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Il monito

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con Kaori, Raido

La pioggia batte forte all'esterno del laboratorio, cade come se non ci fosse domani con grossi nuvoloni grigi a dominare e occupare il cielo. Il vento soffia con abbastanza forza ed è il principale motivo per cui il rumore della pioggia è così percepibile anche dal luogo in cui ci troviamo o meglio, nel luogo in cui si trova Kaori. La ragazza è stata rapita dal cappuccio rosso oramai da diversi giorni ma per sua fortuna anche non le hanno fatto niente, nessuno ha toccato il suo corpo, nessuno si è avvicinato a lei. Per tutto questo tempo è rimasta rinchiusa in una stanza senza avere contatti con l'esterno o con qualcun'altro tranne con coloro che le portano da mangiare due volte al giorno. La stanza in cui si trova, stranamente, è piuttosto confortevole. Composta da un letto a baldacchino con soffici coperte rosse, cuscini morbidi, il materasso è in lattice, di una comodità invidiabile; intorno al letto vi sono delle tende rosse per coprire e proteggere il suo sonno. Dinanzi al letto vi è un camino con cornice grigia, il fuoco è acceso e può essere alimentato direttamente dalla Hyuga in quanto i pezzi di legno vengono portati nella stanza due volte al giorno insieme ai pasti. Sopra il camino vi è una mensola in marmo dove vi sono poggiate alcune fotografie con una donna, il cappuccio rosso, e due bambini, un maschio e una femmina è molto piccola, avrà si e no due anni e assomiglia stranamente a Mekura. Alla destra del letto vi è un comodino con sopra una bajour, la spina è attacca e l'interruttore è fissato sul comodino. Non vi sono finestre in quella stanza, niente che possa portare luce tranne un grosso lampadario sul soffitto. Sempre sulla destra, a una decina di metri, vi è una porta grigia in metallo, molto spessa e difficile da rompere ma, la cosa ancor più si nota è la stanza stessa. In questi giorni Kaori avrà sicuramente tentanto di usare le arti magiche per poter uscire ma non riesce nemmeno ad attivare il chakra perchè l'intera stanza è stata fatta con materiale anti-chakra così che nessuno possa fare il furbo. Una bella situazione quella in cui si è cacciata la giovane Hyuga e ora cosa l'aspetterà? Cosa succederà? [Ambient]

10:17 Kaori:
 Quanto tempo sarà passato ormai? Da quanti giorni è rinchiusa lì dentro? In quelle monotone pareti a lei estranee? A giudicare dal numero di volte in cui sono venuti a nutrirla sicuramente diversi. Quanti, non lo sa, ha perso il conto in quell'incedere sempre uguale delle ore. Inizialmente ha rifiutato di mangiare, di sedere sulle lenzuola rosse che coprono il grande e comodo letto posto al centro della stanza. Non desiderava far nulla se non cercare di scappare. Ma più tentava di richiamare a sé il proprio chakra, più non ci riusciva. Ha provato tante, troppe volte a richiamare a sé quell'energia mistica e fenomenale ritrovandosi sempre più disperata ad ogni fallimento. Ha tentato di colpire la porta più e più volte coi suoi piccoli, fragili pugni, e neppure un graffio ha mai scalfito la pesante superficie metallica dell'uscita della sua prigione. Ha gridato, pianto, imprecato fra le pareti di quella gabbia comoda e soffice, ma nessuno ha mai udito la sua voce. Alla fine, semplicemente, si è arresa al suo destino. Ha smesso di tentare, ha smesso di guardare verso la porta fingendo quasi non ve ne sia alcuna. Si è spenta, poco per volta, rassegnandosi al fatto che non sarebbe mai riuscita a fuggire da sola da quel luogo. La fame, la sete, il sonno, hanno preso il sopravvento su di lei. Il terzo giorno ha mangiato per la prima volta i pasti che le son stati portati. Silente, arrendevole, seduta in terra dinnanzi all'elegante e caldo camino posto nella camera. Osservava la foto posta sulla mensola studiando i dettagli ritratti. La bambina assomigliava straordinariamente alla sua amica Mekura sebbene i capelli non fossero della stessa sfumatura che le ha sempre visto portare. Ha lo stesso sorriso, gli stessi occhi candidi, la stessa pelle d'avorio. E' solo molto più felice in quell'immagine, felice come lei non l'ha mai vista. Forse come non l'avrebbe veduta mai. Ricorda Kaori che un tempo Mekura le rivelò d'aver avuto un fratello. Un fratello che le aveva distrutto la vita, che l'aveva ridotta in macerie. Un fratello che forse ora può vedere ritratto al suo fianco ed al fianco del cappuccio rosso. Un sorriso sarcastico increspò per la prima volta le labbra della chuunin nel mettere assieme i pezzi di quel perverso puzzle che le si era preposto dinnanzi. A quanto pare non era l'unica ad avere un genitore ripugnante in quella storia. Ancora un'altra somiglianza. Ancora un nuovo identico passo nella loro vita. Quella notte, per la prima volta, ha dormito nel letto rosso degli orrori posto in quella camera. Spossata, stanca, rassegnata a quello che sarebbe accaduto, ha abbandonato ogni resistenza cercando quanto meno di sfruttare le comodità che sono state poste lì per lei. Lentamente, poco a poco, la sua fiamma va spegnendosi. Par quasi un automa in quel suo modo di respirare meccanico. Non parla più, non guarda chi viene a nutrirla, non si lamenta, non piange. Mangia. Aspetta. Dorme. Una routine continua e costante che inizia ad avere un che di rassicurante nella sua mente. E' tutto così semplice, lì. Non deve pensare, non deve far nulla, non deve combattere. Solo aspettare. Chi, o cosa, non lo sa. Ha smesso di aspettarsi l'improvviso arrivo di Mekura o di Raido da quella porta metallica. Probabilmente non sapranno neppure dove sia. Magari Mekura non ha neppure udito nulla di quello che è successo. Magari si saranno accorti solo ora che è sparita da qualche giorno da Konoha. Magari... sospira. Non vuole pensarci, non vuole pensare a nulla. Rimane immobile sotto le calde coperte rosse di quel letto, distesa su di un fianco in posizione fetale, con le gambe rannicchiate contro il petto. Ha lanciato via i porta kunai e la tasca porta oggetti che aveva con sé per la stanza. Persino il suo coprifronte è stato gettato contro la parete, lasciato cadere in un angolo con noncuranza per la prima volta in tutta la sua vita. Stivali abbandonati chissà dove, guanti lasciati sparsi per terra. Veste solo di quella camicia viola pallido e dei pantaloni elasticizzati neri che indossava il giorno del rapimento. Le piacerebbe fare un bagno, avere vestiti puliti. Pettinarsi. Forse, per assurdo, l'ultimo istinto vitale che le rimane in cui credere.

