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{Oh ma douce sofferance..}

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con Hanae, Kurona

21:52 Kurona:
  [Stanza Relcusa] Oh quando una persona è già parecchio instabile, non ci vuole niente a farle perdere la testa. Esistono notti in cui il letto di Yukio è un territorio spinato con la presenza di lei, notti in cui si chiude in camera sua, evita la cena, e ci rimane provocando rumori sconnessi, che s’alternano a lunghi istanti di silenzio che quasi –a pensarci- si fa temere dal solo potere della fantasia. Conosciamo questa sensazione, non è vero Kurona? La sensazione di non ricordare cos’è successo. La sensazione di non ricordare quanto a fondo sei andata. E’ come non aversi più. Il controllo è sapone tra le mani bagnate, le scivola via lasciandola tramortita, senza fiato. Sono notti terribili. In cui rimani sveglio e non fai altro che farti strappare il fiato dai singhiozzi, dagli scatti d’ira. D’isteria. E le urla della corvina sono tagli nella notte, ovattati dalla parte più lontana della magione. E’ come se Yukio avesse voluto darle lo spazio necessario- per- impazzire? E la sua stanza è una catastrofe, i mobili lignei son tapezzati di machete e coltelli. Mannaie. Pugnali. Stiletti. Kunai a una punta, a tre punte. La zanbato. Due katane a doppio filo son infilzate all’apice di uno specchio ad altezza naturale, che dovrebbe permetterle di rimirarsi e vestirsi. O forse, di vedere quanto è orrenda la tela che suo padre ha creato. Non aver mai avuto niente. Allora, si domanda Kurona, allora lei quale scelte ha preso? Fino a quanto ha deciso suo padre, e dove ha deciso lei? Forse è del tutto impazzita, forse è questa la goccia che l’ha fatta lasciar andare a quello che è ora. Un arazzo tanto fitto di coltelli, che la mobilia non par altro che una bambola voodoo massacrata. <BASTARDO!> E’ l’ennesimo urlo e poi- l’infrangersi dello specchio della sua stanza personale. Quella che giocando, lei e Yukio, hanno chiamato “la stanza del troppo”. Oh, due psicopatici che convivono non sono un bel vedere, invero, quando uno dei due perde le staffe è necessario neutralizzarlo. E Kurona—Kurona non può assistere a tanto, quando si parla della sua dolce, dolce, straziante metà. Un’alone di kajal sciolto le macchia la palpebra inferiore, si mischia con le occhiaie, le rende livide- è tornata da Irou. Per sentirsi amata. Eppure, anche questo, non ha colmato il vuoto del sentirsi marionetta. Potesse strappare i fili che la conducono a Lui, lo farebbe. Le labbra schiuse, mentre si lascia scivolare contro la porta della sua stanza, boccheggia avida d’aria. Le brucia la gola, le nocche sbucciate, i piedi nudi che scivolano sul terreno e le permettono di posare le ginocchia contro il petto. Una maglietta dalle maniche e il costato tagliato, lasciano intravedere le bende che le fasciano il petto. <Bastardo- bastardo- bastardo.> L’ha toccata. L’ha provata. Forse, l’ossessione di suo padre nei suoi confronti, ha superato ogni limite esistente. E’ quindi questo, il passaggio da umano, ad oggetto? [ck on]

22:17 Hanae:
 E' da ore ormai in silenzio in quella piccola stanza, tappezzata di poco e niente, una scatola vuota. Vuole sembrare più piccola possibile agli occhi degli Uchiha, una piccola-- minuscola scatola. Cosi' piccola dal poterne sfiorare i confini con pochi passi, cosi' piccola dal potersi sentire al sicuro. Ma..continuano ad allungarsi, quelle pareti, all'infinito. Non riesce a raggiungerne la fine-- perchè? Magari non vuole. La cosa più piacevole da sapere..sarebbe che è stato tutto un incubo, per l'ennesima volta. Che una volta ancora è stato perseguitato da voci fasulle, echi del proprio passato. Ma colui che sedeva dall'altra parte della tavola..oh- era reale, tanto quanto chi lo affiancava in quella cena. < ... > stringe i pugni, quante volte ancora si scaverà nella pelle per cercare di dar sfogo a quel prurito? Segni che attraversavo i polpastrelli, le braccia. Piccole incavature che si alternano in una scala di rosso, sangue ormai secco. Nella propria mente continua a vedere le labbra dell'insonne schiudersi appena, sussurri composti che gli parlano di un progetto, che gli parlano di una donna. Nanami Uchiha. Ma-- è Nemurimasen? No..non è da lui che continuano a provenire quei sussurri. E' quel desiderio che si fa spazio in un confine sconosciuto, in un nuovo frammento dello spazio. E' il proprio io che chiama la verità, fermato da ogni singola forza restante. Dal desiderio di non riprovare quelle emozioni tanto-- dolorose, in grado di farlo diventare isterico. In grado di ricordargli che non si è mai realmente svegliato dal proprio incubo. La schiena a poggiare dritta su una delle pareti, le ginocchia vicino al petto e le braccia lungo i fianchi, quasi come se fossero morte. Sta fissando la parete opposta della stanza, le sue piccole iridi color sangue a visualizzare ancora e ancora quella figura. Una marcatura grigiastra sotto agli occhi, non riesce a dormire. Ma d'improvviso tutti quei pensieri, quel flusso di coscienza..viene spezzato. Un urlo, quanti ne ha contati fino ad ora? Percepisce quel sentimento, una forma di isteria. Cosi' perfetta, cosi'..simile. Un'incurvatura che da forma ad un sorriso, vorrebbe manifestare goduria, controllo. Vorrebbe. Se non fosse che gli sta scivolando tutto di mano. Quell'incurvatura va rapidamente scemando, assieme a questa il corpo a muoversi in un moto spontaneo. Si riporta in piedi, dirigendosi verso l'uscita della propria stanza. Un moto lento e contorto, forse la lei potrebbe udire quei passi..come dei ticchettii. Uno stivale che batte sul pavimento. Sopra il corpo una camicia nera, segni di strappo all'altezza del collo. A coprire le gambe un pantalone. Raggiunge quella stanza, senza pensarci realmente troppo. La mancina scivola sulla maniglia, sempre che questa sia presente, per poi accedere. Nessun preavviso, un passo avanti, e un colpo di tacco per chiudere alle spalle l'accesso alla stanza. Ne cerca la figura, uno sguardo, o forse..il dolore? [ ck on ]

