Bon vadi pure per primo ♥
La serata procede piuttosto tranquilla. Stranamente non ci sono particolari emergenze e l'atrio è piuttosto vuoto. Le pareti bianche salutano l'ingresso del jonin che, alla sua destra dall'ingresso, può notare la presenza di un certo numero di panche e sedie poste lì come sala d'attesa. Va dritto verso la prima sedia che trova abbandonandosi su di essa, troppo stravolto e ferito per riuscire a capire o fare qualsiasi altra cosa; il sudore scivola in rivoli gelidi lungo la fronte e le vene del collo paiono inscurirsi sotto la sua pelle umida. L'infermiera di turno all'accettazione nota immediatamente il suo passo barcollante, l'espressione vacua, e si affretta ad aggirare il bancone per raggiungerlo ov'è seduto. Basta una rapida occhiata per capire che non è nelle migliori condizioni: pallido come un lenzuolo, sudato, con le vene a rigonfiarsi appena sotto la pelle. <Signore. Signore, riesce a sentirmi?> domanda l'infermiera dalla chioma corvina guardandolo, la sua collega rimasta dietro al banco ad osservarli allarmata. Se dovessi provare a parlare, noteresti come dalla tua bocca non uscirebbe che qualche suono confuso, sconclusionato e illogico. <Dobbiamo portarlo subito in una stanza! Keiko, per favore, chiama la luminare: dille che Raido Oboro è in pessime condizioni> avvisa la ragazza la sua collega che, per tutta risposta, si affretta a correre oltre un corridoio alla fine della stanza. <Adesso ci pensiamo noi a lei, signore. Cerchi di rimanere sveglio> Ed è difficile. Maledettamente difficile, vero Raido? Rimanere coscienti quando tutto attorno a te par così confuso, così pesante, così stancante. Persino tenere le palpebre aperte è faticoso e l'unica cosa a tenerti sveglio è il fuoco che ti brucia nelle vene. Un paio di infermieri -piuttosto alti e piazzati- giungono pochi istanti dopo armati di una barella. Si avvicinano al duo andando a posare la barella in terra per poi avvicinarsi al corpo dell'Oboro. <Lo portiamo noi, Chiyuki> informano l'infermiera e, subito dopo, eccoli sollevarti con una certa fatica fino a distenderti sul trasportino, così da poterti più facilmente portare nella stanza ove, si spera, verrai rimesso a nuovo.
L'uomo vien posto sulla barella e trasportato d'urgenza in una delle varie sale atte ad ospitare i trattamenti dei pazienti. Non è esattamente una sala operatoria, non vi sono strumentari adatti ad aprire un corpo o ripulirlo internamente, ma si verificano altri tipi di operazioni ed interventi meno invasivi. <Forza, dobbiamo sbrigarci! E' svenuto dannazione!> esclama uno dei due infermieri mentre procedono a passo spedito verso la camera in fondo al corridoio. Qui i due si trovano a fermarsi accanto al letto poggiando la barella in terra per poi sollevare insieme il di lui corpo e posizionarlo sulle lenzuola, disteso su di un fianco onde evitare che soffochi con la schiuma che esce dalle sue labbra. Rimangono lì per pochi istanti prima di sentire venire dal corridoio il ticchettio tipico che accompagna i passi della luminare; svelti, rapidi, i suoi passi la portano fino alla stanza mostrandola giungere da loro intenta a legarsi i capelli castani in un alto chignon. L'espressione è seria, il camice svolazza attorno mentre osserva con aria critica l'uomo. <Da quanto è in questo stato?> domanda seria andando a forzare l'apertura delle palpebre con le dita, notando le pupille restringersi sempre più, le venature farsi più vivide nella sclera grigiastra. <Da un paio di minuti, forse meno. Il tempo di portarlo in stanza, dottoressa> spiegano i due posti dall'altro lato del lettino intenti a tenerlo disteso sul fianco. La donna stringe le labbra andando a scostare di poco le vesti di lui: dal petto, dal collo, può perfettamente vedere le sue vene scure sotto la pelle, gonfie. Il sudore ghiacciato che impregna gli abiti ed il viso. <E' stato avvelenato. Progredisce in fretta, dobbiamo sbrigarci> mormora lei con tono alto, urgente, andando a allora a richiamare le proprie mani terapeutiche. Porta i palmi cosparsi di alone verdastro sul di lui corpo, sul petto per cercare di bloccare col proprio chakra l'avanzare del veleno nel suo sangue. <Per ora fermerò il progredire delle tossine, ma non durerà a lungo, è solo un palliativo! Ho bisogno di preparare un antidoto al più presto> dice ai due infermieri fissandoli con aria seria. <Andate al laboratorio e informateli che c'è bisogno di un antidoto ad una tossina di livello S. Fate preparare un antidoto il più in fretta possibile e portatemelo qui: ditegli che probabilmente è di origine animale a giudicare dalla rapidità con cui sta avanzando e che le sue vene sono di uno strano colore verdastro. Sapranno loro cosa fare. CORRETE!> ordina lei continuando a profondere le sue energie nel di lui corpo nel tentativo di arrestare quel processo atto a consumare e bruciare le sue stesse cellule. <Signor Oboro, mi sente? Resti qui. Fra poco potremo curarla, deve aver pazienza. Stia con noi signor Oboro> lo incita lei cercando di tenerlo sveglio, cosciente, sperando che riesca a capire le sue parole, a sentirla. Il chakra del medico sta ora contrastando - momentaneamente - il flusso del veleno nel sangue incoraggiando una riproduzione cellulare altrettanto rapida ma è un blocco che non potrà mantenere a lungo. Una sensazione di tepore pervade il tuo petto, il tuo corpo, contrastando il bruciore che senti salire nelle vene. Fa male. Fa male ogni cosa, ogni parte di te, e il sudore scivola copioso dalla fronte. Ma sei ancora qui.
