Si chiama “memoria involontaria” – dicono che questa memoria sia capace di entrare in gioco lì dove la memoria a breve termine e quella a lungo termine non sono stuzzicate. Esattamente come una memoria sensoriale, quella involontaria s’attiva automaticamente sfruttando il ricordo di una sfumatura, di un sapore, di un… profumo. In effetti sarebbe da stolti non rendersene conto: è quasi palpabile l’alone che emana, un aroma che le sue labbra non hanno ancora assaporato ma che il suo olfatto potrà ben ricordare. E’ come un “la”, un semplice suono che può far issare anche il capo di Kimi, Medusa o Spettro che ella sia – non fa differenza. Del resto, la memoria è una – per quanto ci ostiniamo a cambiare volto, identità o inclinazione il nostro archivio e i nostri ricordi rimangono quelli. Come un campanellino, di quelli che sanno metterti in guardia: quell’aroma striscia, fende l’aria in maniera vorace ma non del tutto repentina – si concede il suo tempo, perché a fronte di forse troppi mesi ora come ora sarebbe decisamente avventato mangiare tutto in un boccone quanto desiderato senza gustarsi il momento. Il tramonto pianta così, lentamente, i suoi rami dalle increspature cremisi e rosee, mentre un velo di giallo donato dal sole calante regala sfumature arancioni preludio dell’oscurità che tra qualche ora calerà. Se c’è una cosa che, uno come lui – di cui il volto ancora non è registrato, ma stranamente il profumo sì – è la siccità. La mancanza, specie di vegetazione – ed è così che Suna o le sue rovine si traducono in un posto decisamente pessimo in cui sostare. Eppure, a distanza di qualche rovina, le fronde stranamente costruiscono una sorta di caverna, un accesso decisamente atipico per un luogo tanto aspro. A seguire la traccia di quel profumo ci si impiega poco, deriva direttamente da lì – eppure, quell’alone di sandalo misto tabacco s’affievolisce, lentamente: con esso, un petalo dello shion che giace tra le mani di Kimi si vedrà cadere, precipitando rovinosamente verso il suolo senza che ella possa fare altro. E così, quello dopo. E quello dopo ancora. Sulla sommità dello stelo quasi non rimarrà null’altro, se non quattro petali viola che sembreranno muoversi così come oscilla il vento fino a combaciare un paio di volte. Al termine di ciò, dallo stelo i quattro petali si staccheranno e vibreranno a mezz’aria: una farfalla. Davanti agli occhi di Kimi null’altro che un esserino fin troppo piccolo, capace di volare alla medesima altezza del suo volto prima di scostarsi e dirigersi esattamente lì dove l’antro di rovi circonda il selciato di quella grotta, rasente un cunicolo. [ Estemporanea | Quest di avvicinamento per evocazioni ]
Allungarsi per raggiungere l’impossibile, consapevoli di avere un crepaccio sotto i propri piedi: per un solo istante la sensazione di cadere, precipitare e schiantarsi potrà effettivamente attecchire nella mente della Doku – come una voragine, una sorta di premonizione, qualcosa che riesca effettivamente a scuoterla per una manciata di secondi e a ridestarsi nel medesimo lasso di tempo – quello in cui allungherà la mano per toccarla, per raggiungere la farfalla. Una sensazione che possa esser sufficiente, alla ragazza, per ritrarre l’arto e non avventarsi a sfiorarne le ali. Incessante è il battito di quest’ultime che si trattengono il tempo di un’occhiata, per poi svolazzarle intorno alla sua sagoma smagrita e consumata dal tempo, dai rimorsi, dai rimpianti e dai ricordi. Quel fiore che dapprima l’ha accompagnata, or ora si è sgretolato – come sabbia – mutando in farfalla, lasciando dello stelo e dei petali un nonnulla. E le ci vorrà poco per intravedere la traiettoria del suo volo: di fianco alla Doku, esattamente verso il cunicolo ove le fronde sembrano allungarsi, lentamente. I rovi macinano metri, terreno, sembrano quasi richiamarla stendendosi al suolo per lei come un tappeto di fiori e liane. La farfalla volerà direttamente lì dentro, inghiottita dall’apparente buio che potrà scorgere qualora si premurasse di assottigliare le palpebre. Uno, due, forse tre secondi di puro silenzio e poi l’ennesimo battito di farfalle: qualora volesse o potesse voltarsi all’indietro, nulla le vieterebbe d’avvedersi di uno stormo di farfalle – tutte viola – capaci di volare nella stessa direzione, in quel cunicolo. Lo stesso odore, la stessa scia – la stessa idea che le si potrebbe insinuare nella mente, quella di vedere davanti a sé lo spettro di tutti gli shion avvelenati, tutti i fiori di questo mese or ora divenuti farfalle e pronti a tornare dal proprio evocatore svolazzando dapprima intorno alla stessa Kimi, inghiottendola in un innocuo vortice di farfalle, prima di svolazzare verso il cunicolo di liane e rovi, aprendo per lei la strada già contrassegnato