22:34 Kurona:
 La schiena ripercorsa dal tatuaggio che la lega all’Arufa, si poggia contro il basso della porta, s’è lasciata cadere in un tonfo, come se volesse rassegnarsi a quello che inevitabilmente consegue l’isteria. La pura, vera, sottomissione alla verità. E’ come se ad un certo punto, giunta davanti a quella che si presenta la mera malignità della vita, la Beta dei Kokketsu si fosse costretta ad abbassare il capo, rassegnata- distrutta- in pezzi. Senza onore. Senza titoli. La fronte che scivola sulla porta premendovici contro, lasciando che delle gocce salate le bagnino le gote trascinandosi dietro il nero del trucco. Una tela fatta di acquerelli, il viso rigato- e man mano che scendono, lasciano una sfumatura sempre più lieve. Fino a scomparire in fondo alla guancia. E quindi, è questa la cattiveria. Potrebbe macchiare ogni sua lama del rosso del sangue, eppure, eppure non si sentirebbe tuttavia abbastanza sazia. Forse è così che nascono i figuri che più di tutti hanno fatto del male. Forse è così che nasce la cattiveria stessa. Per eguagliare il dolore, che mai ti sembrerà eguale. “Mozzateste” dal sangue incrostato sulla lama dall’ultima battaglia al Tanzaku-Gai, riposa come un amante stanco tra le lenzuola bianche del letto, che riflettano il calore e la facciano sentire coccolata durante le notti in cui, parlando chiaro, mai riposerà davvero su quel letto. La schiena si ricurva, i capelli disordinati discendono il viso incorniciandolo d’un pallore che sa di decesso- non solo mentale, ma anche fisico. Ed è lo stesso pallore che l’avvicina ad esser non troppo diversa da una creatura eterea. A tratti così forte da incutere timore. A tratti così debole, da seminare pena, pena e dolore. Tira su con il naso in un moto di silenzio, richiude le labbra e posa il viso sulle ginocchia raccolte. Ciondola, s’abbraccia—alla fine, ci siamo solo noi, per noi stessi, no? Le manine decorate da quel motivo a spirale d’un rosso acceso, tengono strette le ginocchia al petto e le permetton di dondolarsi, cullarsi lentamente, contro la parete fredda, così che narcotizzi la furia. E la lasci, solamente, spompata. Come un guscio vuoto. E forse sarebbe stato il momento più opportuno per accovacciarsi, stringersi a se stessa, come il vano tentativo di raccoglier le schegge di quel che è rimasto di Ruko. Di Kurona. Di Icaro. E sprofondare nel sonno che dura giorni, giorni interi di silenzio che provengono dalla stanza di Reclusione. Ma il tip tap dei passi, ne celeri, ne così lenti da manifestare il desiderio di non farsi sentire, rimbombano sul legno della porta spaventandola. E’ Yukio. E’ Yukio e la vedrà un’altra volta in queste condizioni. Potrà sentirlo anche zero ventuno, uno scatto dietro la porta come se la sua presenza fosse stata ben notata da qualsiasi bestia si celi nella stanza. E’ come se stesse arretrando contro la parete opposta, in cerca di un angolo in cui infilarsi come un dannato ragnetto, dove nascondersi e non farsi vedere. I piedi che scivolano sul terreno, le mani che si posano sulla parete parallela alla porta, a nascondere il viso, a rannicchiarsi a terra. Più bestia che donna, fino a ficcare le unghie nella parete e tentare di scavarci dentro, lasciando solo unghiate nere, di sangue. Il cigolio della porta, le arresta il cuore. <…> No, non lo guarda. Ma percepisce il suo odore. Non è ne Yukio, ne Totoro. E nessun’altro si permette di entrare quando lei è dentro. La canottiera strappata su ambo i costati, lievemente sudata, s’appiccica e arriccia sui fianchi, calando dalla spalla destra. Così minuta- così fragile. E’ ossidiana nelle mani del fato, e più i giorni la levigano, più sembra sgretolarsi. Rendersi debole. Così debole, da vergognarsi. Gli occhi tentennano, sono lenti, appannati dalle lacrime, si sollevano oltre la spalla destra, ove la spallina ha abbandonato il suo ruolo perendo a metà del bicipite. Lo guarda, tra le ciocche bianche che cadono disparate sulle spalle, grandi, piccole, arricciate, in lingue che si dan contro l’un con l’altra. <N-o-> La voce mugola, dolce, incrinata dal pianto. Lo supplica di uscire e non guardarla. E il viso s’abbassa a distogliere lo sguardo da lui. Dai solchi nella sua pelle. La camicia strappata. Anche solo gli occhi di Katsumi addosso, la fanno sentire sporca. La agita, con la sua sola presenza. <Non mi guardare.> I piedi contratti sul pavimento, si raccoglie da sè. Il viso che ancora s’appoggia al muro, evitandolo.. [ck on]

