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Oltre la maschera, prima o poi...

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con Chie, Kaori

22:17 Kaori:
  [Foresta] La vegetazione è fitta tutt'attorno. Alberi frondosi piuttosto alti e antichi, terriccio umido dopo le piogge della mattina e animali che di tanto in tanto sbucano qua e là mostrando il loro musino peloso attraverso cespugli verdi e fruscianti. La notte è serena, il cielo è nero trapuntato di stelle radiose. Una luna a metà irradia di luce rada il Villaggio sottostante, filtrando a stento fra le chiome verdeggianti degli arbusti di quella foresta. Kaori ha sentito parlare di questo luogo come di un posto adatto agli allenamenti, alla pratica contro creature più o meno pericolose ed ha deciso di recarcisi col chakra precedentemente ed accuratamente impastato onde evitare situazioni spiacevoli. L'energia fisica e psichica verrebbero richiamate all'interno del suo busto con la forza della concentrazione e della mente portandole a raccogliersi in due punti distinti e separati; le mani, alzate a comporre il sigillo della capra all'altezza del plesso solare, lasciano fluire e scorrere queste energie fino a fondersi e mescolarsi creando così una nuova ed unica forza: il chakra. L'energia azzurrina scorrerebbe per tutto il corpo donandole nuove capacità, nuovi riflessi, mentre l'attenzione sarebbe massima al momento di avanzare per quel sentiero piuttosto selvatico. I lunghi capelli viola sono raccolti in una unica morbida treccia dietro la schiena mentre il busto è coperto di un corsetto scuro ed un coprispalle buio, unito all'altezza dei gomiti ad un paio di lunghi guanti ninja dalle placche metalliche cucite sui dorsi come protezione. Un paio di shorts color pece sono tenuti su da una cintura alla quale è annessa una tasca porta oggetti mentre le gambe sono protette da alti stivali ninja e, sulla coscia destra, da un porta kunai e shuriken piuttosto pieno. A completare l'immagine della genin della Foglia, v'è il coprifronte legato attorno al collo, dono ricevuto tempo addietro da Azrael Nara, con la promessa di restituirglielo una volta che fosse divenuta abbastanza forte da essere riconosciuta anche in altri Villaggi. Un simbolo al quale tiene molto e che le infonde forza e coraggio. [Tentativo Impasto Chakra]

22:45 Chie:
  [Albero.] Le mani che s'uniscono nel sigillo caprino, la destra solleva indice e medio ponendo il pollice verso l’esterno, ad altezza della gola. Il palmo si corruga, come a chiudersi lievemente dagli esterni su se stesso, e il medesimo movimento vien fatto dalla destra con la semplice differenza che la dritta vien posta appena più in basso, ad aderire i polpastrelli di indice e medio esattamente al centro del monte del palmo. Gli occhi socchiusi prendono ancora visione di quelle due sfere, opposte- ma non così tanto differenti. Non vi è maggiore e minore importanza, ma solo diverse consistenze e colori. E come rimescolare lo yin e lo yang, prende un lembo della potenza psichica, posta al centro del plesso solare, ed un lembo della potenza fisica, posta al centro dello stomaco, riversando uno nell’opposto, ricollegandoli come se avesse innescato qualcosa di completamente nuovo. Come aprire rubinetti- che noi chiamiamo tsubo, e lasciare che il chakra sgorga e si dirami, pian piano, infilandosi a riempire e gonfiare appena i muscoli. Andando a dargli la presa massimale sulle sue competenze fisiche. Aveva attivato il chakra- certo, all’inizio della sua guardia in qualità di ANBU nella Foresta della Morte, dove il team a cui è stato assegnato solo qualche ora prima, per questa notte eccezionalmente, s’era sparpagliato oltre la cresta che oziosamente, pigra, si ripiega sotto il venticello notturno come salici piangenti, verso il terreno- lasciando che la luna dimezzata dall’ombra che s’estende come un manto cupo, filtri i suoi raggi a sprazzi bianchicci e sfumati, sporadici, che s’affacciano sul terreno dipingendolo come si vedrebbe in un vecchio dipinto di Monèt, di quelli dipinti con i pastelli ad olio, dove s’intravedono figure sfumate- ed un lago che riporta la luce filtrata dagli alberi. Si sente nello stesso scenario, ma a farci da fedele amico, non è un sole timido. Quanto più la notte che infame- no! Non porta consiglio. Non a lui. Porta disagio. Inadeguatezza. E il brusio costante di una voce gentile che pare instillare lui, qualcosa che assomiglia al dubbio- ma non lo è. Nonostante si debba lavar gli occhi di Kaori, non può far a meno di fare quello che più gli riesce meglio: Osservarla da lontano. Come un ladro. Come un ratto che si nasconde nel suo tombino. Come il team fugge nella notte, lasciando solo ombre nel buio, lui si lascia richiamare dalla hyuga localizzata dai ninja sensitivi che l’hanno accompagnata fino a poco prima. La maschera di ceramica che gli copre il volto, disegna su di lui tratti fittizi che sanno solamente d’occhi dorati lasciati ad esser eterne fessure. E quei tratti minimalistici, tipicamente nipponici, fingono. Lo fanno esser qualcosa di simile ad un maneki neko. Sorniore. Serafico. Imperturbabile. Il petto nudo per l’allenamento appena ultimato ai campi, dove ha gettato la sua divisa assieme a quella del resto del Team per esser ripulita dal sangue di un interrogatorio, e dal sudore acidulo di cui è minuto. Un pallore candido, ma non disturbante. Non è una dannata femminuccia, ma è pur sempre un clone. Vissuto in un laboratorio ed educato nello stesso, come se fosse la sua casa. Ed un buon cane non morde mai la mano che lo nutre, certo, per questo lui tutt’ora la vede come casa sua, come un posto dove tornare, a cui essere fedele. Certo- non è un energumeno, allampanato e dal fisico nervoso, dove i muscoli sono una sfumatura gonfia, ma non troneggiante. Definite- le spalle ampie, si ricurvano verso il basso ad osservare Kaori nella sua posizione. Dovrebbe vergognarsene? No- non lui che sbatacchierebbe qualsiasi cosa che lo incuriosisce solo per vedere fino a che punto è fragile. La destra posata sul ramo, stabilizza la sua posizione accovacciata, in un punto che gli par ottimale. Tra tronco e ramo, affacciato sul vuoto, lasciando che i capelli argentei facciano capolino oltre la maschera ANBU e dove la divisa è chiaramente presente per pantaloni da shinobi aderenti quanto basta da non impedirgli i movimenti, ne infastidirlo. Una benda sulla coscia, come classico segno. Ed il tatuaggio della spirale azzurra sulla spalla sinistra, a testimoniare il sesso dello stesso tra le fila del Lato Oscuro. Non dovrebbe neanche rimanere qui. Non dovrebbe entrare in contatto con lei. Forse- si, dovrebbe alzare i tacchi e allenarsi finchè non lo richiamano tra le fila dei ninja scelti. Espira, piano, filtrato ed ovattato dalla maschera, socchiudendo gli occhi e lasciando che la sagoma di Kaori sia solo un vago ricordo. Gli anfibi-stivalletti neri scivolano in avanti sul tronco, permettendogli di far pressione con il palmo sullo stesso, per poggiarci lentamente le antiche, sorreggendo il suo peso e facendo gonfiar di poco le vene sull’avambraccio. Un tonfo- solamente un tonfo dietro le spalle di Kaori, mostrerebbe la figura di colui che- si, rompe le regole per scambiare poche parole, pochi gesti fugaci. <Mhghp.> Mugola, a denti stretti, richiamandone l’attenzione. [Tentativo impasto]

