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Da principio; [ Kinshiki I ]

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con Hana

22:00 Hana:
  [Sala preghiere] Dove trovarlo il coraggio di chiamarla coincidenza, una luna che per tre quarti risulta quasi quanto il suo essere: Luna calante, un modo più o meno congeniale per fare di lei una prima adepta, neofita di una tradizione lontana eoni sia in tempo quanto di spazio. Vessillo di chissà quale speranza da parte di un retaggio antico trapassato, virtuoso, e allo stesso tempo misconosciuto: si era ripromessa di prendere tra le mani la propria identità e scuoterla affinché diventasse più forte dei fulmini, e invece – ora – è ancora più a pezzi di prima. E’ andata lì col piede di guerra di chi non spera d’ottenere soltanto una resa pacifica senza rimetterci nulla, ma anche con l’animo infiammato di chi ha subito un torto e risulta pronto a prendersi con le unghie ciò che le spetta, proprio con l’acqua alla gola ha iniziato a zoppicare poiché cieca. Cieca dinanzi ad un’evidenza che ancora fatica ad accettare, esitando ogni qualvolta la mente è in grado di accedere a quello scaffale immenso di dubbi che, sottoposti alla giurisdizione della logica, non trovano abbastanza argomentazioni per placare la propria sete di conoscenza, quest’ultima – cane martoriato il cui latrato raggiunge i meandri più disagiati di un sé represso pedissequamente dalla norma sociale. Un cane bastonato, addestrato, un cane dal capo abbassato e che da sempre – sempre – ha posto prima di sé il benessere dei tre credo sostanziali: paese, famiglia, kage. E adesso? Adesso che di lei non ne rimane che polvere da riunire, come barlumi luccicanti di satelliti fissi in alto, a quale paese fare riferimento? Shinobi libera, così si professa. Non una disertrice, non una voltagabbana. Non una traditrice. Libera, scevra d’ogni obbligo e compromesso. Quale famiglia servire? Lì dove ormai ogni singola potenzialità Hyuga è stata repressa dietro un sigillo che marchia il derma, la nuca, non a fuoco ma con l’indelebile capacità di ostruire ogni canale e ponte proteso verso il Clan. E per concludere, la faccia di Hitomu – sono mesi che non la vede e, probabilmente, spererà di non vederla dopo l’eventuale strigliata di testa. Non più Utsusemi, guscio vuoto di cicala da riempire e privo d’anima, bensì potenziale e seme inespresso – metterà le sue radici, sboccerà fino a diventare, nel suo modo di fiorire, il fiore più tardivo ma eccelso di tutti. Lascia dietro di sé uno strascico fatto in parte dalla tunica, bianca, ed in parte dai capelli: filigrana bianca, piattissima, che liscia discende lungo tutta la schiena fino a raggiungere i polpacci ed estendersi ancora per qualche centimetro oltre. Irrimediabilmente lunghi, tenuti insieme in un nastrino davvero effimero che sosta soltanto alla fine – quando l’incavo delle ginocchia sancisce la distanza adatto – raggruppando così la filigrana in una sorta di coda finale al quale pende un campanello come puro ornamento e pretesto per infrangere il silenzio di un passo troppo lento e silenzioso. Chiude, alle sue spalle, i fusuma scorrevoli antecedenti una stanza poco illuminata da un sole diradato il cui scranno è stato occupato dai tre quarti di luna calante. Filtrano i raggi del satellite ma non riescono ad attecchire poi chissà quanto dalle finestre di quella stanza sostanzialmente grande abbastanza da ospitare un piccolo altarino posto in rilievo e soprattutto in grado di sostenere quelle che sembrano rappresentare quattro Shitenno scolpiti in legno di canfora: Jikokuten, guardiano dell’est – Zochoten, guardiano dell’Ovest – Komokuten, guardiano del Sud e Bishamonten, guardiano del Nord. Tutti e quattro sovrastano un demone per l’affermazione della loro superiorità in quanto portavoce e portatori della legge del Dharma. Dietro queste tre divinità, un grosso mandala s’estende raffigurando i mille mondi tra samsara e nirvana. I passi, cui piedi guarniti unicamente dai tabi, si susseguono sui tatami che ripetutamente s’alternano al suolo. Nel bel mezzo della stanza, prende seggio sedendo per terra in posizione zazen dopo aver battuto liturgicamente le mani due volte, unite poi in Atmanjali mudra.