23:07 Hanae:
 Non c'era momento peggiore per sentire quelle urla, per sentire l'esternarsi di un pianto che da tanto ha smesso di chiedere aiuto. Con un tempismo cosi' perfetto, che si presenta quasi come una supplica all'udito dell'Uchiha. Un distorto richiamo in grado di dargli una sensazione che si sente scivolare di dosso. Il controllo. E' forse questo-- ciò che cerca da lei? Forse di più. Forse..vuole sentirsi al posto di Nemurimasen. Al posto di Jason, di Arima. Vuole vedere quella fragile ossidiana sgretolarsi, pezzo dopo l'altro, davanti ai suoi occhi. Vuole vincere, ma-- quali sono le regole? Dov'è la vittoria? Magari è un'illusione, anche quella. O magari non vuole sconfiggerla, vuole continuare a godere del suono di quelle urla, come pezzi di vetro che frantumano al contatto con lo stesso terreno. Lo stesso suono che riesce a sentire quando osserva il proprio riflesso davanti ad uno specchio. Ma è il suo riflesso..che ne gode. Un riflesso distorto e privo di forma, dal quale traspare solo una soddisfazione-- un'immensa soddisfazione. La mancina a stringere ancora al proprio relativo fianco, avvicinandosi a quella stanza. Percepisce quei movimenti, un arretrare simile ad un animale impaurito. Arretra al suono degli stivali che creano contatto con il terreno, alla stessa identica melodia. E' un motivo piacevole, quello che percepisce nella propria mente. O forse-- è un requiem, per entrambi. Viene distratto da quel suono, la propria mente abbandona quel punto fisso, quello spiedo che preme sulla propria fronte. E al suo posto vengono sostituite le immagini di colei che si presenta oltre la stanza. Il proprio sguardo va lento ad incontrare quella figura. Potrebbe-- forse liberarla. Ma no, non riuscirebbe mai a farlo, non con lei. Forse.. la rinchiuderebbe in una gabbia, dentro la sua stessa mente, dandole abbastanza dal poterle far credere che lui sia reale, in quell'immensa bugia. Forse riuscirebbe a renderla reale, anche per se stesso. La voce altrui, spezzata dal dolore e dalla vergogna, a fargli dilatare appena le pupille. Un brivido lo percuote appena, percorrendo l'intera schiena. Un primo passo, affiancato da un secondo. Si avvicina, ma non abbastanza dal poterla sfiorare distendendo un braccio. Le iridi scivolano su quell'esile corpicino, sulle bende, sulla maglia, sulle cicatrici. Ma si soffermerebbero soltanto sul suo volto. < Fa..male? > Qualunque cosa lei provi. Il capo viene chinato leggermente su un lato. < Mi piace..tantissimo..> sconnesse le parole, lasciando qualche istante di silenzio tra una e l'altra. < La tua tela. E' più bella di quella volta. > Le labbra si schiudono appena, quasi confuso in quelle ultime parole. < Perchè? > Un passo ancora, forse una cinquantina di centimetri dal corpo altrui, adesso. [ chakra on ]

23:28 Kurona:
 Le mani che si muovono sul muro che presenta solchetti nella carta da parati, o nell’intonaco –qualsiasi cosa ci sia-, rimangono morbidamente poggiate li sopra, le nocche di poco alzate, a dar alle falangi un aspetto affusolato, nodoso, lievemente arrossato in più punti. Tasta- una via di fuga da quello sguardo livido. Che anche lui stia soffrendo? Si rigira sulla punta della lingua quel che ha visto in pochi secondi a cui ha rivolto lo sguardo a lui. Le sue mani. La sua camicia. Lo sguardo che scivola nel baratro dell’insonnia. Poggiando la tempia in silenzio contro il muro- si scopre a pensare a lui, a quegli occhi che non può vedere per troppo a lungo. Perché? Perché Kurona dovrebbe esser ossessionata a tal punto dalla figura di Katsumi, da non poterlo guardare in faccia? Forse perché si sente così affine a lui, da provare astio nei suoi confronti. O nei confronti di quegli occhi che le possono leggere l’anima con un solo battito di ciglia, vedere tutto quello che le fa male. Vedere tutto quello che la uccide ogni giorno, dal tramonto all’alba. La lingua preme inconsciamente sul palato, le soffoca il respiro, potesse allontanarsi ulteriormente da lui, ed ora alzarsi ed evadere, lo farebbe senza pensarci. Ma c’è qualcosa che la distrae- ora. E’ un brusio fisso in testa, che scema, si solleva nuovamente, facendole arricciare le rughe del viso. Espira come se le dolesse il petto, tanto da svuotarlo ed incassare le spalle nello sterno. < -- > Un rumore che esce dal profondo della gola, di chi non riesce a respirare, e dopo una crisi di pianto, sente l’aria farsi schiacciante. Mai abbastanza. E’ la voce di Katsumi a calamitarla- a salvarla dai pensieri che la fanno vaneggiare, a salvarla da se stessa. Ed è la sagoma dello stesso, a troneggiare su di lei. La luce fioca ne disegna una sagoma oblunga che la veste di nuovi colori, nuovi movimenti che non le appartengono ed ogni tanto il volto, scatta a seguirne i movimenti come se fosse una probabile minaccia anche solo sotto quell’aspetto. Distratta. Sembra non ascoltarlo- ma è tutto falso, sente quelle parole, ma ai suoi tempi risponde. Più si avvicina, più tenta di arretrare ove non può andare oltre, un vano movimento di fuga. Ma le pareti, in questo caso, sono la sua gabbia. Le labbra di quel rosso opaco, pieno, gonfio, si chiudono nell’asserire con il capo. Fa male. Fa dannatamente male. La destra scivola a prender un lembo della canottiera, sullo sterno. Lo tiene nel pugno, contro la pelle, abbassando le spalle come un cane abbassa le orecchie di fronte al suo padrone. Non ha motivo di temerlo. Non è il suo aguzzino. Ma del resto, non ci sarebbe niente da distruggere. Ma solo, per un sadico, qualche coccio con cui giocare. <…> Perché? Oh forse aspettarsi un discorso articolato da Kurona, in questo momento, sarebbe troppo. Ma gli occhi che vagano sulla gamba di Katsumi, salgono appena, oltre il bacino. Lo guarda dal basso, lo guarda avvicinarsi di più—forse troppo. <Non mi lasciano in pace.> .. <Loro continuano, sono tutti qui—io- posso- sentire.> La sinistra si posa sulla tempia a palmo aperto, la stringe intrecciando le dita ai capelli. E’ come se qualcosa, continuasse a farle male. Un martello pneumatico che scava sotto la pelle, continua continua. E’ un rumore perpetuo. <Poi viene il fischio.><Io non ricordo più, non ricordo niente.> E ambo le mani strisciano pesantemente sulla pelle, lasciano scie rosse, superflue. <Non ricordo.> .. <Quando ha iniziato a fare male.> La voce sa sbuffo basso, come un filo di vento in estate, s’incrina in singhiozzi, piange—e non s’arresta. <non- ho- non- n-hhrr-- > A denti stretti, suona come un ringhio straziante, mezzotono che sale dalla gola, come un crampo al petto, si ricurva in avanti, così piccola, al cospetto di lui. <Continuano a farmi male. Contiinua a picchiare qui- proprio qui. E mi dice;> La voce si fa ruvida, cantilenata, rimarca le lettere a denti stretti. <Tu non sei altro che il mezzo. Non sei niente più che un oggetto.> .. <Da.. Provare.> Una risata bassa, la lascia scivolare sulla sua stessa pelle. Mordendosi il bicipite nel guardare a occhi arrossati Katsumi. Occhi che lacrimano. <nh-nh-nh-> Una risata a labbra strette che le contrae il ventre, ciondola. Ma non è divertimento; lo riconosci Kat? <Le sento—sono—qui. Sssszzzzzzzzzzzzzzzzz- > Simula una vibrazione, un ronzio- come se dovesse sentirlo anche Katsumi, indicandosi con la sinistra libera l’orecchio. <Lui è il mio padrone.><Io gli appartengo.><Perché lui, ha dipinto la mia tela.. Non io. Non io, lui. Lui, è, l’unico!> [ck on]