23:12 Kaori:
  [Foresta] Il folto è ancor lontano, la foresta è appena ai suoi inizi lì, ove la genin muove quei primi passi con fare attento, cauto. E' la prima volta che varca quei confini, la prima volta che scopre quel luogo da quando l'Accademia ha deciso di donarle quel diploma tanto atteso, tanto sudato. Non sa bene che tipo di creature o bestie selvatiche si possano incontrare, probabilmente dovrà camminare ancora un po' prima di incrociarne qualcuna, eppure ad ogni passo che muove una strana sensazione va a sfiorarle la nuca, sotto quella chioma violacea che le ondeggia lungo la schiena seguendo il moto d'ogni passo. E' come se non fosse sola, come se avvertisse degli occhi fissarla, studiarla, tutt'attorno. E' questa sensazione a portarla, in poco tempo, ad alzare le mani all'altezza del petto ed unirle a formare il sigillo della tigre. Il chakra verrebbe richiamato all'interno del suo corpo, ricercato, rincorso mentre scorre placido e vivace nel suo corpo. Come un torrente in piena percorre i canali del suo keirakukei infondendo energia ad ogni muscolo, nervo, arto del suo organismo risalendolo pian piano fino ad irrorarne il cerebro, il capo. E' proprio qui che andrebbe lei ad intervenire cercando di incanalare e concentrare una modesta quantità di chakra all'interno dei bulbi oculari, come a voler riempire due serbatoi bisognosi di carburante, lasciando fuoriuscire il chakra dagli tsubo lì presenti fino a plasmarlo attorno agli occhi perlacei nel tentativo di risvegliare così l'antico e segretissimo potere del suo clan: il Byakugan. Se vi fosse riuscita sentirebbe ora quella strana sensazione come di pelle tirata attorno allo sguardo, le vene rigonfiarsi divenendo così visibili e palpabili, quasi brutte a vedersi su quel viso solitamente delicato, lineare, come dipinto da una mano esperta e gentile. Un pizzicore leggero, un dolore momentaneo che andrebbe a perdurare solamente pochi istanti mentre il mondo di svelerebbe alla sua vista con maggior precisione, chiarezza. Vedrebbe lontano, lei, oltre metri e metri di alberi e arbusti. Vedrebbe con chiarezza disarmante tutto ciò che la circonda entro i limiti dei suoi occhi ancora acerbi ritrovandosi così a cercare la fonte di quella strana sensazione. Starebbe quasi per voltare il capo prima di udire un tonfo alle sue spalle, una presenza farsi ora concreta, reale che purtroppo non può vedere considerando l'ampio punto cieco della sua vista ancora immatura. Solo all'udir quel tonfo Kaori andrebbe a voltarsi portando le mani ad alzarsi dinnanzi al petto ed in parte al viso come quasi una forma di difesa, una posa da battaglia favorita poi dal flettersi leggero delle gambe sulle ginocchia di modo tale da fornirle un maggior equilibrio, una presa sicura sul terreno. Starebbe quasi per preparare un attacco quando i suoi occhi verrebbero sgranati, la maschera familiare dell'unico ANBU che abbia mai conosciuto a comparire dinnanzi le sue iridi ora ancor più chiare, sgranate. <Ren!> esclamerebbe lei a labbra schiuse, il cuore a martellarle improvviso nel petto per lo spavento di dover affrontare qualche minaccia sconosciuta. E' lì, tranquillo, in piedi, con la solita maschera a celare il volto ed i capelli d'argento a far capolino sopra di essa, appena smossi da una brezza leggera che va a sfiorargli e carezzargli il busto completamente scoperto, nudo sotto le iridi uniche della Hyuga. Sembrerebbe quasi essere sul punto di dir qualcosa quando le sue labbra si bloccherebbero e nessun suono uscirebbe dalle sue labbra. Andrebbe invero ad alzar una mano all'altezza della propria spalla e scuoterla un paio di volte in ambo le direzioni, in un cenno di saluto imparato fra le pagine di quel libro che egli stesso le ha donato qualche sera prima. “Ciao” vorrebbe dire, un gesto che s'arresta poco dopo, mentre lei andrebbe a muovere le mani a formare nuove forme che se non ricorda male quanto appreso, dovrebbero volergli dire “Sono contenta di vederti”. Un sorriso increspa le labbra di lei in quel fare, una conferma di quei gesti accompagnati da null'altro che un silenzio denso, straziato solamente dal fruscio leggero di alberi sinistri e verdeggianti. <Come stai?> domanderebbe allora lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, il viso appena inclinato verso la spalla destra a meglio osservare il giovane dinnanzi a sé, le iridi a puntarsi sulla sua maschera candida, troppo timida e pudica per lasciare che scivolino su quel torace esposto, d'avorio bianchissimo. [Tentativo Byakugan I – Chakra: 29/30]

23:30 Chie:
  [Albero.] Le labbra celate dietro la maschera di ceramica, scivolano l'una sull'altra, trovandosi a trasportare volutamente un'effimera quantità di chakra nelle ghiandole salivari, intensificando l'apporto dello shi no chi alla sua epidermide, facendo si che la stessa si ricopra- frutto del veleno trasportato nel sangue stesso di Akuma- di una patina dello stesso, chiaramente invisibile ad occhio nudo, poichè in realtà la tossicità della Salamandra è costante- ma solamente per quel che riguarda i liquidi emessi dal suo corpo, e quindi in parti minime, venute già a contatto con la saliva, o con il sangue dello stesso. Il chakra che si ridimensiona a passar da quelle ghiandole prima d’esser distribuito, come se fossero filtri, poi si riversano su tutto il corpo del giovane. La destra che si pone appena sotto lo sterno, dove la pelle disegna una fossetta tra pettorali e addominali che non son definiti come quelli di un bestione, ma appena disegnati nel gesso della sua pelle, dove di tanto in tanto, spuntano piccoli taglietti dovuti alle innumerevoli operazioni affrontati per esser un kopijuster innato. No- tuttavia, non sono andate a buon fine, lasciando nella sua pelle solo vecchi e effimeri ricordi che ora, sotto questa luce avida di carne, si vedon a tratti, ogni qual volta che che scivola via dall’ombra, lento- timido come un geco tanto affezionato alle sue pareti. A starsene in silenzio nell’angolo. Eppure quando la guarda- c’è una morsa che gli stringe lo stomaco. No, non siamo sciocchi a spacciare questo sentimento per qualcosa di troppo grande, sarebbe solo un pugno di polvere negli occhi non necessario. E non ne sarebbe neanche capace. Forse- apprezzamento. Forse, gli spiace averla conosciuta con addosso i panni di Ren, ma a volte il fato gioca a nostro sfavore, qualsiasi scelta noi compiamo. La vita è una partita a dadi- e quelli di Akuma non sono truccati. Ne tanto meno risiedono nelle sue mani. Espira piano, lasciando che la mano scivoli via dallo sterno e vada oltre il piccolo porta oggetti parzialmente vuoto sul fianco sinistro, dal quale fanno capolino solo un paio di fuda affusolati, contenenti sicuramente qualcosa. Ed un pugno di coagulanti- pastigliette rosse tondeggianti e lucide che emettono una sfumatura fugace sotto la luce della luna. Il fruscio del vento che si spalma in aria come un amante geloso, o una premurosa madre, gli scompiglia di capelli in ciocche argentee che si muovono con la furia di una folata improvvisa. Lo lasciano quasi senza fiato alcuno. Avesse un cuore- quest’uomo di porcellana, si scioglierebbe nel veder lei cercare di comporre i segni giusti per comunicargli qualcosa- e più di tutto, fargli vedere che ha imparato qualcosa. Che sta imparando—per lui? La osserva in silenzio, quelle spalle appena ricurve, che disegnano la clavicola ritta e pronunciata, così come il trapezio appena rigonfio accanto al collo compatto e affusolato. Issa la sinistra a grattarsi il collo, una volta- due. Cos’è questa sensazione? Quasi- quasi gli viene voglia di ridere. Però no, non lo fa. Ricambia il saluto, nel modo più cortese gli sia possibile, chinando appena il capo in avanti come la dottrina nipponica vuole, flettendo il busto, e non solamente il capo. In chiaro segno di risposta. “Ciao..” Vorrebbe dire issando le mani e compiendo lentamente; “Sono stanco..” ..”Ma sono contento di allenarmi tutto il giorno”. Contando che gli allenamenti ANBU non sono quelli che conosciamo all’accademia. Ma sono rigidi, con generali austeri pronti a punirti. Che vogliono vedere movimenti impeccabili. E impeccabile attenzione. Soprattutto per le regole rigide. Socchiude appena gli occhi, guardando le braccia di Kaori- l’ha spaventata? Allora- nh, forse non è stato il modo giusto per approcciare con lei. Beh, seguire una donna non è propriamente elegante ed educato. <S-> Il mento s’alza, seguendo a pari delle parole i simboli- perché, ci sta mettendo tanta dedizione, in lei? Non importa, non davvero. <S-ba-gliato.> Facendo cenno con il mento alla posizione che prima aveva assunto, in difesa della sua persona, muovendo un paio di passi nell’erba umida- in quell’odore fresco e pungente, avvicinandosi, ma mai abbastanza da toccarla. L’avambraccio della destra si posizionerebbe appena sopra il mento, ripiegato ad esser in linea con la spalla e obliquo, a posar il pugno di quella mano nodosa ad altezza della bocca. La gemella porta il gomito appena più in dentro rispetto alla spalla, posizionata verticalmente a coprire lo sterno, portando il pugno a livello della quarta costola. Coprendo indi- diaframma e viso. Le spalle appena abbassate, le gambe appena divaricate e flesse. Un accenno minimo che vuol il rinforzarsi della sua stabilità. Poi indica in cenni: Viso. <Ma-le> E a seguire, sterno. <Vi-v-ita.> I due punti più delicati. Uno fa male, e l’altro può toglierti la vita. Nozioni di taijutsu, un poco più approfondite. La guarda al di la della sua maschera di ceramica, chinando il volto ad osservarla dall’alto della sua statura. Le mani poi, si ritirano, fanno dei cenni lenti. La indica. E poi, si posa il palmo chiuso a pugno sulla guancia. “Tu” .. “Bella.” Lo dice, ma senza colorarsi di sfumature. Un tratto oggettivo, detto senza secondi fini.

