Giocate Registrate

Giocate Disponibili
Calendario
Trame
Giocate Registrate

Lacrime di sangue

Free

Giocata di Clan

2
0
con Hitachi, Haran

22:16 Hitachi:
  [Prateria della Memoria - Monumento] Luna nuova, piccolo spicchio di Tsukoyomi che delinea leggermente i tratti dell'Uchiha. Stanzia in piedi di fronte al monumento eretto in memoria dei caduti di Konoha durante le grandi guerre ninja che hanno squassato la tranquillità della foglia. Una leggera brezza aleggia lungo lo spiazzo erboso facendo vibrare la nera crine del chunin e le divise degli Anbu di guardia presso la postazione d'osservazione a poche decine di metri dalla posizione del possessore dello sharingan. Immerso all'interno di un non troppo caldo mantello nero, mani infilate nelle tasche del medesimo, presenzia possente come milite immobile di fronte alle memorie di chi fu grande guerriero, di chi è ora grande eroe. Le iridi nere come la notte, spaccate dal taglio della luna nuova, passano in rassegna tutto l'elenco di nomi mentre le labbra si schiudono ogni qualvolta le iridi vanno a posarsi su un Uchiha in elenco. I vecchi Uchiha, i veri uchiha, generati da padre e da madre non da univoci filamenti genetici di un unico individuo. Il mantello cade lungo e ben stirato, con un lungo lembo che cinge collo e metà volto, sino alle narici del sottile naso. Il coprifronte non è presente, il simbolo degli uchiha non è presente, nulla lo codifica come ninja dell'erba, nulla lo codifica come guerriero e shinobi, eccetto il volto, ormai conosciuto nelle lande del torneo. Le mani si cingono a mo di preghiera, unendo i palmi e flettendo il capo in avanti. Mormora qualcosa sottovoce, una preghiera, un lamento, un'implorazione ai defunti che non sono suoi, ma dei quali porta comunque il cognome, e una volta l'effige. Il chakra scorre, ne amplifica i sensi, e ogni eventuale intruso in quella preghiera verrà captato con semplicità. <Che voi possiate trovare la pace ... la pace che non avete potuto godere in questo mondo di odio e di follia.> [chakra On]

22:30 Haran:
 I passi della genin son guidati dalla bianca luce d'una luna incompleta. Quello spicchio solitario regna incontrastato in una volta oscura trapunta di distanti e piccole stelle. E' una visione alla quale Akira si sta pian piano abituando e che la porta spesso a rimanere sveglia durante la notte. E' uno spettacolo che sente strisciarle nel sangue, nelle vene, e che vorrebbe poter osservare per molto più tempo di quanto non le sia concesso. Preferisce di gran lunga la sera, l'oscurità, quelle ore buie e notturne ove tutto viene avvolto da un manto nero. Le piace l'idea del silenzio, il suono di quei grilli lontani che vibrano e cantano invisibili. Ama la sensazione di essere libera, di sentire la pelle diafana sfiorata da una brezza gentile. Tuttavia, ritrovandosi in terra straniera, Akira non andrebbe camminando completamente da sola, no: tenterebbe di richiamare a sé la compagnia d'una fidata compagna, della sua più grande forza.Andrebbe difatti lei a formare con le proprie mani il sigillo della capra all'altezza del plesso solare. Cercherebbe di richiamare dentro di sè un livello di concentrazione estrema per poi andare a radunare all'altezza della fronte le energie psichiche presenti nel suo organismo. Le avrebbe raccolte in una specie di sfera o di viva fiamma per poi proseguire col medesimo procedimento per raccogliere all'altezza del ventre le energie fisiche. Le avrebbe estrapolate dai muscoli e dalle ossa, dagli arti, per addensarle al grembo e poi, tramite un moto rispettivamente discendente ed ascendente sarebbe andata a far scontrare ambo quelle energie all'altezza del petto. Qui le avrebbe fatte fondere e mescolare lasciandole vorticare assieme a gran velocità così da permettere alla fine la nascita di una sola unica energia: il chakra. Se vi fosse riuscita avrebbe sciolto l'intreccio delle dita per poi lasciar ricadere molli, lungo i fianchi, le mani. Si trova questa sera, l'Uchiha, alla prateria della memoria di Konoha. Ha scoperto tempo addietro che quel luogo è un posto atto alla memoria dei defunti, della gente perduta e sebbene l'unica persona perduta della quale le sia mai realmente importato non sia stata seppellita lì, è lì che decide di recarsi per potersi dedicare al suo ricordo. Il nome di Arima ancora riecheggia forte nella di lei memoria, nel suo animo. Le manca la sua voce, la sua presenza rassicurante, quello sguardo freddo che s'affacciava dietro quelle lenti trasparenti. Le manca l'attesa delle sue visite, specialmente adesso che continua a vivere in attesa di un gesto da parte di Katsumi. Un gesto che, in cuor suo, teme davvero non arriverà. Akira indossa abiti semplici, scuri, acquistati a Konoha durante il suo soggiorno. Si tratta di un abito semplice, azzurro, senza maniche. Sul busto fascia il seno piccolo mentre copre le cosce con una gonna morbida e leggera di quelle che si solleverebbero e ruoterebbero alla minima giravolta. Un cinturino sottile, nero, stringe appena la vita piccola e stretta mentre le gambe bianche son nude e scoperte dalle ginocchia in giù. Non ha armi con sé, non ha oggetti se non il coprifronte di Otogakure legato attorno al bicipite sinistro. Alta poco più di un metro e mezzo, magra, esile, quasi come potesse spezzarsi con un soffio, Akira si presenta con sottili capelli corvini che arrivano all'altezza delle spalle, mentre gli occhi son bicromatici. Rosso come il sangue il sinistro, bianco come la luna il destro. Arresterebbe il suo passo, lei, a poca distanza dalla stele rendendosi conto solo in sua prossimità della presenza di un'altra figura. Una figura che ha già visto, che proprio di recente le sembra di aver scorto da qualche parte durante il torneo. <Buonasera> avrebbe salutato, semplicemente, schiudendo le labbra soffici e rosee. [Tentativo Impasto Chakra]

