei loro primi teneri incontri? Per quanto abbia tentato di nasconderlo e di non gridarlo, Kaori lo ha sempre saputo, dentro di sé. Di Azrael, lei, era perdutamente innamorata. Ed ora non può più ignorarlo, non può più nasconderlo, così prossima all'idea di poterlo perdere da un momento all'altro. La sola prospettiva la uccide ma rende il momento perfetto per rivelargli finalmente i propri sentimenti. Il Nara le sorride, le sfiora il viso e va cercando di smorzare quella densa atmosfera carica di tormento con quel tono leggero e giocoso che la giovane trova estremamente tenero. Le strappa una risatina smorzata, un semplice scuotere del capo come a voler dire "Ma ti sembra il momento?" che però le riempie lo sguardo di gratitudine. Le offre un appiglio per non annegare in quell'oceano di pessimismo e terrore che l'ha appena travolta ed assalita con violenza. < Scemo > commenta con tono tenero, dolce, con quella risatina accennata a smorzarle la voce, le labbra tremanti a schiudersi rivelando una candida fila di denti bianchi. Tira su col naso sentendo il respiro farsi appena più regolare, le lacrime a frenarsi, seccarsi sul viso arrossato, madido di pianto. E' grata per quella sua premura, per quel suo gentile scherzare atto a rassicurarla un po'. Sebbene sia perfettamente conscia della forza e della potenza del Nara, teme comunque il potere del Rinnegan e vorrebbe che l'altro non si ritrovi costretto a doverlo affrontare. L'idea di un ipotetico scontro fra quelle due titaniche forze le fa tremare l'anima di vivo terrore. Soprattutto, più di ogni altra cosa, l'idea di non poter combattere al suo fianco pronta a guardargli le spalle l'atterrisce. Preferirebbe affrontare la morte mano nella mano con lui che saperlo in pericolo da solo. Tuttavia è piuttosto convinta di conoscere l'altro abbastanza da sapere che Azrael è di tutt'altro avviso. Esattamente come lei gli ha già detto, lui le conferma che no, non le avrebbe permesso di seguirlo per rischiare la vita con lui. Non per mancanza di fiducia nei suoi riguardi, ne è certa, ma per mero desiderio di saperla al sicuro e di affrontare da solo quella che è la sua battaglia. Kaori annuisce, sconfitta, abbassando di poco il capo per poi espirare e carezzare con dolcezza il suo volto. < Lo so... lo so > replica, arrendevole, stringendo le labbra in una linea abbattuta, triste, ritrovandosi quindi a chiudere gli occhi nel momento in cui le labbra del Nara si posano sulla sua fronte. Un attimo di genuina e profonda tenerezza che li lega ed unisce ancora di più facendo vibrare i loro battiti all'unisono nel petto. Un attimo che si protrae e dilata per quelli che paiono minuti interi prima di spezzarsi e lasciare la Hyuga libera di rialzar le palpebre, osservando il viso altrui con dolcezza. < Sono contenta che tu me l'abbia detto. Se fossi sparito senza neppure dirmi un possibile addio puoi star certo che mi sarei arrabbiata. > Tenta di scherzare anche lei, come se la sua rabbia avesse potuto spaventarlo in alcun modo nel caso fosse morto. Schiude le rosee, deglutendo e quindi andrebbe a tentare di allungarsi verso di lui facendo scivolare la destrorsa dalla gota alla nuca, avvicinando la sua fronte alla propria spalla. Tenterebbe d'abbracciarlo, di cingere la sua schiena con il braccio sinistro, carezzandogli il crine corvino don amore. < Andrà tutto bene > ripete, a bassa voce, cercando di convincersi e rassicurarlo al tempo stesso, per quanto sia quanto mai evidente che il Nara sia ormai relativamente tranquillo dinnanzi la prospettiva di quel viaggio. Ed è allora che il giovane sguscerebbe via dalla sua presa per avviarsi verso l'armadio ed estrarne dunque un semplice paio di pantaloni. Kaori l'osserverebbe silente nell'atto di rivestirsi e, asciugandosi gli occhi coi palmi delle mani, lo vedrebbe avvicinarsi al letto per tenderle galante una mano ed invitarla a seguirlo. Vuole mostrarle qualcosa, qualcosa di apparentemente molto importante per lui considerando la promessa che tenta di strapparle. La Hyuga afferrerebbe la sua mano ponendo il proprio palmo su quello di lui per poi far leva e scivolare oltre i bordi del letto e rimettersi in piedi, la lunga camicia bianca a penderle attorno le cosce. < Sai dove la gente va quando ha paura o vuole scappare? > domanda lei, dolcemente, con un sorriso intenerito sulle labbra. < A casa. Perchè sente di essere protetto lì. Perchè cerca rassicurazioni e familiarità. > continua la ragazza prendendo solo una piccola pausa. < La mia casa sei tu. Ovunque tu sia. Se anche tentassi di scappare da qualche parte, alla fine è da te che mi ritroverei comunque ad arrivare. > abbozza un sorriso sincero, sentito, nel tentativo di infondergli un po' di forza, di coraggio. Non sarebbe fuggita. Non l'avrebbe abbandonato. Sarebbe rimasta silente al suo fianco per condividere con lui qualunque cosa avrebbe sentito l'esigenza di mostrarle.