[Ck on// 1 di 15][Doku no Geijutsu I]

00:05 Kaori:
 Ha studiato, Kaori, quel linguaggio in ogni momento libero avuto dal loro ultimo incontro. In parte desiderosa di potergli venire incontro se si fossero visti nuovamente, in parte perchè sinceramente desiderosa d'apprendere qualcosa di nuovo. Ha scoperto un intero nuovo modo di comunicare fra quelle pagine, il modo in cui le mani possono, con dei semplici movimenti, esprimere un intero concetto anche senza l'ausilio della voce, della parola. Qualcosa che è stata ben felice d'apprendere ed imparare, contenta di poter fare qualcosa per aiutare Ren. Ren. Shiro. Bianco. Ha pensato spesso al loro incontro, a quella figura priva di volto che però l'ha tanto confusa con quel suo modo genuino e semplicemente disarmante di pensare. Sembrava davvero privo d'emozioni, di desideri propri: ogni sua parola era rivolta alla missione, al suo compito e nessuna delle parole della Hyuga è stata capace di smuoverlo dalla sua strada. Non che volesse poi cambiarlo in alcun modo, sia chiaro. Ma come può Kaori pensare che sia giusto lasciare a qualcuno la convinzione di non dover mai cercar aiuto in nessuno? Di dover vivere e morire da solo per il solo bene di una missione? L'idea di saperlo totalmente solo con se stesso le dà i brividi, la fa trasalire. Perchè, poi? Non sa nulla di lui, se non il suo nome. Neppure il suo volto conosce e forse non lo riconoscerebbe per strada se lo incontrasse senza maschera alcuna. O forse troverebbe quelle iridi dorate, appena visibili attraverso gli occhi schiusi, familiari e confortevoli. Forse riconoscerebbe in quei capelli d'argento o in quella voce arrochita e incerta l'ombra dedita alla salvaguardia della Foglia. Riesce a capire, sforzandosi di ricordare gli studi recenti, quanto egli le dice muovendo le mani. Un sorriso leggero le si dipinge sulle labbra mentre andrebbe a portare una mano chiusa quasi a pugno, all'altezza dello stomaco per poi sollevarla fino a poggiarla all'incirca all'altezza dei seni. “Mi dispiace” vorrebbe dire con quel gesto, sebbene l'altro abbia detto d'esser contento dei suoi allenamenti. Ma la stanchezza può essere debilitante, sfiancante, e non ha neppure idea di quanto possa esserlo per un ninja scelto nella squadra speciale ANBU. E' solo poco dopo che l'altro andrebbe a pronunciar parola, indicando con un cenno del mento la posa altrui. La giovane l'osserva schiudendo le labbra, guardandosi in quella posizione che voleva esser di difesa. Lo vedrebbe avvicinarsi, muoversi, un ammasso ambulante di chakra che si fermerebbe a poca distanza, andando a sistemarsi in una posa sicuramente più efficiente, più sicura, studiandolo con attenzione attraverso le iridi candide e vagamente inquietanti. Ascolta il suo dire, i suoi consigli e cercherebbe di imitare la sua posa flettendosi appena sulle gambe opportunamente divaricate, flesse sulle ginocchia. Alzerebbe le braccia ponendole nella medesima posa da lui mostrata, a proteggere e coprire parte del viso e del petto gentile. <Così?> domanderebbe lei una volta sicura di aver imitato abbastanza bene la sua postura, i suoi gesti. <Così va bene?> chiederebbe ancora ricercando con le proprie iridi quelle appena visibili di lui, oltre quella maschera candida, quella barriera così sottile ma dura fra loro. Quando lui si rialza ricomponendosi in una posa eretta e tranquilla, Kaori va a far lo stesso tornando ad ergersi in tutta la sua bassezz-ehm, altezza con le mani a ricadere molli lungo i fianchi, il fruscio dei cespugli attorno a loro a straziare quel silenzio non più imbarazzante o difficile. Quasi rassicurante, per un certo senso. Ed è allora che Ren va a muover nuovamente le mani, le dita, in quella breve danza di gesti che in realtà sono parole. Pensieri. Kaori schiude le labbra colpita, sorpresa, non aspettandosi davvero un dire del genere in quel momento. O in qualsiasi altro, in verità. Le gote si tingono appena di un rosso vivace, gentile, mentre le mani andrebbero d'istinto a salire al volto, quasi a voler nascondere con le proprie dita quelle vene rigonfie di chakra che le dilaniano e sfregiano il viso. Un piccolo prezzo da pagare per un potere invidiabile. Scuoterebbe il capo come a voler negare quel complimento, l'imbarazzo a impedirle per un attimo la parola, prima di permetterle di balbettare un timido ed innocente. <N-no davvero...> Bella non s'è mai vista, lei, troppo impegnata a considerarsi un guerriero per badare a quella femminilità fiorente, a quei lineamenti dolci e gentili che sbocciano come ciliegi in primavera. Sta crescendo, sta mutando, e quei tratti infantili e morbidi lasciano pian piano strada ad un viso più maturo, più definito. Adulto. Le iridi sue si ritrovano a scivolare sul corpo atletico, asciutto, su quelle piccole ferite piuttosto vecchie che fan capolino fra i muscoli appena accennati. La pelle sua, diafana e immacolata, pare frastagliata in più punti da varie ferite, qualcosa che cattura immediatamente l'attenzione di lei. <Sono tante...> mormorerebbe lei abbassando ora le mani dal proprio volto, l'espressione preoccupata a ricercare ora il suo viso. <Te le sei procurate in missione?> domanderebbe con voce accorata, gentile, il pensiero del dolore dietro quei segni ormai traslucidi a stringerle le viscere. [Byakugan I – chakra: 28/30]