La rassegnazione è la peggior cosa, smettere di combattere quando più occorre, a questo siamo arrivati e Kaori si è arresa al suo destino. Aspetta che l'esperimento cominci, aspetta che qualcuno vada a prelevarla ma per quanto tempo le toccherà, ancora, aspettare? Per quanto ancora deve fare quella vita, tutta sola in una stanza senza nessuno con cui parlare, senza nessuno da guardare. Il caldo del luogo è l'unica cosa che le può creare conforto, le coperte soffici e calde, il camino che arde in modo prepotente; tutto viene riscaldato, ogni cosa, un calore quasi materno per la giovane. Prima si è soffermata sulla foto ma cosa rappresenta essa? Una donna con un sorriso in viso che tiene in braccio una bambina mentre al di lei fianco un maschietto di qualche anno più grande che sorride. Esso ha i capelli neri, gli occhi perlacei, qualcuno che Kaori non ha mai visto al villaggio, non di recente almeno. I pasti che vengono portati ogni giorno sono sempre differenti e di buona qualità oltretutto: si passa dal sushi a cibi più sofisticati, dalla semplice bistecca al manzo con svariati contorni tra cui patate, piselli, verdura, insalata. Una prigionia piuttosto strana, sembra un albergo di lusso solo con un fine molto più oscuro e crudele. Non la vogliono morta, non la vogliono deperita, al contrario, la vogliono in salute e in forze, deve reggersi in piedi ed essere capace di fare ogni genere di cose possibili e immaginabili. La calma e la tranquillità, però, finiscono e la porta della stanza viene aperta. Si sente la chiave girare, la maniglia venire abbassata per permettere a una figura di entrarvici e chi sarà mai? Il cappuccio rosso entra li dentro con i soliti vestiti e la solita maschera in viso, solito aspetto ma non è solo perchè con lui vi è anche il padre di Kaori che, entrando, va a mettersi in un angolo mentre la porta viene chiusa. Il cappuccio rosso va a togliersi la maschera mostrando, nuovamente, il viso di una donna bella e avvenente<Dormito bene?>chiede la donna alla ragazzina per poi appoggiarsi al muro vicino al camino ad osservare la stanza. Guarda il disordine intorno a se, le cose sparse e poi<Ah, mi sono dimenticata>si stacca dal muro per andare verso il muro frontale, quello su cui poggia il comodino. La mano passa sopra di esso andando a spingere una parte di esso e un'interruttore viene attivato. Il centro del muro, per la precisione un rettangolo, si fa indietro scorrendo di lato per mostrare una nuova stanza, un bagno dei più classici giapponesi con gabinetto, doccia, lavandino e, appeso sulla destra, appena entrati, vi è un vestito rosso, nuovo e molto bello<Nel caso volessi lavarti>ultime parole da parte della donna prima di zittirsi. [Ambient]

10:57 Kaori:
 Il suo sguardo rimane fermo ad osservare la parete di fronte a sé. Lì, dove una bella finestra avrebbe potuto completare alla perfezione l'armonia di quella stanza. Pare incosciente, quasi, a guardarla. Sguardo fisso, espressione persa, immobile nella stessa posizione. Ancora, ancora ed ancora. Sta cadendo in pezzi. Lentamente, poco a poco, piccole parti di sé vengono strappate via da quella assordante monotonia e l'unico modo per rimanere compatta è stringersi il più possibile, tenersi unita con le braccia a cingere il suo corpo, le sue ginocchia. E' evidente che non vogliano ucciderla. Che non vogliano in alcun modo ferirla. Non nel corpo, per lo meno. Il lusso nel quale si è trovata immersa non l'ha stupita più di tanto: lei è l'importante pedina di cui hanno bisogno per realizzare il loro progetto, il suo contributo è fondamentale per la riuscita dei loro piani. Hanno bisogno che rimanga in vita. No, non in vita. Hanno bisogno che sia forte. In salute. Non importa cosa ne possa essere della sua mente, della sua psiche o della sua anima; non hanno bisogno di Kaori, loro, no. Hanno bisogno di una macchina ben funzionante, di uno strumento efficiente. Un involucro in cui far rifugiare le loro speranze. E' questo, lei, dopotutto. Dopo tanta fatica, tanto impegno e tante battaglie, ecco cosa si è ritrovata ad essere. Una incubatrice vivente pronta a venir riempita. Il pensiero la nausea, le chiude la gola, le causa brividi freddi lungo la schiena. Perchè non hanno ancora iniziato? Perchè stanno aspettando? O, per meglio dire... cosa stanno aspettando? Ormai è lì da diversi giorni, ha smesso persino di fuggire, perchè la lasciano semplicemente attendere in quella meravigliosa prigione? Di tanto in tanto queste domande affiorano dalla mente ovattata e stanca della chuunin. In lei si alternano momenti di rassegnata resa a momenti di tormento e dubbio. Come se una piccola parte di lei, nel profondo, non voglia ancora arrendersi, non voglia ancora rassegnarsi alla sua fine. Una piccola speranza ancora vive e arde dentro di lei, brucia alimentandosi di ben poco ossigeno ed è prossima a spirare. E' solo questione di tempo. Solo questione di ore. La sua attesa viene improvvisamente interrotta dal suono della porta che viene aperta. Non si volta a guardare chi sia entrato, non le importa. Probabilmente è solo l'ennesimo pasto che le viene portato in camera. L'ultimo le è stato portato molte ore prima dopotutto, no? O forse ne è passata solo una, non lo sa. Il tempo, lì, scorre in maniera bizzarra. O, forse, non scorre affatto. Non si smuove, non si volta, lasciando che chiunque abbia aperto la porta entri nella stanza. E' rivolta con le spalle all'ingresso per cui non vede nessuno, non le importa. Ma ode la voce della donna che ormai costella i suoi sogni e si ritrova a trattenere un brivido. Non risponde, non le dà risposta, oppone alla finta gentilezza dell'altra un ostinato silenzio. Tuttavia il suo successivo dire la colpisce, fa scattare un breve lampo d'interesse nel suo viso. Dimenticata? Cosa? Si chiede improvvisamente colta dal terrore. Stanno per iniziare? Ha qualche altra sorpresa in serbo per lei? Sente il sangue gelarsi nelle vene temendo qualsiasi cosa l'altra potesse star per dire e si ritrova a scattare a sedere quando avverte i passi dell'altra avvicinarsi al letto, al comodino. Salta su, scivolando sul lato del materasso più lontano dalla figura della donna, quasi come se quel movimento dannatamente lento potesse impedirle di farle qualcosa. In guardia, timorosa di averla vicino, scopre piccoli istinti ancora volti alla sua sopravvivenza. Piccoli rimasugli di un desiderio di vita, di libertà. Ceneri ancora non del tutto spente che ardono in un camino buio e vuoto. Osserva i suoi movimenti e vede la stanza che viene a comparire all'interno della camera. Un bagno. Un bagno completo di tutto, pulito, pronto all'uso, che l'altra le offre di usare. Schiude le labbra osservando la scena, altalenando lo sguardo dalla donna a quel nuovo locale della sua nuova casa. <Come se ti importasse cosa voglio> soffia Kaori con tono spento, basso, distogliendo da lei lo sguardo. Ed è nel farlo che si ritrova a notare solo adesso la figura del padre ferma contro la parete opposta della stanza. Una fitta di dolore al cuore le ricorda che è ancora viva, ancora lucida e un moto di rabbia mista a rancore le prende a logorar lo stomaco. Stringe le labbra, i denti, scacciando via lo sguardo dalla figura dell'uomo. Non vuole vederlo, non vuole averlo vicino, non vuole sapere di averlo lì accanto a sé. Stringe i pugni trattenendo le lacrime, la rabbia, il risentimento, ritrovandosi così a tentare di alzarsi e raggiungere il bagno appena scoperto nella speranza che la donna non le impedisca un simile moto. Il cuore batte forte nel petto, il seno s'alza e abbassa rapido in chiaro segno d'agitazione mentre nascondendosi in quella camera riesce a sfuggire allo sguardo dell'uomo. Se fosse riuscita a raggiungere la stanza, si volterebbe verso la donna fissandola con sguardo truce, le labbra strette. E' bastata la vista di suo padre a risvegliare parte del suo animo, a scuoterla da quel torpore che l'aveva avvolta per tutto quel tempo. <Devi rimanere a guardare?> domanderebbe lei se fosse riuscita a raggiungere il bagno, fissando la donna. Vuole rimanere sola, vuole sopravvivere un altro giorno ancora ai loro diabolici piani. Vuole che stiano il più lontano possibile da lei. E, se avesse raggiunto la stanza, noterebbe solo ora la presenza di quel meraviglioso abito scarlatto probabilmente mai indossato. Lo osserverebbe in una rapida occhiata con espressione contrariata prima di volgersi verso l'altra, titubante. <Cos'è?> domanderebbe, semplicemente, senza capire cosa l'altra si aspetti che faccia con quell'affare.

