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Quest'arsura che mi consuma le viscere.

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con Kioku, Hana

00:31 Hana:
  [Casa Hana] Il suo riflesso, l’alone sbiadito sui vetri appannati, lo spettro di qualche anno in più fiorito sul volto. L’odore della pioggia, uno dei suoi preferiti, filtra rientrando nelle narici e perdendosi nell’aroma del sandalo – l’incenso perso, il fumo diramato all’interno di tutta la casa che sa di caldo, buono, mentre le gocce d’acqua scivolano verso il basso, rantolano verso il suolo. Così, come loro, vittima della gravità si è lasciata trasportare fino al suolo che tanto, peggio di così, non si poteva. E poi si è vista risalire, affermandosi come la marea – coi suoi alti, coi suoi bassi. Maturità: la chiamano così, ma a fronte di tre anni o poco meno può dire davvero di averla acquisita? Sono aumentati gli anni e con loro è diminuito il desiderio di parlare in maniera superflua e allo stesso tempo aumentate le volte in cui si è ritrovata ad incontrare il proprio riflesso solo: il cuore muore, di morte lenta, perde le foglie come gli alberi – e quando non ce ne sono più è la fine. Finite le foglie, finite le speranze. Questo è quello che sua madre le diceva e ogni tanto non può far altro che crogiolarsi nel medesimo pensiero, augurandosi di poter possedere la capacità di ricreare intorno a sé un involucro tanto resistente da far invidia a chiunque, come quello del padre: il dolore gli aveva ustionato così tanto il cuore che si era formata una crosta di cinismo incapace di sensibilizzarlo. Quella che si erge a poca distanza del centro di Konoha, ma non propriamente lì, è una sorta di architettura che rasenta la classicità di un dojo: di legno quasi del tutto interamente, eretta ad un metro da terra in modalità “palafitta” e circondata dal perimetro di un engawa interamente di legno. La pianta rettangolare offre nel centro un giardino quasi quadrangolare, il medesimo giardino zen aperto che lei si prende la briga di curare da troppi anni a questa parte: la ghiaia perfettamente rastrellata, la metafora dell’acqua che esattamente come lei riesce a scavarsi la strada in qualche maniera. Del suo elemento ne ha ereditato semplicemente la duttilità: quell’assurda capacità di riuscire ad adattarsi a qualsiasi superficie sulla quale scorre. Tra la fioca luce di qualche lampata d’olio, s’intravedono le particolarità di una casa fin troppo tradizionale e la sagoma, l’ombra, impressa su di un paravento di carta: quella della Hyuga che, lentamente, s’issa dal cuscino presso il quale sostava per poter dirigere i propri passi nel medesimo corridoio collegato al resto delle stanze e circondato dal giardino ove la porta scorrevole è aperta. Un puntino luminoso attraversa lentamente il corridoio, da lì non è difficile intuire che si tratti di una candela sollevata ad un metro e mezzo dal suolo e tra le mani dalle dita affusolate della padrona di casa. Il rumore dei passi è ovattato dallo strascico floreale di quel lungo haori nero, dalle rifiniture rosee, che si trascina in maniera anche abbastanza trasandata – incurante del dover rendere conto a qualcuno che tra l’altro non abita più in quella casa da anni orsono. La filigrana liscia dei capelli ricade sulle spalle, fermata soltanto dopo cinquanta centimetri da un nastrino bianco sull’orlo di cadere e lasciare del tutto la morsa dei capelli libera. Le lunghe gambe nivee s’accarezzano a tratti incastrandosi nella stoffa dell’haori in parte scoperto, lasciando intravedere gran parte delle garze – bende bianche – che coprono il seno, quasi occultandolo del tutto. E se la mano destra si concede soltanto il tempo di sorreggere la candela, la mancina si premura di tenere con sé un libro particolarmente voluminoso di Storia Ninja, perdendo per strada qualche appunto preso su di un foglietto. Umetta le labbra, voltando appena il capo verso destra quando – oltre il passamano – può notare semplicemente un arbusto sormontare quel ponte di legno rosso che unisce i due lembi di ghiaia separati da un ruscelletto d’acqua nel quale sguazzano una manciata di carpe sotto il rumore dello scrosciar d’acqua e, allo stesso tempo, tra i giunchi ed i bambù. Si ritrae, lentamente, come l’ombra della notte che avanza al ritirarsi del sole – alla stessa maniera, il chakra dapprima prepotente ed innestato di modo tale da solleticare ogni cellula del corpo, inizia pian piano a ritirarsi come lei che – dai passi lenti – riconosce il termine della serata e l’intento di porre fine alla vita di una leggera occhiaia preannunciata.