17:26 Azrael:
 Scherza, il Nara. Un uomo che ha appena confessato alla donna cui più tiene sulla faccia della terra che sta per andare a morire, probabilmente. A cui, poi, ha confessato i propri sentimenti. Quei sentimenti che per giorni e giorni sono stati forzatamente tenuti nascosti, coperti sotto un immaginario tappeto dentro la propria anima. Senza un motivo in particolare, a dirla tutta. Il fatto che possa sembrar folle od insensato essersi innamorati di una persona dopo così poco tempo non ha molto senso. Non dopo tutto quello che hanno condiviso. Non dopo che si sono raccontati, che si sono posseduti, che hanno riso, pianto, gioito e sofferto assieme. Non dopo che l’ha vista spezzarsi al pensiero di non poterlo più stringere tra le braccia per la seconda volta, in quel breve, dannato, tempo. Un tempo che, per quanto poco, pare star sfuggendo dalle mani di entrambi come sabbia tra le dita. Piccoli granelli che i due amanti stanno tentando di stringere il più possibile, ma che continuano a scorrere incessantemente al di fuori di esse, trasportati dall’indomabile vento della vita che passa, secondo dopo secondo, attimo dopo attimo. E dopo aver accettato quell’abbraccio, dopo essersi alzato e rivestito, seppur solo in parte e dopo aver teso la mano affinché lei la prendesse e possa esser da lui accompagnata verso qualcosa di ignoto – quantomeno per lei – va stringendole dolcemente le dita attorno al palmo, al dorso, alle falangi. Sente ancora l’alone di quelle lacrime appena asciugate ammorbidirle la pelle ed inumidirne le estremità. Lo sguardo scuro fisso sul di lei viso, a non lasciar mai le iridi perlacee di colei che ama nel gesto di farla rimettere in piedi, abbandonando quelle lenzuola che li richiamano a gran voce. Ma come potrebbe abbandonarsi al sonno, davanti la prospettiva di poter passare ancora un altro, preziosissimo, attimo di coscienza assieme a Kaori? Avanza qualche passo a grandi falcate per aggirare il letto e giungere alla porta di uscita della stanza, che dà direttamente sul lungo corridoio che la stessa Hyuga ha percorso in precedenza per giungere al bagno degli ospiti. La destrorsa a far pressione sulla maniglia per abbassarla ed aprire l’uscio, qualche passo al di fuori, per far in modo che anche Kaori possa raggiungerlo e poi richiudersi la porta alle spalle. La accompagnerebbe, le farebbe la guida, senza mai tirarla o forzarla a seguirlo. Potrebbe andar via quando e se lo desiderasse. Non v’è alcuna pressione fisica a tenerla, durante quel tragitto, unicamente la mano del Dainin a tenerla teneramente nella propria, in un contatto soldio, ma appena accennato. Percorrerebbe, dunque, il lungo corridoio sino alla sua fine. Davanti a loro solo una finestra che affaccia su una Konoha dormiente, immersa nel buio della notte e nella pallida luce della Luna e delle stelle. Alla loro destra il bagno, sulla sinistra quella porta. Sprangata. Chiusa in più punti. Più scura delle altre, su cui il tempo è stato più tiranno e che nessun lavoro di ristrutturazione ha mai e poi mai toccato in tutti quegli anni.la stanza che lo ha ospitato nei primi anni della sua vita. Durante l’infanzia che gli è stata così pesantemente ed ingiustamente strappata, straziata e martoriata di eventi fin troppo gravosi per essere associati ad un bambino. Si fermerebbe dinanzi a quella che, ad altrui occhi, è solo una porta, ma che nasconde un significato molto più ampio a quegli occhi cupi come il cielo notturno. Inspirerebbe, le narici ad allargarsi cariche di un sospiro che non viene liberato dalle labbra se non fopo qualche interminabile attimo. Punterebbe lo sguardo ai chiavistelli. Sette, solo dall’esterno. Corrono e decorano la porta dall’alto verso il basso, ricoprendone quasi tutta la lunghezza. Un chiaro invito a non entrare, insomma. Lascerebbe la presa dalla di lei mano per portare entrambe le leve superiori e le rispettive estremità a sfilare quei piccoli cilindretti di ottone dai loro alloggi. Uno per uno, con calma e perizia, come se una mossa troppo forte o sbagliata potesse rompere quell’entrata così tanto provata dal tempo. Si chinerebbe sino al chiavistello posto più in basso per rimuovere anche quell’ultima serratura e poggiare la mancina sul pomello rotondo, dello stesso ottone dei meccanismi appena dismessi. Ruoterebbe il polso per tre volte verso l’interno, tre verso l’esterno, poi tirerebbe leggermente per far liberare un leggero suono metallico che sancisce lo sblocco di quell’anta di legno scuro. La spingerebbe verso l’interno, rivelando ai propri occhi e a quelli della Hyuga una camera leggermente meno estesa delle altre, a misura di bambino. Il pavimento è più scuro e rovinato del parquet che percorre tutto il resto della dimora. Non si intravede il colore delle pareti e non un filo di illuminazione trapela dalla finestra, completamente coperte da fogli macchiati