22:15 Hana:
  [Sala preghiere] Raccolta in rigoroso silenzio, un mutismo che accantona la pelle, svincola le mani dall’ Atmanjaki mudra di modo che – non più in mudra di preghiera – le dita possano districarsi ed allontanarsi ponendosi, seppur a distanza, in modo tale da esser specchio ed emulare l’una le movenze dell’altra. Socchiuse le palpebre, pochi sono i secondi di cui necessita per eseguire il Gyan Mudra: medio, anulare e mignolo completamente distesi danno agio all’indice di poter richiudersi e sottostare al pollice che, tenue, sovrasta la falange al di sotto bloccandola emulando lo stesso mudra eseguito in pranayama potenti o nel kundalini yoga la cui energia del dito indice viene associata alla conoscenza, l’espansione e la saggezza mentre il pollice all’ego. Il collegamento tra le due dita simbolo di coscienza umana che si collega al divino, danno a loro volta significato alle altre tre dita che rappresentano le tre qualità energetiche che animano il Guna, l’universo. In conclusione, il cerchio formato da pollice e indice rappresenta l’essenza della meditazione stessa: unione tra anima individuale ed anima universale. Un mudra – questo gesto – che raffigura il tentativo più radicato di risvegliare e fortificare qualità in noi stessi. Nello smuovere i polsi, la Mala di centootto rudraksha discende dal polso destro e sfiora appena i palmi senza infastidirla. Un minuto speso in contemplazione è per lei l’immensità fatta persona lì dove il tempo non si riduce ad altro che qualcosa d’irrilevante e a variante, non più costante ben ponderata. Ogni movimento, or ponderato e soppesato al millimetro, per la sua meticolosa premura non lascia vibrare nemmeno più il sonaglio posto in estremità, alla conclusione dello strascico di capelli bianchi. L’energia spirituale dirompe, famelica, scagliandosi verso il basso ora più forte che mai e guidata da una determinazione così pungente da spaventarla quasi. Compensa con la stessa energia corporea, ora – più sana che mai – specie da quando il byakugan ha fatto spazio a qualcosa di più grande, qualcosa che lei… no, non conosce. Dire che sappia di cosa si tratti sarebbe come affermare blasfemia. Sa solo che c’è, che è presente, che può tirarla fuori. Un ciclo d’energia si mescola in un pasto che, rasentando yin e yang, ruota vorticosamente senza mai farsi sovrastare da una delle parti perfettamente calcolate in dose equa: all’altezza della porta del Manipura, bocca dello stomaco, l’effettivo chakra dovrebbe prender seggio – dopo l’ovvia composizione del sigillo caprino che vedrà sciogliere per un istante il gyan mudra - disperdendosi per il corpo di modo che ogni singola fibra venga stuzzicata, affogata dall’irruenza interiore e che esteriormente tarda a mostrarsi: fuori, lapidaria. Un corpo bianco, pallido, sfiora il Tristo e la sua notizia di Morte rendendo quasi impossibile pensare che dentro un involucro tanto pallido possa dimenarsi la vita. Sciolto il sigillo caprino, le mani ritornano al proprio posto componendo nuovamente il Gyan mudra sicure, ora, d’aver innescato il chakra. [ Chakra 25/25]