00:11 Hanae:
 Potrebbe assaporare quelle movenze per minuti, forse intere ore. Il contorcersi di quel fragile corpo nella ricerca di una via di fuga. Ma lui lo sa-- no, entrambi lo sanno. E' quasi ilare..quando capisci che una via di fuga non c'è. Al placarsi di quell'ilarità, però, viene il panico. E dopo il panico..una tempesta. Implacabile. Non si possono fermare quelle voci, quei sussurri. Entrambi sono soltanto in grado di continuare a posare per chi decide di modificare la propria tela, succubi di un pennello in grado di colorare solamente di rosso. Ma pochi sono quei pennelli, fini e dotati di un inchiostro di tale colore. E kurona-- ha quello stesso identico e fottuto colore con il quale è stata costruita la propria tela. Osservare quel dolore..lo distrae dal proprio. Come una falena viene attirata dalla luce di un lampione. Ma chi, tra i due, è la falena? Probabilmente entrambi. E ciò che ora ha portato l'Uchiha in quella stanza è la stessa luce che ha visto Kurona, nonostante di luce non ci sia realmente niente. Puo' sentire quel brusio sulla sua pelle, ogni volta che le iridi della lei gli diventano accessibili. Sul volto nessun sorriso accenna a comparire. Rimane li', con il capo leggermente chinato verso il basso, osservandola. Spogliandola da qualcosa di più profondo. Esponendola a quella debolezza che lui stesso..dopotutto, ha paura di mostrarle. Perchè sa-- anzi, teme di..ricevere comprensione, da lei. Le parole raggiungono il proprio orecchio, quello stesso prurito da lui sentito presente anche in lei. Quelle parole..sembrano quasi rivolte a lui. Sarebbero perfette. Ma sono in egual modo perfette in lei. Alle ultime parole rivolte dalla lei la mancina tornerebbe a incastrarsi nella propria carne. Ha perso la sensazione di avere il controllo, o..ancora peggio, ha realizzato di non averne mai avuto. Quella risata su basso tono lo paralizza per dei secondi nella propria posizione, incapace di trovare parole, sguardi o movimenti. E da quel silenzio..un sorriso. Non è maligno, non vi è niente di maligno in quel sorriso, all'apparenza. E' gentile, quasi a voler trasmettere calore alla figura altrui. E' con quella calda espressione che un ultimo passo verrebbe mosso in avanti, leggero ma sicuro. Le ginocchia a piegarsi su loro stesse, per permettere al corpo di poter scendere, per raggiungere la posizione di lei. Poggia il proprio peso sulle punte dei piedi. < Ssh..> gli occhi a socchiudersi, lentamente. Le labbra a schiudersi quanto basta dal trasmettere quel messaggio. Tende appena in avanti la mancina, verso le labbra altrui. Ma non è che ancora qualche centimetro a saperarlo, mantenendo quel sorriso stampato sul volto. E poi andrebbe a salire, lentamente. Oltre il naso-- fino agli occhi. Il palmo rivolto verso di lei e le falangi unite tra loro. Quelle dita, sporche del proprio sangue, ad avvicinarsi verso quegli occhi, sempre più, fino al raggiungerli, per poter sfiorare quelle lacrime e coprirle la vista stessa. < Non piangere..tu..sei vuota. > E' come osservare il proprio riflesso. E' forse per questo che non riesce..ad apprezzarlo? < Ma ci sono io. Sento..ogni cosa. Posso..colmare quella vuotezza. Dare a quelle lacrime un motivo..> Soltanto adesso il palmo verrebbe scostato appena, verso l'alto. Come a forzare un contatto visivo, per pochi istanti. Il busto ad esser flesso appena in avanti, la mancina a tentare di spostarsi sulla sua nuca, una piccola spinta per mandarla sul petto dell'Uchiha. E da tal posizione..non lo dovrà guardare negli occhi. Potrà però ascoltare un sussurro, vicino al suo orecchio, quasi dolce, come a cullarla. < Potrei..sfiorar con mano la tua tela..> Suadente nel tono, in quell'invito. [ Chakra on ]

