Giocata
Giocata Invalida
Giocata del 19/04/2016 dalle 21:25 alle 22:56 nella chat "Bosco"
[Shukosato - Bosco] è difficile trovare pace in un mondo in guerra, è difficile trovare sollievo in una realtà martoriata dalla sofferenza, come è difficile trovare tranquillità sotto una tempesta. il rombo del tuono viene anticipato dal lampo, squarcia il cielo, inonda la tenebra di luce, si flette e riflette sulla pelle dell'Uchiha. Immerso al limitar della foresta, gambe incrociate , palmi delle mani che premono sulle ginocchia chiuse, schiena dritta e occhi serrati, lunga crine nera che legata a coda scende repentina sulla ripida schiena. La pioggia scivola sul suo viso, ne increspa quella perfezione della cute ormai macchiata da innumerevoli fatiche, deturpata dall’invecchiamento precoce di cellule artificiali, come un prodotto non naturale che si degrada troppo velocemente rispetto la sua controparte prodotta dalla Natura. Un uomo che abbandonato ciò per cui è nato, per cui è stato studiato, prodotto, coltivato e realizzato. Una macchina da guerra convertita a strumento ormai inutilizzabile. Quieto, silente, immerso nella tenebra squassata dalla tempesta, una roccia che si leviga sotto il ticchettio pressante di una pioggia fine e acuta, che picchietta, che punge, oltre che bagnar. Rivestito di un lungo mantello nero, una bena sugli occhi ne oscura completamente le iridi chiuse dalle palpebre. Quella benda, che una volta poteva definirsi un copri fronte, oggi riporta solamente una carta bomba infusa di chakra posta proprio innanzi agli occhi, come un monito, o una precauzione ,che solo qualcun può capire, che solo un reietto del clan uchiha può pensare. Avvolto ne lungo fradicio mantello nero, oscura completamente la sua secca e slanciata figura, a occhi indiscreti può semplicemente apparire il volto d’un giovane bendato. Bello , lineare, da tratti eleganti e fini, ma che non nascondono una venda decadente. Nessun armamento, nessuna effige o simbolo che lo riconduca a qualche clan. Stanzia seduto sotto una grossa quercia, rimanendo ben esposto alla pioggia primaverile e al suo freddo traditore. Occhi ottenebrati <Imparare a percepire, senza dover vedere.> gli occhi illudono poiché troppo spesso ci affidiamo a loro. Poter farne a meno è il modo miglior per potersi liberare di quella maledezione che lo accompagna dalla nascita. [Chakra On] [Bosco] Giornate fatte di vuoti e silenzi, labbra morse e martoriate per tace parole e concetti che fanno più male se pronunciate ad alta voce. Ricordi che rimbombano, stuprano ogni angolo della mente prima di lasciarti interdetta davanti alla realtà: il tutto dominato da un forte senso di repressione, la medesima che la costringe quasi ad avere le mani e la mente legate – soggiogata dalla legge eterna, dal “wu wei” – agire non agendo. E così scorre, come l’acqua s’adatta alla superficie che le viene mostrata, si scava la strada e non trova ostacoli poiché può levigarli, aggirarli, sedurli lungo il suo letto flessuoso. D’acqua finemente si riveste, lo stillicidio del cielo inonda il corpo fino a renderlo fradicio, restituendo alla carne quanto – oltre al sangue – scorre all’interno di quel costrutto osseo. Quell’involucro esile, diafano addirittura se comparato al plenilunio spento giorni fa, s’aggira come l’anima inquieta di chi non sa mettere riposo ai propri passi – la mente una tavola rasa più per capriccio che per necessità. L’insana voglia di non voler pensare, ed essere costretti a farlo specie quando si ritrova sull’orlo del confine tra il proprio paese e quello che l’ha ospitata, accolta per il proprio addestramento. E se ne rende conto, ci vuole davvero poco dinanzi agli occhi della Hyuga che difficilmente si lascia sfuggire qualcosa, facendo dei dettagli la vera arte, il vero fiore all’occhiello delle sue capacità – la perspicacia, l’intuizione, l’intelletto. La disseminazione di querce che s’immerge nella fauna non tipica soltanto del paese del fuoco le dà modo di comprendere che il confine è labile, a pochi chilometri di distanza. Ne potrebbe calcolare il nord semplicemente adocchiando il muschio sui sassi, ma evita di sprecare tempo