00:38 Chie:
 Ecco- ecco qualcosa di nuovo. Il suo imitare la posa di Akuma muovendo arti e gambe ad assomigliare il più possibile a lui. Per certi versi, è come avere a che fare con qualcosa di tanto piccolo quanto innocente. Qualcosa che infondo infondo, lo diverte infinitamente senza aver le competenze di palesarlo sul volto neutralizzato dalla maschera di cera. Si trova ad abbassare e rialzare una volta il capo, tirando un sorriso appena accennato dietro alla maschera. Si- è giusto. Di certo non è una posizione che può salvarla da un jutsu, che è sempre meglio schivare, ma una posizione adatta da riutilizzare in caso di scontri corpo a corpo, come quelli a cui lui è dedito. E certo, esser un ninja da prima linea –il taijutsu è sempre usato in prima linea, corta distanza- fa di lui un soggetto propenso a ferirsi più volte in uno scontro, e sviluppare una pellaccia dura- forse non subito, ma certamente con il tempo. Akuma effettivamente- si presenta in modo differente da qualsiasi altro shinobi. E’ davvero una sagoma di chakra puro- gli ricopre la pelle per intero, come se si spandesse a vista d’occhio. O come se fosse fatto di chakra—se fosse sciocca, potrebbe persino pensarech’esso sia una copia di qualcun altro che rimane distante da lui. Ma a differenza di una copia di basso livello, Akuma è tangibile e reale. In grado di comunicare con Kaori, bene o male, come meglio gli riesce. Si sorprende sgranare gli occhi alla sua reazione. Cosa sta succedendo? Le pepite d’oro zecchino a fare capolino quasi terrorizzate tacitamente sul viso cereo della Salamanda, a quella reazione tanto inaspettata, quanto sconosciuta. Perché le sue gote sono rosse. Quasi- compie uno scatto in avanti in quel frangente, come se temesse un malore improvviso. Qualche malattia della pelle? <??> Sfiata a pieni polmoni, come lei accenna a parlare, rendendosi conto in un secondo tempo, povero ingenuo, che ha detonato un principio d’imbarazzo tipico femminile. Qualcuno gliene ha parlato, forse. Quindi abbassa il capo, torturandosi il labbro agli occhi ciechi della Hyuga, che oltre la maschera non posson vedere. <OO-to-sama.> Biascica rauco la parola “Padre” nella piu rispettosa delle sue forme. E’ stato suo padre, il suo creatore. Ma gli occhi si stendono in una linea serafica, incredibilmente tranquilla. E le mani s’alzano leggere, ponendosi nei pressi dello sterno, del ventre, del viso a rimarcare nuovi simboli. “Cicatrici” Inizia- formando il segno con ambo le mani tanto lentamente, da darle il tempo di comprenderlo. “Fanno di me un valido guerriero”. Segue dopo, senza emettere un verbo che sia uno. Solo un fruscio di pelle contro pelle, e lo sporadico rumore di quelle siepi, che gli fanno contrarre i muscoli. Se solo gli ANBU sapessero di questo minuscolo frangente, lui sarebbe posto alla picca- messo all’angolo tra bugie e scuse che si susseguono. La destra scivola pigramente verso l’alto, una macchia verdognolo violacea, come una vecchia contusione, che si dilunga in falangi nodose- che vogliono carezzarle il volto. Forse non ci pensa- per un attimo, che può nuocerle. Forse, la brama schiaccia quel suo fare incosciente e immaturo, un nocciolo dentro al petto di Akuma che pochi, possono vedere. Come quando mangi troppa torta, sapendo che ti fa male. Ma non puoi proprio farne a meno. Porterebbe le dita a sfiorarle di dorso la gota- tiepida- e quel rossore che infiamma e sfuma, lasciandolo a bocca asciutta. Vorrebbe effettivamente chiederle tante cose, ma le sue labbra non osano oltre il dovuto. <Cos’è..> Rauco, una domanda, gorgoglia alla base della gola graffiando l’aria, ma non risultando spiacevole- forse un po più adulta del normale. E quella pelle, fosse riuscito a sfiorarla, si macchierebbe del suo veleno. Allucinazioni. Kaori- effettivamente, vedrebbe solamente –al momento- i colori farsi più intensi, vivaci. E gli occhi dolci di Akuma osservarla con curiosità. L’unico lembo di pelle, a lei concesso. [Ck on// 2 di 15][Doku no Geijutsu I]