22:31 Hana:
  [Sala preghiere] Il chakra si dimena quei pochi secondi in cui la mente cerca di drenarlo, tenerne così le redini per proporzionarlo e allo stesso tempo non dar adito alla foga nonché alla curiosità di poter vedere cosa nell’effettivo è in grado di fare e quanto dovrà ancora desiderare le proprie mani visceralmente incastrate lungo il collo di un uomo che non ha mai visto prima d’ora: per un solo istante, la faccia di quella sagoma – tanto eterea quanto sfrontata nel modo di accoglierla, sul suo scranno fatto di fiamme che null’altro guardavano se non lei – compare nella testa inibendone il pensiero. E’ cosa di un attimo, un battito di ciglia per potersi ridestare e sigillare nuovamente lo sguardo per non farsi prendere in contropiede. Il buio l’accoglie in tutte le sue sfumature, non solo quelle delle palpebre calate bensì quelle del baratro psicologico. Si spengono le luci per fare spazio e dare adito ad una concertazione maggiore e che allo stesso tempo rivendichi qualcosa che vada aldilà della semplice invocazione di un’innata: si riscopre quasi impossibile nel poter comprendere come effettivamente innescare qualcosa che prima d’ora – incluso quest’attimo – non ha mai visto. Digiuna di esperienza, digiuna di notizie, alcova di aridità in quanto informazioni: nell’effettivo le basta rivangare il volto scarnificato che ha stretto tra le mani per tremare, esitare, barcollare nello stesso buio e riscoprirsi per l’ennesima volta… una donna sola. Gioca con i suoi stessi sentimenti che da sempre ha rilegato sul fondo di un baratro proclamandosi anestetizzata emotivamente, mentendo a se stessa – quasi luridamente – per la sua incapacità di mostrare ciò che giace sotto la scorza. Un mare di esitazione, di dubbi che mordono, di domande mai poste e risposte inespresse. È ricovero di più perdizione e guai che bontà salvifiche. Stringe i denti, dove trovare la forza d’avere un cuore che non pecchi di risolutezza? Lo sa. Ha la risposta sulla punta della lingua. Scostandosi da quell’ombra. Librandosi. Perseguendo la strada non più dietro di loro, né davanti. Di fianco. E’ sparito il tempo in cui l’inutilità prendeva il sopravvento, sono spariti tre anni di stasi a crogiolarsi nell’affetto dei suoi pochi e più cari familiari: del resto – di che ti lamenti? Hai deciso da sola. Il mento s’inclina appena, suggerendo la desolazione di una donna sola. In questa solitudine riecheggia il chakra che si spande, ora, divorandone interamente il corpo. Un passo in più – del resto, lo sono sempre stata. Ad un passo da te. Sempre troppo lontano eppure così vicino da non riuscire a prenderti. I pollici imprimono più pressione sulle falangi degli indici, mentre il chakra – irrompe – straripa, iniziando ad avvolgere senza neanche farci più di caso la zona circostante. Come Suiton, sebbene questa dimensione non ne vanti l’elemento, scivola circondando interamente quella che era la stanza destinata alle preghiere imbrattandola del proprio potenziale. Ogni singolo dhamra, percepito dagli occhi ancora muti, spenti, socchiusi, reagisce quasi stimolato dalla propria energia interiore: un groviglio che rantola e immerge ogni singolo anfratto tramutandolo non a suo desio, quanto più in relazione ad una nuova capacità in via di sviluppo di cui ancora non conosce la portata. Ed esita, esita anche questa volta nell’aprire gli occhi: inconsapevole da un lato. Incapace d’accettare un’altra amara verità che a suo avviso si prospetta dietro l’angolo. Semplicemente… debole. Così dannatamente debole eppure flessibile, come Sumire – violette, piegate dalla forza del vento ma mai spezzate. [ Tenta > Kishiki I ][ Chakra (SE Kishiki) 24/25]