Una reazione istintiva, selvaggia, il desiderio di mettersi al sicuro, di proteggere la propria incolumità da cole che vuole farle del male, da colei che ne desidera solo il corpo e nient'altro. Un mezzo sorriso va a formarsi sul volto della donna, piccolo ma che non scaturisce niente, ne sadismo, ne cattiveria, ne divertimento. E' chiaro come il sole che non prova divertimento nel fare quello che sta facendo, il volto parla più di mille parole e forse è questo che non la rende troppo pericolosa, non ora almeno. Gli occhi della donna vanno a portarsi su Kaori, sulla sua espressione spaventata, la posizione di difesa che pian piano assume; reazioni normali, piccole e semplici reazioni che rendono una persona normale, sana di mente<Infatti non m'importa. M'importa quello che voglio io>risponde secca, decisa senza darle alcun contentino. Non le importa se sta bene o sta male, non le importa se vuole lavarsi o meno; le importa soltanto di vederla in saluta, di vederla forte e si sa, il bagno è un posto che fa letteralmente ringiovanire, un luogo dove le persone possono letteralmente spogliarsi di tutti i problemi, di tutto quanto senza provare vergogna nel mostrarsi nudi e scoperti. Molti pensano a una stanza del genere ma in realtà, ha un significato ben più profondo e deciso ed è li che Kaori può tornare a essere veramente se stessa. Viene osservata mentre le di lei gambe la portano all'interno del bagno, nessuno la ferma, nessuno la ostacola, lasciano che si diriga li nella più completa tranquillità mentre quella domanda viene posta. Guardare? Sorvegliare? Purtroppo deve farlo, è li a posta, deve controllarla ma<Dovrei ma non mi va. Hai 1 un'ora>60 minuti per lavarsi, per tornare a essere nuovamente serena, pulita, tranquilla, un qualcosa di eccezionale forse ma la curiosità della giovane non finisce qui e torna non appena viene adocchiato il vestito appeso al suo interno. La donna cammina, si dirige anch'ella nel bagno per poi affacciarsi in direzione dell'abito; lo squadra fino a portare gli occhi su Kaori nuovamente<Quei vestiti, sono logori e sporchi. Quando hai finito, cambiati e porgili a chi ti porterà il pranzo>anche nel dire tutto ciò permane seria. Esce dal bagno, la mano passa nuovamente sul muro per poi chiudere l'entrata facendo scorrere la porta anche se, questa volta, si apre una piccola finestrella che non permette la visione ma permette lo scambiarsi di chiacchiere. Ora Kaori è sola in quel bagno, può sentire la voce dell'altra ma nessuno può vederla, può fare, ciò che vuole, quasi. <Vuoi bene a tuo padre?>improvvisamente arriva una domanda, una domanda strana, diretta, letteralmente campata in aria<Mh?>vuole una risposta, la pretende. [Ambient]