22:44 Hitachi:
  [Prateria della Memoria - Monumento] Continua il suo mormorio indisturbato mentre china il busto in avanti allungando poi la mancina in direzione dell'elenco dei caduti. Sfiora appena con i polpastrelli quell'insieme ordinato di anime, quell'elenco ben definito dei sacrifici costati a una nazione in cambio di cenere, di sabbia, del nulla. Ruota il capo in direzione della neo giunta. L'olfatto e l'udito affini gli consentono di percepire l'avvicinarsi di una nuova figura femminile, minuta e recante l'effige di otogakure no sato in un coprifronte avvolto lungo l'esile braccino. Le iridi colgono il contorno e i lineamenti della giovane, forti dei raggi lunari che riflettono la nivea colorazione della di lei pelle. <Buonasera.> schiude le labbra in risposta della voce femminile che accorcia le distanze in direzione del monumento. <Hai un volto conosciuto. Forse ti ho intravisto alla cerimonia di apertura del torneo.> scava nella mente, alla ricerca di un frammento di memoria che gli consenta di ricalibrare la figura innanzi a se. Tuttavia il nome non giunge alla mente, in favore di qualche piccolo ritaglio di sguardo durante il giorno dell'apertura del torneo. <Sei di Oto?> domanda in direzione della ragazza per poi ruotare completamente la sua figura in direzione della medesima accompagnando la rotazione delle spalle con l'accompagnamento del busto e quindi della gambe. <Anche io avevo quel coprifronte una volta.> pronunzia portando l'indice in direzione della placca di metallo fissa lungo il braccio della genin <Quando ero ancora sufficientemente stupido da aver bisogno di un simbolo per sentirmi parte di qualcosa.> una piccola smorfia si palesa sul viso dell'uchiha, forse un abbozzo tremendamente difficoltoso di sorriso. <Quando avevo bisogno di un simbolo per avere uno scopo nella vita. Quando avevano bisogno di simbolo per convincermi che esso racchiudeva tutto ciò che c'era di giusto al mondo ... > torna con le iridi fisse sul monumento dei caduti. <Come ti chiami genin di Oto?> perchè non può essere un chunin o superiore, altrimenti la conoscerebbe. [Chakra On]