dal carboncino nero. La stanzetta è arredata con un letto, il corredo bianco e azzurro lo copre solo in parte, è sfatto, la coperta ricade al margine del materasso sino a toccar terra, il cuscino è poggiato in verticale, per metà sul pavimento. L’odore di chiuso è piuttosto evidente, permea tutto l’ambiente, contrastando col profumo di pulito e di ciliegio che è sempre presente nel resto dell’abitazione. Il lettino è diametralmente opposto alla posizione della porta, un piccolo comodino è sistemato ai piedi di quest’ultimo. Un comodino dai cassetti mezzi aperti, vuoti, che pare non vedere un minimo di cura da anni ed anni innumerabili. Su di esso nulla, fatta eccezione per un oggetto in legno più scuro. Un piccolo trenino di legno. Un giocattolo, la cosa più curata di quelle che ora i due potranno vedere. Sulla parete a destra è poggiata una scrivania con uno sgabello. Vari fogli, assieme a penna, calamaio e carboncini a campeggiare su quella lignea superficie, senza un ordine preciso. Sembra quasi come quella che la Hyuga avrà già visto nel salone principale, ma- è tutto più piccolo. Lo sgabello è più basso, la scrivania è meno imponente e rovinata. Dei fogli che tappezzano le mura della camera, beh, non c’è molto da dire. Disegni di torture. Persone morte, aperte a volte, altre volte con arti mancanti. Qualche dettaglio in gesso rosso a comporre le sfumature del sangue che, in alcuni di tali disegni, sono l’unico elemento, assieme a qualche abbozzato organo di quello che – un tempo – era un corpo vivo. Perlopiù i soggetti sono incatenati ad una sedia, legati mani e piedi, per quei pochi fortunati che ne erano ancora dotati quando sono stati ritratti, alcuni con la testa riversa all’indietro, altri ne sono addirittura privi. Qualche disegno vede i poveri malcapitati persino appesi al soffitto, al margine superiore del foglio, per dei ganci che entrano nelle loro carni, straziandole. Disegni, certo, ma che paiono quasi richiamare ancora alle urla di dolore degli uomini che vi sono vergati sopra a sfumature di nero, bianco e rosso. Tali rappresentazioni coprono interamente i limiti della stanza, sono persino attaccati dinanzi la finestrella che si nota a malapena sopra il lettino, aluni sono addirittura attaccati al retro della porta che è appena stata aperta. Eppure non è quello il dettaglio più macabro, per quanto possa risultare difficile da credere, considerando le decorazioni affisse alle pareti. Una macchia di sangue raffrumato, il cui ferroso odore è stato disperso nel tempo, lasciando solo un olezzo di morte, ristagna al centro di quella che un tempo era la cameretta di un bambino. Si disperde a formare un cerchio, colando in una lingua scura sino al limitare delle coperte riverse a terra. È secco, certo, ma l’alone è ancora lì e se ne può definire la forma co un’accuratezza a dir poco inquietannte. Il nara permane alla sinistra dell’uscio, lasciando alla Hyuga la possibilità di entrare e di poggiare gli occhi su quel che più preferisce. Non chiosa verbo, non riuscirebbe nemmeno. È difficile capire come dovrebbe sentirsi, ogni volta che entra lì dentro. I pensieri che lo vedevano più piccolo, più fragile, gettato via dal proprio talamo, scaraventato a terra e bruscamente percosso sino quasi a perdere la vita, una vita che avrebbe potuto perdere, se la madre non fosse arrivata per tempo. E poi quei disegni, quelle rappresentazioni di torture, atrocità, a testimoniare quel che è diventato, forse anche per merito o colpa di quell’avvenimento o che – più probabilmente – si è sempre celato nel proprio animo, in attesa solo di uscire. Il controllo che non è riuscito ad esercitare quella sera, troppo piccolo per ribellarsi alle violenze, la forza che non è riuscito a dimostrare in quell’occasione, troppo giovane per sapere come difendersi che percorre e ripercorre quelle linee scure sui fogli candidi. Quel che era e quel che è. Così chiaramente esposto in quella camera. Resta silente, a fissare un punto vuoto della chiazza di sangue rappreso e raggrumato. Non un’ombra di tristezza, non la malinconia a deturpare il diafano volto, ma solo- disagio. Un profondo disagio. Non è solito mettersi dinanzi a tutta quella realtà, a quelle verità che preferisce tener sopite e silenziose, figuriamoci mostrarle ad altri. Solo qualche istante, prima di sollevare le iridi color pece a ricercare la figura di kaori, ovunque lei voglia esplorare quella stanzetta. < N-non toccare niente. Guarda e basta. > Incerta uscirebbe la voce dalle rosee appena schiuse in quel comando quasi timido. Più una richiesta, una preghiera, una supplica. Un volerle lasciar intendere quanto le stia aprendo il proprio animo, riponendo la propria fiducia nel fatto che Kaori non voglia esagerare, sconfinare alll’interno di una zona così fragile non solo della casa, ma della stessa tenebra che compone l’anima di Azrael.