00:49 Kurona:
 Shh. Le labbra si schiudono; fare silenzio. Risponde agli ordini come un cane dalle orecchie abbassate, e quegli occhi che brancolano, anche quando lui si china e sembra esser pericolosamente ad un soffio da lei. La può sentire, la può vedere tendersi come una bestia contro il muro. Appiattirci la schiena, toccarlo con la nuca, alzando il viso come se avesse paura di lui. Come se avesse paura- una fottuta paura di quella vicinanza. E’ come se lo supplicasse di andare via, lasciare quella stanza vuota. Abbandonarla- lo sanno fare benissimo tutti. Quando Kurona tutto quello che chiede è l’amore, l’amore che Yukio le dona, vorrebbe soffocarsi e crogiolarsi in quello. Mangiarne a piene mani. Più ne chiede, più scopre di non esser mai amata davvero. Di non aver mai avuto quella risposta da parte di qualcuno. Ma il brusio fa improvvisamente silenzio e quell’espressione stralunata, viene fermata. Come una vibrazione perpetua che viene bloccata, placcata, stoppata a forza da mani gentili che la toccano. Sotto le sue dita le labbra si schiudono, come se fosse pronta a rispondergli- o forse, a supplicargli di non farlo. Finchè- alla fine, non è obbligata a guardarlo negli occhi. E questi si dirigono quatti nei suoi- ma non è l’apatia a colorarli, come l’ultima volta. E’ il terrore dell’ignoranza. E’ il terrore di affacciarsi su Katsumi, e affogarci dentro ancora una volta. Ancora, come l’ultima volta che l’ha guardato negli occhi. Sporcato da sprazzi di ricordi della sua pelle, che si confonde con la pelle dello stesso uomo che ama, la—confonde. La disorienta. Come una botta a mano aperta sull’orecchio. Sotto quegli occhi, stoppa il fiato. Il petto che non si muove, le gambe poggiate a terra di lato, con le ginocchia flesse, a poggiare i glutei sui polpacci. Entrambi così scomposti, da cercare qualcosa nella propria nemesi. Eppure, vorrebbe, non cercare nulla in lui. Ma eccola, patetica- lasciarsi trainare da quelle braccia che non conosce, dopo esser stata paralizzata dall’Inferno della propria, detestata, metà, e sprofondar come una moneta in una fontana nel suo petto—caderci dentro, leggera. La punta del naso che pigia sotto il colletto strappato, sotto quei graffi che gli solcano la pelle: anche tu, senti quel prurito, Katsumi? E trema; perché? Trema, non sa cessare il suo terrore sotto le mani di chi gli promette una soluzione. Non esiste. Le mani lasciate cadere a creare un piccolo spazio tra il suo petto e quello di Katsumi, si muovono- ma solo lente, goffe quasi, come chi non sa abbracciare nel modo giusto. <Tu-> La voce ovattata dal petto, e le mani- le mani si appiattiscono. Il palmo sulla stoffa della camicia, gentili, deboli, arricciano lembi e ne allisciano altri. <Puoi toccare la mia tela perché è così simile alla tua.> La voce ancora soffocata dal pianto che pian piano, scema, lasciando solo solchi come infame ricordo. Non si muove, non si scosta da quel petto, ma il viso s’alza senza incrociare il suo sguardo. E’ come se fosse una terribile punizione, quella. Passa le labbra senza pressione, petali soffiati su quei graffi. E il fiato intermittente di chi non piange, ma sta ancora singhiozzando. <Conosco questi graffi.><Il prurito.> Lo sussurra sulla pelle, posando le labbra in uno schiocco debole, inesistente, di quelli che ti lasciano a bocca asciutta perché- in cuor tuo, aspettavi quella pressione. Qualcosa che non arriva, ma scivola via, in uno strappo di stoffa che si contorce in aria- peggio dello strillare di una vittima. La destra con le unghie infilzate nel colletto oramai—rimasto nelle sue grinfie—se ci son opere da finire, allora, le finiremo, giusto? E il silenzio che perdura- no, non sta pensando. Sta ritrovando se stessa tra le macerie della sua mente. I capelli disordinati scivolano di lato, addosso la spalla ancora nuda della spallina di quella canottiera slabrata. <Vuoi sfiorare la mia tela? Fallo.><Vuoi scrivere il tuo nome sulla mia tela? Fallo.> Le labbra si ritirano- quel sussurro, espira- uno strazio. <Vuoi esser venerato come un dio? Vuoi che sia pongo? Vuoi sentirmi urlare, piangere, implorare- finchè non dimenticherò cosa mi faccia male?> A denti stretti- la mascella serrata in una linea affilata. <f a l l o.><fallo! fallo!><Non scappare, non scappare come gli altri.> E quei lembi tra le dita, stretti- è una supplica. <Fallo.>...<Dai un motivo a—me. >

01:35 Hanae:
 Puo'..incidere quella tela. Lo sa, la conosce cosi' dannatamente bene, come se fosse la propria. Sa come fare male alla propria persona, e quello stesso dolore puo' trasmetterlo con equal intensità in lei. Perchè lo puo' comprendere nel suo lato più profondo, perchè è in grado di godere di ogni singola incisione che le viene imposta. Nello stesso modo nel quale lui ne ha goduto. Nello stesso modo nel quale entrambi ne soffrono. Si muovono assieme, in un lento Valzer. Iniziano volando, ma loro-- non possono volare. La loro tela non include il cielo. E per questo..bruciano, ed infine cadono. Rovinosamente incontrano nuovamente la terra, proprio come Icaro. Ma..non sono in grado di morire. Non gli è permesso neanche questo. Forse..Nemurimasen non aveva totalmente torto. L'amore, dall'attuale prospettiva dell'Uchiha, rovina la tela di Kurona. La cassa toracica a gonfiarsi appena al percepire la figura altrui sul proprio petto. Il fiato viene trattenuto per diversi istanti, lasciando che il proprio udito si concentri sul respiro altrui. Sul battito di quel piccolo, frantumato cuore. Coglie quella sensazione di terrore che l'altra prova, eppure..sono li'. Quasi un abbraccio, ma niente di lontanamente comparabile. E' lei ad esprimere per prima, con voce, la somiglianza tra quelle due tele. Un pensiero fisso dell'Uchiha che si rivela realtà di entrambi, quando viene riconosciuto. < Voglio-- > Quel prurito al quale lei accenna a silenziarlo per degli istanti, i muscoli del proprio corpo ad irrigidirsi nel ridar forma a quella sensazione. < Grattare..nella tua coscienza. > La destra andrebbe a cingersi attorno alla relativa spalla altrui, il gomito ad essere piegato verso l'interno e le dita a muoversi affusolate attorno alla nuca della lei. Ne sfiora i capelli, piano piano, è come se..stesse tentando di pettinare una bambola. < Trovare ciò che ti brucia. > Quello che prima era un tocco quasi etereo andrebbe a divenire più rude, scivolando nuovamente all'altezza del collo e stringendo appena. < ---E sarà probabilmente qualcosa di molto affascinante. > Un sorriso si palesa sul volto, nuovamente. Magari..il proprio prurito verrà affievolito. Ascolta le reazioni del corpo altrui, una dopo l'altra. Si focalizza su ciò che dalle sue labbra fuoriesce. Da quella-- supplica, nei propri confronti. Stanno raccogliendo piccolo pezzi uno dell'altra, in modo da fermare quelle costanti sensazioni. Un nuovo brivido, questa volta alla propria mente, quella scintilla che da sempre lo ha stuzzicato adesso si palesa nelle parole altrui. In quelle richieste. Le mani tremano appena, ma non è-- paura. No, è qualcosa di totalmente diverso. E' forse la sensazione che..provava jason? Come un accenno di euforia, ma radicalmente più malizioso, malato. < Non posso scappare, non da..te. > Scuote leggermente il capo. La mancina a scivolare nuovamente sul suo volto, sfiorando quella pelle, raggiungendo nuovamente le labbra. il solo pollice a sfiorarle appena, una leggera pressione, quasi per forzarla a schiuderle il necessario. < Non ti abbandonerò, questa volta. Neppure quando pregherai per farla finita..ti risponderò. Andrò avanti..ripassando la tua tela come più..desidero. > Dalle labbra, porta la mancina verso il mento altrui, nel tentativo di inarcarlo appena con il proprio indice. A seguire il proprio volto a protendersi in direzione del suo. Si avvicina, abbastanza dal far percepire il proprio respiro sulle sue stesse labbra, ma non abbastanza dal poterlo sfiorare. < Lo vuoi? > La domanda è quasi retorica, con la voce di chi..ha preso la propria scelta. [ Ck on ]

