Stop. Attendere fato.
-Il tuo delitto divino fu l'essere gentile, / di rendere con i tuoi precetti la somma / dell'umana infelicità minore.- Come il Titano Prometeo, legato in un limbo che non è ne terra né inferno. Abbastanza vicino da aver di rimpetto qualcosa di tanto enorme, quanto ignoto agli occhi dell’essenza terrena. Quasi a volerlo pizzicare. A volerlo rendere un punto agli occhi di un nemico che l’ha strappato alle braccia di Morfeo per punirlo di qualcosa di cui il Rikudo non s’è macchiato ancora. Quanto tempo è passato, effettivamente? Due mesi? Tre mesi? Il tempo scorre, ma neanche sfiora la pelle di quell’uomo la quale pelle riman intatta sotto lo sfregare delle catene. Non un escoriazione, ma ogni volta che si muovono, anche flebilmente, ti ricordano che riposi in questa posizione da oramai troppo tempo. Quelle donne che paion statue, dal capo chino ed incappucciato, dai capelli pallidi che- ogni tanto, ti sembrano muoversi sotto una bava di vento. No, non c’è vento in questo posto. Forse è la mente umana che ci tira scherzi poco ilari, facendoci supporre di esser ancora in quel mondo dove noi siamo dei che calpestano la terra. Che ci rende tanto forti, da poter sfruttare ciò che ci circonda. E’ il potere del Rinnegan, no- Akendo? Tutto quel che crea l’ambiente a te circostante, sembra tornarti indietro e farsi percepire anche ad occhi chiusi. Come lievi carezze sul volto. Come minuscole onde che vibrano sulle parti sensibile dell'epidermide. Beffardo, par che il mondo in questo modo, ti stesse chiedendo di sopravvivere circondandoti, facendo di te tanto albero, quanto radice e foglie. Il baricentro perfetto dell’universo che bussa alle tue porte, e ti nutre- continuamente, esattamente come tu nutri loro. Scomodo. Confuso. Silenzioso. Il posto perfetto per affrontare i tuoi demoni ed affogare con loro- se necessario. Per affrontare i tuoi passi, e ripensarci ogni giorno, se necessario. Forse ancor più irritante, il non potersi distrarre, finisce per far ricadere la tua stessa attenzione su te stesso. Ah, scomodo andar a letto con la propria anima, quando son anni che la chiudi nel comodino, non è vero? <Ti stai arrendendo.> Una voce- oh, forse è anche diversa da come tel’aspettavi, così gentile e diversa da quel silenzio. Da tre mesi non senti altro che la tua voce, solamente. Ed ora, una di quelle che son le Aisu, issa il capo riversando nei tuoi occhi i suoi. Color della pietra di luna, opali dai mille e nessun colore, bianco perlaceo che invade sclera e pupilla, rendendo l’iride un unico, grande, gioiello. Occhi Hyuga. Ti stai dunque arrendendo a questo, Akendo? Quali colpe pendono sul tuo capo, per esser ora inerme ai piedi del Jubi? Delle anziane dall’aspetto poco maturato. La pelle quasi liscia. Ed i capelli soffici, lunghi, bianchi come i primi fiocchi di neve. <Ci dispiace che debba esser ancora tu. Ma non c’è altra scelta.> E quel che ruba da Akendo, Lui, non si sente ne percepisce. Tutto quel che carezza la pelle dell’uomo dai capelli corvini, e il percepir del nulla attorno a lui. Troppo vasto, per poter finire, troppo vasto per dar tregua alle piccole vibrazioni che lo tengono sveglio in quel limbo. <I tuoi uomini—non son stati scelti con saggezza.> … <Hai scelto il talento. E non hai badato all’onore d’aver preso nelle mani qualcosa di morto, ed averlo ricostruito.> … <Nessuno di loro lo comprende davvero. Nessuno di loro, comprende cosa voglia dire esser un componente dell’Alba.> L’accenno d’un sorriso gentile, non si sente minacciata- ed è così flemmatica da, irritare, a tratti. Non le importa di aiutarti. Non le importa di metterti in difficoltà. Colei che vede il presente, ora tace, lasciando spazio a quella alla di lei sinistra che issa il capo. <Non è la prima volta-> Accenna con un tono basso e composto. <Che ci vediamo, Madara-sama.> … <Akendo, Akendo Seiun.>