22:59 Haran:
 Non è ancora molto pratica di quelle che sono le abitudini e le consuetudini di quel mondo. Non ha vissuto con la gente se non nelle ultime settimane e non è affatto abituata ad incontri come quello. Non sa se dovrebbe scostarsi e lasciar modo all'altro di pregare per conto suo, se invece non sia più cortese pregare assieme, se forse non dovrebbe semplicemente attendere il proprio turno neanche fosse una linea telefonica già occupata. Non sa come comportarsi, non sa come dovrebbe farlo, sa solo che nel dubbio vince l'istinto, quella vocina distante nella sua mente che la porta a salutare con fare semplice, breve ed educato. Il moro non pare disturbato da tale scelta ma anzi, par quasi cogliere al volo l'occasione per chiosar verbo. Akira ne osserva i lineamenti, i tratti, e ritrova in quelle forme una melodia lontana, bene nota. Non ha il viso di Sasuke, non è come tutti gli altri cloni che ha veduto prima d'ora, eppure c'è qualcosa di familiare in quei lineamenti, qualcosa di simile. Una somiglianza incredibile eppure impossibile. Un clone non può essere simile alla sua origine. Assorbe da essa ogni somiglianza, ogni tratto, come un virus che si nutre delle energie altrui. Eppure lui non è identico ad Arima, agli altri cloni della magione... è solamente simile. <Sì. Ho partecipato al torneo dei Villaggi> ammette ed annuisce lei continuando a studiare i lineamenti altrui con le proprie iridi bicromatiche. <Anche tu hai un viso familiare, eppure anche molto diverso> Una frase apparentemente senza senso per chi non sa cosa stia passando proprio ora per la sua mente. <Non capisco> rivela e confessa lei schioccando inconsciamente la lingua contro il palato, tacendo. Un alito di brezza va sfiorando la sua pelle pallida, ne smuove le ciocche corvine mentre la voce di Hitachi raggiunge il di lei orecchio. Lo sguardo vola istantaneamente al coprifronte che ha legato attorno al braccio ed il dubbio striscia nel suo animo. Dovrebbe dire che quel coprifronte non è suo? Che le è stato donato? E' qualcosa che dovrebbe rimanere privato, solo suo? Non lo sa, è incerta, ma intanto ascolta e le iridi tornano a spostarsi sul di lui viso mentre ogni parola vien salvata e memorizzata dalla genin. <La tua sembra una vita molto lunga ed anche molto triste.> commenta lei, d'istinto, assottigliando appena lo sguardo nell'osservare i di lui occhi, quel sorriso assai più simile ad una smorfia. <Il mio nome è Akira Uchiha e... non vengo da Oto. Non ci sono mai stata, non l'ho mai vista> risponde alla fine Akira volgendo ora il capo verso l'alto, verso il cielo che sovrasta i due e qualsiasi altra cosa. <Questo coprifronte è un regalo.> Oppure qualcosa dal quale avrebbe dovuto imparare a non dipendere più. <Qual è il tuo nome, invece?> aggiunge, poco dopo, riabbassando il capo e ponendo nuovamente lo sguardo sulla di lui figura. [chakra: on]

23:16 Hitachi:
  [Prateria della Memoria - Monumento] Uchiha. China il capo, i sospetti erano fondati. <Un'altra sciagurata creatura figlia della follia di un uomo incapace di rassegnarsi d'essere l'ultimo della sua specie.> porta nuovamente le iridi su Akira, un piccolo frutto acerbo generato come embrione, cresciuto come clone, ed immesso nel mondo come essere umano frutto di un esperimento, con una vita programmata per essere monitorata come una prova scientifica, una sperimentazione, per la ricostruzione di una tradizione lontana, di un albero genealogico ormai disperso nei meandri della storia. <Hitachi Uchiha.> mormora, pur essendo ben udibile, in direzione della piccola. <ma il mio vero nome è Esperimento H-Itachi 99 catalogato come clone impuro.> un pesante fardello schiaffato subito in viso alla creatura di fronte a lui. Lo sguardo si inclina verso il basso, la nota triste della sua vita richiamata dalle parole di Akira si palesa sul suo viso con lo stesso peso sullo sguardo del suo tradimento verso la famiglia di cloni. <Sono il riflesso di un filamento genetico che ha dato vita a entrambi. Sebbene nostro "padre" sia lo stesso.> sottolinea la parola padre con una vena di disgusto appena accennata <Il mio sviluppo ha fatto riferimento a un'informazione storica contenuta nel gene di Sasuke dando vita un'ammasso di cellule coordinate tra loro che ricordano alla perfezione Itachi Uchiha. Sono l'esperimento andato male, ma che ha portato alla luce l'ultimo riflesso di bontà del clan dell'Ichiwa bianco rossa.> è solo un pallidissimo ricordo di quello che era Itachi. Il nome dell'eroe tra gli eroi non può accostarsi al suo, risulterebbe essere un insulto alla memoria del più grande dei ninja. <Sono contento che tu non abbia mai conosciuto e visto Oto. Devi essere ancora un frutto acerbo, un clone appena immesso nel mondo reale. Magari sei cresciuta tra due mura, in quel dei quartieri Uchiha. Non hai conosciuto altro se non quel che ti veniva detto, insegnato, imposto. Imposto da impostare, da traditori della vita.> parla a sproposito, sembra che si stia rivolgendo a se stesso, più che a Akira. <La tristezza è un fattore umano, amplificata per mille nella vita di un clone. Che genere di vita può avere un essere umano generato da una provetta e cresciuto da uno scienziato? .. la sofferenza è il collante che ancora ogni clone alla vita.> [chakra On]