02:12 Kurona:
 Quelle parole che lo hanno quasi aggredito, l’hanno supplicato di portare a termine quella promessa. Di non lasciarla a se, alle sue mani, alla sua testa. Gli avrebbe chiesto di urlare nelle sue orecchie più forte dei suoi pensieri, così che lui possa diventare il suo unico prurito. Così raccolta come un passerotto dalle ali spezzate tra le braccia di Katsumi, accucciata tra le sue cosce a lasciare che lui faccia di lei, qualcosa di nuovo, composto. Che la consumi dall’interno fino a non lasciare nulla di quel dolore che l’asfissia al pari di un cuscino sul viso. Le sue labbra son nenia per le orecchie della Kokketsu, i suoi occhi il suo peggior incubo. Diventa pongo da plasmare, sotto le sue dita, e sta in silenzio. Il solo respiro muove il petto, le spalle minute incassate tra quelle dell’altro, tanto acerba quanto è oramai donna. Sulla pelle, i suoi peccati cantano canzoni da non udire. Ogni cicatrice, dall’occhio destro sfregiato dal Kanji “Giocattolo” a quelli che le tappezzano la pelle d’insulti e infamie compiute, come l’assassinio di sua stessa figlia, perché ha scelto la via di Sasuke, e non i suoi insegnamenti da madre. Il singhiozzare scema lasciando un fremito sulla pelle- è confuso. Forse- è la presenza di Katsumi, le sue parole, la sua voce- a darle quella scintilla sulla pelle, divenuta brividi al passaggio della sua mano. Lascia cadere dalle dita il colletto, che s’adagi a terra- che l’abbandoni, come lei sta abbandonando se stessa ad esser pedina di un uomo. L’ennesimo. E’ un attimo, il desiderio. O forse, sotto la pelle, li nascosto da qualche parte, c’è sempre stato. Come le sue mani si spostano –sfumature dal tratto confuso e biascicato, spilli sulla pelle, petali, tagli, è tutto così, così confuso- le segue come la più devota dei fedeli, sulla schiena, sui capelli. E lei, dannata, se lo lascia fare. Lascia che sia porcellana sotto quelle mani, lasciano un brivido che già conosce. Quel vuoto allo stomaco. La voglia di chinare il capo, e abbandonarsi ad esser bestia, tra bramosia e devozione—ma quando sta pensando di conoscere questa sensazione, quando realizza—che tutto questo, s’avvicina solo a Lui, a Yukio, alla sua più grande malattia, il fulcro, perno, della sua schizofrenia, qualcosa di dolce e soffice le sta sfiorando le labbra. Tra le sue mani, tesa come la corda d’un violino che scivola, emettendo solamente immane dolcezza, schiude le labbra. Rosse come il vino speziato, in un movimento rapito, dall’immersione nei pensieri che fanno risuonare la voce di Katsumi come quella d’un pifferaio magico. La lingua si solleva appena, piano- non c’è fretta, o almeno lei non ne ha. Lo carezza guardandolo dal basso- in viso, ma non negli occhi, mai. Espira piano, socchiudendo nuovamente le labbra- quello schiocco debole che vibra tra il ferro dei suoi mille e passa coltelli, ma non tanto da esser volgare. Un secondo dopo, potrebbe esser stato solamente frutto della tua immaginazione. Solamente, qualcosa che hai pensato, che non s’è palesato sulla tua pelle. Ma è una bugia e la sottile, ma presente patina di saliva testimonia la perversione di Kurona, quest’angelo etereo. Lascia che il mento venga catturato, tenendo basso lo sguardo. Sul suo petto, o forse, sulle stesse dita che la sorreggono. E’ fatta di silenzi. Deve ascoltare. Deve lasciare che sia lui, a tenere le briglie di questo gioco. E lei—lei si abbandona a questo. Non perché sia una stupida masochista, non perché gli piaccia esser schiacciata, torturata, privata di vesti e pelle che possano proteggerla. Ma per abbandonare il ruolo di “colei che decide” è stanca, svuotata, una tela bianca su cui disegnare il tuo ritratto preferito. Perché allora, avere tanta responsabilità, quando puoi esser oggetto e non persona? Quando puoi giustificare il tuo male più profondo. Quando puoi, agire per conto di qualcun altro. Esser nulla, ed esser tutto. Le labbra si schiudono, dirigendo gli occhi più in alto, lenta. I suoi—i suoi occhi, vuole vederli. E scottarsi. Bastano le sue labbra avvicinarsi, per vincolarla li- e sopprimerla. Tra occhi e labbra. Va bene così, questa è la morte più narcisistica. <Si—Uchiha-sama.> Soffia un mugolio, vibra come miele, dolce, su quelle labbra. Mentre trema ancora- bei lasciti dell’isteria. <Si, lo voglio.>