prezioso specie se conosce la strada per ritornare indietro. Il nero si ramifica, come una cancrena, lungo tutto il corpo: tessuto fine che s’appiccica al derma poiché impregnato d’acqua, tant’è che sembra risultare tutt’uno con tutta la sua conformazione – le leve inferiori incastrate nel tessuto nero innestano i piedi in un paio di sandali ben stretti, un lungo squarcio merlettato prende piega quasi dal fianco destro e risale in obliquo scoprendo l’ombelico nei ricami del merletto fino a raggiungere appena l’ultima costola sinistra. Ghirigori dorati appena percepibili s’estendono sul tessuto, mentre le maniche a stento arrivano ai gomiti. La filigrana bianca e nera, riconoscibile per chi l’ha già vista più volte, è un tratto saliente della sua personalità: un puntino bianco e nero – lei, che cammina sempre nel mezzo. Le labbra risultano coperte, così come la gola, da una classica mascherina ninja che aderisce ai lineamenti del viso: l’antitesi di chi copre gli occhi. Lei si copre la bocca, facendo del silenzio il suo migliore amico. Dietro la schiena giacciono una manciata di rotoli coperti dall’intemperia del cielo, e l’asta di un ombrello di carta nero dai ricami rossi e dorati. Legata alla coscia destra, come una giarrettiera, vi è una fascia con affibbiato il portaoggetti – kunai e shuriken, all’occorrenza, si dividono il posto con bombe e fuda, fili di nylon conduttori e non. Per concludere, avvezza all’arte di cui solo le donne sono istruite, fa della propria femminilità un vanto nascondendo tra i seni un tessen che è pronta a sfilare in ogni evenienza. Attinge alla ninfa del proprio corpo, l’energia spirituale che inebria ogni tessera del proprio costrutto, ogni fibra e cellula – il chakra vortica, scorre, si fa leggero e quasi inavvertito tant’è che nel saltare da un ramo all’altro l’aiuta creando un collante perfetto, fuoriuscito dagli tsubo inferiori e catalizzato al fine di incollarla ai rami designati per l’atterraggio. Fende l’etere, imperlandosi di gocce piovane e trasportandole sul corpo come l’odore della boscaglia che si confonde con quello della freesia e del sandalo che solitamente giace su di lei. Assottiglia le palpebre, l’ultimo ramo – le leve inferiori s’accompagnano in uno scatto repentino finalizzato a farle abbandonare quello precedente e riposizionarsi su quello nuovo, lasciando cadere al suolo giusto una fronda ed ovattando il rumore del tonfo mediante il suono roboante del cielo. Sotto di sé, la terra. Sotto di sé, le pozzanghere – fanghiglia, polvere e acqua si mischiano. Sotto di sé, una figura. Comprime le labbra, piegando di poco le ginocchia, ricordando che al collo – nascosto tra la stoffa – giace il coprifronte di Konoha. Diffidente lo è sempre stata, ma ignava quasi mai. Piegate le gambe non le resta che sedersi, semplicemente, lasciando penzolare le leve inferiori verso il basso. Sfila appena l’ombrello dalla schiena, aprendolo: la pioggia devia e, alla stessa maniera, non dovrebbe più scorrere nemmeno sul capo di Hitachi che potrà accorgersi o per lo meno percepire come nell’effettivo ci sia “qualcosa” sopra di lui a deviarne il flusso. [ Chakra ON ] [ Rilascio del Chakra Base][ Equip descritto ] la dove gli occhi non vedono, giungono l’udito e l’olfatto. Difficile scremare i suoni con quel ticchettio di pioggia e quel rombo di tuono che si intervalla repentino a momenti alterni. Difficile individuare un profumo, un odore o un sapore con l’umidità , il puzzo, o profumo che sia, si acqua ristagnante che piove dal cielo. Difficile percepire anche il calore quando la pelle si livella con la temperatura della fredda acqua piovana. Difficile, ma non impossibile. Non è impossibile per dei sensi acuti captare l’avvicinarsi di quella femminea figura. i padiglioni delle orecchio, parabole recettive di ciò che lo circondano, captano e traducono in informazione l’avvicinarsi della donna, leggermente più difficile è l’odore, in questo caso certamente profumo, che il di lei corpo emana, ma alla fine i sensi chiusi in un duplici riscontro oggettivo dovrebbero giungere repentini a stabilire la posizione della medesima. La percezione del chakra da lei