23:37 Haran:
 Le parole dell'altro giungono quasi come uno schiaffo all'orecchio del clone. Akira schiude le labbra nel sentire con quanta crudezza l'altro parli di sé, della loro natura, del loro destino. Finora avevano tutti parlato della sua natura di "copia" quasi con leggerezza, oppure con affetto, ma quest'uomo è il primo che mette le cose per come sono realmente. Brutali. Tristi. Spiacevoli. E la ragazza se ne sente come colpita fisicamente. Fa male sentire queste parole. <Sì...> mormora lei con voce bassa, incerta, chinando lo sguardo verso il terreno. <...e no.> Non sa, lui, che la ragazza non discende dallo stesso progetto portato avanti per anni dalla base Uchiha per riportare alla vita Sasuke e la sua pura discendenza. Non può sapere come lei sia il frutto di un improvviso cambio di programma, di un qualcosa di nuovo. Qualcosa che neppure lei comprende e capisce a pieno. Qualcosa che non avrebbe mai compreso realmente in quanto l'unico a conoscere la verità dietro la di lei creazione è Katsumi. Ode la sua presentazione, il suo dire, ed alla sua presentazione in qualità di clone, Akira si ritrova quasi a sentirsi ricevitrice di un qualcosa di intimo e personale, qualcosa di prezioso. <No. Non è il tuo vero nome> replica lei dopo qualche attimo di silenzio muovendo un paio di passi ancora verso di lui, bruciando quella breve distanza venutasi a creare fra loro. <Non sei un esperimento. Sei ciò che decidi di essere. Sei Hitachi, non Esperimento H.> Il fratello di Sasuke... ecco perchè sia così simile a lui senza però esserlo abbastanza. <Ed io sono Akira e non K-21> continua, poco dopo, stringendo le labbra. Katsumi glielo ha detto, glielo chiarì durante il loro primo incontro. Sono persone, sono esseri umani e non oggetti o prove catalogati come campioni su degli scaffali. Sono persone, sono ciò che avrebbero deciso di diventare. Parole alle quali si è aggrappata disperatamente per molto, molto tempo e alle quali ancora si stringe per non rassegnarsi all'idea di essere solamente una copia, un falso, prodotto sbiadito che non potrà mai essere al pari del suo originale. Ascolta il racconto, la storia di lui, e si ritrova ad osservare le di lui iridi buie in silenzio. La sua voce soltanto riecheggia nel circondario, accompagnata di tanto in tanto dall'ululato distante del vento. Non v'è altro oltre loro a testimoniare quel loro incontro. La voce di Hitachi prosegue, continua, avanza verso di lei fino a travolgerla, colpirla, trafiggerla e ferirla. Schiaffi dolorosi, violenti che la sconquassano e ammutoliscono con la loro brutale verità. Ha ragione. Non ha conosciuto nulla oltre quello che le sia stato imposto. Le sue convinzioni sono il frutto mischiato di quanto le è stato insegnato da Arima prima, da Katsumi poi. I suoi concetti di vita dipendono da parole sentite dire da qualcun altro, derivano da esperienze che lei non ha vissuto per prima. Lei è semplicemente la fusione di geni, pensieri e parole confuse, è la figlia bastarda di un fato annoiato. Lo sguardo s'incupisce, s'adombra ed il viso s'abbassa mentre i piccoli pugni si chiudono con forza fra loro. <E non c'è una via d'uscita, per noi?> domanda, alla fine, dopo diversi istanti di denso silenzio. <Non c'è salvezza per noi? Non possiamo essere qualcosa di diverso che un esperimento progettato in laboratorio?> c'è una disperazione rabbiosa nella sua voce mentre pone quelle domande. V'è il bisogno di sapere che può sfuggire a quella realtà, a quei concetti alla base della sua stessa esistenza. <Io non voglio essere una copia... non voglio essere l'eco della vita di qualcun altro. Io non sarò mai la persona da cui sono stata creata!> E sono parole sue? Lo crede davvero? O ripete forse, ancora, soltanto le parole che Katsumi le ha detto durante il loro primo incontro? <Deve... deve esserci altro per noi. Una vita normale, una identità tutta nostra... noi... possiamo essere chi scegliamo di diventare> e la sua voce s'affievolisce, man mano, come se quelle parole le costassero fatica, un immane sforzo. La sua convinzione è debole, traballa, vacilla, man mano che nella sua mente mille pensieri e mille domande s'incontrano ed uniscono. Chi è, lei? Chi è giusto che lei sia? [chakra: on]