02:58 Hanae:
 Tra le proprie mani la tela che ha sempre voluto vedere-- bruciare. Da quella volta al lago nero, quando ne ha potuto vedere le memorie, quando ha potuto sentirne la sofferenza. E' forse li' che per la prima volta ha sentito il bisogno di..possederla. Voleva bruciare quella tela e..ora vuole migliorarla. Vuole metterci sopra la propria firma, vuole poterla ammirare come il capolavoro che non trova in sè. Quegli occhi color cremisi ne incroceranno lo sguardo, chissà quante volte ancora. Quelle urla che accompagneranno un sorriso, affilato e spietato, su un volto che in un certo senso è-- delirante. Quanto quello dello stesso Uchiha padre di tutti i cloni, forse-- sicuramente peggiore. Una bambola di porcellana posa alle proprie braccia, parzialmente distrutta, della quale restano solo..frammenti. Cocci di vita che compongono quel grazioso faccino. Sembra quasi tutto frutto della propria fantasia, un'illusione di Katsumi che gli mostra la sua stessa tela da una seconda prospettiva. Fiuta appena il gusto del suo volto con l'ausilio dell'olfatto, quasi come a memorizzarlo, da una distanza tanto ridotta. O forse-- per poter godere di ogni anfratto di quella piccola bambola. Le parole cessano di essere, non serve più che facciano parte di quei pochi e timorosi sguardi. Rimane fermo nell'osservare il fare altrui, ne segue i movimenti del capo, delle labbra, impuntato lo sguardo su quelle fragili forme. Cosi' fragili che se provasse a stringerle potrebbero divenire polvere. Talmente eterea che al battere delle ciglia..potrebbe sparire, lasciando alle spalle soltanto una scia di polvere. Ma non sparirà, adesso che questo contratto si è formato. Non puo' sparire, nè lei, nè lui. Guidati da desideri simili ma totalmente opposti. Un ruolo che li guida verso un Valzer guidato dalle note di una tragedia. Quelle stesse note che il dolore e le urla devono riuscire a sopraffare, dentro quella piccola, buia e scomoda stanza dal pavimento a scacchi. Pregusta nella propria mente ogni singola immagine, nel proprio sguardo si riflette una malizia che da sempre ne ha accompagnato il malato rapporto. E' un sogno d'angoscia, il loro. Lo scoperto appagamento di un desiderio, naturalmente non di un desiderio accettato, ma di uno respinto. Le braccia a scivolare dietro la nuca altrui, scivolano verso il basso, attraverso quell'esile corpicino, un tocco tanto delicato dal non sembrare reale, ma abbastanza freddo dal causare un brivido. Le mani ad intrecciarsi per un momento nel sigillo della scimmia, prima di risalire verso l'alto, cercando con i palmi entrambe le spalle della lei. Un piccolo quantitativo di chakra a scorrere dai palmi verso il corpo della lei, avvicinandosi rapidamente alla sua mente. < ..Ti farò male, molto male. > Un ultimo sussurro, nel tentativo di far incrociare le proprie labbra alle sue. Un contatto diretto, tanto breve dal poter sembrare anch'esso un'illusione. Ed è proprio durante tale atto, che il chakra precedentemente inviato alla lei diverrebbe in grado di causarle un rapido decadimento in stato di sonno. Prima o poi-- si sveglierà nel suo miglior incubo. [ Chakra on ] [ SE > illusione demoniaca del sonno ]

15:29 Kurona:
 Dalle alte finestre la luce oblunga della luna, fioca come una sfumatura pallida che bagna il pavimento, le carezza il viso disegnando ombre e luci, rendendo gli occhi dell’Uchiha una lama affilata e scarlatta sulla pelle- oh, si- si scotta. Non s’è mai sentita così minuscola come nei suoi occhi, come negli occhi di Yukio stesso: “Mi fai sentire—solo una donna”. Piccola, così piccola da sentirsi oppressa tra quegli occhi. Eppure, non sembra voler alzare il capo, non ora, non con lui. I capelli dalle ciocche arricciate che scivolano sulla spalla sinistra, in un movimento debole, impercettibile. Non si sta spostando dalle sue braccia, solamente, fa scivolare un fianco verso la sua coscia adiacente, come a scivolargli addosso, e farlo esser il suo miglior vestito. Le labbra si muovono nel buio, ma non pronunciano parole- confusa- spaesata, è nulla. Le mani affusolate sul petto, rimangono immobili, lasciando che sia lui a toccarla, a muoversi, sfiorarla- darle il permesso e toglierglielo di fare quello che desiderebbe fare. Ed è la certezza dell’ignoto dei piani di Katsumi, a farla fremere- quanto è la medesima dannata certezza, a renderla cheta. Non è più un problema suo, la sua vita. Schiude le labbra ed espira—il fiato le fa sussultare il petto e le spalle, avvertendo quel brivido sulla schiena coperta da una canottiera che le arriva a qualche centimetro dalle ginocchia. L’avambraccio tatuato- quella stella a dieci punte che può vedere di sbieco contro il petto del Clone Esperto, ne gracile ne formato come un amante delle arti a contatto. E’ così—si lascia cadere in un lembo di pelle pallido sul suo petto, quel piccolo, piccolo fosso al centro, tra i pettorali. Con quei movimenti molli che denunciano la spossatezza, le occhiaie rosse—vinaccio annacquato, che sono solo lievemente infossate, tra righi grigiastri e neri che le sporcano le gote, e le guance. Disegnano tratti arrotondati, sfumati. Lì dove le mani passano disegnando un fosso tra quella criniera bianco pallido, come scivolano verso il basso a comporre il sigillo la traina nuovamente a se. Il costato nudo che scivola sullo sterno dell’altro, la spalla a ridosso del petto, abbassata a non aver attrito contro di lui. Ma- non resiste. Non potrebbe mai fargli del male. E non è pena, la sua, nei confronti di Katsumi. Forse è proprio questo il loro unico appiglio. L’avere reazioni uguali, ed allo stesso tempo differenti. La relazione con se stessi. Kurona, proverebbe vergogna guardandosi allo specchio. C’è astio, per se stessa. Eppure, vedere se stessa nel corpo di Katsumi, vedere la sua anima riflessa nei suoi occhi, la fa tremare. Perché si conosce. Conosce quella sensazione di prurito- la gola di secca, inizia a bruciare. E prima di esserne conscio, hai del sangue sulle mani—e sei così- soddisfatto. Il bisogno, viscerale, di comandare, schiacciare, fare tuo e possedere una vittima. E’ forse questa, la carezza più profonda all’anima di Katsumi? Che si lecchino le ferite provocandone di nuove, allora. Che sentano il dolore tra le costole divenire fitta, contusione- sangue. S’abbandona alle sue cure, perché lei non saprebbe curarsi meglio. Perché nessuno, nessuno, ne Yukio, ne Irou, ne qualcun altro, saprebbe curarla meglio della sua dolce, sadica, controparte maschile. Le mani sulle spalle ne scuotono gli occhi scivolati su sprazzi—baratri e fissazioni, della pelle del Clone. E’ passata dal petto, alla nuca. Quella dolce curvatura tra spalle e collo, il flebile rialzo del trapezio. Punti precisi da focalizzare. Punti che ricorderà- in flash alterni, per tutta la sua vita. E come le palpebre si fanno pesanti, lo lascia entrare senza respingerlo. Non vuole combatterlo. Non vuole più, combattere. <…> Le labbra si schiudono deboli, lo accoglie. L’inferiore che accarezza il suo, il superiore che scivola nella fessura tra le sue labbra adagiandosi li, ad aprir le braccia e quella carezza—così intima che forse, per la prima volta- per qualche sputo di secondo, sente di non appartenere a Yukio. Uno sbando-stupido, sciocco. E’ il tempo di uno schiocco debole da parte delle labbra, che quasi non vibra nell’aria ma li nasce, e li muore—e poi, il sonno- l’ultimo, dolce, ricordo?