evocato non è così alto in termini di quantità da suscitare alcun timore, per tanto non smuove la benda con la carta bomba riposta sugli occhi chiusi, ma il chakra fuoriesce emesso dalla sua corteccia celebrale, filtra nella cute superando il cranio e concentrandosi in un punto fisso della fronte, li viene esternato sotto forma di onda alla ricerca di un messaggio di ritorno da parte di una creatura vivente che entri in contatto con la sua onda. Ed la risposta giungerebbe dunque, quando l’onda andrebbe a riflettersi sulla corteccia celebrale della Hyuga, suscitando in lei il modificarsi della percezione tattilo-visiva. Vista e tatto, due sensi fondamentali, verrebbero alterati a livello di informazioni captate direttamente dal cervello della donzella, così da alterarne la percezione e illude gli stessi sensi e la loro utilizzatrice. Nulla muta in quell’ambiente se non la posizione di Hitachi che prima par essere alla sinistra della di lei figura, poi senza consapevole percezione del mutamento ecco che il medesimo si ritroverebbe proprio di fronte a lei, li , andrebbe ad influire l’alterazione del secondo senso, ovvero quello del tatto, sfrutta per modificare lo sfruttamento del braccio che antepone l’ombrello tra lui e la pioggia, così da rendere impercettibile la vera posizione dell’uchiha. Un metodo, una illusione, precisa e concordante nell’ingannare la mente della donna, ma ogni illusione possiede di per se un elemento reale che può essere più o meno nascosto al fine da non far crollare il castello di carte, ma oggi è lui, uno dei migliori genjutser del mondo, a svelare volontariamente quell’anello aderente alla realtà. L’ombrello infatti, apparirebbe come inutile barriere innanzi alla pioggia, non in grado di bloccarla. La pioggia agli occhi di hana proseguirebbe il suo corso come se l’ombrello non esistesse, come se effettivamente la presenza di Hana e del suo ombrello fosse un’essenza astratta e non facente parte del contesto. <Perché c’è bisogno di creare una barriera tra uomo e Natura?> una voce proviene a pochi metri da hana, nel posto in cui effettivamente è seduto Hitachi, ma lei non lo sa, o meglio, i suoi occhi illusi non riescono a vederlo, la il suono della voce può percepirlo. [illusione di II sensi] [Albero] Il formicolio della pausa pervade gli arti, la stasi bramata, venerata – finalmente raggiunga. La stanchezza la percepisce appena a fronte del peso in più che deve sopportare a causa dell’acqua piovana. Una goccia le riga il volto, rasente le lacrime che non ha mai versato in tutta la sua vista – infastidisce le ciglia, s’aggrappa presso quest’ultime e poi ricade verso le labbra, deglutendola. Inspira, stringendo ancora nella destra l’ombrello che svetta oltre il proprio capo e che alla stessa maniera dovrebbe essere posto al di sopra di Hitachi. Socchiude le palpebre – è un battito di ciglia, quello, necessario ad impigliarsi tra la ragnatela sapientemente costruita di quell’illusione. Le ci vuole così poco, ad una farfalla, per bruciarsi le ali? Eppure quelle stupide sono le falene, lei non è mai stata così tanto attratta dal fuoco. Si lascia irretire, esattamente come il dao impone – lasciando scorrere sul proprio corpo la fisionomia di quell’illusione, lasciando che attecchisca e trovi nella sua mente terreno fertile per poter proliferare; raro che qualcuno, di sua spontanea volontà, lasci giocare un estraneo coi fili della propria psiche – non è mai stata masochista. E’ sempre stata curiosa, ma alla stessa maniera portata via da quell’intricata strada fatta di sapere e potere. Immobile lì, dopo aver costruito il giaciglio dove riposare per flebili istanti, lo sguardo asseconderebbe la dislocazione e ricomposizione dell’immagine di Hitachi solo per la prima volta: inizia a tendersi, come le corde di un violino, irrigidendo parte della schiena – respira, per poter avere con l’ossigeno la certezza di star lì, vivendo, respirando. Alla stessa maniera, quando l’immagine di Hitachi si sposta, lo sguardo della Hyuga non lo segue: le basta poco per elaborare e, grazie proprio a quell’àncora che lui le getta, di comprendere che nell’effettivo è una sua