23:59 Hitachi:
 <Noi siamo i cloni della peggior specie. Siamo la replica malforme di quello che era un Clan malato sin dal principio. Se raccogli il frutto del male, e ne pianti il seme in una terra fertile, questo germoglierà e crescerà diventando un'altra pianta del male. Una pianta così cattiva per natura da far avvizzire il terreno su cui è piantata.> esclama in direzione di Akira riprotando lo sguardo fisso su lei e sul malessere interiore che traspare dal suo modo di parlare, dal suo modo di reagire alle parole di Hitachi. <Io ho visto la maledizione degli Uchiha, ho preso coscienza della nostra realtà. Sebbene noi siamo nient'altro che il frutto secondiare di quella stirpe antica siamo tanto quanto loro .. condannati ad un'esistenza di sofferenza. Il nostro stesso potere è frutto della sofferenza e la nostra stessa indole tende a portarci soventemente sull'orlo del baratro per richiamarci alla nostra natura. > punta l'indice sull'elenco dei nomi riportati sul monumento. <Osserva.> indica un tratto di elenco lungo diversi nomi, tutti Uchiha caduti per konoha. <Esistevano Uchiha di Konoha ... i veri Uchiha...> volge lo sguardo poi verso il coprifronte di Oto di Akira <...esistevano Uchiha di Oto...> per poi posare lo sguardo sulle sue mani per poi indicare il corpicino della genin <E ora esistono Uchiha di Kusa.> ma dove vuole arrivare? <Cosa ne deduci? ... io ne deduco il fatto che per quanto puoi nascere, crescere, e combattere sotto un effige .. un domani potresti ritrovarti a servire sotto quella di qualcun'altro. Una volta gli Uchiha di Konoha combattevano contro Oto. Poi Oto è diventata la casa degli Uchiha che combattevano per il Suono contro la loro terra natia. Oggi gli Uchiha vivono sotto il simbolo dell'Erba e sotto l'effige di Kusagakure no Sato. In sostanza ... i nemici di oggi, possono essere gli amici di domani. E gli amici di oggi potranno diventare i nostri avversari. Questo se ascolti ciò che ti viene imposto. Se prendi per vero tutto quello che ti dicono. Se ti dicono di uccidere... e tu uccidi... se ti dicono di sterminare... e tu stermini ... se il tuo istinto ti dice uccidi tuo fratello e avrai il potere... e tu lo fai ...> esclama serio e grave su Akira. <Akira se vuoi essere Uchiha preparati a vivere come un Uchiha. L'Uchiha non piange lacrime cristalline. L'Uchiha piange lacrime di sangue. Ogni volta che usa il suo potere, attinge alla sofferenza.> una breve pausa, per lasciare spazio a una frase ancor più importante in quel discorso già molto complicato. <Io sono un Uchiha impuro... indegno del nome e del potere che porta ... perchè ho scelto di percorerre una strada diversa. Perchè ho scelto la vita come unica fonte di potere e non la morte. Perchè non voglio piangere sangue. Perchè non voglio essere uno strumento nelle mani di un capo clan. Perchè non voglio compiere atti contro natura, e per paradosso, la natura degli Uchiha è contro la natura stessa dell'essere umano. Uccidi tuo fratello, e sviluppo il potere che ti spetta. No ... > pausa, occhi neri, profondi, si fondono con il vuoto. <Non per me.. non è la mia vita... non ucciderò mai per avere potere. Non piangerò mai sangue. Non farò MAI ... parte di quel cerchio. E neanche tu devi farlo. Se c'è una via d'uscita per me... per noi... io la troverò. Ma non cercherò la completezza del mio Sharingan della morte di un altro clone.>