Il dolore è vivo in lui, nel suo corpo, esce un grido straziante dalle sue labbra che per lo meno lascia intendere che sia ancora vivo, ancora capace di reagire a quella morte che gli scivola lenta nelle vene. La luminare stringe le labbra, i denti, continuando a bloccare l'avanzata del veleno col proprio chakra notando gli effetti di quell'azione sul di lui corpo. Riprende coscienza, riesce persino a mormorare qualcosa. <Orsi...?> domanda la donna aggrottando la fronte, guardandolo negli occhi. <Sono stati degli orsi ad avvelenarla?> Ma non ha senso. Gli orsi non sono animali velenosi. Letali, sì, pericolosi, ma velenosi...? Osserva le sue vesti, il suo corpo, e nota il modo in cui la veste è stata strappata, in cui la pelle presenti dei tagli sul petto. Graffi. Ferite. Artigli che hanno scavato nella carne. E' da lì che il veleno è certamente entrato in circolo ed è dalle unghie dell'orso che l'ha colpito che proviene. Che uno Yakushi abbia cosparso di veleno le unghie della bestia per renderla ancora più letale? Ma perchè?! Ad ogni modo, in qualche modo, per lo meno adesso sa di che natura è il veleno che sta agendo nel corpo del ragazzo per cui se l'antidoto non dovesse fare effetto avrebbe potuto prepararne uno lei ben più mirato. I graffi intanto son già scomparsi grazie all'azione del suo chakra curativo e l'unico dolore che rimane da curare è quello del veleno che gli brucia in corpo. <D'accordo signore, va bene. Non si sforzi troppo ma resti cosciente> va lei a dirgli con un sorriso tirato, nervoso, cercando di tenerlo in uno stato di veglia anche superficiale. <Pensi a qualcosa di importante, o a qualcuno che non vuole lasciare. Trovi un pensiero che la faccia combattere e resti con me. L'antidoto dovrebbe star arrivando, vedrà> cerca di confortarlo voltandosi col viso verso la porta, il desiderio di sentire i passi svelti degli infermieri a vibrarle nel cuore. <Ancora un attimo di pazienza..>
Non parla più, non si muove, ma è cosciente. Lo vede nel modo in cui si agita per il dolore, nel modo in cui stringe gli occhi, le labbra, i denti. Combatte. Lotta col dolore, col veleno, guerriero fino all'ultimo. La luminare prosegue nella sua opera di trattenimento del siero ed inizia ad accusare i primi sintomi della stanchezza. Il suo chakra sta poco a poco diminuendo e lo sforzo di tenere attiva una tecnica di così alto livello è immenso, ma per fortuna ha ancora molte energie nella sua riserva. Non per niente è il capo medico di Kusa, eh. Continua a tenerlo in bilico in quel limbo fatto di un bruciore continuo quando, finalmente, i passi dei suoi infermieri arrivano dal corridoio. I due tornano nella stanza portando con loro un bicchiere colmo d'antidoto. La donna s'illumina al solo guardarli in volto. <Finalmente!> esclama lei sollevata. <Hanno fatto il prima possibile, capo. Hanno creato l'antidoto sulla base del veleno tossico più potente nelle nostre scorte, il veleno di un serpente bianco trovato ai confini con Oto> spiega uno dei due avvicinandosi, poggiando il bicchiere sul comodino accanto al letto, ben attento a che l'agitarsi del paziente non lo versi in terra. <Ottimo... forse questa loro scelta gli ha appena salvato la vita> Beh, considerando che il veleno è probabilmente di uno Yakushi, l'idea di aver sintetizzato l'antidoto d'un serpente bianco è stata forse la migliore possibile. <Li ho addestrati bene...> sospira lei riconoscente ai Kami per quel dono, prima di respirare a fondo e allontanare le mani dal di lui petto. <Ok ragazzi, datemi una mano. Tenetelo fermo e con la testa appena sollevata mentre io gli rifilo l'antidoto. Cercate di non farlo agitare troppo o lo sprecheremo e basta> I due ragazzi annuiscono d'istinto e volano al letto posizionandosi uno dietro la testiera, pronto a sollevare appena il busto del paziente e l'altro verso metà letto a tenere ben ferme le gambe ed il torace. Il primo infermiere tiene la testa appena reclinata all'indietro, mentre la luminare, col bicchiere in mano, si avvicina a lui andando ad aprirgli la bocca con una mano. <Beva, beva tutto e andrà meglio, glielo prometto> gli dice cercando di richiedergli quell'ultimo immenso sforzo, ben conscia che il dolore ora si stia espandendo in tutta la sua forza visto che ha disattivato il proprio jutsu medico. Va, quindi, a versare fra le di lui labbra il contenuto amaro di quel bicchiere a piccoli sorsi, onde evitare che soffochi, che lo sputi via, non osando interrompere quel lento processo fino a quando l'ultima goccia d'antidoto non è stata versata nella sua gola. Solo a quel punto, allora, i medici si sarebbero scostati da lui lasciandolo disteso nel letto alle prese con quel dolore che va piano piano scemando, diminuendo. Il fuoco si ritrae lentamente nelle tue vene, la febbre è alta ma combatterà l'infezione. La stanchezza ti assalirà violenta, le palpebre saranno pesanti ed un sonno agitato e profondo andrà a cullarti per le prossime ore. La convalescenza è lunga ma la tua vita è salva. [End]