10:03 Kaori:
 All'annuire altrui un sorriso contento e soddisfatto si palesa sul volto della kunoichi che, riabbassando le mani, andrebbe a tornare in posizione eretta con un fluido movimento delle gambe. Un tendersi leggero che la riporterebbe su di quei pochi centimetri di cui s'era abbassata, i piedi a tornar vicini in una posa più consona ad una signorina della sua età. Divaricare le gambe, flettere le ginocchia e tentare di posizionare le mani di modo tale da andare a coprire in un certo senso viso e sterno. Lo ricorderà, farà tesoro del consiglio altrui e cercherà di sfruttare tutte le varie lezioni ricevute -da lui o da Mekura- per migliorare il proprio stile di combattimento corpo a corpo. <Grazie mille, Ren> sorriderebbe lei inclinando di pochi gradi il volto, le ciocche violacee dei capelli a smuoversi appena a quel minimo moto del viso. <Terrò a mente questo consiglio> annuisce appena, lei, ritrovandosi ad osservare la sua sagoma attraverso quegli occhi così preziosi. E' strano, Ren. Non lo vede come chiunque altro, il suo chakra non scorre semplicemente nel keirakukei, ma lo avvolge totalmente, da capo a piedi, come fosse quasi un manto azzurrino e fiammeggiante. Eppure non può essere una copia: è reale, è vero. Può parlare, può toccare cose. Ma non può chiedere alcunché, porre alcuna domanda: per quanto si fidi di lui -dopotutto è un ANBU della Foglia oltre che a ispirarle una innata innocenza d'animo- non desidera rivelare ad altri all'infuori del suo clan le particolarità e prerogative del loro potere. Non fin quando non sarà necessario, per lo meno. Il tempo scorre, placido, come sabbia in una clessidra di vetro e lascia che i secondi sfuggano al loro controllo, alla loro presa, tramutandosi in memorie, ricordi pericolosi, segreti che però si rivelano piacevoli per lei. Le piace la presenza di quel ragazzo. Le piace il modo semplice e diretto che ha di dire ciò che pensa, quasi fosse un bambino che non conosce le mezze verità. C'è qualcosa di vero, autentico in quel suo modo di essere, di fare, che la porta a guardarlo con occhi diversi dal solito. Un giglio che cresce fra piccole crepe di un cemento velenoso. Un bianco così candido e puro che le fa venir voglia di proteggerlo nonostante, probabilmente, sia possibile solamente l'esatto contrario. E' questo che la porta a notare quelle piccole cicatrici sparse sul suo corpo, quei segni ormai rimarginati e chiusi che decorano quella pelle altresì immacolata, d'alabastro finissimo. Le osserva ritrovandosi così a rilasciare il chakra dai propri occhi, il Byakugan a dissolversi, svanire dal suo volto lasciando ch'esso ritorni il solito di sempre, mentre ora quel busto scoperto diverrebbe nuovamente più chiaramente visibile alla vista. La rivelazione che siano state inferte da suo padre la portano ad alzare lo sguardo verso la sua maschera, l'espressione scioccata, sconvolta, un dispiacere profondo a sfumare su quel viso delicato e gentile. <E' terribile...> mormorerebbe con le labbra schiuse per l'orrore, l'espressione crucciata e mortificata del suo sguardo che s'alternerebbe fra la maschera altrui ed il suo busto. <Sono così tante...> un'osservazione forse inutile che la porterebbe a sollevare una mano fin quasi a sfiorarle. Alzerebbe la mancina tendendo le dita affusolate verso quella pelle rimarginata e richiusa, quei piccoli segni di chissà quali ferite, bloccandosi solo ad un soffio dal toccarlo davvero. Non sa se è il caso, se la cosa sia da considerarsi opportuna. Tentenna prima di richiudere la mano a pugno e lasciarla scivolare nuovamente giù, lungo i fianchi, tornando ad osservare il volto altrui. Non chiosa, Ren, ma muove le mani in nuovi gesti, nuovi significati che portano Kaori a puntare le iridi biancastre sulle sue dita. Quel dire semplice, forse scherzoso in ben altre circostanze, se lui fosse stato un'altra persona, porta la genin a schiudere le labbra in un sorrisetto appena accennato. <Io... sto studiando per diventare un medico> rivelerebbe allora alzando nuovamente lo sguardo verso di lui, il concetto troppo difficile ancora per poterlo esporre in semplici gesti delle mani. <Se sarai ferito, se ne avrai bisogno, vieni da me...> direbbe umettandosi nervosamente le labbra, uno strano senso come di imbarazzo a stuzzicarla timidamente, un pungolarla proprio all'altezza dello stomaco. <Per ora non sono molto brava, ma posso guarire delle ferite superficiali o delle minime bruciature> rivelerebbe ancora con un sorrisetto timido, dolce, una mano a incastrarsi goffamente fra i capelli violetti, a grattar quella nuca che par prudere per la propria inesperienza. Sente però che le farebbe piacere essergli utile. Riuscire ad aiutarlo, a prendersi cura di quelle ferite cui sembra non portar rancore alcuno. Non che paia provar emozioni in generale col viso così nascosto da quella maschera candida, barriera fra lui e il mondo, ma non per lei. Non per lei che pare invece sentirglisi così tremendamente vicina, così desiderosa di capire, comprendere, quel giovane dal fare semplice, ma dai sentimenti sicuramente complessi da vedere, da capire. Ed è mentre osserva il suo volto nascosto che fa queste riflessioni, un silenzio strano, quasi denso ad abbracciarli in un istante di tempo congelato. La mano altrui va ad alzarsi, lentamente, fino a scivolare cauta fino al viso della kunoichi, a trovar la sua strada verso quelle gote imporporate e calde che conoscono per la prima volta il tocco leggero delle sue dita. V'è una delicatezza inesprimibile in quel gesto. Un candore, un'innocenza difficile da spiegare a parole. Forse, in qualche modo, a volte usare i gesti è davvero più semplice che dire qualcosa. Le labbra di lei si schiudono, sorprese, mentre permarrebbe immobile a lasciare che lui sfiori la sua pelle. Qualcosa le si stringe dentro, si agita nel profondo del suo stomaco, portandola a deglutire silenziosamente fissando le fessure di quella maschera, senza però riuscire a vedere le sue iridi dorate, semi nascoste dalle palpebre ridotte ad uno spiraglio dorato. <Cosa...?> un flebile sussurro, la voce che quasi viene a mancare infrangendo debolmente l'aria. Ed è bizzarro come la voce di lui, per una volta, risulti quasi più decisa, più sicura, sebbene bassa, mentre la sua si faccia così sottile e confusa. Ha un tocco piacevole, Ren. Le sue dita sono gentili, sfiorano con cautela, con dolcezza, con un fare così leggero da parir quasi immaginato. Eppure è terribilmente reale, tangibile. Può sentire la sua pelle calda a contatto col proprio viso, la concretezza di quella mano a contatto con la sua guancia scarlatta. E' tutto così strano, così... ricco da lasciarla quasi stordita. Persino i suoi occhi sembrano farle qualche scherzo, portandola a vedere tutto in modo insolito. Ogni cosa sembrerebbe farsi più vivida, più colorata, come fosse accerchiata da un festival di luci colorate per un certo senso, tanto sono intensi e vivaci. Luminosi. Sbatte le palpebre una, due, tre volte, senza che nulla cambi, che quei colori si 'spengano' ritrovandosi stranita ma anche, per un certo senso, quasi disinteressata, totalmente rapita, colpita e incuriosita da quel che fra loro accade. È proprio allora che, lentamente, andrebbe a sollevare la destrorsa fino a portare le proprie dita vicino a quelle di lui, sul proprio viso. Lenta, cauta, par incerta nell'agire presa da una timidezza innocente che le colora il viso con una nuova ondata. Sfiorerebbe con la punta delle dita bianche il palmo altrui, esposto verso l'esterno in quella sua carezza di dorso sul volto della genin; percorrerebbe con le dita, quasi fosse un percorso da seguire, un tratto che va dal suo palmo al polso, lentamente, assaporando sotto i polpastrelli delicati la consistenza della sua pelle, la sua carne. Quasi volesse scoprire da sé la sensazione di averlo davvero vicino, bruciare quella distanza che quella maschera par voler mettere fra lui ed il mondo intero. [chakra: 28/30]