19:04 Kaori:
 La stretta sulla sua mano è dolce, leggera, quasi come voglia essere un semplice contatto più che un vero legarla a sé. La conduce lungo il corridoio che ha percorso solo poco prima fermandosi dinnanzi quella stanza che aveva in precedenza catturato l'attenzione della Hyuga. Kaori non esita, non teme ciò che potrebbe celarsi al di là di quell'anta nonostante la poco incoraggiante presenza di tutti quei chiavistelli e quelle serrature. La porta è vecchia di anni, la cura che ha potuto notare per ogni aspetto dell'abitazione qui viene quasi a mancare. I segni del tempo sono ben visibili a martoriare gli stipiti e i bordi di quel confine che la ragazza ha dinnanzi. Non sa cosa vi sia dall'altra parte, non lo sospetta neppure. Lascia vagare le iridi color perla lungo il legno facendo poi ruotare il capo in direzione di Azrael. Il ragazzo le lascia la mano e, avvicinandosi, apre con estrema attenzione ogni chiusura. Kaori l'osserva in silenzio sentendo le gote tirare appena per via delle lacrime asciugatesi sulla pelle, la sensazione del pianto a pizzicare appena sugli zigomi non troppo pronunciati. Si arrotola un poco le maniche della camicia troppo lunga così da avere le mani libere e quindi vedrebbe l'altro andare ad aprire definitivamente la porta. Ruota il pomello un'ultima volta e quindi spinge l'anta lasciando visibile la stanza dietro di questa. Se l'altro non glielo impedisse, Kaori andrebbe a muovere solo pochi passi verso l'interno buio per poter vedere al meglio ciò che quella camera nasconde. Uno, due, tre passi oltre la soglia e poi si ferma. Le braccia rimangono molli lungo i fianchi, i lunghi capelli viola a scivolarle lungo la schiena. Le labbra si schiudono mentre le iridi color perla si soffermano a studiare le forme della camera. Il lettino ancora sfatto, la scrivania da lavoro non molto spaziosa, il piccolo comodino dai cassetti aperti. Nota le pareti ricoperte di fogli e schizzi, non si sofferma a studiarne i soggetti rimanendo immobile ad osservare la chiazza di sangue raggrumato ai piedi delle coperte disfatte. Un brivido le risale al cuore mentre realizza ciò che ha davanti agli occhi. Quella è casa di Azrael. La prima casa di Azrael. Quella di quand'era bambino. Sente il battito farsi violento nel petto, lo sguardo scivolare perso per la camera ritrovandosi solo ora ad osservare ciò che tappezza le mura di quella stanza. Ruota il capo portando le iridi color perla a soffermarsi su quegli schizzi. Corpi dilaniati, legati, incatenati, seduti, amputati. Nero e bianco regnano sovrani su quelle pareti laddove l'oscurità del carboncino va a scontrarsi col candore dei fogli non più immacolati. E poi quelle venature sanguigne che brillano su taluni disegni con sfumature sinistre. Lo sguardo di Kaori è pieno di morte. A labbra schiuse osserva disegno dopo disegno scene di dolore e paura in un inquietante susseguirsi di sofferenza e-- piacere. Se nei disegni ritratti è palese il terrore dei soggetti disegnati nella quantità di fogli presenti è altrettanto visibile il piacere che tali opere hanno causato. Perchè qualcuno disegna qualcosa? Per diletto, per esprimere un sentimento, un desiderio. Per ispirazione. Per non dimenticare. La Hyuga si ritrova solo ora a comprendere ciò che Azrael ha sempre tentato di dirle. Un mostro. Assassino. Non adatto a lei. Pericoloso. Nel buio di quella camera quasi le pare di poter vedere l'oscurità addensarsi e da essa sorgere il sorriso inquietante del volto racchiuso fra i pensieri del Nara, oltre quell'inferriata che l'altro non le ha concesso di superare. Azrael ha fatto tutto questo? Lui è fautore di tutto ciò? Di quella morte così crudemente ritratta, conservata, immortalata per sempre su carta? Lui ha tranciato quelle mani? Quelle dita? Quelle braccia? Lui ha tagliato le teste che in alcuni disegni mancano al di sopra delle gole esposte? Sono le sue le mani macchiate del sangue che gronda da quei fogli? Il pensiero la fa inorridire. Ha ucciso decine di persone solo quella sera eppure... il pensiero di torturare pezzo dopo pezzo qualcuno le fa contorcere le viscere. Azrael è anche questo...? Sì. E' evidente. In quella stanza, dietro quelle mille serrature, su quelle pareti, su quel pavimento... lì vive nascosto il suo Demone. Il più grande, il più importante. Il più spaventoso. Kaori può avvertirne il fiato sul collo, gli artigli affilati sfiorarle la schiena, lacerarle la pelle, arrivare sulla sua spina dorsale tranciando muscoli e carne e vasi e nervi fino a raschiare le ossa bianche. Può sentire la sua presenza ingombrante riempire la stanza, addensarsi attorno quella chiazza raggrumata, fra quelle coperte ormai fredde, su quell'unico giocattolo rimasto a ricordo del fu bambino vissuto in quella stanza. E mentre il fiato quasi sembra mancarle di gola ecco che la voce di Azrael arriva tremante al suo orecchio a diradare ogni timore. Una voce incerta, spaventata, sensibile. La voce di un uomo che non ha potuto essere bambino. La voce di un uomo che le ha aperto le porte del proprio cuore, della propria anima, inglobandola dentro di sé. Un uomo che le ha dato accesso al lato più fragile e vulnerabile di sé. Un uomo spaventato, triste, solo. Kaori si riscuote, ritorna presente a se stessa, voltandosi lentamente verso di lui per dare le spalle all'interno della stanza. L'osserva con uno sguardo infinitamente triste, allungando -tremante- una mano verso di lui per invitarlo a raggiungerla, ad afferrarla. Non pare spaventata, non pare desiderosa di fuggire. Non sembra arrabbiata o schifata. Ciò che traspare dal suo volto è solo una sconfinata tristezza, un profondo dolore. < Sono qui. > chiosa soltanto, alla fine, con la voce ridotta ad un soffio leggero. < Stringi la mia mano. Non lasciarla andare. > gli chiederebbe quasi come fosse lei a temere ch'egli possa sfuggire da un momento all'altro. Non osa immaginare cosa possa provare. Non osa immaginare cosa quel posto possa smuovere in lui. Non osa immaginare come egli possa sentirsi a ritrovarsi nel luogo ove la sua vita è per un certo senso finita e per un altro iniziata. Ne cercherebbe lo sguardo, le iridi buie, tentando di stringere la sua mano nella propria e stringerla con tutta la sua forza. Un modo per dirgli che no, non sarebbe scappata. Che no, non è da solo. < Questa stanza-- qui.. > la voce le si spezza, l'aria le manca e lei si ritrova ad inspirare umettandosi rapidamente le labbra. < Qui è morto un bambino. Qui è scomparsa una famiglia. Qui... è iniziato tutto. > chiosa lei, a bassa voce, deglutendo. < Hai— paura? > domanderebbe, con un soffio di voce, sentendo le ciglia tremare, il respiro spezzarsi e quindi la sua mano stringersi ancor più dolcemente su quella che l'altro le avrebbe idealmente offerto.