22:40 Hana:
  [Kinshiki I - I Dimensione] Spegne ogni timore in una decisione radicale: aprire, di scatto, gli occhi. E che il mondo le cada addosso, che la disillusione si dissipi, che tutto ciò l’accolga. Sgrana le palpebre, o per lo meno questa sarebbe la reazione qualora la propria innata si fosse manifestata: forse in modo spontaneo, forse senza nemmeno rendersene conto – le sarebbe bastato, del resto, impregnare l’area circostante del proprio chakra e, rasente un Siddha, si sarebbe ritrovata a modificare la realtà circostante senza nemmeno farci caso. Un Genjutsu? Lei, artefice nonchè creatrice e madre di questa dimensione, non se ne capacita. Non riesce a comprendere e, dato lo stress emotivo represso da secoli, il suo unico pensiero è l’esser diventata ancor più folle da incastrarsi nel proprio stesso genjutsu mai, mai effettuato poiché mai avute le capacità necessarie. E’ su questo tassello che ripiega per diventare consapevole che no, quella non è illusione e lei è sempre stata una vittima, mai prolifera costruttrice di false testimonianze. Forse, un alito di vento la scalfisce: eppure, neanche ricorda d’aver mai visto un posto del genere. Siede, non più al centro di una stanza chiusa e spenta, bensì nello spiazzo di un paesaggio desolato e tendenzialmente arido. Arido, così come arida è la sua mente nel momento in cui si trova in procinto di partorire una spiegazione. Desolata, come il suo essere – solo, sul ciglio di un burrone, lo stesso che s’estende a pochi metri da lì, in quell’arena ubicata sull’altura di quella che pare essere una montagna. Al di sotto di quest’ultima, spuntoni in roccia, così appuntiti che quasi ne si immagina il dolore ad esserne penetrati, s’ergono imperanti a far da confine per chi sosta al di sopra in quello spiazzale vuoto circondato da alture, montagne e picchi scoscesi. E rasenta quasi Kusa, il cui esterno altro non è che una catena di monti a far da perimetro limitante e paesaggio limitrofo. Non fosse per la presenza di tutta quella roccia scevra d’alberi e d’erba, potrebbe addirittura credere si tratti di un modo come un altro per abolire costruzioni artificiali eppure… no. E’ roba di tutt’altra entità. E’ un qualcosa di tutt’altro livello, precluso al proprio occhio poiché limitato dal Byakugan fino ad ora. Strano, non è vero? Considerarsi portavoce del vero a causa di un Dojutsu che ti potesse permettere di “vedere oltre”, cucire mille teorie reputandolo il miglior modo d’esistere e vederselo togliere – considerarsi ciechi poiché persa la via per vedere il vero e poi… scoprire che quello stesso occhio limitava una realtà ancor più grande e che, incredula, non sa se spaventarla o dirsi compiaciuta. [ Kinshiki I ] [ Chakra 23/25]

22:52 Hana:
  [Kinshiki I - I Dimensione] Diventare così, madre di un nuovo mondo, un po’ come quando nella desolazione non si cerca null’altro che possa esser di conforto se non un’illusione, una bugia, una costruzione mentale e finta. Eppure, non c’è nulla di finto: lo capisce nel modo in cui, ancor incredula di ritrovarsi in una dimensione così vasta e cucita tra le grinze del proprio chakra, le mani si sciolgono dal Gyan mudra per liberarne i palmi – ora, increduli, pronti ad affondare a ridosso della terra. Roccia, Doton, lo riscopre come unico elemento esistente – un modo come un altro per darle un preavviso, un’idea, forse una pista da seguire. La terra brulla ne accoglie i palmi che ora si stringono, graffiando il suolo, creando solchi con le dita tra terreno e roccia. S’issa, o almeno ci prova, boccheggiando senza però emetter suono: nessuna vibrazione di plica vocale lì dove il corpo s’alza e allo stesso modo segue il capo, risalendo con lo sguardo verso quell’unico punto di luce proveniente dall’alto – uno spiraglio effimero filtra la luce che, senza ritegno, si sparge per tutta l’arena e la zona circostante. Non più i quattro Shitenno a guardarli, ma il nulla se non la roccia. Non più una stanza a richiuderla se non uno spazio gigantesco. Niente, il nulla e allo stesso tempo il tutto. Muove un passo fino a darne inizio ad una vera e propria processione di orme invisibili che fanno rumore, sia sul suolo, sia grazie al campanello posto all’estremità dei capelli. Le mani sporche di terriccio sono la conferma della realtà, suoni e percezioni si confanno all’esigenza della nuova dimensione mentre lentamente si trasporta – passo dopo passo – verso il baratro. I piedi ne toccheranno il perimetro, di quell’arena, e lo sguardo indagatore si diramerà all’estremità di quest’ultima per poter osservare gli spuntoni sottostanti. Ne studia con una sorta di scetticismo ogni piccola conformazione ancor prima di decidere di poter tornare sui propri passi. Umetta le labbra, retrocedendo ed incamerando ossigeno: respira, non provata dallo sforzo giacchè quest’ultimo paradossalmente effimero a dispetto di quel che si possa credere nel ricreare una dimensione di tale portata, quanto più vittima di troppi quesiti e che non troveranno facile spiegazione a partire dalla consapevolezza di essere sangue antico, di retaggio ormai estinto. Abbandonata a se stessa, lì dove proprio la ridondanza del termine “abbandono” non le pare più nuovo quanto più compagno di vita, dovrà scavarsi la strada da sola: come acqua, in grado di scalfire anche se dopo tempo la superficie più solida. Passo dopo passo, torna indietro, guardando ciò che la circonda: passo dopo passo, ancora una volta, le cose che le fanno da contorno sono sempre più grandi di lei come le situazioni in cui si ritrova. Passo dopo passo, si rende conto che questo mondo dev’essere stato fatto decisamente da shinobi troppo forti e Kami a cui piace giocare troppo con la vita dei ninja. Cade, così, un po’ come la pioggia – le ginocchia si piegano, inermi. Esattamente dov’era prima. [ Kinshiki I ] [ Chakra 22/25]