15:30 Hanae:
 Forse-- entrambe le tele stanno venendo nuovamente toccate. Senza volerlo, o forse nel più omertoso dei silenzi, la stessa tela dell'Uchiha sta ricevendo una piccola messa a punto. Magari in questo momento sono rappresentati entrambi su una stessa tela, sulla quale continuano con affanno a coprire ogni imperfezione, ogni timore e paura. Se per l'Uchiha la risposta è l'oppressione, per quell'identità quasi gemella è l'opposto. Cercano la luce nella loro stessa oscurità, consci che prima o poi..sentiranno nuovamente quel prurito addentrarsi nelle loro carni. Non riusciranno mai a placare realmente il bisogno di scavare più a fondo, perchè qualcuno verrà, prima o poi, a richiamare quel prurito. Per Katsumi è stato l'insonne, per Kurona-- chissà. E' molto probabile che lo scoprirà presto. Ma in ogni caso, quel prurito è causato dalla mano artista che per prima ha messo mano su di loro. E continua, lui, a sfiorare appena la chioma altrui. Come un Chikamatsu con le proprie marionette, affezionato a quella fragile e tutt'ora modellabile porcellana. E sarà il giudizio dell'Uchiha, a determinare qualunque cosa, in quella stanza. Come un serpente che sia aggroviglia attorno al collo altrui, sussurrando dolcemente al suo orecchio il loro requiem. La loro maledizione danzerà al ritmo di quella melodia, sopraffatta da urla-- preghiere. Ci vorrebbe cosi' poco per renderla una competizione, cosi' poco per invertire i loro ruoli. Lo sa, lo vede, lo sente. Lei puo' vedere oltre quella maschera di bugie, oltre quei silenzi. Potrebbe danneggiarlo, ma non lo fa. Perchè non lo fa? Il pensiero diventa quasi una fissa, sostituendo tutto ciò che fino a poco fa riusciva a fargli percepire quel prurito. Stringe appena la presa su quel fragile corpicino, ma non interrompe il suo fare. Quel tocco in grado di indirizzarla ad un sogno-- o forse verso l'ennesimo incubo, rappresentato dal risveglio. Ed è possedendo lei che sente il proprio bruciore diminuire, è possedendo in modo tanto malato quel suo riflesso che riesce a non sentire il suono delle proprie carni che vengono dilaniate dalle proprie unghie. Forse è perchè..la propria maschera di cera viene sciolta, quasi come fosse neve esposta al sola. Quella maschera cosi' pesante e indecifrabile, che mostra una sanità che in realtà-- è andata perduta, da tempo immemore. Non ricorda quando ha smesso di sentire il proprio volto. Quando ha smesso di combattere contro la mano del fato. Una mano cosi' sadica da far sembrare il proprio fare una dolce melodia. Un flebile schiocco delle labbra trascina con se il sonno, in lei. Osserva quel corpo abbandonarsi totalmente a quello stato, lo sguardo vi rimane impuntato al di sopra per..istanti. Istanti che diventano secondi. Secondi che diventano minuti. Minuti-- e chissà quanto altro tempo. E' in quel silenzio, dove solo lui puo' percepire i propri movimenti, che sul volto mostra un'espressione quasi triste. Il capo china verso il basso, trascinando con sè qualche ciocca che varia dal nero al bianco. Sono ormai li'-- in quelle ultime occasioni per poter perdere..il controllo. [END]

Tutte le marionette- hanno un burattinaio.
Kurona e Katsumi sono due sagome speculiari- incontro dopo incontro, si sono guardati fugacemente come minacce per la propria persona. Da quando lui percepì il dolore, radicato, di Kurona- s'accorse che era tanto simile a lui da doverla distruggere tra le sue mani.

"Non c'è più niente da distruggere qui-" gli disse Kurona. E proprio quando entrambi erano convinti di star scendendo a patti con i loro demoni, che una notte si trasforma in incubo.

Affranta, nascosta, piena di vergogna e dall'onore macchiato dalle mani del padre- Kurona s'abbandona al sadismo di Katsumi; che le provochi più dolore, per dimenticare quel su cui non ha mai avuto controllo.

Io suggerisco la lettura, le reazioni dei personaggi alla mano del fato sono così umane da disarmare. Grazie Katsumi, davvero.