00:22 Haran:
 Lei.. sì, lei aveva già sentito in parte questa storia. Gli Uchiha sono un clan maledetto, destinati fin dalla nascita ad una vita di guerra e lotte. Ma quel che lei sapeva era che fossero costretti a combattere e difendersi per via di tutti coloro che desiderano il potere dello Sharingan. Che la loro maledizione fosse semplicemente il loro enorme potere. Eppure... eppure le parole Hitachi rivelano adesso qualcosa di diverso, un significato assai più triste e misero. Akira ascolta rapita, assorta quelle parole guidata da quella voce come dalle note d'un incantatore di serpenti. Ascolta, salva, memorizza ogni dire prima di seguire il di lui indice fino ad osservar la stele di pietra. Ha già letto i nomi incisi lì sopra una volta, eppure non li ha mai letti tutti. Non si era mai accorta di come, d'un tratto, vi fosse un insieme di nomi tutti estremamente simili, tutti accomunati da un'unica parola. Uchiha. Legge ora quei nomi, quelle identità, ritrovandosi a schiuder le labbra ed avvertire un brivido freddo risalirle la schiena, la colonna. Sapeva che i primi Uchiha avessero valcato il suolo konohano, sapeva che si fossero successivamente spostati, conosce la loro storia. E' l'unica cosa che Arima le abbia davvero insegnato prima di svanire, prima di morire. La storia di Madara, di Sasuke, Itachi, Wooaki... Eppure non ha mai accennato al modo così triste in cui un Uchiha continua a trovar morte sulla sua strada. Che sia la propria o quella di un amico, di un fratello, di un padre. Lui ha sempre cercato di mostrarle il clan come qualcosa di potente e inarrivabile e lei non si è mai posta alcun'altra domanda. Non si è mai soffermata a vedere quella storia da un punto di vista diverso, dal punto di vista di uno di coloro i quali quella storia l'hanno vissuta. E l'hanno persa. <Io... non voglio il potere. Non mi interessa uccidere...> mormora lei quando l'altro le chiede di prepararsi per essere quello che un Uchiha dovrebbe. <Io voglio solo vivere> ammette lei con voce spezzata, bassa, flebile, schiudendo le labbra rosate. Si ritrova travolta in un vortice fatto di sangue e buio, fatto di cadaveri ed occhi privi di luce. Si ritrova catapultata per la prima volta in quella che effettivamente è sempre stata la maledizione del suo sangue. Ascolta il dire di Hitachi, la sua scelta, le sue decisioni, e si ritrova poi ad interromperlo quando l'altro va a definire gli altri cloni come strumenti nelle mani di un capoclan. <No!> esclamerebbe lei come a voler fermare quelle parole che escono come una condanna dalle di lui labbra. <Katsumi non è così, non vuole questo!> tenterebbe di dire lei guardandolo con occhi supplicanti, scintillanti di un sentimento indefinito a metà strada fra la disperazione e la speranza. <Lui vuole che siamo una famiglia. Lui ha detto che i cloni non sono oggetti, non sono strumenti. Lui non vuole usarci...> e ripete le sue parole, una volta ancora, ricordando quasi a memoria quella conversazione avuta ormai mesi prima. <E' diverso...> e non sa che lui lo conosce, non sa che Hitachi non può esser a conoscenza della natura di Katsumi come nuova guida del clan. <Io... voglio solamente essere normale. Non ho chiesto io di nascere, forse non avrei dovuto esistere, ma ormai è successo, ormai sono qui, e voglio vivere. Voglio avere un posto tutto mio, un mio nome, delle persone che...> si ferma, si stringe le labbra, deglutendo. Vuole soltanto un po' d'amore. Quello d'un padre, quello d'una madre, quello d'una famiglia. <Arima voleva che il mio Sharingan fosse abbastanza forte da permettermi di eguagliare colui dal quale sono nata, ma a me non interessa davvero. L'unico motivo per cui continuo a cercare nuova forza è per non rimanere indietro, non morire... Non voglio essere la più forte. Non voglio essere Sasuke o un capoclan o una leggenda... Voglio essere Akira. Voglio essere...> la voce si spegne quasi, quella parola è un azzardo e la più sacra verità. <...felice.> Le iridi di lei si specchiano in quelle scure di Hitachi, ricercano in quei pozzi scuri una risposta, un appiglio o forse più semplicemente comprensione. <Sono impura anche io, per questo?> [chakra: on]