volontà quella di creare una falla nella stessa illusione – del resto, quando mai un corpo solido si è fatto attraversare dalla pioggia? A meno che quest’ultima non sia acida, corrosiva, eppure ella non ne sortisce effetto. Che sia illusione o meno, tuttavia, non riesce a scalfire parte di un viso che non è avvezzo né alle espressioni troppo marcate tanto meno alla parola facile. Esattamente come lui e quell’involontario gesto d’irretirla e salvarla, in questo controsenso, anch’ella s’esenta dal poter anche solo provare a scavare oltre col proprio sguardo facendo ricorso al lascito del proprio Clan. Sembra… semplicemente, non importarle. Come se, nell’effettivo, ricamasse sulla stessa idea altrui – a volte è meglio non adoperare l’unico mezzo in grado di scarnificare la bugia, giusto per poter raggiungere la verità a mani nude. Socchiude le palpebre quasi emulando l’uomo che, con una benda dinanzi agli occhi, le si è avventurato dinanzi. < Dicono che la verità sia nuda, ma sotto il nudo c’è lo scorticato.> si apre la strada così, in maniera quasi disconnessa. Le pliche vocali vibrano lente, inesorabili, sagge a tratti – una cosa decisamente fuori dalla portata di un genin. < Se solo tu avessi visto il mio scorticato, non avresti posto una domanda del genere.> Se solo tu ti fossi sprecato a vederla così, bagnata da capo a piedi, avresti compreso il perché di “quella barriera” – non un bisogno, giacchè bagnata da capo a fondo, quanto più un mezzo per raggiungere un fine. E avresti capito che alla fine di tutto questo, il motivo sei stato tu. [ Chakra - ON ] [ Equip descritto ] Non placa il flusso di chakra, ne varia la forma, ne altera la percezione. Non più vista e tatto, ma vista e udito. La ragazza non percepisce più d’esser sospesa a dondolo sul ramo, la stessa posizione assunta, lo stesso dondolio, ma dal ramo s’è passato a un ripido pendio montano. La stessa vegetazione del bosco che fa da contorno a quello scoglio che da sulle vallate di Kusa, è forse uno dei monti di Iwa? Penzola gambe all’aria e corpo ancorato al bordo del pendio. Ma la sensazione tattile resta pur sempre quell’albero, l’erba non apparire fluente nelle dita e se la donna dovesse provare ad accarezzare la medesima si ritroverebbe a percepire il ruvido della corteccia dell’albero. Hitachi, immobile e avvolto nella posa della meditazione, si trova al fianco della medesima, a fianco su quel pendio sebbene lontano da quel ramo su cui lei realmente siede, ma la voce appare vicina, a pochi centimetri dalla fonte, come se fosse realmente al fianco destro della Hyuga. <è incredibile quanto l’essere umano ami apparire l’animale ferito della situazione, quando è esso stesso causa del suo dolore. E’ esso stesso che leviga l’apparenza e scortica la sostanza. Siamo artefici del nostro destino, responsabili del nostro male. Rispondiamo per quel che facciamo e spesso scarichiamo l’onore di pagare il debito a chi ci succederà. Non percepiamo il valore finchè non subiamo il disvalore. L’uomo è studiato per misurare ciò che gli manca, non ciò che ha. Non ragioniamo mai in funzione di quel che già abbiamo, ma in ciò che ancora dobbiamo avere …> esclama l’uchiha, cui figura non muta, se non per le labbra che si schiudono per proferir parola. Il tempo su quel pendio non cambia, il meteo non varia, sempre pioggia, forte pioggia, che potrebbe far sbandare la ragazza in bilico su quel ramo. Gli acuti sensi permangono stabili sulla ragazza, mentre la mancina fuoriesce dalla manica lunga del mantello stretta e serrata lungo l’impugnatura di un kunay che si leva vorticante grazie all’anello che fa da contorno all’indici come fulcro di rotazione. La lama, e la punta, ruotano mentre la mancina si leva in direzione degli occhi del chunin per poi arrestarsi repentini a una distanza pressochè nulla della benda, arrivando anche ad incidere parte della carta bomba. <Avere troppo … e continuare a volerne sempre di più … il gioco degli Dei, la maledizione di noi uomini. Gli Dei ci donano potere, non ci accorgiamo di cosa rinunciamo sulla strada del successo, fin quando frasi e scherno … sono gli stessi Dei a sottrarci tutto ciò che abbiamo