11:19 Azrael:
 Le iridi scure viaggiano su di quelle mura assieme a quelle della Hyuga. Amaramente un sorriso si fa largo sul proprio volto pallido, incurvando inevitabilmente le labbra. È soddisfatto. Inquietantemente soddisfatto. Un po’ per la qualità dei propri disegni, un po’ per i ricordi dei soggetti che ha in essi ritratto. O meglio, del processo che lo ha portato a rendere quei corpi il perfetto soggetto delle proprie rappresentazioni. E lo ricorda, ricorda la propria voce distorta dal modulatore vocale posto dietro la maschera Anbu, nel chiamare i propri sottoposti, affinché gli portassero foglio e carboncino, affinché non toccassero nulla di quel che si era predisposto con tanto faticoso piacere. È pesante la consapevolezza di quel sadico delirio che lo fa sorridere in maniera quasi involontaria. Le palpebre si abbassano gravemente sugli occhi, il capo si scuote lievemente. Si ridesta nel momento in cui Kaori termina il proprio esaminare la camera. Senza che lui abbia spiegato nulla, senza che lui abbia dato dettagli ulteriori a quello spettacolo, solo per farle intendere quel che più preferisce. Sì, quello è il luogo in cui la vita di un bambino è finita, per far nascere dalle proprie ceneri l’uomo che ora le sosta alle spalle. Quello che le ha appena confessato che morirebbe per lei, che la ama. < Qui è dove è terminata la vita di tre persone. > Specificherebbe solo alla fine, riprendendo le di lei parole. < Un uomo malvagio è morto. La mia infanzia è terminata. E mia madre—è stata rinchiusa dietro delle sbarre di ferro, assieme a ladri, stupratori ed assassini. > Abbasserebbe lo sguardo per qualche istante, per poi rialzarlo e notare la mano di kaori protesa verso di sé, pronta a riaccoglierlo di nuovo al su fianco. Come ha fatto ogni volta che ne aveva bisogno, risanando ferite incurabili, lasciando svanire cicatrici che lo hanno sempre straziato troppo profondamente. Allunga la propria mancina ad afferrare la mano altrui, stringendola con forza. Una forza d’animo, più che quella fisica. Leggero il tocco delle dita attorno a quelle di kaori, piccoli i passi che vengono portati verso la di lei figura nell’atto di riavvicinarsi dopo quegli istanti di silenzio e meditazione. Ha paura? Una domanda la cui risposta non giungerebbe fin da subito. Gli occhi profondi e scuri riesaminerebbero per qualche rapido istante la camera, saettando dalla chiazza di sangue, al lettino sfatto, ai disegni posti sulle pareti e poi – di nuovo – sulla Hyuga. Sorriderebbe, a quel punto, inclinando il capo sulla sinistra, espirando un silente sbuffo d’aria. < No, non più. > Le risponderebbe a mezza voce, andando solo dopo attimi di pausa ad esporle i propri sentimenti riguardo tutta quella macabra situazione. < Ho avuto paura, quando ero solo un bambino percosso dalla follia di un uomo che non è mai stato nemmeno lontanamente mio padre. Ho avuto paura tra le braccia di mia madre, ho avuto paura diverse volte nel rendermi conto di ciò che stavo diventando. > Un Sadico. Un torturatore. Un mostro. Una bestia che ha sempre temuto, che ha sempre tentato di rifuggire in giovane età, ma che adesso non lo spaventa più. < Ma sono cresciuto e- questo è quel che sono. Non ho più paura da un po’, non di tutto questo, almeno. > Non di se stesso, non dei ricordi, non del pensiero dell’uomo che lo ha adottato. Nemmeno di morire per ciò che ama, attualmente. < Ho accettato tutto questo. Con fatica, ma l’ho fatto. > La supererebbe, adesso, senza mai lasciarle la mano, conducendola dinanzi a quel piccolo comodino, al trenino di legno che ha sancito la fine della vita delle tre persone che ha appena citato. < Non ti ho portata qui senza motivo. Ho un favore da chiederti. > Abbasserebbe lo sguardo sul giocattolo che rappresenta l’unico ricordo tangibile di kaime, della donna che ha sempre considerato mamma, benché non lo fosse biologicamente. < Capirò, se tutto questo ti spaventa. Capirò se non è l’uomo che ha compiuto tutte queste crudeltà quello che vuoi accanto, ma devi farmi una cortesia. > La destrorsa si allungherebbe verso il trenino, saggiando la consistenza del legno sotto le dita, accarezzandone i confino con i polpastrelli in una serie di carezze appena accennate. < Se non dovessi tornare, per un motivo o per un altro- > Si bloccherebbe, deglutendo per mandar giù con fatica il grumo che gli sta stringendo la gola nel pronunciare quelle poche sillabe. < -vorrei che tu facessi arrivare questo giocattolo a Ken. Che gli dicessi che… > Le palpebre a chiudersi d’istinto sulle iridi d’onice, leggermente velate di un pianto represso. Non di tristezza, non di rabbia, ma di rimorso. Rimorso al pensiero che il suobambino, che il suo Ken non avrà mai un padre, proprio come è stato per lui. < …che il suo papà gli vuole bene, che è stato solo per il suo bene che le cose sono andate così. > E, silente, rimarrebbe ad aspettare una risposta da parte della ragazza. Non sa nemmeno se quella richiesta potrà inorridirla o quanti quesiti potrà suscitarle. Ha solo bisogno che lei accetti, per far sì che suo figlio avrà sempre qualcuno a proteggerlo più di quanto lui, suo padre e fratello maggiore, non ha mai potuto fare.