00:47 Hitachi:
 Cala ancor più ombra sul viso di Hitachi quando la genin pronunzia il nome di Katsumi. <Katsumi ... da tempo ho perso di vista chi un tempo era il mio compagno di giochi ed avventure...> coglie la purezza di Akira e la sua ingenuità <Akira ... tu sei l'Uchiha più pura che io abbia mai conosciuto. Pura di cuore. Tanto pura da non capire che se Katsumi si trova a capo degli Uchiha è perchè ha ucciso abbastanza persone da poter soggiogare un intero clan di maledetti, piegandolo al suo volere. E continuerà a essere così fino a quando un altro Uchiha ammazzerà altri uomini, e otterrà così il potere sufficiente per eliminare Katsumi.> Lui non ha più coscienza di Katsumi, non sa che genere di potere abbia sviluppato, certo è che <Un Uchiha straordinariamente potente è un assassino. Non te lo dimenticare. Anche Itachi, primo tra i giusti, era un omicida. Ha abbracciato la nomea di assassino per un bene maggiore forse... ma sempre un assassino resta. Un assassino per destino, perchè il fato l'ha posto nelle condizioni per diventare lo sterminatore del clan. E questo succederà anche a te... come è successo a me... il destino ti metterà di fronte ad alcune scelte. E la risposta che darai a questi dilemmi ti plasmerà. Ma il binomio Uchiha e famiglia non esiste. Devi esserne consapevole.> esclama esponendo la per intero il suo profilo a Akiro. <Eppure una speranza c'è. Se vuoi essere Akira, così come io voglio essere Hitachi, devi esercitarti. Devi sopprimere l'istinto. Impara a reprime lo Sharingan, soffoca la brama di potere che se ancor non senti, un giorno l'avvertirai così fortemente da non poterla ignorare.> un lungo respiro fa penetrare l'aria fredda della prateria. <Percepisci la forza della vita. La luce di Tsukoyomi, il calore di Amaterasu. Ripudia la sofferenza, ripudia il potere, ripudia la rabbia, reprime completamente la brama di potere. Conosci le emozioni, esplora il mondo, senti l'amore per la vita e riempi la tua vita di amore. Impugna le armi se necessario e non fare mai del male oltre il necessario. Punisci il colpevole, ma non dimenticare la compassione per chi attacca per sopravvivere. Sanguina dagli occhi per chi ami, non sanguinare dagli occhi perchè ami. Vivi in funzione degli altri, non in funzione di te stessa. E guardati sempre le spalle. Il potere supremo degli Uchiha si sviluppa quando un Uchiha sostiuisce i suoi occhi con quelli di un'altro Uchiha, sviluppa il potere eterno dopo aver strappato gli occhi di un altro Uchiha, suo fratello. La cruda realtà è che il primo nemico di chi è come noi, è se stesso. Pericolo per se, e pericolo per gli altri. Per questo non può esistere una famiglia di Uchiha. Ogni volta che viene al mondo un Uchiha si crea uno squilibrio naturale, e l'Uchiha paga il pegno della sua vita con la morte di qual'altro.Il potere che può padroneggiare è così potente da scaturire direttamente dalla morte. nasce dalla morte per dare la morte. Tu , come me, devi imparare a lottare per la vita. E non puoi farlo con quel coprifronte. Non puoi farlo se uccidi perchè te lo dicono, non puoi farlo se combatti senza uno scopo. Uccidere è lecito se è necessario, ma non tutto ciò che è necessario è sempre lecito.> esclama volgendo le spalle ad Akira. <Akira il mondo è un posto complicato per un essere umano normale... per noi è un vero e proprio inferno tant'è che sin da piccoli impariamo a sputare il fuoco dalla bocca. Ma la speranza c'è sempre, devi solo imparare ad indirizzare bene lo sguardo. Ad orientare bene il tuo cuore. Ogni maestro, Katsumi tra questi, ti potrà accompagnare per un tratto ben definito della tua vita, dopo di che la scelta su come impegnare la tua anima spetta a te. Ricordati però, che una volta che condanni la tua anima non puoi più tornare indietro. E che un Uchiha tanto soffre, tanto è potente. Ma dopo questo torneo anche gli Uchiha capiranno che non serve dare, o provare, sofferenza per essere i più forti. Ma che in verità e sufficiente essere consapevoli della forza della vita, del perchè di ogni cosa, per essere un passo avanti a tutti. Capiranno che l'uomo che vive per un ideale non teme nulla, mentre l'Uchiha ha paura per tutta la vita. Paura di essere braccato, paura di essere la vittima, o di diventare il carnefice, della sua abilità innata. Tramite me, gli Uchiha avranno la dimostrazione che non è la categoria Z a fare un Uchiha grande, o il numero di Tomoe... capiranno che l'uomo è grande perchè grande è il suo amore per la vita. E io ho voglia di amare, perchè troppo ho sofferto poichè chi mi ha cresciuto mi diceva che solo tramite la sofferenza potevo accrescere il mio potere. Ora che sento la vita in ogni filo d'erba, in una giovane ragazza come te, nel vento, nell'albero, e nelle stelle ... ho capito che sono nato per proteggere, non per distruggere.> esclama muovendo alcuni passi lontano da Akira. <Quando verrai a cercarmi, mi troverai alla locanda a pochi passi dall'uscita Nord dell'Arena. Mi troverai li.> non parla di eventualità, sa che Akira tornerà da lui. <Pensa con la tua testa. Buonanotte.> [uscita]