01:53 Kioku:
  [--->HANA] La notte fa da padrona in questo scenario ormai ben noto al Rikudo Sennin, quasi tre anni sono ormai passati da quando odore di sangue ha accompagnato il dileguarsi della suddetta figura. Al suo fianco vi era Azrael, ora lasciato a piede libero in attesa di re-incontrarsi per discutere ancora di alcune piccolezze, ciò che forse più ci interessa è proprio il loro ritorno. Chi lo credeva morto, chi finalmente asceso agli dei, chi divenuto demone e spirito maledetto…tutto può sembrar veritieri quanto falso, provvederà quanto prima a fare visita all’ormai leggendario Hitomu Kibou, Hokage del villaggio della foglia, ma prima di lui vi è qualcosa che deve fare, una visita importante ad un fiore ormai sbocciato in questi anni, al solo pensiero abbozzerebbe un sorrisetto sul proprio volto, dall’alto del monte dei volti, lo sguardo sull’intera Konoha dormiente, le cui uniche luci rimasti danno giusto quel tocco di “sicurezza”, odore di pace si respira nell’aria…già…pace. Vento e pioggia investono al figura del possessore del Rinnegan, coperto con un vestiario più che particolare e assolutamente estraneo alla loro cultura nipponica. Una veste il cui tessuto è così morbido da poterci far partorire principi e re, una veste a ricoprire interamente il busto e gran parte degli arti inferiori, un colore desertico…orientale, una fascia blu cinger la testa del Seiun, lasciando comunque che la folta chioma, ormai bagnata come l’intero vestiario, ricada sulla schiena, le due katane sempre poste sui rispettivi fianchi, solo l’anello dunque , posto come sempre sul pollice destro, a ricorda ancora ci quale organizzazione è a capo, seppur il celo tuona e rimbomba come se lottasse contro lo stesso Seiun…non sarà certo questo tempo a farlo desistere…piuttosto. Agile nei movimenti, migliorati ora più che mai, si dirigerebbe dunque verso quella che a quanto gli hanno detto possa trattarsi della casa abitata tempo fa da degli Hyuga, tanto basta al Rikudo Sennin per dirigersi verso tale loco, ben sapendo che altrove non si trovi ciò che cerca…pochi attimi prima di raggiungere il limitare dell’abitazione, la forte pioggia infrangersi contro le proprie spalle, il vento smuover la fascia in testa, unica parte lasciata dunque scoperta…gli occhi, famosi ormai in tutto il mondo ninja…gli occhi del Samsara, colui che diede inizio ad ogni cosa, occhi che ora risplenderebbero di un villa intenso, brillante in questa notte, flessione degli arti, un ultimo e semplice scatto. Ovunque si trovi Hana, che sia alle su spalle o sia di fronte, in un qualsiasi angolo il cui buio, favorito dal tempo e dalla luna morente, sia presente, farà dunque la sua comparsa, senza alcuna intenzione ostile ne intento di coglier di sorpresa quanto già non faccia l’intera situazione…<spero che in una tal notte sia concesso ad un povero viandante la possibilità di trovar ristoro all’interno di tal loco> lo sguardo ora punterebbe sul volto della giovane Hyuga, solo a quel punto il viola intenso diverrebbe visibile in quell’oscurità, nessun’altra parola, come se si fosse già sprecato troppo. [equip arabian mode: ON] [equip: http://1.bp.blogspot.com/-jnolJHLei-M/VTX2PA9cRWI/AAAAAAAAAGo/FghZTm1QrUM/s1600/Sasuke_-_The_Last.png] [rinnegan on]

02:21 Hana:
  [Casa Hana] Il sapore della pioggia riporta sulle labbra il retrogusto amaro di una promessa legata dall’acqua ma levigata dal tempo, così come le pietre di un torrente suscettibili all’impetuoso tumulto del flusso, sgretolatasi in parte ma ancora intatta. Al caso, lei, non ci crede. Crede nel destino – in qualcosa di scritto ma che può essere cambiato. La puoi chiamare casualità, la scelta dell’ennesima nottata uggiosa per poter raccogliere tra le mani poste a conca la quantità d’acqua indispensabile per poter vedere il tuo vecchio riflesso tra le dita? L’aveva legato al mignolo, così come si fa con le cose da non dimenticare: si dà un colore al nastro, lo si avvolge intorno al dito per non dimenticare – a costo di lasciare il corso del sangue in procinto di fermarsi, a costo di ostruirne le arterie. Se ne sarebbe ricordata. Ecco, è un po’ così che funziona quello in cui crede – l’unmei no akai ito, il filo rosso del destino che lega due persone indipendentemente dalla loro volontà o dalla distanza. Chiamala rassicurazione, chiamala promessa… chiamala dannazione, che differenza c’è? L’ennesimo sospiro calca l’etere, pesante, forse un po’ troppo per il suo essere estremamente leggera nell’apparire – dopo tutto questo tempo. E sempre dopo tutto questo tempo, dopo tutte le pagine dei libri letti non è riuscita a trovare – nemmeno tra le righe – una sola espressione che potesse adattarsi alla situazione, una sola che potesse aiutarla ad affrontare quello che prima o poi si sarebbe presentato al suo cospetto come se nulla fosse. Questo sì, l’aveva previsto: incapace di accantonare anche la minima piccolezza in un angolo, ancora incapace di non costruire un’idea che si rivelerà poco fallibile – incapace, ancora una volta, di trovarsi succube di uno sguardo e riuscire ad esternare un sentimento in più. Ancora, dopo tutti questi anni, incapace di accettare legami ed affetti, forse peggio di prima o semplicemente più riservata. Sarebbe sbagliato pensare che, in tutto questo, sia semplicemente incapace di accettare così tanta… come la chiamava suo padre? In quello stesso Dojo c’era una poesia, ma suo padre ha cancellato le uniche parole di cui era composta. Non si può leggere la mancanza – solo avvertirla. Mancanza. Si chiama mancanza. E lo guarda con lo stesso sapore amaro della mancanza, neanche riuscisse ad infilargli tra le labbra l’amarognolo che le scivola in gola, quello di un grumo di saliva deglutito a forza e di un sospiro mezzo smorzato dalla precipitosità paradossalmente lenta degli eventi. E adesso, cosa pretendi che faccia? Che rimanga lì a guardarti, fantasticando sulla provenienza dei tuoi vestiti fingendo di immaginare il paese dal quale provengano? Come rispondere davanti ad un viso che vorresti martoriare e allo stesso tempo accarezzare? Che coraggio. Che faccia tosta. Che < Che non si dica che i figli di Konoha siano inospitali.> e troverai, come se nulla fosse, sul suo viso un mezzo sorriso incapace d’esprimersi del tutto – non ha ancora imparato a sorridere, come anni fa. Nonostante il tempo, la vedi quasi come allora: persino quel piccolo neo all’altezza dello zigomo destro presenzia, quasi invisibile, a fronte di una corporatura meno acerba e sicuramente matura rispetto ai tempi trascorsi. Di lui, invece, che cosa può dire? Il samsara, del resto, è fisso – immutabile nel suo essere mutevole. Gli dà le spalle, ora, quasi a suggerirgli di seguirla mentre il passo prende luogo sul legno del pavimento in procinto di raggiungere una stanza: fin troppe per una persona che vive da sola. La ritrova quasi come normalità la moltitudine di domande che potrebbe fargli e l’incapacità di esprimerne anche solo una. Inspira ancora, mordendosi la lingua – un po’ per frustrazione, un po’ per non dargliela vinta. < Alla fine, sei tornato > principia, facendo scorrere la porta verso destra < da me.> sembra quasi sottolinearlo, soltanto in seguito. Lo sapeva. Sapeva saresti tornato. < Perché?> gliel’aveva detto. Ma non gli ha mai detto il perché l’avrebbe fatto.

