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0010: missione Giovane Gattaro in Erba

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con Roku

21:59 Roku:
  [Verso Accademia] I lampioni sono accesi. Proiettano la loro luce sulle vie principali del Villaggio dell’Erba. Illuminano le strade, le panchine, i cestini della spazzatura. Illuminano i passanti, le poche persone, che vanno avanti-indietro, chi verso casa, chi verso il centro, chi dall’amante, chi vuole perdersi nel budello dell’agglomerato urbano per una semplice passeggiata. Oltre i lampioni, al di sopra di essi, al di sopra dei palazzi, il cielo è cupo, denso, carico di nuvole e l’immensa massa d’aria che sta lì, tra il cielo e il suolo, dovrebbe essere abbastanza umida da rendere il freddo tanto penetrante, così da costringere la gente ad accendere stufe, camini, termosifoni, ad indossare cappotti, cappottini, mantelle e giacchette. Un cappottino giallo, a primo impatto potrebbe essere scambiato per un impermeabile, calza a pennello sulla figura magra e bassa di un bambino. Un bambino che, solitario, cammina lungo una via tra il secondo e il primo livello del Villaggio dell’Erba. Gli occhi scuri sono attenti, guardano la direzione in cui procedere, i capelli sono corti, un po’ ispidi, corvini. Il bambino si gode, anche per questa sera, la propria libertà semi-vigilata(?).

22:09 Roku:
  [Verso Accademia] Il ragazzino si dirige tranquillo verso l’Accademia. A prima vista potrebbe sembrare senza dubbio privo di quella saggezza che caratterizza gli adulti, trovandosi lì, per le strade del grande villaggio, senza compagnia e, men che meno, senza la sorveglianza dei genitori. D’un tratto si ferma, tira fuori il braccio dalla tasca sinistra, un piccolo orologio, nero con dei pupazzetti sul cinturino in tessuto, ticchetta indisturbato segnando lo scorrere del tempo e il ragazzo cerca di leggere l’ora. Ha i minuti contati, per così dire. Oba-san si trova in Centro, in un piccolo locale dove con ex-colleghi di lavoro, amici e amiche d’infanzia, tra i quali si celano spasimanti di un tempo che fu, si gioca mesi, settimane, giorni di torte, dolcetti, pietanze e biancheria da stirare, posta in gioco alla briscola, al bingo, a qualsiasi attività quell’arzilla vecchietta si dedichi nelle sue serate. Spesso si porta dietro il piccolo Roku, nipote prediletto, essendo l’unico, ma il ragazzino, tra una battuta e l’altra, tra un sorso di tisana calda e battutine nel dialetto locale, sguscia dal locale e va a farsi un giro. Ha una missione, un impegno civile e morale nei confronti della società, degli Dei, del suo Villaggio.

22:19 Roku:
  [Verso Accademia] I viali proseguono. Un passante porta a passeggio il proprio cagnolino, o cagnolina che dir si voglia. Un piccolo batuffolo di pelo alquanto vivace, scodinzolante, che con la testa bassa precede il padrone, annusando di qua e di là, fermandosi al lampione, al cestino della spazzatura, alle gambe di panchine per tirare su la gamba e unire il proprio marchio a quello di decine di altri cani che durante la giornata hanno seguito il suo stesso percorso o sono arrivati nello stesso suo punto, secondo centinaia di combinazioni per quante sono le strade del Villaggio. Subito il ragazzino estrae anche l’altro arto superiore per prendere lo slancio e correre verso quella creaturina, a pugni chiusi. [Ciaaaaooo] dice con entusiasmo, inginocchiandosi per guardarlo meglio. Dal canto suo, il giovane esemplare di cane, poco avvezzo al mondo, indietreggia quel tanto che basta per essere pronto a muoversi, solleva la coda, solleva le orecchie e tendo il muso nell’aria per avvertire gli odori emanati dal bambino che, a prima vista sembrerebbe innocuo. [Vieni bello, vieni qui, non ti faccio nulla…] Aggiunge dolcemente, il bambino, mentre il padrone sposta lo sguardo dal cane al fanciullo con aria stanca ma divertita.

22:28 Roku:
  [Verso Accademia.] Il cagnolino sembrerebbe non aver fiutato nulla di pericoloso, riguardo al bambino, s’avvicina cautamente, annusandogli le scarpe, i pantaloni, girandogli attorno quel tanto che il guinzaglio gli permette. Il ragazzino tenterebbe di accarezzargli il dorso, quel pelo liscio e brillante sotto al lampione. Con insistenza, il canide comincerebbe ad annusargli la tasca destra del cappotto giallo, appoggiando le narici nere contro il tessuto, lasciando un alone d’umidità. Il padrone, indignato, darebbe uno strattone al guinzaglio, per richiamare il cucciolo all’ordine e alla pace che si conviene la sera. Si scusa, quell’alto signore, un po’ piegato dall’età, vestito in modo piuttosto classico, con l’aggiunta di un cappotto abbastanza pesante, marrone scuro, per difendersi dal freddo. [No, no… niente, si figuri.] Direbbe il bambino, alzandosi. [Sente l’odore delle crocchette che devo portare ai miei micetti.] Crocchette? Crocchette nella tasca del cappotto? La nonna ne è stata informata? No, ovviamente. Il ragazzino è alquanto riservato, riguardo al tempo che dedica una volta sgusciato fuori dal localino dove la nonna va a divertirsi. [Posso dargliene un po’!] Riprende il giovane, sorridendo allegro, guardando dal basso il volto dell’uomo, che nel frattempo sorride, a sua volta, divertito da quel buffo bambino. [Se non è un problema, signore.] Conclude.