11:43 Kaori:
 Ovvio. Ovvio che non le importi. Ovvio che i desideri di Kaori non siano tenuti in considerazione da nessuno dei presenti. Dopotutto, se così fosse stato, non si sarebbe trovata in alcun modo in questa situazione in primo luogo, no? Si limita a stringere i denti, a chiudere le mani a pugno sulle lenzuola, stringendole fra le dita. Un modo per scaricare la rabbia, la tensione, per impedirsi di gridare la confusione che le aleggia nella mente. Non risponde, non dice altro, limitandosi a rifugiarsi in quel piccolo, comodo bagno per sfuggire allo sguardo serio e silenzioso di suo padre. No. Di quell'uomo. Non è suo padre, non lo è mai stato. E' stato solo il suo guardiano, il suo carceriere. Colui il quale doveva assicurarsi che fosse pronta per venir utilizzata al momento giusto, più opportuno. Si sente tesa, nervosa, agitata. Vorrebbe rimanere sola lì dentro, poterli scacciare via da quella stanza. Eppure sa di non poterlo fare, sa che non sarebbe saggio ricercare lo scontro con loro. Più forti di lei, troppo più esperti. Sarebbe un suicidio e per quanto quella situazione la faccia pentire d'esser nata, non è abbastanza forte o distrutta da desiderare la morte. Non ancora. Ode la voce di cappuccio rosso andare a parlare, ascolta quell'offerta, quel tempo prezioso che le viene donato per rimettersi in sesto. Certo, non l'avrebbe aiutata a sentirsi bene, a stare realmente meglio, ma sarebbe senz'altro servito a donarle sessanta minuti di tranquillità, una piccola bolla di pace che non aveva più sperato di poter stringere fra le dita. Cosa fare? Vorrebbe sbatterle in faccia quel dono, ostentare una forza che non possiede e rifiutare quell'offerta. Un capriccio infantile che avrebbe finito col recare più danno a lei che non alla sua carceriera e che per questo la porta a titubare. A cosa servirebbe rifiutare quei piccoli sollievi che le vengono offerti? Se quella sarebbe stata la sua vita da ora in poi, perchè non avrebbe dovuto aggrapparsi quanto mai a quei piccoli agi che ancora possono mantenerla in vita? Così, dopo che l'altra esce dal bagno richiudendola al suo interno, si arrende ai suoi stessi bisogni andando a liberarsi della dolce morsa dei propri abiti sporchi. La zip della camicetta viene abbassata in un ronzio sordo, la stoffa si apre sul suo petto andando a ricadere poco dopo in terra. Il reggiseno viene aperto, fatto cadere e successivamente le sue mani si spostano verso la vita. I pollici s'infilano fra la propria carne e il tessuto dell'intimo e dei pantaloni andando poi a farli scivolare verso il basso, liberandosi anche di quelli. Rimane completamente nuda, esposta in quella stanza vuota e avanza a passo mogio verso la doccia presente. Lascia che il getto d'acqua gelida la colpisca, la risvegli, facendola sentire per un attimo infinitamente viva. Espira pesantemente, profondamente, mentre la carne pizzica e brucia sotto il freddo dello scroscio che le ricade addosso. I capelli s'inzuppano, pesanti s'incollano alla sua pelle, alla sua schiena, mentre spremendo nelle mani dello shampoo va poi a strofinarlo sulla chioma fradicia, umida. La domanda giunge al suo orecchio improvvisa, inaspettata, portandola a sgranare gli occhi. Voler bene... a suo padre? Tace pensando a quel quesito mentre continua a strofinare i capelli con quella schiuma profumata. Li pulisce con cura, con scrupolo, allontanandosi dal getto d'acqua e si ripete quelle parole nella mente come una pericolosa nenia. Ha sempre venerato suo padre. Lo ha sempre amato, ha sempre cercato di compiacerlo, di farlo sentire fiero ed orgoglioso di lei. Il suo scopo nella vita era renderlo contento, soddisfatto della sua bambina. Essere forte quanto lui un giorno e succedergli all'interno del clan come membro anziano ed esperto. Ma ora...? Cosa prova ora per lui? Ora che l'ha scoperto essere un traditore, un bugiardo? <Non ho un padre> risponde semplicemente, quindi, dopo diversi attimi di denso silenzio, andando poi a tornare sotto il getto d'acqua così da sciacquarsi della schiuma che ne imperla la chioma. Si lava, si pulisce, sentendo l'acqua scivolare sulla sua pelle d'avorio, carezzarla, cingerla. Un abbraccio effimero e poco avvolgente, ma un tocco piacevole e a lungo bramato. <E di certo non posso voler bene al mio guardiano> aggiunge poco dopo con una palese nota di rancore nella voce. Va a scostarsi nuovamente dal getto d'acqua, le mani a colmarsi di nuovo denso liquido profumato. Un bagnoschiuma all'aroma di fiori e frutta che va strofinandosi e spalmandosi lungo il corpo, privandosi di quella sensazione di sporco che ha sentito addosso per fin troppo tempo. <E tu? Vuoi bene ai tuoi figli?> domanda allora, a sua volta, ormai affatto spaventata dall'idea di un confronto con l'altra. Non può sfuggirle, perchè temerla? E' già nella sua trappola, fra le sue mani. Non ha più senso temere l'idea di una sua mossa in questo momento. Perciò osa. Perciò azzarda. <O ti servivano solo dei campioni viventi di tessuto da poter utilizzare?>

L'acqua inizia a scorrere all'interno del bagno, ben udibile dall'esterno. I vestiti venire buttati a terra mentre il corpo della chunin viene letteralmente sgrassato. La donna, nel mentre, resta appoggiata al muro con la schiena, le braccia conserte mentre attende che la risposta alla domanda arrivi. Per molti può essere davvero senza senso, come si può voler bene a un padre che ha tradito il proprio clan, la propria famiglia e ha consegnato la figlia in mano agli sciacalli? Semplice, non si può ma per fortuna il destino ha le idee chiare e il disegno creato è ben più complesso di quello che si sarebbe creduto. Niente viene lasciato al caso. Tutto quanto è li ed è fatto per un preciso scopo, un unico e semplice scopo ovvero creare gli Hyuga puri, un piano pensato per anni e solo ora si può definire veramente in atto e al suo culmine. Uno studio meticoloso è stato fatto, uno studio con l'obiettivo di rendere tutto quanto perfetto, di creare lo Hyuga perfetto. La risposta giunge alle di lei orecchie, parole dure, comprensibili ma non ci crede, non crede minimamente che non voglia più avere a che fare con il padre nonostante tutto e poi quell'altro quesito arrivante dalla parte opposta. D'istinto lo sguardo si porta sulla foto sulla mensola, la osserva<Daiko e Mekura dici? A tempo debito lo saprai>un'altra rivelazione, una rivelazione realmente scontante che ne rivela l'identità, la vera identità. Lo dice a cuore leggero perchè sa che da quel posto non c'è via di scampo, non c'è via d'uscita se non con la morte e Kaori è l'ultima che deve morire in tale luogo, l'ultima che deve abbandonarlo. La donna prende un respiro profondo prima di ricominciare a parlare<In questi anni, in questi 20 anni sono riuscita a mettere a punto una tecnica, un sigillo per la precisione>altre parole senza senso, le spiega questo ma perchè? Non bisogna dare fretta al tempo, non bisogna lasciare che la curiosità affretti tutto quanto togliendo quel patos che si crea in certe situazioni<Questo sigillo, se applicato, inibisce il cervello facendo diventare, colui che lo subisce, un fantoccio, un qualcuno da comandare a proprio piacimento>ancora si ferma, ancora una volta lascia che la tensione arrivi al culmine, che la curiosità giunga ai limiti estremi<Tuo padre è stato un ottimo fantoccio e per due anni ha eseguito i miei ordini alla lettera senza esserne consapevole. Non aveva il controllo sulla propria mente nel sul proprio corpo. Grazie a lui ho scoperto di te e dell'Oboro. Del viaggio prima a Kusa e poi a Iwa. Gli ho semplicemente ordinato di comportarsi normalmente e farmi rapporto ogni mese>il sigillo della tigre viene formato e il padre di Kaori si libera improvvisamente. Gli occhi tornano ad avere vita, il corpo si muove come vuole lui, pensa come vuole lui<La tua risposta mi ha davvero deluso perchè tuo padre è forse uno dei pochi, insieme a Juusan, che vogliono la pace>un gesto del capo per indicare all'uomo dove si trovi la figlia. Il silenzio arriva, il gelo scende in quella stanza, un gelo artico e tremendo come pochi altri mentre un pugno si abbatte sul muro<KAORI, FIGLIA MIA>le urla dell'uomo rompono questo silenzio mentre la donna si allontana cominciando a passeggiare per la stanza. [Ambient]