#Oh, quest’elegante arroganza, ci ricorda che il Seiun è ancora abbastanza in forma da non poter rispondere a tono. Lei tira un sorriso cordiale, come ad addolcire queste risposte che arrivano dall’altro ribattendo con una facciata molto- tranquilla e decisa. Muove un passo, obbligando le altre due a muovere- invece, un passo indietro. E mentre cammina –cinque passi in tutto- i capelli s’allungano a la sue figura si fa più affusolata e dolce, più femminile, raffinata, composta. <Non ti ha donato solo questa pelle—allora.> Quella visione che t’aveva tormentato tempo prima con parole arroganti rivolte nei tuoi confronti ora, muta. Forse, ben poco probabile, l’hai vista rappresentata in vecchissimi libri di storia, in vecchissimi racconti tramandati da generazioni in generazioni. Quelle storie che ci raccontano,quando chiediamo ai nostri genitori da dove arrivano tutti i clan delle terre ninja e che noi crediamo esser favole romantiche per bambini. Ed è—bella. Una bellezza mozzafiato. Eterea. Come luce pallida di mattina. Gli occhi del pallido color degli hyuga, deformano piccole vene rigonfie sull’apice delle gote pallide e fanno da dolce preludio, ad una fessura rigonfia ed immobile al centro della fronte: Immenso occhio livido come vecchie contusioni, ch’è divenuto di un cremisi brillante, intenso, da su cerchi concentrici che danzano attorno a delle minuscole ma definite tomoe. Più di quante il Rikudo ne abbia mai viste nella sua miserabile ma intensa vita. Dieci. Dieci tomoe fanno un giro su loro stesse quando l’occhio s’apre mostrandosi a lui, lasciando che quella figura dalle bianche vesti, allunghi la sua mano verso di lui, sfoderando pian piano –come fogli che volan- due corna affusolate verso l’esterno. Le labbra in sottili petali scuri, che si schiudono debolmente solo a pochi centimetri da quell’inerme possessore del Rinnegan. <Il suo stesso carattere. Senza quell’incessante desiderio di aver di più.> … <Peccava d’accidia.> Oh, sappiamo entrambi di chi stiamo parlando. E quelle dita affusolate, quello sguardo che può- distruggerci e farci tremare al tempo stesso, sembra così, costantemente triste. <Non hai mai abbandonato l’onore, Akendo.> .. <Non hai mai abbandonato i tuoi principi. Hai solo ritenuto cosa fosse realmente più giusto. Non sei poi così diverso da me, sebben tu non mi conosca—io devo tanto a questo vecchio corpo.> Espira, posando le dita affusolate sulla guancia del Rikudo, tentando di farlo, avvicinandosi maggiormente. <Come questo corpo--- deve aiutarmi. Solo un ultima volta.> Per rivendicar quel che è nato dal suo corpo- per far rinascere, ancora, il clan originale. Il primo. E l’unico. Un soffio di voce gentile, cheta-, eppure sa rappresentarsi austera a suo modo. Delle parole, che è difficile contraddire. Deglutisce, s’avvicina ulteriormente, lasciando qualche scarso centimetro dal viso del Seiun. <Potresti affiancarmi. Il mondo non perirà. Il mondo nasce da me. E tu ora, sei la sua bilancia.> … <Ti posso far vedere—come sarebbe.> Ed ella chiude gli occhi, lenta, mostrando ad Akendo- come sarebbe, al suo fianco. Cosa vorrebbe dire, divenire figlio del Jubi.
Jubi: https://i.ytimg.com/vi/Er5_MjCp5Bg/maxresdefault.jpg
Visione di Akendo: https://dailyanimeart.files.wordpress.com/2016/04/black-zetsu-betrays-madara.jpg
Fato tornato. Brace yourself.