19:25 Chie:
 Tutti abbiamo bsogno di abbassar le difese ogni tanto- e di lasciarci andare, alle cure di qualcun altro. E forse- eccolo, Salamandra dalla pelle velenosa, abbandonarsi dolcemente alle cure dell’altra che vorrebbe vederlo diversamente. Forse per empatia- lancia nel cuore. Forse per pietà di quegli occhi privi di tonalità che faccian dell’oro, un colore più dolce, meno freddo. Ed ora, ricurvo su di lei, lo sente divenire ambra, scotta- densa. Espira flebilmente vedendola, lievemente rallentata dal suo veleno, appoggiar una mano sulle sue nocche. E risalir le dita, in cerca di cosa? Il muto l’osserva, reclina il viso facendo pender delle ciocche argentee appena sopra l’orecchio, morbidamente. E il pubblico silenzioso, non è che un fruscio lontano e il fischiar lento del vento, scivola sulla pelle, su quello strato invisibile di sudore. Lo sveglia, per certi versi, da quel che sta realmente facendo al corpo della giovane Hyuga che è di fatto impossibilitata a guardarsi il viso, vedendo Akuma come un ammasso informe di chakra ambulante proteso in questo momento, a rubarle di dosso pochi, pochissimi sprazzi di calore. Come se fosse una stella- e con queste nodose dita volesse rubarle un raggio- uno solo, probabilmente. Il viso che s’abbassa piano, s’immerge tra le parole di Kaori che lo cerca vanamente, trovando quei rialzi gonfi delle vene che scivolan dalle mani- più forti, più rudi di quelle di una donna. Si ramificano sull’avambraccio scivolando come acqua, fino a scomparire sotto pelle. Dunque le dita- perché mai dovrebbero ritirarsi. Anche lei cerca quella nicchia di calore nel petto di Akuma, come Akuma- o Ren /il fior di loto/- scava nel petto di Kaori, ma non per trovarne il calore, oh no- lei è il calore, l’amore divenuto carne e pelle, la volontà di fuoco resa persona. No, lui come un ratto scava per trovar la provenienza, per comprendere cosa sia questa sensazione inusuale e quanto più inappropriata. Le falangi che si ricurvano gelosamente su quella pelle morbida, come grinze nella seta, scostano quelle ciocche di capelli in balia del vento, che le incorniciano il viso del colore della Belladonna. Indice e medio che si separano, come a farle scorrere tra le ultime falangi, in quella fossetta dolce che si crea tra le dita del combattente di prima linea. Sospira. Stanco, confuso—eppure è così difficile scalfirlo. <Non – fa male.> Sforza la gola a pronunciare quelle parole, mosso dal desiderio di non smettere di toccarla. E di dirgli lo stesso, in taciti segni. /Non smettere di cercarmi, anche se ti fa male/. Un desiderio egoista, cattivo. Eppure l’umano è questo. E’ egoismo, per soddisfare i nostri desideri. Ed è egoismo, nel non comprendere che Akuma è probabilmente più forte così com’è, sebbene non abbia sapore sulle labbra di Kaori- ne spazio, forse, per abbracciare la hyuga più a lungo. Arriccia le sopracciglia, in una vena d’incomprensione. Perché lei soffre, per lui? Non lo comprende, non lo comprende e questo lo rende così dannatamente frustrato. Taurino lascia uscire un soffio dalle narici, mentre il mondo si mescola agli occhi perlacei di quella ragazza. I colori vividi che respirano, il soffio del vento diviene il canto lontano di una sirena, continuamente—continuamente a lamentarsi. E lui, che non conosce il suo veleno, spera che non sia funzionante, macchiandole la pelle, macchiandole l’anima, con le sue riconoscibili impronte digitali. <Il tuo viso..> Sussurra con un tono flebile, mentre la sua figura oscilla agli occhi di Kaori. Come se fosse sotto l’effetto dell’estasi più totale. Amplifica le percezioni, rallenta i movimenti. Facendo divenire il baricentro delle pressioni, proprio la mano di Akuma. Il soffio caldo estivo sulla pelle, sulla nuca. <Aka.> “Rosso”, molto semplicemente. Ma man mano che il veleno si propaga, intaccando l’apparato nervoso di Kaori, i polpastrelli si ritirano da quel lembo di pelle, scivolano sulla sua stressa mano- le va in contro, come se volesse fermarla, intercettando il desiderio di forar la maschera e scavar anche lei, oltre quello strato di pelle dura come la corazza di un samurai. Spira, ancora, il petto si abbassa debolmente e le dita s’intrecciano alle sue roteando il polso. A voler coglier il palmo nel suo, più grande. La intrappola- la racchiude. Come se potesse tenerla al sicuro vestendola di un nuovo, splendido abito. Eppure—sente scivolargli via dalle mani, come se pian piano, potesse recepir meno di quel che lui vorrebbe dirle. La vorrebbe rassicurare. Lui starà bene, sempre. Quelle cicatrici, non gli fanno male, non capisce perché dovrebbero. Non capisce perché dovrebbe esser diversamente da com’è ora. In un modo candido. Atarassico. Curva il polso a porre le nocche di quelle dita affusolate in direzione delle sue labbra—lasciando che il desiderio di Kaori divenga per metà realtà. La maschera di ceramica scivola sul volto, snudando le labbra, soffici, pigre—il centro perfetto dei nervi del nostro corpo, dove quella stupida sostanza chimica si spedisce come un razzo al cervello e lo intasa, lo manda in tilt- del tutto impallato e atrofizzato da—dall’amore? Oh, non è quello che succede ad Akuma. E’ malato? Si. Le labbra schiuse, pitturate di scaglie cangianti soffici come pelle, si posano sul palmo di lei. Percependo, avido, il suo calore come uno Yakushi. Godendone, si, in modo così pallido e ristorante, che si trova a sospirare di piacere. Come se potesse rilassarlo. <Nfh..> Espira, finalmente, inspira di nuovo. <Non dovres-ti.> Un brusio rauco contro la mano di Kaori. <Toccarmi..><Sono—velenoso.> Sussurra piano, lasciando andare la sua mano, quelle labbra che s’erano arricciate, non prendon nessuna piega. Lascia che lo schiocco gentile vibri nel silenzio notturno, dove la luna- ridotta ad uno straccio pallido, rivela profilo e ombre vicine. La destra, sempre, afferra la maschera di ceramica, l’abbassa lentamente. Forse questo, è in procinto di esser un congedo. Ma no, non un addio. [Ck on 3/15][Arte del Veleno I]