12:31 Kaori:
 L'acqua scorre fredda, rigenerante, lungo la di lei pelle. Pulisce, profuma, rilassa la sua carne in una situazione in cui parrebbe impossibile l'idea di riuscire a tranquillizzarsi. Ma se il suo corpo riesce pian piano a risultar meno teso, così non è per la sua mente. Risvegliata improvvisamente dal torpore di quei giorni da quella visita improvvisa che la tiene sull'attenti. Stuzzica e pungola i resti del suo animo combattivo portandola a reagire seppur debolmente a quell'intrusione nella sua vita. Lascia che l'acqua la liberi della schiuma che ha precedentemente strofinato sul proprio corpo ripulendola, liberandola, portandola a sentirsi più fresca, più pulita. Una mera consolazione in una situazione come quella. Ascolta la voce del cappuccio mentre richiude il rubinetto ed esce dalla doccia con passi misurati, cauti. S'avvolge in un asciugamano bianco che la ricopre dal seno alle cosce, andando poi a strofinare la chioma con un'altra salvietta pulita. L'acqua in eccesso viene imprigionata nel tessuto mentre le parole dell'altra paiono quasi senza senso man mano che vengono donate alla conoscenza della chuunin. Ascolta in silenzio cercando ancora di capire qualcosa nei piani folli dell'altra, ritrovandosi alla fine a rimanere paralizzata sul posto quand'ode quel suo ultimo dire. Cosa... cosa gli ha fatto? Come ha potuto mettere le sue mani anche su di lui? Lui che è sempre stato il suo eroe, un guerriero incredibile, un ninja esperto. Suo padre... controllato. L'asciugamano cade dalla sua chioma lasciandola coi capelli umidi a ricadere lungo la schiena coperta del solo asciugamano avvolto attorno al busto. I passi la portano a correre verso la parete che l'altra ha precedentemente richiuso impedendole di uscire. Cerca di guardare dalla finestrella, cerca la figura di suo padre nella stanza. No, non può essere vero. Il suo cuore martella forte nelle tempie, nelle orecchie, nel petto, facendola sentire improvvisamente in fibrillazione. I pugni a battere contro la parete, l'espressione disperata mentre l'altro riprende coscienza di sé e la chiama con terrore, con dolore. E quanto poco può bastare per far crollare una barriera di delusione e dolore che solo poco tempo prima s'era innalzata nel suo cuore? Quanto poco può bastare perchè l'affetto provato per anni per quell'uomo torni prepotente in lei? <PAPA'! PAPA' SONO QUI!> grida, batte i pugni contro la parete, agitata. "Papà! Papà!". <MALEDETTA! MALEDETTA!> la voce esce stridula dalle sue labbra, le graffia la gola, brucia dolorosamente. <LASCIALO STARE! FAMMI USCIRE!> Come se lei, poi, possa in qualche modo dettare ordini in quella circostanza. Eppure, ironicamente, in qualche modo è quella che fra quelle quattro mura ha il coltello dalla parte del manico senza neppure saperlo, troppo agitata per capirlo, per vederlo. Perchè? Perchè sta accadendo tutto questo? Perchè a lei? Si sente impotente, vuota, mentre si agita come una bestia ferita in quella piccola stanza quasi asettica. Debole, inutile, mentre le persone a lei più care hanno rischiato di morire una dopo l'altra. Suo padre, Raido, probabilmente anche la stessa Mekura. Tutto a causa della stessa persona, di una sola, unica minaccia. Le dolgono le mani, i piedi, eppure continua a colpire quella parete con forza, sentendo il pianto prossimo ad esplodere. <Pa...pà...> un sussurro che sfugge alle sue labbra, stanco, flebile, mentre la rabbia si ritrae in una risacca pronta -presto o tardi- a tornare in una nuova prepotente ondata. Vorrebbe farle del male. Vorrebbe colpirla. Ucciderla. No. Non vuole ucciderla, vuole farla soffrire. Vuole che provi dolore in modo continuo, costante, fino a riuscire a rispondere di tutta la sofferenza causata e provocata al loro clan, ai loro membri. Eppure... anche uscendo da quella stanza, avendola davanti, sarebbe capace di colpirla? Di ferirla? Lei, che così debole non ha mai potuto salvare nessuno dei suoi cari dal loro triste destino. Lei che neppure s'era accorta di quanto successo al suo amatissimo padre.