10:06 Haran:
 Il commento di Hitachi sul mezzo Seiun porta Akira a schiudere le labbra in un primo momento e a stringerle con forza il seguente. Anche lui l'ha conosciuto ed anche lui, pare, è stato abbandonato dal ragazzo. La giovane è combattuta, non sa più cosa dovrebbe pensare di Katsumi e del suo atteggiamento. Se fino a poco prima l'ha venerato e considerato il suo salvatore, adesso inizia a sentirsi come tradita da lui, abbandonata. Perchè l'ha liberata se poi non ha più bussato alla sua porta? Perchè prometterle di guidarla, di insegnarle, se poi neppure le si mostra dinnanzi gli occhi? Perchè le ha concesso di considerarlo una famiglia se poi non aveva alcuna intenzione di rimanerle accanto? <Già. Anche io...> Il commento è amaro, sofferto, così come la sua espressione. Anche lei l'ha perduto di vista, anche lei non sa più dove sia. Forse, a pensarci bene, non ha mai saputo chi fosse. E sì che lui l'aveva messa in guardia su di sé dicendole che aveva compiuto azioni terribili, ma lei non aveva potuto vederle troppo offuscata dal sentimento di gratitudine e adorazione che aveva provato per il suo liberatore. Fa male. Le stringe lo stomaco questa considerazione e la porta sentirsi improvvisamente perduta. Tuttavia la voce di Hitachi sopraggiunge nuovamente calandole un'ancora di salvezza. Le sue parole, il suo dire, la riscuotono da quelle sue tristi considerazioni portandola a schiudere le labbra con sorpresa. La definisce pura, la definisce -forse- in termini velati, ingenua. E lei lo sa. Sa di esserlo, sa di essere ancora estremamente "pulita", semplicemente perchè del mondo non conosce ancor lo sporco. Ascolta ogni parola, pende dalle sue labbra e quando l'altro esprime quel primo pensiero si ritrova, semplicemente, ad inclinare il capo con fare leggero. <Tutti, su questa terra, sono assassini. Non è questo a sconvolgermi. Rientra nel naturale ordine delle cose> il suo tono non par turbato da quelle parole così forti. E' davvero, sinceramente e profondamente convinta di questo. Dopotutto nella sua breve esistenza è tutto ciò che ha potuto conoscere. La storia del mondo si basa sulle gesta di omicidi e assassini e così anche la propria. Arima ha ucciso delle persone ed a sua volta è stato ucciso da Katsumi. Nella sua breve esistenza ha imparato che nessuno ha le mani prive del sangue di qualcun altro, tutti -prima o poi- avrebbero preso la vita di qualcuno. Anche lei, probabilmente. <Non temo qualcuno che abbia ucciso un altro. So che la gente fa cose per motivi diversi, motivi che non conosco e probabilmente non posso capire, ma succede. Ma questo non fa di una persona un cattivo, o un maledetto. Nessuno è buono o marcio... una persona è le scelte che fa.> Ed ancora una volta esprime quel pensiero nato a seguito delle parole di Katsumi. Anche lui le fece un discorso simile una volta e lei ci ha creduto da subito. Lui stesso si presentò a lei come un uomo che aveva compiuto azioni terribili, eppure Akira riuscì a vedere nei suoi occhi che lui non era terribile. Crede davvero in questo concetto. Hitachi continua, prosegue, e le dà consigli, una strada, una guida, una fiumana di parole che la travolgono rubandole il fiato, la voce. Come può fare tutte queste cose? Lei che, a stento, sa come camminare sulle sue gambe in un mondo che le è totalmente estraneo? Come può, semplicemente, imparare a reprimere il potere di un occhio che così fortemente ha tentato di sviluppare e fortificare? Le parole dell'altro sono tante, troppe, e semplicemente la soverchiano portandola in uno stato di estrema confusione. Mai come in questo momento si è sentita così debole, così incapace ed inadeguata. Non è pronta. Non è pronta a camminare da sola, non avrebbe dovuto abbandonare il suo bozzolo... Presto o tardi quella vita a lei ignota l'avrebbe uccisa, l'avrebbe investita e lei non avrebbe potuto sopravvivere a quel momento. Sola. Debole. Piccola. Rimane in silenzio incassando ogni parola come un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco e quando vede Hitachi volgerle le spalle si sente più spaesata e confusa che mai. La loro vita è maledetta. Non un dono, ma una croce. Dei cloni non potranno mai essere normali, mai felici. E per la prima volta le sembra che qualcuno possa capire davvero i suoi pensieri, la sua confusione, il suo dolore, facendola sentire improvvisamente strana. Non le dà conforto, non pienamente. Si sente solamente in trappola. Ha la conferma, ora, che non v'è salvezza a quel suo tormento, ma solamente una caduta libera lungo un Abisso fatto di dolore e solitudine. <Come faccio...> un sussurro spezzato, flebile, che scaturisce dalle sue labbra assieme a due piccole lacrime d'argento. Come fa a sperare? Come fa a pensare agli altri e non a se stessa? Come fa a divenire forte abbastanza per poter sopravvivere ma non troppo da non rimanerne accecata? Come può fare a seguire tutti quei dettami che l'altro le ha appena offerto? Se ne sente sommersa e sente di non riuscire a respirare. Vede la schiena d'Hitachi allontanarsi, distanziarsi da lei e le sue ultime parole raggiungerla come una corda che le vien calata dall'estremità superiore di un pozzo impossibilmente profondo. Forse quelle parole vogliono essere una mano tesa per aiutarla a risalire, forse è solo un modo per farla rassegnare a quella che è e sarebbe stata sempre la sua vita. Non lo sa, deve pensarci, deve capire. Ma per ora, si limita a sentirsi cadere in pezzi mentre l'ultima nota della voce del clone va sperdendosi e spegnendosi nel buio della notte. [END]

Akira e Hitachi s'incontrano per la prima volta alla stele dedicata alla memoria dei caduti di Konoha.

I due si riconoscono da subito come cloni dei laboratori Uchiha e ritrovano nell'altro una parte di se stessi. L'ingenua ed innocente purezza d'animo di un clone appena immesso nel mondo dall'altro; il dolore, la solitudine e la sofferenza della consapevolezza e dell'esperienza dall'altro.

Hitachi offre alla ragazza una lezione sulla spietata realtà che circonda i cloni del clan e le lascia modo di ritrovarlo una volta che si fosse sentita pronta a cercarlo nuovamente.