21:34 Kioku:
  [Casa Hana] La pioggia scurisce maggiormente quel cielo, eppure pulisce da ombre e nubi nel susseguirsi delle ore, regalando a coloro che vivono nella notte forse il più bel cielo stellato che mai si possa vedere. Ma ora vi è solo e ancora pioggia, inesorabile, quella pioggia che tanto ha osato toccare il Rikudo Sennin, bagnando le sue vesti ora alquanto umide, arriverà il giorno in cui nemmeno la pioggia si permetterà di sfiorarlo, ma quel giorno è ancora lontano. Il suo sguardo punta nel profondo dei di lei occhi, come se volesse cogliere qualche emozione o reazione, eppur nulla si muove, solo quella mera esclamazione, spezzerebbe il picchiettare della pioggia e quel silenzio pesante…un silenzio che pesa da 3 anni. Abbozzerebbe una smorfia rispondendo di rimando…<non ne avevo dubbi> il suo tono è arrogante quasi a sottolineare che in ogni caso si sarebbe giocato la carta dell’ospitalità resa ad un povero vagabondo, impossibile da rifiutare, eppure in cuor suo sapeva che in goni caso sarebbe stato accolto dalla ragazza. Il movimento di lei, lo indurrebbe, ovviamente, a seguire la sinuosa figura d’innanzi a se farsi strada per la casa e dunque mostrargli la via da seguire, nuove parole sopraggiungerebbero, domande che certamente si stava aspettando, forse non con lo stesso lessico, ma qualcosa di simile, parole che troveranno risposta a breve. Un silenzio a seguito delle domande poste da Hana poc’anzi, piomberebbe in quel breve tragitto…pathos volutamente creato? Forse semplicemente una pausa in cui ponderar con giudizio le parole da usare…<il perché?> andrebbe a sottolineare…<è forse così importante sapere il perché sia tornato da te?> marcando quella parola finale, potrebbe sembrare un modo per sviare argomenti o non dover dare una risposta. A quella domanda però, seguirebbero parole, scivolare dalle labbra del Possessore del Rinnegan, non dare dunque tempo e spazio alla ragazza di ribattere affinché ella possa dunque accogliere ogni sua sillaba e parola, comprendere dunque il perché…<la tua fiamma> andrebbe quasi a sussurrare, avvicinandosi con una certa agilità dietro di lei, respiro mortale, avvolgere il collo di lei, parole cingerle collo ed orecchie, insinuarsi nella mente di lei…un sussurro freddo come il più gelido dei mari, ma calmo come il migliore dei mari….<te lo spiegai tempo fa…la tua fiamma> andrebbe a ripetersi….un discorso che fecero tempo orsono in quella famosa grotta <non importa cosa accadrà ne quanto tempo o spazio ci terrà lontani> alcuni attimi di pausa prima di concludere….< finché la tua fiamma arderà io tornerò sempre da te> marcando nuovamente quell’ultima parola. Senza contare che in questi anni passati la sua fiamma è cresciuta più che mai e i violacei occhi attivi e risvegliati, lo percepiscono, percepiscono l’essenza che la compone così come l’energia che l’avvolge. Prenderebbe ora distanza nuovamente a seguito delle sue parole, se non accadesse altro, prendendo così distanza da lei, lasciando che il suo respiro abbandoni il collo di lei, come sciarpa slegata, accarezzare la di lei pelle e scivolare via, affinché continui a guidarlo nel tragitto da lei designato. [equip arabian mode: ON] [equip: http://1.bp.blogspot.com/-jnolJHLei-M/VTX2PA9cRWI/AAAAAAAAAGo/FghZTm1QrUM/s1600/Sasuke_-_The_Last.png] [rinnegan on]

22:09 Hana:
  [Casa Hana] L’ha lasciata – e questo è quanto. L’ha lasciata con un grumo di sentimenti inespressi che hanno trovato solo il tempo di legarsi intorno al collo un cappio, morire strozzati e reclusi, repressi dentro di sé. Lei che tra tutte ha trovato l’espressione dell’emozione come la tecnica più difficile da eseguire, non ha potuto far altro che chiudersi in quelle quattro mura d’apatia in cui per tre anni avaramente ha tenuto per sé ogni forma di gioia o sofferenza ingente dispensando il proprio interesse su poche persone – ridotte a due – e troppi oggetti inanimati. Un muro di scartoffie, pagine, righe – nero che imbratta il bianco. Tre anni di parole non dette. Tre anni fatti d’un nome, uno solo, che non avrebbe voluto sentir pronunciare in nessuna circostanza per non poter conficcare un kunai nel muro e scatenare il putiferio che una come lei, troppo mite – troppo nel mezzo, non avrebbe mai potuto compiere. Tre anni fatti di tutto e niente, e quasi risulta raccapricciata dal modo che ha lui di presentarsi lì, come se nulla fosse e come gli eventi improvvisi, come se il tempo non fosse stato già bastardo di suo. Le è sempre bastato anche solo chiudere gli occhi e ricordarlo, per un secondo, per disgustarsi da sola. Perché, poi, disgusto? Forse per la debolezza d’essersi ancorata ad una promessa – così come gli stupidi mortali fanno. S’illudono, così come Ryu Hyuga e Harumi Senjuu hanno saputo fare prima di separarsi. E poi? Gliel’hanno detto: il cuore muore, di morte lenta. Perde le foglie, come gli alberi d’autunno. Quanti petali dovrà ancora strappare per non essere più disgustata dalla sua… debolezza? < Tch.> digrigna appena i denti, socchiudendo le palpebre e sottraendosi dal suo sguardo – tanto le basta per voltarsi, dargli le spalle e regalargli il ricordo della propria schiena da seguire. Una sfilata tra le stanze che seguono, il profilo di una di queste la inquieta tanto da spingerla a chiudere la porta e precludere l’accesso – un piccolo studio inondato dalle scartoffie, libri a non finire e… ritratti. Disegni. Paesaggi. Persone. Tutto ciò che tra la mente può racchiudere e che le mani possono mostrare. L’hai lasciata con un paio di emozioni sciorinate da te, quella notte. Pioveva, come adesso. Per tre anni, allora, uccidendo man mano ogni emozione inespressa non ha fatto altro che disegnarle: e a calcare il tuo volto nei ricordi, non è riuscita quasi a disegnarlo con le mani – a riportarlo qui. Se c’è una cosa che di fatto non ha mai visto in lei, è il timore – la paura, la codardia, l’occhiata riverenziale che vien rivolta a chi giace a gradini e gradini troppo alti, così alti da non poter essere visti. Così alti che persino il sole t’abbaglia. A fronte della kunoichi, ogni presunzione decade – ogni uomo che si professi Dio è libero di essere tale. Con gli altri. Non con lei. E’ forse così importante sapere il perché? Arresta il proprio passo sull’uscio di una stanza < Non chiedo mai le cose che non m’interessano.> sì, lo è. E’ importante. E’ sempre stata così: diretta, concisa, incapace di chiedere quando qualcosa non è importante. E allo stesso modo le è bastato poco per capire che in ogni sua parola vi è una verità da scarnificare, un interesse – a tratti antropologico – che porta il Sennin a chiudere se davvero ci sia qualcosa d’importante. Un modo, come un altro, per esaminarla ancora? Non le è bastato questo tempo fatto di mine disseminato in un campo d’attesa? Entra nella stanza ma, spedita – diretta – raggiunge il centro di quest’ultima. La composizione di tatami non varia, l’aroma di sandalo – a causa dell’incenso – raggiunge anche quelle quattro mura di legno fatte di paraventi fini dai disegni epici. Un grosso ventaglio è affisso alla parete, vicino