19:22 Kaori:
 Lo stomaco le si contrae in corpo al sentire la voce di Azrael pronunciare quell'iniziale dire. Quella donna ha salvato la vita del proprio bambino fermando un uomo che lo avrebbe ucciso solo perchè infelice della propria vita, solo perchè annebbiato dall'alcool, solo perchè qualcosa nella sua mente non funzionava a dovere. Quella donna è stata punita per aver protetto un innocente che non aveva modo di difendersi, per aver permesso a un bambino indifeso di vivere la sua vita. Quella donna è stata messa per la legge alla pari di criminali e delinquenti perchè le sue mani sono sporche di sangue. Poco importa a chi questo sangue appartenga, se ad un innocente o un malvagio, il non possedere un coprifronte l'ha resa colpevole senza vie di salvezza. Una criminale. Agli occhi di Kaori quella donna è una eroina. E no, non solo perchè il bambino in questione è l'uomo che attualmente ama, ma perchè lei stessa, in quanto madre, avrebbe ucciso chiunque avesse mai minacciato il benessere della propria bambina, figuriamoci la sua stessa vita! Il pensiero la fa inorridire, la fa sinceramente vergognare del sistema che ha concesso a quella donna di veder terminare la propria libertà e la propria esistenza dietro quelle sbarre di freddo e gelido metallo. Lo sguardo le si abbassa, la voce svanisce. Cosa potrebbe mai replicare a quelle parole da parte del Nara? Che lei è a tutti gli effetti un'assassina? Che non spettava a lei uccidere quell'uomo? Potrebbe. Dovrebbe, forse. Ma non ce la fa. Non ci crede neppure lei e perciò, semplicemente, tace allungando verso lui la propria mano in un timido tentativo di stargli accanto, di non lasciarlo solo mentre le apre le porte al lato più fragile e sensibile di sé. Azrael la osserva per un attimo rialzando lo sguardo e dopo un istante va afferrando le sue dita. Kaori accoglie con dolcezza il contatto con il suo palmo, tenta di stringere delicatamente le falangi attorno alle curve della sua mano per sentirlo avvicinarsi a sé nel silenzio di quella notte senza tempo. Si sente quasi responsabile di quanto lui ha vissuto, sporca al pensiero di essere libera e ben acclamata al villaggio nonostante le sue mani siano ben più zuppe di sangue di quelle di sua madre, donna che per quanto le riguarda dovrebbe meritare la pace e la libertà. Lascia che Azrael si guardi attorno, che mediti sulla risposta da dare alla sua domanda e quindi segue la traiettoria delle iridi buie fino a quando non ne incontra lo sguardo. Ne nota il sorriso, quel tenero inclinarsi del capo e si ritrova a sorridergli a sua volta, meccanicamente, ammorbidendo i tratti del volto alla sua risposta. Non ha paura, non ora che è un uomo, non ora che è cresciuto e ha avuto tempo e modo di accettare quanto accaduto e di accettare chi è diventato. Kaori lo ascolta in silenzio, annuisce piano e volge lo sguardo verso il resto della stanza osservando il sangue che decora il pavimento nonché i fogli sparsi tutt'attorno sulle pareti. < Sei cresciuto, sì. > mormora lei soffermandosi sulla chiazza rinsecchita ai piedi delle coperte sfatte. < E sei forte abbastanza da poterti proteggere da solo. Nessuno può davvero spaventarti adesso. Ma-- > il capo vien ruotato verso di lui e lo sguardo tenterebbe di incatenarsi al suo mentre un solo attimo di silenzio andrebbe a dilatarsi in quel fare. < --questo è il tuo Inferno. Credo che al tuo posto non riuscirei ad essere qui... > ammette la Hyuga sentendosi lei stessa travolta da una ondata di malessere al pensiero di calpestare i pavimenti di quella stanza, come se fosse stata lei a vivere quell'incubo in quella camera molti anni prima invece del Dainin. Avverte il peso delle gesta di Kaime, il dolore di un bambino spaventato, l'atrocità del sangue versato e la crudeltà degli atti compiuti e ritratti su quei fogli. Ed è allora che, sempre mano nella mano, Kaori viene guidata dal Nara fino a raggiungere il piccolo comodino ove un trenino di legno giace solitario quasi come una importante reliquia. La ragazza non osa aprir bocca, non chiede alcunché ma si limita ad udire la voce di Azrael chiederle un favore. < Mh? > Ruota ora verso di lui lo sguardo stringendo la mano che ha intrecciata alla sua. Azrael chiosa, principia un discorso che porta Kaori a stringere le labbra mentre la di lui destrorsa va carezzando quel vecchio giocattolo quasi come fosse un vecchio compagno. Si ferma solo a quel punto e quando riprende a parlare Kaori va sgranando gli occhi e schiudendo le labbra. Ken. Il bambino che Mekura ha accolto in casa da un momento all'altro. Il bambino che è sempre somigliato così tanto al Nara con i suoi ribelli capelli scuri e i profondi occhi neri. Il