22:58 Hana:
  [Kinshiki I - I Dimensione] Il chakra si riassorbe, lentamente, iniziando a disgregare quella dimensione vera ricreata dalla propria energia e allo stesso modo smantellata da quest’ultima: ha un retrogusto strano sapersi creatrice e allo stesso tempo distruttrice di dimensioni, deve ammetterlo. Così come deve ammetterlo che forse un po’ la cosa potrebbe spaventarla, il passo più lungo della gamba. No. Scuote il capo. Decisamente, si è presa troppo tempo per reagire, così tanto che s’è lasciata rubare tutto prima di poter scegliere di prendere una decisione radicale. Le montagne circostanti scompaiono, diventando frutto di nulla, e lasciando adito alla zona circostante il vero Tempio di Kusa di modo che i veri monti e le elevate cime facciano capolinea verdeggianti, e non preda della stessa desolazione che la prima dimensione del Kinshiki sa ricreare. Il cuore ancora batte, pompa sangue, soltanto ora trova spazio per rendersene conto: una frequenza così strana, dal battito dapprima accelerato lì dove l’ansia della consapevolezza avanza, e poi sempre più decelerato, cadenzato, lì dove invece il pensiero si cheta. Gli spuntoni scompaiono diventando più minaccia per nessuno, e allo stesso modo l’arena dapprima ricreata ora si dissolve, lasciando che la stanza – divorata dal chakra – ora ne diventi esule, e quindi esclusa dalla portata dell’energia dell’ex Hyuga. La luce filtrata dall’alto si ritira insieme al chakra, chiudendo lo spirale e lasciando di nuovo penetrare il buio e la poca luminosità della luna a tre quarti che traspare dalla finestra della Sala delle preghiere. Di nuovo lì. Di nuovo al centro. Di nuovo seduta ma ad occhi sgranati, manco avesse visto un fantasma – qualcosa ci dice che l’avrebbe digerito di più. E muta, oh. Perennemente muta. Stringe le mani all’orlo della tunica, serrando le dita fino a ricreare due pugni per non graffiarsi: non… non ci crede? Deve farlo. Si tratta delle sue potenzialità. Si tratta di rifugiarsi in qualcosa di nuovo. Si tratta di portare avanti questa strada. Con questo grumo d’esperienze, lì rimane – sola, nella nuova matassa di cose comprese. Prima tra tutte? Non più “l’ex Hyuga”. Non più “la senza identità”. Non sa se effettivamente l’accetterà. Non sa nemmeno come prenderla, nonostante questo - Adesso, semplicemente, Hana Otsutsuki. [ Chakra OFF ] [ E N D ]

{ Ha un retrogusto strano sapersi creatrice e allo stesso tempo distruttrice di dimensioni.}

- Affinità Innata.