un semplice arazzo dei tempi che furono e che raffigura un pino che dà la vista su una Konoha di qualche decennio fa. Un tavolo basso, relativamente piccolo, ospita qualche tazzina ed una teiera con due sedute fatte di cuscini l’una opposta all’altro. Un piccolo scrittoio, distante ma vicino alla vetrata che separa la stanza dalla veranda esterna, ospita le schede del classico gioco del mah jong. Vicino questa, una clessidra. La guarda, facendone l’oggetto della propria attenzione: una clessidra, per non guardare lui che permane alle sue spalle. Inspira, mordicchiando a tratti il labbro inferiore. Perché riesce a smorzare quel grumo di nervosismo che lei non tende a dimostrare? Sa toccare punti nevralgici che giocano su risentimenti – questo glielo deve. S’avvicina allo scrittoio, ringraziando i Kami siano state solo le parole a lambirle la gola per farla sentire soffocare. Allunga la destra in direzione della clessidra. < Nh, ti piacciono ancora i giochi, Akendo?> che razza di domanda è? Si volta appena, gli dona il profilo – uno nuovo, che probabilmente ancora non avrà visto. No – non ha voglia di giocare a Mah Jong ora, eppure capovolge la clessidra. < L’ultima volta sei stato tu a darmi una scadenza.> un tempo che tra l’altro risultò scaduto ma che per mia volontà e per tua indulgenza riuscii a deviare. < Questa clessidra copre un arco temporale di circa dodici ore.> una notte, in pratica. E forse anche un quarto di mattina. < Questo è il tempo che ci è dato per capire cosa farne di noi.> possiamo chiamarlo “noi”, tanto per cominciare? Ora – visto che la partita è stata avviata, lasciami la prima mossa. S’allontana appena dalla clessidra, raggiungendo la veranda. In prossimità di quest’ultima, raccoglierà su di un piccolo rilievo una ciotola che ospita un bonsai e che sottoporrà alla sua attenzione. < Ti piace? Viene da Kusa.> eviterà di spiegargli l’etimologia della parola bonsai, ovviamente. < Bisogna annaffiarlo una volta ogni tre giorni circa, ma se la terra s’asciuga prima bisogna inumidirla. Va tenuto per i due quarti alla luce del sole, di modo che possa fare la fotosintesi.> s’avvicinerebbe a lui, lentamente, senza nemmeno temere una sua reazione stranita – non è mai stata da leggere, lei. Tiene la ciotola all’altezza del proprio petto, raggiungendo quasi quello altrui. < Mi sai dire cosa succede se, malauguratamente, questo bonsai non venisse innaffiato? Se, per dimenticanza, venisse dimenticato al sole?>

23:19 Kioku:
  [Casa Hana] E’ vero tre anni sono passati dall’ultima volta che la pioggia aveva avuto il piacere della loro presenza assieme e che nuovamente si ripropone come sfondo di questo loro nuovo incontro. Tre anni sono passati e forse è proprio per questo che il comportamento di Akendo risulterebbe molto sciolto, come se non fosse passato che un giorno, poiché non sempre il tempo viene concepito alla stessa maniera eppure, che tu sia un dio o un semplice umano, comprendere è semplice quanto il tempo sia decisivo e che valore abbia nelle vita di ognuno di noi. E forse così egoistico e arrogante non preoccuparsene? Cosa accadrebbe se nessuno si curasse più del tempo stesso? Egli geloso ed infantile scorrerebbe due o tre volte più veloce? E Se questo non bastasse allora forse non vi sarebbe una reale liberta? Liberi dal vincolo del tempo stesso. Eppure vi è chi pensa che il tempo limitato stesso aiuti le persone ad apprezzare ogni momento, ogni istante come se fosse unico, irripetibile, ricordo immortale che mai più accadrà e per questo appagante