bambino di cui non ha mai osato chiedere per rispetto della storia di qualcuno che nulla aveva a che fare con sé. Ma ora tutto è diverso ed è quasi scomoda la consapevolezza di quella verità. Lo ha sempre sospettato ma non ha mai avuto la certezza sulla natura del bambino. Ed ora lo sa. Ken è-- il figlio di Azrael. Sangue del suo sangue, la sua diretta discendenza. Ed è anche figlio di Mekura per un certo senso. Un figlio che li avrebbe legati per sempre in un modo che la fa quasi sentire di troppo. Eppure... è a lei che Azrael chiede aiuto. E' a lei che Azrael chiede quel gesto. Se dovesse succedergli qualcosa, vuole che sia Kaori a cercarlo, che sia lei a parlargli di suo padre e a dirgli che i suoi ultimi pensieri sono stati per lui e per il rapporto che non hanno avuto modo, né tempo di avere. Boccheggia, a labbra schiuse, sentendosi travolta dal desiderio di stringere Azrael a sé, di cullarlo fra le proprie braccia per proteggerlo come già un tempo qualcuno ha tentato di fare in quella stessa stanza. E sebbene adesso il suo corpo non mostri ferita alcuna, il suo cuore sanguina tanto quanto è accaduto anni prima, mostrando alla Hyuga un dolore che le toglie il respiro e le riempie gli occhi di lacrime commosse. < Lo custodirò io. Lo prenderò in prestito. Ma solo come pegno di una promessa. > dice la ragazza voltandosi verso di lui col corpo e tentando di carezzargli il viso con la mano che non ha stretto alla sua. < Tornerai a casa e glielo consegnerai tu stesso. Tornerai a casa e-- recupererai il tempo perso. > annuisce Kaori cercando di ostentare tutta la sicurezza di cui è capace, deglutendo. < Puoi ancora essere suo padre. Puoi ancora proteggerlo, fargli sapere che tieni a lui. > Le labbra tremano appena in quel dire mentre la fede nel Nara si scontra con il timore di star osando sperare troppo. Sa che potrebbe non tornare per davvero, sa che potrebbe essere l'ultima notte che passa con lui, ma non può concedersi di pensare a quello come un addio e per questo si ritrova a sperare. A credere con tutta se stessa che si sarebbero rivisti, che Azrael avrebbe avuto una seconda occasione per avere quella famiglia che non ha mai conosciuto, per avere quell'affetto, quel calore che troppo presto gli son stati strappati via. Ed è proprio pensando a questo che nella mente della Hyuga si consolida l'idea, il progetto da portare poi in Consiglio. Vuole battersi per lui, per Kaime e per tutto ciò che è giusto e sacro a questo mondo. Se non può restituire gli anni perduti ad una famiglia ormai distrutta, forse può ancora fare qualcosa per donar loro nuovi momenti, futuri ricordi.

12:21 Azrael:
 Il senso di rassicurazione che la Hyuga gli dà è qualcosa di meraviglioso ed indescrivibile. Come un’estesa aura di pace che calma ed appiana ogni singola emozione negativa nell’animo del Nara. Non avrebbe mai pensato che fosse possibile ricevere un simile effetto. Una catarsi continua, un imperturbabile senso di pace che gli consente di vincere ogni timore, ogni incertezza. La destrorsa si leva dal giocattolo di legno per bruciare la distanza che intercorre tra sé ed il viso di Kaori. Ne accarezzerebbe la gota con le nocche. Gentile, affettuoso, con un timido sorriso che gli incurva le labbra. Tornerà. Non ne è mai stato così certo. Il solo fatto che lei creda così tanto in quel suo ritorno lo porta a sperare con tutto se stesso che accadrà. Che farà ritorno e sfuggirà alla morte, alla possibile furia del Rinnegan e di Akendo. Che tornerà da lei, da Ai e da Ken, che potrà aver tempo per instaurare un rapporto perso o mai avvenuto. < Sono un sadico. Un pazzo assassino che gode nell’uccidere e nel far soffrire le persone. > Chioserebbe, dunque, quell’amara verità, permanendo sempre col sorriso tra le rosee appena schiuse < Ma sono anche un padre, un fratello e-- > Snuderebbe i denti in un leggero ridacchiare allegro e rilassato < --e futuro marito, a dirla tutta. > Terminerebbe quel dire con un rimando a quanto le ha detto nel loro secondo primo incontro. Quel bellissimo incontro che li ha portati ad aprirsi, a scoprirsi, ad amarsi. < E tornerò. Non è la prima volta che devo sfuggire alla morte. > Lascerebbe scorrere il pollice sullo zigomo della Hyuga, accarezzandolo dolcemente. < E magari Akendo non si arrabbierà, insomma… magari capirà le mie ragioni e mi offrirà del saké. > La voce si acuirebbe, nell’enunciare quella possibilità che, sicuramente, non avverrà. Ma non è il caso di pensarci, non adesso. Quel che ora vuole fare è, unicamente, tranquillizzarla. Dare a Kaori almeno un pallido raggio di quella splendente rassicurazione che lei gli offre ogni giorno, con ogni sguardo ed ogni gesto. < Ora