da uno strano selciato, fatto di ciottoli e vegetazione completamente atipica per un posto come quello – del resto tutto è finalizzato a distogliere l’attenzione della Doku dalle sue spalle, per poi accorgersi – quando sarà fin troppo tardi – dell’odore che da dietro sembra permearla. Seta, è la sensazione che percepirà sul volto: qualcosa a coprirle gli occhi, occultarle la vista. Qualcosa di morbido, profumato più degli shion e tanto quanto il sandalo. Percepirà il capo strattonato, dolcemente, verso sinistra in un movimento che dovrà indurre la Doku ad inclinare il volto e a scoprire le candide carni del collo, della nuca, lasciando scivolare i capelli di lato. Un rantolo caldo potrà solleticarle la cute, la presenza – il calore che ne emana, lo stesso profumo e la stessa sensazione di anni fa. < Mi era mancato > quella voce un po’ rauca, vittima dei troppi raggi solari, ma mai disturbante < il sapore del tuo veleno.> eppure, sembra aver imparato: non l’ha sfiorata ancora, non direttamente con le proprie mani per lo meno. [ Estemporanea | Quest di Avvicinamento per evocazioni ]
Sotto la sua meticolosa attenzione, il collo vien prostrato al fine di poter essere revisionato: clavicole, spalle e sinodo vascolare incavati così come il suo volto in parte non sembrano compiacere la figura che giace alle sue spalle e di cui ancora non potrà avvedersi giacche la benda viola, di morbida seta, ancora ne occulta lo sguardo. < Tra un po’, di te, non troverò che un mucchio di ossa.> ogni singola vibrazione vocalica è come goccia di rugiada, pronta a scivolare dalle labbra e adagiarsi sul suo incarnato pallido tentando di scavarsi la via e raggiungere posti preclusi ad ogni umano. L’ennesimo rantolo d’aria calda, sancito dalle sue labbra, capriola sul collo di Kimi costruendo per lei una morbida sciarpa di calore. Scuote il capo, con una certa nonchalance sebbene riesca a manifestare -nonostante la maschera a metà che ne scherma il volto – parte della sua disapprovazione. Lascia schioccare la lingua contro il palato in un “no-no-no” di dissenso, come se nell’effettivo gli importasse qualcosa della cattiva nutrizione dell’altra e del suo presentarsi così, in maniera sempre più trascurata, sempre più trasandata nel corpo, sempre più… – masochista. < Sotto tutti questi segni, a stento ti riconosco.> ma perché, l’ha mai conosciuta? E’ una frase che lascia un po’ il tempo che trova, ma che riesce comunque a sfiorare una certa sfera privata – a scivolare, invadente, nell’intimo: come se nell’effettivo fosse stata sempre sotto controllo. Un modo per sentirsi violata, un modo per sentirsi protetta – tutte ipotesi, proliferazioni e proiezioni mentali queste. < Cosa pensavi di trovare, scavando oltre la tua pelle?> Dicono che la verità sia nuda, certo, ma sotto il nudo c’è lo scorticato – e forse è meglio non chiedersi cosa ci sia sotto lo scorticato se ci si può accontentare del nudo. Soltanto adesso, nel suo tentativo di voltarsi, ella riuscirà: la benda scivolerà via dai suoi occhi poiché non legata dietro la schiena e, se lo vorrà, potrà giacere tre le sue mani come un semplice ornamento intriso del profumo altrui. Sembra che, tuttavia, fino ad ora non abbia fatto altro che tenersi lontano dall’unica domanda che gli è stata posta. Avanzerà, passi in avanti finalizzati quasi a sorpassare la figura della Doku che dopo tanti anni potrà ritrovarlo quasi invariato: su quella maschera da cui ora si intravedono le labbra a dispetto dell’ultima volta poiché frantumata in basso, nemmeno una linea mancante. Del cipiglio rosso, nemmeno un capello fuori posto benchè ondulati e ramati, nel loro rossiccio intenso. La pelle d’ebano risulta la stessa di prima, né più macchiata né chiara. Per quel che concerne gli abiti, invece, delle semplici garze rivestono quasi tutto l’addome ed un paio di pantaloni semplici ospitano un porta-oggetti apparentemente scarno. Non sembra rivolgerle altra parola, soltanto uno sguardo – filtrato dalla maschera – che potrà percepire rivolto a sé. La sta invitando – silenziosamente – a seguirlo. Nell’effettivo qualora faccia di lui la propria scorta, seguendo i suoi passi, potrà varcare l’uscio di quel cunicolo di rovi e dopo un paio di metri di camminata scorgere un’enorme caverna. Paradossalmente, dato lo scenario rovinato di poco fa, sembra assurdo trovarsi ora in una sorta di caverna che ha un soffitto esteso per metri e metri – quasi irraggiungibile – protesto verso una luce fittizia. Al centro di quest’ultimo, tra i piloni d’edera e la vegetazione, una sorta di laghetto naturale prende piega nel muschio. < Nh, ti piace questo posto?> pigola, tornando a voltarsi verso di lei con le mani dietro la schiena. S’avvicina, di nuovo, ma non la scalfisce – permane a stento ad una manciata di centimetri da lei. < E perché dirtelo, se domani di te non resteranno altro che il tuo corpo graffiato ed il tuo fantasma?> issa la mano destra all’altezza del proprio capo, un pugno che si schiude – ora – per farle notare come su quello stesso palmo vi sia stata racchiusa o generata una farfalla che ora vola, quasi una sorta di illusione, ponendosi sul naso della Doku. [ Estemporanea | Quest di Avvicinamento per Evocazioni ]