in ogni momento, pregno di soddisfazione. Ognuno come già detto ha un suo modo di vedere le cose e in particolare di percepirle, per Akendo è così, il tempo è alleato, nemico, compagno, infido, rassicurante, certo, traditore…tutto e niente. La voce della giovane Hyuga lo richiamerebbe sul mondo terreno, distogliendolo da tali pensieri, non ricevendo risposta alle parole da lui proferite, farebbe spallucce, senza preoccuparsene troppo, continuando a seguirla lungo il tragitto, arrestando il suo passo al pari del suo, attendendo qualche secondo prima di entrare. Una stanza piuttosto semplice, se non per l’odore che li circonda, l’arazzo al muro di ottima fattura e tutti i ninnoli e oggettistica varia, necessari e non per poterla chiamare stanza, ciò che più catturerebbe la sua attenzione sarebbe le di lei parole, raggiungerlo e forzare il suo volto a puntare sulla ragazza, ascoltando ogni singola parola e annuendo alla sua domanda alquanto strana, aspettandosi di tutto, rimarrebbe sorpreso nel constatare che di un gioco pur sempre si parla, ma non uno convenzionale, un gioco di quelli a cui Akendo piace tanto…ma tanto. Darebbe dunque tutto lo spazio necessario affinché ella possa spiegarsi nella maniera più chiara, parole fluire dalle labbra di lei e raggiungere il Rikudo Sennin attento e affascinato da quella pianta, raramente vista e mai soffermatovisi sopra per più di qualche attimo e quindi mai contemplata, stando alle parole di Hana e alla sua domanda, avrebbe dunque ora qualche attimo per poter saggiare la bellezza di tale pianta, spostando poi l’attenzione sulla domanda da ella posta, cercando parole e prendendo respiro, affinché quelle labbra si schiudano per poter dare una risposta. Qualche attimo di silenzio, prima che la voce di Akendo non rompa quel piacevole picchiettio della pioggia ben udibile…<è una pianta bellissima ora che posso passare più di qualche istante ad osservarla, coglierne i più minuziosi particolari, saggiare le sue caratteristiche> la domanda successiva dunque porterebbe il Rikudo Sennin a spostare lo sguardo su di lei….<nel peggiore dei casi, lentamente rinsecchirebbe, morente fino all’ultimo giorno, abbandonerebbe lentamente ogni petalo, fino a divenirne spoglia, fredda, involucro della bellezza che era un tempo…morendo infine> un sospiro capendo bene dove possa voler finire al discussione, ma prima ch’ella possa riprendere parola, come nei più rischiosi giochi di strategia, a volte il contrattacco è una possibile difesa…<però sai> il tono di voce cambierebbe, quel tanto che basti per essere notato dalla ragazza, un tono meno freddo, un tono vivo, pregno di vita!! <durante il mio lungo viaggio nei paesi più orientali, ho avuto modo di scoprire cose che prima non avrei nemmeno immaginato, ho visto cose incredibile e una di queste è proprio una pianta> qualche attimo di pausa, mentre si porterebbe avanti, lasciando quindi stare la pianta di kusa e lasciando che le labbra si schiudano nuovamente, così che novelle parole possano raggiungere la fanciulla Hyuga….