andiamo, chiudiamoci questa porta alle spalle. Abbiamo parlato tutta la sera di me e di quanto la mia vita sia complicata, è troppo egocentrico come concetto persino per me. > Sbufferebbe, seguendo con una risata quel proprio dire così inadatto ad un momento così intenso, così pregno di mille pensieri, dubbi ed elucubrazioni. < E non ho idea di quel che hai fatto in questi giorni, è stressante non poter entrare nella tua testa quando voglio. Mi—piace avere il controllo, sai… > Scuoterebbe lievemente il capo, prima di prendere con sé il trenino di legno e guidarla al di fuori della stanzetta, così da richiuderla alle spalle di entrambi, con tutte le dovute serrature. Poi tornerebbe a fare il percorso del corridoio all’inverso, per terminare in pace e serenità quella serata così movimentata e – infine – abbandonarsi all’abbraccio di morfeo e della donna che ama. [ se end ]

15:39 Kaori:
 Sentire la verità fuoriuscire così liberamente dalle labbra di Azrael porta Kaori a sentirsi leggermente stranita. Ancora fa difficoltà a conciliare nella sua mente l'immagine del dolce, premuroso, romantico Dainin con quella del sadico assassino che ha appeso alle pareti quelli che sembrano essere macabri ritratti di soggetti realmente visti morire a quel modo. Probabilmente personalmente ridotti a quel modo. Azrael con lei è sempre stato quanto di più umano e sensibile e dolce abbia mai conosciuto, eppure c'è quel lato di lui che un po' la intimorisce. Lei che con tutta se stessa ripudia la violenza non necessaria, le sofferenze inutili, innamorata perdutamente di qualcuno che della sofferenza altrui fa la propria arte, il proprio godimento. Non è disgustata, non vuole fuggire. Ma non può comprendere quel lato di lui che l'altro è riuscito col tempo ad accettare. Stringe appena le labbra mentre Azrael mormora quel primo dire e quindi ricambia il suo sorriso quando con l'avanzare del suo discorso si ritrova a ripetere quella battuta ricorrente nella loro breve ma già intensa storia. Kaori ridacchia, abbassa il capo con tenerezza scuotendo appena il viso in un atto di dolcezza. < Guarda che se lo dici così spesso potrei finire col crederci sul serio... > mormora lei con tono leggero, giocoso, ma sentendosi sinceramente riscaldata dalla voce altrui, carezzando la possibilità di poter fare di quell'uomo suo marito un giorno. E, sì, okay, forse sta un po' correndo coi tempi visto che i due hanno trovato solo ora la forza di confessarsi il loro amore e, sì, c'è anche la possibilità che Azrael non sarebbe sopravvissuto a lungo, ma non di meno nella sua mente l'idea di poter condividere la vita con lui la lusinga. La attrae. Lascia che lui le carezzi gentile il viso rassicurandola dopo tutte le rivelazioni di quel giorno e dona alla giovane un po' di autentica speranza. Forse... forse sarebbe tornato davvero. Forse la loro vita insieme non è soltanto una sua fantasticheria. Forse... < Io ti aspetterò qui. Anche se dovessero passare altri tre anni. > mormora Kaori con dolcezza, annuendo, stringendo la mano che ha unita alla sua. E dunque accetta il suo invito a lasciarsi alle spalle quella stanza, le verità che con questa sono arrivate alla sua conoscenza e lascia che sia lo stesso Azrael a prendere il trenino con sé. Si lascia sfuggire una risatina e si sofferma in corridoio non appena varcano la soglia della camera, lasciando modo al Nara di richiudere tutto con cura. < Davvero, non è proprio niente di interessante. Solo lavoro, documenti, burocrazia... un sacco di burocrazia > sospira Kaori scuotendo il capo e liberando quell'alito stressanto dalle rosee schiuse, cercando di rendere quanto meno attraente possibile all'altro l'idea di frugare fra i suoi pensieri in quei giorni. < E comunque... un sadico a cui piace il controllo eh? Questo sì che è strano! > cerca di scherzare, di parlare con leggerezza di quell'aspetto che l'altro le ha voluto confidare di sé. Non ne ha paura ma sta imparando ad accettarlo nonostante il suo non condividere quella sua “passione”. Cerca di mostrargli tramite una semplice battuta che quella verità non sarà un problema fra loro, né un tabù. Forse sarebbe stata un problema un giorno, ma per ora è soltanto l'ennesimo regalo che il Nara le fa. L'ennesima parte di sé che le serve in dono in una grande, immensa, prova di fiducia e sincerità. [ END ]

Nella notte che intercorre tra la fine della missione di Sharper Hook ed un nuovo giorno i due si ritrovano a casa del Nara per degli importanti aggiornamenti. Nulla di che, in realtà, che Azrael potrebbe morire da un giorno all'altro, che si amano, che il Nara è un pazzo sadico assassino, maniaco del controllo. Cose del genere, insomma.