20:39 Kaori:
 Non fa male, Ren? Sembra così assurdo, così impossibile alle orecchie della genin che, immobile sotto il di lui tocco, lo osserva con le candide iridi su quelle fessure della ceramica immacolata. Avverte le sue dita catturare e sfiorare una ciocca di capelli, sentirne la consistenza leggera ed effimera fra le dita con una cautela quasi disarmante. Quasi avesse timore a osar di più, quasi non osasse tornare indietro. <Dovrebbe...> sussurrerebbe lei, le sue dita a risalire la sua mano, il suo polso, quasi a tracciare una rotta inesplorata con misurata e ingenua attenzione. <...chi ti ama non ti ferisce> Logico, no? Elementare, persino, per qualcuno che sa cos'è l'amore, cosa dovrebbe essere per lo meno. Eppure... eppure come può sapere chi sia davvero suo padre? In qual senso sia un genitore per lui, lui che neppure sa davvero cosa voglia dire avere una famiglia. Innocente, candido, il petalo più fragile della meravigliosa corolla d'un giglio bianco. E cos'è questa sensazione distante e vicina? Cos'è questo calore che vibrante le sorge dal ventre risalendo come un'amante gelosa ogni angolo del suo corpo? Come lingue danzanti di un fuoco innocuo, si sente avvolgere petto, gola e viso in una spirale di pure fiamme che tuttavia quasi carezzano la sua pelle d'alabastro. Il vento spira, soffia, gioca con le loro pelli bianche, con quei capelli che appena si smuovono nel silenzio di una notte estiva. Gli alberi tutt'attorno paiono far loro corona, il fruscio gentile di cespugli vaporosi è il sottofondo perfetto per quell'attimo d'eternità. I secondi paiono congelarsi tutt'attorno, la clessidra si blocca, la sabbia interrompe il suo scivolare fra le mani del Dio tempo e nulla si smuove oltre loro. Quelle dita, curiose, che cercano di capire, scoprire, scivolare sull'altrui pelle, come alla ricerca del più prezioso tesoro. Una strada sconosciuta, disorientante, che va scoperta perdendosi per poi ritrovarsi. Ma ritrovarsi dove, poi? Perchè in tutto quel marasma di dubbi, tacite domande e velati perchè una cosa è certa: Kaori è perduta. Persa in qualcosa che le carezza l'anima e le distorce la vista. I colori lampeggiano come venissero saturati fino all'eccesso, un caleidoscopio di forme e luci che li accerchiano, avvolgono e persino la figura stessa dell'ANBU appar distorta, striata, come ondeggiasse al soffio di un vento malevolo e annoiato. <Cosa sta...> un sussurro che finisce con lo spegnersi mentre Ren chiosa e la voce di lui giunge quasi amplificata al suo orecchio, riecheggia come in un'eco infinita e rimbombante chiedendosi il perchè di quel rossore innaturale e al tempo stesso ovvio. Un dire che non fa altro che intensificare quel cremisi che le sfuma e chiazza il viso portandola a schiudere le labbra, sentendo ora il battito del proprio cuore riverberarsi per tutto il proprio corpo. Lo sente battere, bussare, con una intensità nuova, mai provata, che quasi le fa *male*. E' una sensazione strana, quasi spiacevole, mentre tutto pare mescolarsi e confondersi tutt'attorno. Chiazze di colore che ondeggiano mescolandosi, distanziandosi, rendendola al centro di un caleidoscopico alternarsi di colori. <Scusa...> un sussurro incerto, flebile, sfuggito alle sue labbra senza un reale motivo. Si scusa perchè il suo viso è tinto di un sangue celato? No, sarebbe sciocco dopotutto. Si scusa per non sapergli spiegare il motivo, non potergli dire perchè quel rossore sia lì, sia padrone del suo viso solitamente candido. E la sua voce par uscire lenta, distorta, come fosse al rallentatore mentre tutto attorno par correre e muoversi. Cos'è? Strabuzza gli occhi, gli stringe, li riapre, ma nulla par cambiare. Sbatte le palpebre rapidamente come se le folte ciglia possano scacciare quell'illusione, quell'impossibile realtà fatta di colori vivaci e brillanti, facendola tornare alla normalità. Ma nulla muta e l'unica cosa che par reale è la mano di Ren sul suo viso. Le sue dita che cercano, scoprono, conoscono per la prima volta la sua cute rosata. Par l'epicentro del suo equilibrio, del suo stesso respirare, la porta a sentirsi come parte stessa di quel contatto, come non possa sfuggire alla concretezza di quella leggera carezza. E la sua mano sfiora, scorre leggera sull'altrui polso, l'avambraccio, in una lenta salita intercettata infine dalla di lui mano. La sente sfuggire dal proprio viso, scivolare verso le proprie dita intrappolandole, chiudendole fra le sue, avvicinandole lentamente al suo stesso volto. Kaori non si muove, non sfugge a quel suo fare, lasciando che la propria mano rimanga racchiusa nella sua: così grande, calda. La trova accogliente, il perfetto rifugio per un animo scosso e disorientato. Avverte quasi la mancanza di quelle falangi gentili sul volto, la loro assenza a lasciar una scia di puro fuoco sul suo viso come a perenne memoria e ricordo di quel contatto. Avverte le sue dita guidar le proprie fino al mento e poi più su, in una lenta salita che porta la sua maschera a scostarsi appena rivelando la forma inferiore di un viso senza barba, liscio, perfetto, non fosse per quella sorta di scaglie che ricoprono curiosamente delle labbra atipiche. Kaori strabuzza gli occhi, li restringe, cerca di meglio vedere il suo viso, l'unica occasione che ha per poterlo vedere, anche solo in parte, ma i colori lampeggiano, vibrano, danzano, nascondendo alle sue iridi solitamente perfette la realtà che li circonda. Sente le labbra di lui sfiorar la sua mano, scivolare sul suo palmo quasi saggiandone la consistenza con innaturale dolcezza, con l'innocenza di chi desidera solamente conoscere, capire, senza *sporcare* ciò che si ritrova per le mani. Un brivido. Una scarica elettriche che le parte dalla nuca fino alla schiena, facendola quasi tremare per un brevissimo istante. E' piacevole. Il calore del suo respiro sulla pelle, il candore di quelle labbra ingenue che non paiono ricercar nulla di più che un semplice contatto. Vorrebbe vederlo. Vorrebbe poter vedere i suoi occhi, l'espressione che il suo volto starebbe assumendo nello scoprire il sapore della sua pelle. Ma non osa, non s'azzarda. Schiude le labbra sentendo il respiro mozzarsi in gola, l'attesa di qualcosa che le stringe le viscere mentre i colori dardeggiano violenti dinnanzi le sue iridi candide. <Ren...> un sussurro, quasi una richiesta d'aiuto mentre il mondo pare volerla confondere, prendere in giro in quell'onirico vorticar di forme e luci. E al centro di ogni possibile sensazione... le sue labbra. Le avverte nitide, come fossero l'unica cosa reale e autentica attorno a lei, che indugiano semplicemente contro la sua pelle, le sue dita che tenterebbero appena di sfiorare la pelle del suo viso in uno sfiorare leggero, timido, quasi colpevole. Ode le sue parole, quel dire pronunciato contro il suo palmo, ritrovandosi a osservarlo sorpresa. <...velenoso...?> domanderebbe lei insicura aggrottando di poco le sopracciglia, perplessa. Ed è allora che Ren lascia la presa sulla sua mano, lascia ch'essa scivoli via, morta, lungo il fianco della genin che avvertirebbe quel movimento quasi incredibilmente lento, vittima di un attrito pesante e violento con l'aria, sensazione che par reale ai propri nervi, al cerebro, ma totalmente illusoria. <Ecco perchè è tutto così... strano...> direbbe strabuzzando ancora gli occhi, il disperato tentativo di tornare alla normalità ora che quel contatto è terminato. <Capisco> mormorerebbe ancora, stordita, vittima di un veleno che ci metterà un po' a svanire dal suo sistema nervoso. Stordita, disorientata, abbozza ugualmente un sorriso, per niente dispiaciuta di quel contatto. Non se ne pente, non potrebbe mai, non le importa di doversi sentire distorcere e amplificare come fosse l'immagine riflessa in una cascata. Tenterebbe di ricercare il suo viso, non può vedere le sue iridi d'oro in quelle condizioni, ma fissa quella chiazza bianca e rossa che vede all'altezza del suo volto, allargando la linea dolce formata dalle sue labbra. <Ma non m'importa> direbbe semplicemente con candore, con spontaneità, la sincerità della sua voce a risultare quasi assurda. <Sono stata contenta di averti potuto sentire più vicino, Ren> rivelerebbe andando ad unire le proprie mani, quasi a ricercare con le dita una traccia del suo calore ancora impresso sulla sua pelle. <Mi ha reso felice>. Sente quel leggero soffio di brezza quasi come un ululato nelle orecchie, una gocciolina di sudore le imperla il viso scivolando via lungo la gota. Si sente travolta da quei colori che aggressivi paiono volerla divorare, ma cerca di ripetersi fra sé e sé che è solo un effetto momentaneo. <Non lo dirò a nessuno.> direbbe dopo poco umettandosi appena le labbra, alzando il viso in direzione del suo. <Se vorrai potrà essere il nostro ultimo incontro.> Le costa fatica quel dire. Lo dice andando contro se stessa, contro quel desiderio prepotente di non lasciarlo andare, di rivederlo ancora, cercarlo per le strade di un Villaggio che neppure sa chi sia. <Non voglio metterti nei guai. Non voglio essere un problema per te> - <Per cui sei libero di dirmi addio, se desideri...> No, non farlo. Non dirlo, non andare. <Lo accetterò> Menzogne. Il delirio di qualcuno che vuole mostrarsi più giusta di quanto non sia, il folle predicare di un'anima egoista, bramosa solamente di un altro solo istante, un secondo in più che quel tempo par non voler loro concedere. [chakra: 28/30]