Il tempo è dopotutto, qualcosa di così astratto che, se siam privati degli stimoli naturali, sembra non passare mai davvero. Forse, in tutto questo tempo- son passati tanti anni che tutto fuori da quel cancello, fuori da quelle catene che fanno del Rikudo l’unica chiusura che separa il Jubi dalla terra che tutti noi calpestiamo, ed ora tutti gli sforzi di Akendo si stanno man mano sbriciolando ogniuno dentro i suoi stessi problemi. Katsumi è tormentato dai dubbi. Kimi, è tormentata da ciò che ignora. Il suo adorato Kurako- è posseduto dall’eccesso della sua bramosia. Mekura è in guerra con se stessa. Siam tutti sciocche pedine nelle mani di un fato troppo sadico per issar la sua oscura figura dalla poltrona e scostar lo sguardo altrove. Anche solo per pochi istanti. Siamo tutti riflessi di qualcosa che inconsciamente, ci caratterizza. Che sia l’ignoranza, ed ancor più pericolosa la sapienza. Il silenzio di cui si veste il possessore del rinnegan è saggio, conoscendo quel viso che decanta dell’unico Dio a cui questo mondo si dovrebbe piegare. Parliam di Kami. Parliam pure di culti, tutti i culti che più volete argomentare. Ma chi è madre di quel che scorre nelle nostre vene? Chi è madre dei nostri geni, del nostro potere? Madre di guerra, quanto di pace. Colei da cui nasce ogni singola forza che noi tutti, dal primo all’ultimo, rincorriamo? Kaguya. Dai capelli pallidi come il latte che scivolano oltre i fianchi. E delle tomoe forate al centro che le ornano il kimono largo dalle ampie maniche. Gli occhi che racchiudono ogni dobujutsu. Madre del clan delle ossa, oramai estinto. Madre del Mokuton tanto acclamato. Silenziare. Tremare. Decidere saggiamente di domandare invece di perseguire quella facciata arrogante, e rivalutare il proprio atteggiamento. Questo, fa del Rikudo saggio. Il saper d’esser chi sei, ma non averne mai la piena certezza perché si- si è sempre un gradino più in basso a qualcosa. Certo che arrivar a codesto punto, ove hai la sicurezza di aver raggiunto l’apice del tuo Samsara; ricordi scioccamente che non è finito. Che c’è qualcosa /in più/ a cui arrivare. E quegli occhi perlacei s’abbassano come fiati nuovamente. Brama. Curiosità. Si leggono nelle parole dell’Eremita che calpesta nuovamente i passi di suo figlio. E come suo figlio, forse, la tradirà. Il fine di quella domanda, che vuol aspettarsi una risposta, riman sospesa come quel pendolo d’orologio che segna il tempo. L’unico, solo, aggravante. <Non additarti come mezzo, non lo sopporterei..> Socchiude gli occhi dal taglio felino, quei tratti affilati e gentili che la rendono tanto bella- quando potenzialmente letale, si scostano di poco ritirando l’illusione di veder se stesso, riflesso d’innanzi, con lunghi capelli bianchi, con il Mangekyou infinito. Sfuma come una goccia di latte che ricade nell’inchiostro. <Tu sei nato per questo.> Ed è molto di più, del semplice esser utile a qualcosa. <Devi riportar da me ogni singola anfora, ogni singolo jinchurichi—Nessuno, nessuno a parte mio figlio può esser giudice di questa terra dimenticata!> Aria vibra- sotto l’ira di Kaguya, tradita e ferita dai suoi stessi figli che hanno diviso il suo chakra divino per le terre ninja, dove nessuno merita d’esser forza portante. <Perché-sei nato, Akendo?> … <Da cosa pensi d’esser nato?> Lo osserva di sbieco, lasciando che la rabbia scemi pian piano. <E’ difficile abbandonar le spoglie umane e comprendere, lo riconosco.>… <Ma nessuno di loro lo merita. E’ egoista. E sconsiderato.> Espira. <Quando uscirai dalla soglia, se mai lo farai- ogni colpa, ogni singolo sbaglio dell’uomo, penderà sul tuo capo.>…<Figlio mio.> La mano di Kaguya s’allunga, il pollice di sbieco passa il filo dell’unghia nel centro della fronte, preme—par- lacerarti e—svanire, in un istante.
[END AMBIENT]