22:39 Roku:
  [Verso Accademia.] Il giovane viene subito frenato, nel gentile proposito di sfamare il cagnolino, dal padrone stesso, il quale spiega che, giustamente, il cucciolo ha già mangiato. ˂Ah… va benee… ho capito˃ risponde a sua volta il ragazzino, con un educato inchino in segno di scuse, il quale sembrerebbe essere ricambiato dal sigore. ˂Come si chiama?˃ chiede, allora, spostando lo sguardo benevolente, dall’uomo al cagnolino, il quale ora è seduto a grattarsi dietro le orecchie, e viceversa. ˂Piacere di conoscerti, Dobi!˃ afferma allora, con un altro inchino, questa volta meno profondo. Il padrone comincia a muovere un passo, il cagnolino lo segue a ruota. ˂Buona serata anche a lei, Signore…˃ saluta il ragazzino, alzando la mano verso l’alto per salutare cucciolo e padrone. ˂A presto Dobi!˃ aggiunge teneramente, come solo un bambinello potrebbe, guardando per un istante bestia e animale umano proseguire la loro passeggiata serale. Il bambino riprendendo a camminare verso l’Accademia, alla quale dovrebbe arrivare nel giro di pochi minuti.

22:52 Roku:
  [Verso Accademia.] Riprende così a camminare, il piccolo Roku. L’Accademia, i distretti ad essa collegati, il circondario, sono abbastanza note al giovane, che ci si reca di giorno in giorno per apprendere i rudimenti, la storia, la cultura degli Shinobi, da permettergli di trovare gli edifici dell’Accademia senza troppa difficoltà, nonostante la notte sia calata da un pezzo. Quel giovane e pallido faccino, quel tenero filo d’erba, alto appunto un metro e un filo d’erba è, ebbene sì, iscritto presso l’Accademia del Villaggio, è un suo studente. Segue le lezioni, legge, si allena con tenacia ed ottimismo, senza sapere bene bene nemmeno lui perché lo faccia. “Oba-san, io voglio fare il Ninja” aveva detto, in tutta semplicità un giorno, mentre aiutava la nonna a preparare una deliziosa zuppa di verdure e formaggio di soia. Il marito, nonno del ragazzo, si era subito opposto, avrebbe preferito che il ragazzo studiasse e andasse a lavorare in un bell’ufficio, magari in una delle Banche dei distretti più centrali del Villaggio dell’Erba. La nonna le aveva chiesto il perché. “Voglio aiutare le persone, voglio diventare forte…” aveva risposto seriamente il piccolino, convinto, pensando alle storie disegnate nei fumetti che tanto gli piacevano. “Imparerò a combattere.. Ah, Tah!” disse, in quell’occasione, il piccolino, abbozzando i colpi di uno pseudo stile di arte marziale, che per inciso non conosceva fino alle sessioni pratiche di corpo a corpo in Accademia. Così, piena d’orgoglio, Oba-san l’aveva accompagnato in Accademia il primo giorno di lezione. Ormai, a pochi metri di distanza, gli edifici che compongono l’Accademia, si stagliano alti, verticali, davanti al bambino. Sorride il piccolino, pieno di speranze, camminando ed alimentando i propri sogni.

23:09 Roku:
  [Verso Accademia.] Il ragazzino prosegue la sua passeggiata nel tentativo di compiere quella che per lui è diventata una vera e propria missione, tra una lezione in Accademia e l’altra, sera dopo sera, accompagnando la nonna, dopo essere sgusciato via dal locale, gironzola per il villaggio, di vicolo in strada, alla ricerca di gatti randagi, con la tasca destra piena di croccantini che compra mettendo da parte i resti della spesa, quando ne accumula abbastanza e non li spende, ovviamente, per comprarsi fumetti o qualche dolcetto per la merenda. Dovrebbe trovarsi ancora nel secondo anello del Villaggio, vicino alla Palazzina che conterrebbe le Aule dove generazioni e generazioni di studenti Ninja si sono formate, schiere, frotte, di ragazze e ragazzi pieni di ambizioni e determinazioni, di cui anche il piccolo Roku, giovane, fa parte. Rimane all’esterno del perimetro dell’Accademia, andando verso un edificio che ospita un’osteria, attualmente chiusa, che ad angolo forma un vicolo cieco, dove il giovane è sicuro di trovare i micetti che tanto spazio occupano nella sua testolina. Prepara la mano, la destra, nella tasca, pronto a richiamare l’attenzione degli animaletti. ˂ Ts, Ts, Ts ?! ˃ il suono che esce in serie dalle piccole labbra del bambino. ˂ Ts, Ts, Ts! ˃ fa una smorfia per produrre il classico versetto che ogni amante, pseudo-amante di gatti, gattaro o gattara incalliti, fanno per chiamare le loro creature. ˂ Micio, micio… ˃ aggiunge, per assicurarsi che i suoi adorati micetti arrivino. Dovrebbero essere tre. Tre gattini, uno bianco e nero, uno grigio e bianco e l’altro tigrato. Fino a qualche mese fa girava anche la madre, ma è da un po’ che il piccolo kusano non la vede. Giorno dopo giorno, prima di entrare in Accademia, il piccolino lascia qualche croccantino in quella zona, oppure appena fuori dall’accademia, lasciandoli in un posto il più nascosto possibile, furtivo, di modo che nessuno disturbi lo spuntino dei micetti.