Prevedere la reazione di una ragazzina è sempre facile, bisogna solo immedesimarsi. Le parole di Kaori erano dettate dalla sfacciataggine, dalla voglia di mostrarsi grandi, superiori, essere di più di quel che si è ma alla fine, si torna a essere bambini, a essere noi stessi anche in situazioni come queste. La rivelazione sul padre è qualcosa di scioccante ma anche un sollievo. Suo padre non è un traditore, non è qualcuno che vuole male a lei o al clan, anzi, vuole bene a entrambi, fin troppo bene per poter fare loro del male. La scena che si presenta davanti e straziante, un padre che colpisce un muro per giungere alla figlia, una figlia che cerca di distruggere un muro per arrivare dal padre. Commovente, da lacrime. Sono così vicini ma non possono toccarsi, solo sentirsi, sentire il dolore provenire da entrambi, un dolore immenso per ciò che sta succedendo. Kaori grida, grida come non mai, inveisce contro la donna che, per tutta risposta, non dice niente continuando a passeggiare per la stanza. Si aggira per essa con passo silenzioso, non fa rumore alcuno e nota il porta kunai della ragazza, ancora pieno di armi ed è li che ne prende una; si abbassa prelevando un kunai da terra per poi ricominciare a girovagare per la stanza. Dalla porta al letto mentre ode le varie parole<KAORI, BIMBA MIA. Andrà tutto bene, te lo prometto, ti tirerò fuori da qui>l'uomo si volta verso Akane con sguardo truce, lo stesso di chi vuole uccidere a sangue freddo e senza pietà. Gli sguardi dei due si incrociano e subito Naru si riporta verso il muro dietro il quale vi è la figlia<Kaori cerca di restare calma, non agitarti. Troverò il modo di farti uscire di qui. Tuo padre ti vuole bene Kaori e non permetterò che ti facciano del male>il tono è straziato da quello che sta accadendo. Continua ad andare avanti tutta la scena e poi, il sigillo della tigre viene riformato e Naru ricade nel sigillo, torna a essere un fantoccio. Smette di parlare, si alza in piedi restando fermo e immobile davanti a quel muro, davanti al nullo perchè lui ora è il nulla. Akane torna vicino al muro, al fianco del suo fantoccio preferito per poi rivolgersi a Kaori<Così mi hai mentito. Non hai un padre eppure la scena di prima mi diceva tutto il contrario>parla con quel tono tranquillo, glaciale, privo di sentimento alcuno, una donna che potrebbe fare qualsiasi cosa senza avere un minimo di risentimento<Brutte le bugie>schiarisce la voce per essere più chiara con le parole. Deve farsi capire, deve farsi sentire al meglio dalla chunin<Ora dimmi: vuoi bene a tua madre?>chiede nuovamente, un'altra domanda che viene posta, forse campata in aria eppure, anche qui, pretende una risposta, la pretende a ogni costo. <Mh?>. [Ambient]

13:56 Kaori:
 Kaori non può fare a meno di sentirsi lacerare ad ogni parola, ad ogni gemito del padre. Non lo ha mai sentito così preoccupato, così sofferente in tutta la sua vita. Non ha mai sentito il tono di suo padre essere così sincero, carico di una simile emozione. Lui che era sempre stato così composto ed elegante adesso urla, grida, piange per la sua bambina tenuta prigioniera dal peggior mostro che il loro clan abbia mai visto. Kaori continua a battere i suoi piccoli pugni contro la parete, sente le mani dolere, livide, e l'anello donatole da Raido graffiarle le dita ad ogni colpo. Sanguina appena da quei graffi che continua ad infliggersi ma non ci bada. Non può avvertire quel bruciore perchè il dolore che le si dirama dal petto è molto più intenso e profondo, troppo più ampio e soverchiante. <NO! Papà non badare a me!! SCAPPA!> grida Kaori disperata, straziata, cercando per il padre una salvezza che sa essere impossibile. Come può sfuggire al controllo di quella donna se le basta così poco per poterlo assoggettare al suo stesso ed unico volere? <Papà! Papà no! Non andarle contro! PAPA'!> Lei per il momento è salva, sa che per ora non l'avrebbero uccisa, ma lo stesso non si può dire per suo padre. E' una pedina importante quanto lei nella scacchiera composta dalla Hyuga? E' abbastanza importante e speciale da non dover essere ucciso? La ragazza teme profondamente la risposta a queste domande e per questo preferirebbe vedere suo padre arreso e sottomesso che non pronto a dar battaglia. Sa che lo scontro vedrebbe un unico vincitore e che non sarebbe quello che lei tanto desidererebbe. Sa che per chiunque si ribelli a lei v'è solo morte ad attendere. Ma il tempo a loro concesso è già finito che l'uomo torna ora a divenir schiavo e succube della donna. <Papà? Papà?! CHE STA SUCCEDENDO?!> grida lei dimenandosi, agitandosi, la chioma umida ad incollarsi alle spalle nude, alle braccia scoperte, mentre strepita e colpisce la parete dinnanzi a sé. <PAPA'!> la gola brucia, graffia e arde, la sua voce si spezza, troppo acuta, troppo alta, le corde vocali vibrano dolenti mentre la donna ritrova il suo posto accanto al padre della chuunin. Le sue parole sono inquietanti, disarmanti, serene come se stessero parlando del tempo o di qualche piacevole ricordo trascorso assieme. Par non provare alcun ché dal suono della sua voce, come se fosse totalmente distaccata e lontana da quella scena, come se non potesse neppure lontanamente concepire ciò che i due potrebbero star provando in questo momento. Kaori si sente schiaffeggiata dalla totale mancanza d'interesse della donna e si ritrova a venir nuovamente raggiunta da una ondata di furia. <LASCIALO STARE! LASCIALO STARE, MALEDETTA!!> minacce vuote, vane, ordini che cadono nel nulla, sospinti solo dalla forza del suo istinto, della sua rabbia cieca. La sente incalzare, riprendere il discorso, ancora calma, tranquilla, minimamente toccata da quanto sta accadendo, ritrovandosi adesso a rabbrividire a quella nuova domanda. Impallidisce, Kaori, arrestando i pugni contro il muro, cadendo in un silenzio denso e senza fine che improvvisamente riempie la sua prigione. Il viso di sua madre si affaccia nei suoi ricordi facendole mancare diversi battiti. Lei sempre gentile, sorridente, educata che l'ha sempre capita e compresa. Lei che più di chiunque altro ha capito il suo dolore quando ha temuto di non essere abbastanza, una vera Hyuga. Lei che l'ha sostenuta e accompagnata sempre e che le ha sempre offerto una nuova speranza, un nuovo sorriso. Una donna dall'animo candido, gentile, che ha abbandonato la sua carriera ninja per crescere la propria bambina, per tenerla al sicuro, non lasciarla sola. No... non può aver toccato anche lei. Non può farlo... <Non toccarla> la sua voce è ora bassa, un sussurro spezzato che esce dalle sue labbra con fare stanco, rassegnato. Vuoto. <NON. OSARE. TOCCARLA.> ed è un ringhio che esce ora dalle sue labbra, è rabbia, è furia, è forza. I pugni sono stretti, lasciati a ondeggiare nel nulla attorno ai suoi fianchi. Vuole uscire. Vuole uscire da quella stanza, vuole potersi scagliare contro di lei. Le va bene persino l'idea di perire così, in questo modo sciocco e ignobile. Non le importa. Non le importa più nulla ora che il suo mondo le sta cadendo a pezzi attorno senza che lei possa fare alcun ché per fermarlo. Lei, che è stata tratta in salvo da un palazzo in fiamme solo per esser posta su di un trono a godersi lo spettacolo dei suoi cari che periscono come cani nel fuoco. Unica spettatrice di una tragedia senza nome, l'eletta salvata -per ora- dalla morte per testimoniare la fine della vita. <Fammi uscire.> replica con tono glaciale, duro, sentendo la gola ardere per le grida finora liberate. <Anche se hai paura dello scontro diretto, anche se hai paura di affrontare faccia a faccia i tuoi nemici nascondendoti dietro una maschera, fammi uscire.> Il respiro è lento, il cuore è vicino all'esploderle in petto mentre il sangue ribolle muto nelle vene. <Voglio che mi guardi in faccia. Che ti stampi bene in mente il volto che vedrai per ultimo prima di morire.> E non c'è spazio per la paura in questo momento. Sa che è una minaccia grossa, probabilmente vana la sua. Sa che da sola non avrebbe mai potuto battere un avversario così forte, ma non le importa. Desidera davvero ucciderla. Desidera davvero poter mettere fine alla sua vita con le sue stesse mani e vuole che lei lo sappia. Vuole che lei lo senta nella sua voce sicura, che lo veda nel suo sguardo deciso.