costruito, infrangendo un castello di sabbia che aveva la pretesa di affronta una burrasca> [Albero] E’ la reazione più naturale, umana appunto, che la spinge ora come ora ad arpionarsi sul ramo. Il petto si rigonfia, deformato dall’ossigeno che inala, dalle palpebre uno spiraglio di luce penetra e le lascia il tempo e lo spazio d’avvedersi di ciò che – sconfinato – si sta estendendo sotto i suoi piedi. Il vuoto, il nulla – un brivido che risale la colonna vertebrale, s’arrampica così come farebbe uno zoppo ceduto sotto la pressione psicologica indotta dall’altezza, dal pendio. S’arpiona così come farebbe chiunque oggetto di verità così come di illusione, preservando parte del suo involucro mortale – c’è tuttavia poca foga nel farlo, quella che non riesce a caratterizzarla così come l’istinto di sopravvivenza caratterizza gli altri. Lei, di mente già duttile, s’è sempre adattata ad una sola concezione: quella di essere degradata a forma d’oggetto e non di umana. Lei, che alla fine, non è altro che uno strumento nelle mani del Clan, della famiglia e del paese tutto. Lei che ha già fatto la sua scelta – quella di servire, non di scrivere la storia. Quella di ricamarla e raccontarla, studiarla e non formarla. La sua, una scelta puramente indotta dall’educazione severa e rigida che le è stata riservata. Ed ora giocare sul filo del rasoio dove, tra l’alto ed il basso, si riscopre vittima di brividi che raramente può assaporare. Mordicchia il labbro inferiore, deglutisce – non è paura, è quasi delusione. Che sia un’illusione, ora – come dubitarne? Nemmeno il classico dei mutamenti che Ryu Hyuga tanto ama riesce a spiegarsi un mutamento così radicale e… allora, per cosa – una come lei – può provare la delusione? Solo perché sia illusione e non realtà? Solo perché ci sia un completo estraneo al proprio fianco? Dovrebbe essere delusa dello scherno, delle mani che si divincolano e muovono i fili della mente eppure lo potrebbe trovare quasi divertente – lei, che raramente riesce a sorridere. E mentre sciorina la sua cascata di parole, lo sguardo vien rigettato verso il basso. < Ti sembro una vittima?> qualcuno che si è causato dolore? Perché è l’ultima persona sulla faccia della terra che potrebbe essere etichettata come tale. < Ironico. Parli di uomini come artefici di un destino e del proprio male. E poi parli di dèi, di concessioni celesti e di sottrazioni divine.> fa semplicemente il punto della situazione: lei, a differenza di Hitachi, non è avvezza di parole né le elargisce in quantità. E’ semplicemente analitica. < In conclusione, allora, forse non siamo proprio noi i responsabili del nostro male. Sono loro a farcelo credere.> lei non è di veduta poi così differente: crede in un destino già stabilito, in leggende e tradizioni. Crede in questo. Crede alla stessa maniera che un uomo possa essere vittima dell’illusione degli dèi e che – alla stessa maniera – possa credere di essere artefice del proprio destino quando in realtà sta seguendo una via già stabilita. Si stringe nelle spalle, alla stessa maniera le mani s’arpionano lì a quelle che sanno di roccia ma che nella realtà non è altro che lo stesso legno del ramo. Inspira, umetta le labbra senza guardarlo nemmeno una volta – percepirlo al suo fianco e averlo altrove non è un problema per lei. Il genjutsu, a tratti, è quasi un sedativo lenente per la mente – a pensarci prima, si sarebbe costruita qualcosa che, al posto della solitudine, avesse potuto provvedere a sfamarla. < Per tanto, mi riservo il diritto di assecondare la legge del Yijing.> il non agire. Ed è per questo che puoi vederla lì, senza muoversi – per ora. Senza esitare, lasciando che sia la propria psiche a covare l’ansia della sospensione, il briciolo di paura per quel po’ di amor proprio e un grammo di considerazione per te. < Mhn.> è lì, pronta a principiare qualcosa. Ci pensa. Deglutisce le parole, i permessi. Abbassa il capo, tranquilla – quasi un paradosso tra quello che mostra fuori e quello che anela dentro. < Mi lascerai andare, nh?> stiletta, pacata. Socchiude le palpebre, assapora la pioggia – si può ancora chiamare così? [ Chakra ON ] [ Equip descritto ]