Inutile sottolineare come la risposta a quella domanda suoni tremendamente insoddisfacente per lui. Non è contento, anzi. < E l’hai trovato?> ne dubita fortemente: eppur, conoscendone già la risposta secondo i propri calcoli, non interverrà. Certo, quella semplice domanda le risulterà retorica in maniera palese – eppure… davvero troverà il bisogno di rispondere? Fa ammenda dei peccati che ella stessa si trascina sul groppone, tentando di alleggerirli – un favore che non gli è dovuto, una concessione che a metro e giudizio di Zasso all’altra non è nemmeno spettata. Ma gli sta bene così: gli sono sempre piaciuti questi casi così… particolari. Singolari, ecco. E’ attratto dal diverso, dal complesso – dal nascosto, dal grezzo che può diventare materia di prima necessità. Del resto, se un giorno Kimi dovesse riuscire a brillare più degli altri forse non ne sarebbe più così entusiasta. Forse non ne sarebbe più così interessato. Richiude la destrorsa, lui, lasciandola scivolare lungo il fiato: lascia cadere il proprio sguardo su di lei, oltre la maschera – le sue intenzioni, quella di spogliarla con una sola occhiata. No, non a livello blando. Scavando, semplicemente, più di quanto lei possa fare con le sue stesse unghie e sulla sua stessa pelle. Lì, dove lei non arriva, lui agogna il traguardo. E poi…? Avanza quella proposta. Socchiude le palpebre, sul volto un mezzo sorriso – ilare – fa comprimere le labbra. L’ennesima richiesta singolare? Forse incosciente. < Potrei.> Potrebbe cedergliela, eppure < ma…> c’è sempre un “ma”, una virgola, qualcosa che stona con la frase principale e fa da subordinata che non vorresti sentir pronunciare. < Sai qual è il lasso di tempo vitale di una farfalla?> si dice che i fiori abbiano quasi la stessa durata, si dice che nell’effettivo possano resistere solo una notte – forse due. < e se lei non volesse spendere quel po’ che le rimane con chi, invece, potrebbe annientarla subito?> ti osserva, forse per la prima volta mettendoti da parte – facendoti sembrare così... inerme? Egoista. Nel tuo essere masochista, nel tuo essere disposta a dilaniare te stessa solo per gli altri… sa, lui, farti sembrare egoista? < Non ho fatto altro che lasciarti una scia di farfalle > un fiore al mese, una farfalla al mese e poi ancora ti chiedi come abbia fatto a trovarti? < E tu le hai viste morire, una dopo l’altra, senza rendertene conto.> non hai fatto altro che osservarle morire, incapace di fare altro. < Esattamente come stai guardando te, morire, senza riuscire a ribellarti.> come puoi arrivare anche solo a pensare che senza l’una o l’altra persona tu non possa far altro che struggerti nei tuoi pensieri? Sei così debole da non poter contare sulle tue gambe? < I tuoi fantasmi ti divorano, e tu – senza avere la forza di fare niente – non fai altro che offrirti su di un piatto d’argento. > per la prima volta, sul suo viso metà macchiato dalla maschera, un rantolo di stizza prende piega: come se nell’effettivo stesse cercando di tastare punti nevralgici che possano scuoterla. Come può, uno come lui, sentirsi attratto da chi si vede morire e non riesce a fare nulla per salvarsi credendo che l’annientamento sia la cosa migliore? Le dà le spalle, ora: la farfalla alla quale volgeva il suo sguardo, ora, inizia a sgretolarsi come un pugno di sabbia. < Impara prima ad amare te stessa.> impara a trattarti bene, ad avere un briciolo d’amor proprio. Impara anche solo a pensare che se vuoi vivere qualcuno, devi per prima cosa vivere per te stessa. Allo stesso modo della farfalla ora è lo scenario circostante a sgretolarsi, inducendo la Doku ad indietreggiare < E poi, forse, potrai imparare ad amare qualcos’altro.> un muro di sabbia, un’onda, si dirige verso di lui che dà lei le spalle – prima d’essere inghiottito, si guarderà un’ultima volta dietro, osservando il suo viso. < Qualcun altro.> Ed il nulla. La sabbia lo inghiotte, interamente, sgretolando quel mondo fatto di nulla che costringerà la Doku non solo ad indietreggiare fino ad uscirne, ma anche a coprirsi gli occhi e pararsi il capo con gli avambracci per non uscirne lesa. Un filo di voce, nella sua testa recita “Segui le farfalle e mi troverai”. Eppure, ora, di farfalle non ce n’è traccia – di lui, solo una benda viola di seta, null’altro.| [ Quest di Avvicinamento ] [ E N D ]