Altre grida, altri strepitii di un criceto in gabbia, ce l'ha in pugno, ce l'ha letteralmente in pugno. Kaori sta impazzendo, la furia ribolle in lei, un istinto omicida mai provato prima di ora e nel sentire quella semplice domanda, il sangue ribolle. Una rabbia cieca e furiosa, percepibile anche a chilometri e chilometri di distanza; mai prima di ora la chunin ha affrontato una prova del genere, una prova che la mettesse difronte alla morte, alla rabbia, alla paura. Un'aggressione psicologica quella di Akeno, un combattimento mentale più che fisico e, al momento, sta vincendo il cappuccio rosso, sta letteralmente spadroneggiando sulla ragazza la cui piccola e fragile mente riceve colpi su colpi. Una persona normale si sarebbe già scagliata contro tutto eppure lei resiste, resiste ancora, non vuole dargliela vinta continuando a insultarla con quel "maledetta" ma non è questo il suo grande errore, non è questo ciò che porta inevitabilmente, il futuro, a concretizzarsi. Quelle minacce, minacce di morte arrivano dirette al cappuccio rosso, così forti da essere impossibili da schivare o da non sentire. La sta minacciando di morte senza pudore nonostante sappia di essere nello svantaggio più totale. Gli occhi della donna si portano sul muro, lo fissano intensamente<E' la seconda volta che mi minacci e mi insulti>il tono senza sentimento fuoriesce nuovamente, un tono così di ghiaccio da congelare l'Africa stessa, più glaciale del circolo polare artico, un freddo talmente elevato che qualsiasi fonte di calore non può fare altro che spegnersi impossibilitato a toccarlo<E va bene>la mano si stringe attorno al kunai mettendoci maggiore pressione e forza. Le vene sul palmo si gonfiano sempre, essa diventa leggermente più rossa ma Kaori non può vedere niente, gli occhi sono completamente ciechi ma ciò che sente basta a immaginare ciò che sta succedendo dall'altra parte. Rantoli di dolore, piccole urla, una voce soffocata<Ka...o...ri>la voce di Naru che chiama la figlia in modo debole, privo di forza e poi il silenzio più totale. La donna non parla più, Naru non parla più, nessuno parla. Il silenzio regna veramente sovrano ma a lungo. Il rumore di qualcosa di metallo che cade a terra viene udito da Kaori, qualcosa viene lasciato cadere al suolo<Minacciami ancora, tenta di fuggire, tenta di ribellarti, non mangiare, non dormire, non bere, tenta di suicidarti e...>tante cose che può provare a fare, che dovrebbe fare ma non ha finito di parlare, Akane non ha finito di parlare<...tutti quelli che ami ne pagheranno le conseguenze. Familiari, amici, amanti, ucciderò tutti quanti se proverai a fare anche una sola di queste cose. Tuo padre è un monito, fa che sia l'ultimo>una dura affermazione quella donna. Il muro, finalmente si apre, lentamente la porta scorrevole si scosta mentre Kaori può sentire la porta di metallo richiudersi a chiave ma la visione che l'aspetta è terribile. Il sangue bagna il pavimento, il carpo di Naru sdraiato a terra, la gola tagliata e al suo fianco un kunai sporco di sangue, proprio uno dei kunai presenti nella stanza. L'avvertimento è stato mandato, non sta scherzando. [END][Fare End]