15:23 Chie:
 C’è una certa quantità d’invidia da parte di Akuma- nel non poter manipolare e decidere cosa stia succedendo nella mente di Kaori. E’ semplicemente così, semplicemente- velenoso. Come al solito, lascia che le parole di Kaori scivolino fuori facendo da dittatore austero a questo silenzio che l’attanaglia e lo caratterizza più di qualsiasi altra cosa. Cos’è, lui? Una pedina pallida con il capo chino davanti a qualsiasi input che la vita ci dona. Ignorantemente saggio, preferisce tacere davanti a tutto quello che gli si prostra davanti. Non è semplicemente, l’incapacità ad esprimersi, ma anche il mero non sentirsi all’altezza di farlo. “Chi ti ama, non ti ferisce..” Oh- non poteva dir niente di più sbagliato, ma lui non si sente in grado di ribatterle, non subito almeno, non quando è lei a voler emetter quella sentenza iniziata e finita sulle sue labbra. Fa quasi paura, non è vero? Sentirsi solamente dire.. Basta, smettiamola così. E’ pericoloso, per le mani di Kaori stessa scavar lì dentro e cercar qualcosa per rimanere al sicuro, dove invece può solo arrivar al fondo e trovare negazione, limiti proibiti—come dei taboo costanti. E’ ostico avvicinarsi a lui. Cercare di aver di più di quello che già hanno. Un tacito lamento nella notte, così fugace da baciar entrambi e lasciarli perplessi. Il sentore che scivola dalla bocca dello stomaco, alle labbra e lascian un sospiro accidioso vibrare assieme alle foglie che pendon stanche dagli alberi. Una sensazione nuova- del tutto diversa dal desiderio di combattere. Qualcosa che non capisce e non comprende- ma non facciamogliene una croce. Lui sosta lì, di rimpetto a lei, con le mani calate sui fianchi e le spalle appena ricurve mollemente in avanti che ridisegnano la scia della colonna vertebrale appena appena sporgente. Come i baci della luna disegnan le ossa che come bestie sotto pelle piegan la stessa, intenzionate ad uscire, a farsi strada- così il cuore crea un solco tra i suoi emisferi dando inconsciamente un soffio al petto, dove gorgoglia- rendendola ignara completamente, dietro la maschera le labbra si schiudono appena a trovar aria fredda- filtrata malamente dalla griglia sottile posta alle labbra di quella maschera di ceramica. <Lo accetterai?> Dunque è così facile lasciar andare le persone? Pensava fosse come, intrecciarsi goffamente nell’Akai Ito ad un'altra anima- e ritrovarla sempre, continuamente. E’ un po come- se gli avesse sputato un veleno amaro in bocca, obbligandolo a retrocedere, stringer appena le spalle e rialzarle dilungandosi nei suoi centoottantacinque centimetri. Lasciarsi andare- quindi, è formato solo da gesti e parole. Abbassa quelle pepite in quel terreno umido, dove il vento issa e trascina le ciocche argentate come se fossero filetti d’erba fresca. Cosa dovrebbe risponderle, dunque? <Le persone che ami- > Rauco, basso, un brusio che scivola in aria e si disperde, distorto dalla maschera e dal suo masticar le parole. < Son le uniche a poterti far male> Hai visto? E’ constatato. Ma non sente dolore per quella richiesta. Sente più un caotico rigirarsi d’emozioni nello stomaco. Le mani dunque s’alzano a comporre altri simboli, un fruscio di pelle, mani, petto. “Non riesco” Compone “Lasciarti andare.” Un passo affonda l’anfibio nell’erbetta. Retrocede, come i suoi compagni richiamano il suo nome. “Non farlo..” .. “Nemmeno tu.” – Prima che se ne possa accorgere, l’alone d’Akuma diviene un ombra nelle ombre. E’ veloce- forse abbastanza da esser appena percepito, da dargli una minima visione di quella schiena che si contrae, scivolando verso gli alberi del bosco per tornare al suo allenamento.. Addio? No, non ancora. [ck 4/15][Arte del veleno I][END]

18:35 Kaori:
 Le sue parole vibrano, distorte, in quel caleidoscopio di colori e forme che porta Kaori a provar una fitta al petto. Annuisce in silenzio, mordendosi il labbro inferiore. <Nh-> un verso privo di vero significato, forse un consenso incerto, sicuramente indesiderato da parte sua. Sì. Sì, vuole che lui creda che lei possa accettarlo. Vuole che lui non corra alcun rischio a causa sua. Come lui le aveva detto durante il loro ultimo e primo incontro, non avrebbero potuto incontrarsi nuovamente. Lui dovrebbe essere un fantasma, uno spirito protettore senza volto né nome per la Foglia. Uno strumento di pace creato al solo scopo di proteggerli. Ma... ma la verità è ben diversa. La verità è che per Kaori lui è più di questo. Così tanto di più. Uno strumento? Un guerriero? No. Lui è *Ren*. Lui è una persona, è una vita ancora piena di possibilità e di scelte che lei ha preso così a cuore. E' un fiore, il giglio più bianco mai visto, capace di immane semplicità. Lui è candido, è caldo. Lui è vivo e vive in lei. Se qualcuno mai si sarebbe dimenticato d'aver visto quella maschera, così non sarebbe stato per lei. Se qualcuno dovesse aver scordato un suo saluto, un suo gesto gentile, un suo atto di coraggio, così non sarebbe stato per la Hyuga. Se anche chiunque al mondo avesse rimosso dalla memoria la sua sola esistenza, lui avrebbe continuato a vivere allora in lei. Nei suoi ricordi, nelle sue memorie, in quel calore gentile che ancora le sfiora il viso, la mano. Ma no. Non può accettare di dirgli addio, non sopporterebbe di non vederlo più, non udire più quel tono incerto e roco che le suona ora così terribilmente familiare. No. Non desidera che lui svanisca, che rifugga da lei. Vorrebbe invero incatenarlo a quella sua mano, foss'anche a costo di doversi abituare a quel veleno che par agire sui suoi sensi, la sua stessa sanità. Lui arretra, a stento se ne avvede Kaori notando i colori brillanti che formano la sua sagoma muoversi appena all'indietro, continuando a distorcersi e ondeggiare come il riflesso in un lago scosso dalle onde. E la sua voce giunge nuovamente, lenta, rallentata, quasi straniera al suo udito devastando un dire che vorrebbe valere infinitamente. <Mph> un leggero espirare dalle narici, le labbra ad incurvarsi leggermente verso l'alto in un sorriso amaro. <Ironico, vero?> commenterebbe sbattendo un paio di volte le palpebre, i pugni a richiudersi in se stessi, stretti, come a voler scaricare su quel gesto le emozioni che imperversano dentro di lei. Lentamente la figura di Ren par quasi farsi meno distorta, più nitida sebbene piuttosto strana e incerta. Ma almeno può riuscire a vederlo meglio, meno simile a delle chiazze in movimento e più ad una figura umana e definita. Nota le sue mani muoversi, andare a danzare nell'aria battere il petto, in un messaggio che lei riesce a comprendere solo assottigliando appena lo sguardo, rendendo la figura delle sue mani leggermente più chiara. Schiude le labbra, Kaori, alzando lo sguardo ora verso di lui. Un brivido interno, un fremere delle sue viscere, del suo petto, mentre un calore nuovo e senza nome le risale la gola, il viso, andando ad avvolgerla come un manto variopinto. Lo vede fare un altro passo indietro e come una calamita attratta dal suo opposto andrebbe al tempo stesso a muoverne uno in avanti, meccanicamente, involontariamente, guidata solamente dall'istinto. Non fa a tempo a dire, fare alcunché che lui è già svanito in un lampo, tornato a confondersi fra i calori e le ombre che ondeggiano e danzano tutt'attorno in quella specie di illusione dei sensi in cui rimane intrappolata. <Come potrei lasciarti andare...> mormorerebbe chinando il capo verso il basso, i pugni a stringersi ancor più forte per un istante prima di sciogliersi e lasciare le dita lunghe e molli. <...sei uno sciocco, Ren...> un sussurro, un istante in cui le palpebre verrebbero abbassate e un alito di vento andrebbe a carezzarle il capo come una madre amorevole. La sua immagine, il suo residuo, ancora ondeggia nel buio dei suoi occhi chiusi mentre l'eco delle sue ultime parole trova spazio nelle sue orecchie. In qualche modo sa, -lo sente- che si sarebbero rivisti. Si sarebbero rivisti e allora quel vuoto che ora le si apre in fondo allo stomaco avrebbe trovato pace, nuova vita.[End]

Akuma e Kaori si rincontrano nella Foresta della Morte in modo totalmente casuale, entrambi lì per degli allenamenti.
Nonostante sente che non dovrebbe farlo, Ren -Akuma-, si palesa alla genin incapace di ignorare la sua presenza. I due si rubano preziosi attimi di tempo ritrovandosi a scoprire sensazioni sconosciute ed incerte, amplificate e confuse ancor di più dal veleno del Doku.

E niente. Da leggere. Sì.
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