23:22 Roku:
  [Verso Accademia.] Il ragazzo tace qualche secondo, guardandosi ai lati, nel tentativo di avvistare i bei micetti, di cui per ora non si vede traccia. Nella mano destra tiene una manciata di croccantini. Del resto è anche notte e il giovanotto non dispone certo della capacità dei felidi di vedere chiaramente anche in scarsità di luce, così come, nemmeno, ha un udito o fiuto sviluppati così tanto da permettergli di discernere la presenza delle bestioline. Insomma, lui è un bambino. Alza il braccio sinistro, prima a riposo al corrispettivo fianco, per guardare di nuovo l’orologio da bambino che è solito indossare. Si è fatta una certa ora, effettivamente, entro qualche minuto dovrà mettersi nuovamente in marcia verso il Centro di Kusa, dove la nonna starà sicuramente finendo di chiacchierare e darsi al gioco con i propri compagni. ˂˂ Meglio non fare tardi, altrimenti Oba-san si preoccupa… ˃˃ dice fra sé e sé, un po’ impensierito, combattuto. E’ sempre una gioia, per il ragazzino, incontrare uno dei suoi amici animaletti, ma non può nemmeno rischiare che la nonna si prenda un colpo apoplettico, non trovandolo seduto vicino all’ingresso del Locale, oppure fuori sulla panchina ad affrontarlo. In effetti, per quanto riguarda il non farsi vedere e lo sgusciare via, per la furtività in generale insomma, complice anche un po’, forse, la sua statura di bambino di dieci anni, sembra avere un certo talento. O forse la Nonna apprezza questi suoi moti interiori di avventurosità, di desiderio di esplorazione e libertà e anche vedendolo, non dice nulla. Bisogna anche tenere presente che la signora, per quanto arzilla, ha passato è ben oltre la settantesima decade della propria vita.

23:34 Roku:
  [Zona Accademia.] Sul volto del ragazzino, ora un po' impensierito, tanto dall'ora che si è fatta, quanto dal fatto di non aver ancora visto i suoi compagni micetti, le labbra si stortano quel tanto che basta per dare adito al misto di disappunto e preoccupazione che lo attanaglia. ˂ Saranno sicuramente andati a caccia di qualche topolino... ˃ ripete fra sé e sé, parlando da solo come fanno alcuni bambini di tanto in tanto, in assenza di interlocutori. Alza gli occhi al cielo, emette un sospiro. ˂ Posso lasciarglieli in un angolino, magari arrivano quando hanno fame... ˃ procede, nel suo ragionamento. Decide quindi di muovere qualche passo ancora, verso l'imboccatura del vicolo alla destra dell'Osteria, ora chiusa e buia. Lì, in un ultimo disperato tentativo di attirare l'attenzione di qualsivoglia vita del genere felides prende fiato e ˂ Ts ts ts ts! ˃ guardandosi attorno, nella vana speranza che almeno uno dei micetti si manifesti in un epifania di zampe, pelo e fusa. Aspetta, ancora qualche secondo, per poi lasciar andare la testa verso il basso, affranto. ˂ Uff... ˃ sbuffa leggero, scuotendo il capo ˂ Speriamo non sia successo nulla... ˃ fa, piegandosi in avanti, controllando che il cantuccio sia abbastanza pulito per poter lasciare il cibo per gatti. ˂ Ci vediamo domani allora... che ci sono le lezioni eh! ˃ dice, in tono speranzoso e allo stesso tempo ammonitorio, rivolto, chiunque lo vedesse ora potrebbe pensare, a non si sa bene chi. Detto ciò, si rialzerebbe, guardandosi alle spalle, per non si sa bene quale istinto, controllando che non ci sia nessuno, che nessuno l'abbia visto. Infila le mani in tasca e riprende la strada per la quale è venuto, insediato da una sottile tristezza. [END]

La nonna è occupata. Questo è il momento giusto per portare un po' di croccantini a tre micetti che si trovano vicino all'Accademia Ninja di Kusa. Il moccioso incontra anche un cucciolo di cane a spasso con il padrone, ma dei gatti, per questa sera, nemmeno l'ombra.