14:58 Kaori:
 Non può vedere Kaori. Non può vedere le mani della donna stringersi attorno a quel kunai. Non può vedere quanto sia vicina al corpo di suo padre, come egli sia -ancora una volta- in balia del controllo della donna. Non può vedere nulla, può solamente sentire la sua voce ed il rimbombo del proprio cuore che si riverbera nel petto, nella mente, nelle orecchie. Sente le tempie vibrare, pulsare, così come i polsi, la gola. Preda dei suoi stessi sensi non riesce a fare altro che ringhiare come fa un animale ferito e spaventato. Minaccia, urla, strepita, grida. Lei che di potere non ne ha fra le sue mani, lei che è regina e prigioniera assieme di quel luogo. Urla fino a quando non ce la fa più, fino a quando la sua rabbia si fa più lucida, più sottile e razionale. Stanca. Stanca di dimenarsi, di combattere, di reagire. Vuole solamente affrontarla, vuole che la fine arrivi presto. Che sia la propria, o la sua. In qualche modo la morte dell'una può segnare in qualche modo la vita dell'altra. Dopotutto, Cappuccio, ha bisogno solo del corpo della chuunin: la sua anima, la sua psiche, quelle possono anche morire per lei. Ed è questo che, poco a poco, sta accadendo. E' questo che sta lentamente realizzando. La sta uccidendo. Un pezzo per volta. La parete non svanisce, il muro non scompare e Kaori rimane ancora cieca a quanto sta accadendo oltre di esso, nuda, con solo un asciugamano a coprirle il corpo. Sente la voce della donna, il tono atono, gelido che la raggiunge dritta al cervello e poi più nulla. Silenzio. Un silenzio che le fa gelare il sangue, un silenzio che si fa assordante nelle sue orecchie e che le spezza il respiro. Non è una quiete di quelle che accolgono la solitudine, l'assenza di rumori. Si tratta del silenzio che precede un'esplosione, che anticipa un tuono improvviso. E' il fermarsi del tempo prima che tutto accada troppo in fretta, troppo improvviso. E' il nulla che anticipa la tragedia. E la voce soffocata arriva ben precisa all'udito della Chuunin. Il suono della voce di suo padre, i suoi rantoli, giungono a lei come se nessuna parete fosse lì a dividerli e le gela il sangue nelle vene. Le forze vengono meno, così come la rabbia e la risoluzione di poco prima. Le gambe tremano scosse di un terrore profondo e la portano a scivolare al suolo, in ginocchio, smossa da un fremere delle stesse ossa. <No...> la sua voce è un sussurro inudibile, lo sguardo è sbarrato, vacuo, mentre continua ad osservare quella parete di fronte a sé senza più alcuna energia. <Papà...> un soffio sottile, spezzato, che non riesce ad emettere più forte. <Papà...?> vorrebbe chiamarlo, ma non può gridare, non ne ha più le forze. Le lacrime si affacciano nuovamente nei suoi occhi mentre la voce di lui rantola il suo nome con le ultime energie rimaste. Il suono più straziante e doloroso ch'abbia mai udito in tutta la sua vita. L'uomo che in quei giorni ha odiato e recriminato con tutta se stessa muore ora col suo nome fra le labbra, col pensiero dell'amata figlia prigioniera proprio lì al suo fianco, senza averla potuta liberare. Kaori trema, paralizzata, sentendo lo svanire di qualsiasi suono. Sente il silenzio opprimerla, sfondarle le orecchie, quasi fosse sorda, immersa sott'acqua con la pressione a forzare il suo udito. Rimane come spezzata, inginocchiata al suolo, coi capelli umidi a scivolarle attorno, attaccati alla sua pelle candida. Passa una eternità prima che un clangore metallico spezzi improvvisamente quella quiete, riscuotendola dal suo dolore. La voce di Cappuccio Rosso la raggiunge minacciosa, decisa, disponendo le condizioni del suo gioco. Kaori incassa in silenzio ogni parola, ogni sillaba, ritrovandosi poi a vedere finalmente quel muro sparire e la stanza dove ha vissuto in quei giorni tornare a comparire sotto i suoi occhi. Identica, se non fosse per il pavimento assai diverso. Tinto di un rosso vivo, brillante, che si allarga di secondo in secondo in una pozza fresca e densa. Il corpo di suo padre giace al centro di essa, immobile, con la pelle tinta di un bianco mortale. Un taglio profondo s'apre sulla sua gola mentre le sue labbra permangono schiuse, senza che il petto s'alzi o abbassi in alcun modo alla ricerca d'aria. Lo sguardo è vuoto, vacuo e le iridi perlacee osservano un soffitto troppo distante, senza vederlo. Kaori non riesce a distogliere da quella sagoma lo sguardo. La vede sfocarsi sempre più rapidamente, le forme confondersi fino a divenire indistinte chiazze di colore confuse e mescolate. Le lacrime confondono la vista, cercano forse di nasconderle quello spettacolo impietoso in un gesto compassionevole. Come torrenti, gocce di dolore salato scivolano susseguendosi lungo il viso, cadendo sul pavimento, mescolandosi al sangue che le bagna le gambe. Il respiro è mozzato, non riesce ad inspirare od espirare, sentendosi paralizzata. Si incurva verso il basso con una mano sullo stomaco mentre annaspa alla ricerca d'aria, sentendo qualcosa spezzarsi dentro di lei. <Pa...pà...> la voce esce spezzata, quasi muta dalle sue labbra, mentre continua ad osservare quel corpo ormai privo di vita a pochi passi da lei. <No...> un sussurro disperato, incredulo, che scaccia e disdegna la verità che le si apre dinnanzi lo sguardo. <No...> scuote il capo, tremante, gattonando fino a raggiungere il suo corpo bagnandosi ginocchia, mani e gambe del suo sangue. L'odore metallico e ferroso di quel liquido scarlatto le sale alle narici, al cervello, fino a farle bruciare quasi il naso. <PAPA'!> alla fine il dolore trova la sua strada verso le labbra e sfocia in un urlo disperato che riecheggia roboante per la stanza. <NOOOO!> singhiozza, piange, disperata, andando ad abbracciare il corpo dell'uomo ai suoi piedi. Rivede sotto gli occhi, come in un film, tutti i loro momenti insieme, tutti i ricordi vissuti con lui, ogni singolo fotogramma che le passa dinnanzi lo sguardo come un film. Ricorda quei giorni da piccola in cui era la sua piccola principessa, in cui era lo scrigno delle sue speranze. Ricorda gli allenamenti insieme, il dolore del credere di non essere abbastanza per lui. Ricorda le cene assieme, le colazioni, e le passeggiate per Konoha. <PAPA'! PAPA' SVEGLIATI, TI PREGO!> Lo scuote, cerca di tamponare il taglio alla gola con le sue mani, di impedire al sangue di uscire ancora, ma non serve a molto. Ne ha già perso troppo. <PAPA'! PAPA'!> E la voce trema, si spezza, vibra mentre i singhiozzi le spezzano il respiro, mentre il tremore le impedisce di respirare bene. Lo ricorda in casa a leggere il giornale o in palestra ad allenarsi, a mostrarle cosa sia un vero Hyuga. Lo vede sotto i suoi occhi disteso nel suo stesso sangue, con le labbra schiuse e nella sua mente risuonano le sue ultime parole prima della fine. Le vuole bene. Gliene ha sempre voluto, nonostante tutto. E lei l'ha ucciso. La consapevolezza si fa strada lentamente dentro di lei mentre rimane accucciata sul suo corpo stringendolo forte contro al seno. Se solo non l'avesse offesa... se solo non l'avesse provocata... lui era inerme, era sotto il suo controllo. Non poteva difendersi. E lei... l'ha fatta arrabbiare. Ha sbagliato. A n c o r a. E suo padre è morto. E' morto per la sua debolezza, è morto per la sua inesperienza. E' morto ucciso dalla sua stessa bambina. I secondi, i minuti, il tempo passa e scorre ma Kaori non si muove. Rimane abbracciata al suo eroe supplicando ai Kami un perdono che non merita. Rimane abbracciata a lui spegnendosi, infine, un respiro per volta, fino a lasciarsi alle spalle se stessa, ogni cosa. Con Naru Hyuga, oggi, muore anche una parte di lei. [END]

Kaori, nella sua prigionia, riceve la visita del cappuccio rosso che, con il suo monito, sancisce le condizioni. Non si scappa, non si fugge perchè lei è soltanto una bambola da usare

Note: Ambient, bravissima, davvero bravissima.