<ella nasce e vive nel deserto, sotto il sole cocente ed il periodo più arido possibile> la mente del Seiun prenderebbe a viaggiare mentre favellerebbe tale scoperta di questa pianta…<eppur non soffre, la sua energia, la sua volontà è così forte da resistere al bisogno più primitivo di ogni creatura o pianta, nutrirsi> arresterebbe dunque il suo vociare, come se non volesse aggiungere altro in quel momento. Del silenzio tornerebbe al calar dell’ultima parola pronunciata dal Seiun…<Ho visto, scoperto e sentito, cose incredibili> si pronuncerebbe nuovamente…<vorrei potertele raccontare, narrarti del mio viaggio e di ciò che ho visto> una cosa che di rado capiterebbe, perché ami condividere un sapere proprio? Ma Akendo non è mai stato egoistico su questo punto, seppur pensi in primis che una delle forme più pure di potere sia proprio il sapere, la conoscenza del mondo che ci circonda. Il rinnegan attivo, penetrare lo sguardo di lei, trascendere ogni cosa ed osservare il suo chakra, la sua essenza…la sua fiamma. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

23:45 Hana:
  [Casa Hana] Ah, sì. Vero. Si usa così. Il contrattacco. A passare troppo tempo con se stessi, si rischia col non aver nessun altro metro di misurazione: a giocare solitari, si rischia di diventare prevedibili con se stessi e non riuscire a calcolare gli altri. E ora, che dopo tanto tempo riesce a non ascoltare più il soliloquio della propria voce in quella casa troppo grande, troppo buia, ci riscopre un certo piacere misto alla sensazione di stranezza che la spoglia, divorandola lentamente. Batte le palpebre lasciandosi immergere da un fiume di parole che forse, tempo addietro, mai avrebbero potuto farla annegare e che adesso – lentamente – la sommergono. Che sia davvero cambiato, lui? Lui che alla fin fine vuol sotterrare l’ascia di un’eventuale guerra dettata dalla mancanza e che non può far altro che rimarcare come una rosa del deserto possa sopravvivere ai climi aridi. Le verrebbe quasi da sorridere per le sue parole, così come potrebbe sorridere chi ne sa una più del diavolo: gli lascia l’agio di parlare per il semplice fatto d’aver preso per sé il permesso di richiudere quel discorso fatto di fuoco e fiamme che ardono, chiamalo pure egoismo. E’ qualcosa che tiene stretto a sè, come un ricordo, e non lascerà che l’eventualità di questa serata ne deturpi il ricordo così come non ti permetterà di far leva su qualcosa di passato per costringerla a rigettarsi nel pozzo nero dei dubbi rinnegati. < Come potrebbe, una pianta nata sotto il sole cocente, morire per il caldo?> il suo contrattacco non ha fatto altro che porgere le sue mani verso di lei invitandola a legargliele con una facilità inaudita < E’ abituata, resisterà. Ed è esattamente di questo che si nutrono gli umani. Di abitudini. Di speranze. Se continui ad innaffiare una pianta una volta ogni tre giorni e poi, piano piano, smetti di farlo, allora la vedrai morire. Perché lei hai tolto un’abitudine. Se dai una speranza ad un essere umano e continui ad alimentarla, quando non lo farai più allora … > morirà. < Se tu avessi provato a recidere quella pianta dal deserto, portandola a Konoha, non sarebbe successo forse lo stesso?> una domanda retorica che non necessita di una risposta: è come se alla fine, sempre per quella dannata abitudine del “far da sola”, fosse riuscita a ricostruire un puzzle dandosi tutte le risponde. Abitudine, anche questa, quella di non chiedere a nessuno e farsi la propria idea poiché per troppo tempo è stata invitata al silenzio e alla curiosità repressa. Ciò che non declina, tuttavia, è la richiesta che le pone: sottile, s’insinua a stuzzicarne la curiosità ma a tratti sembra in difficoltà nello scalfire la calma che sa iniettare con un solo sguardo. Depone il bonsai sul tavolo, dove vi è anche la stessa clessidra < Quei granelli sono tuoi, puoi decidere come soffiarli.> un modo per dirgli che può tranquillamente sfruttare come meglio vuole il tempo a disposizione per aggiudicarsi lo scacco matto e chiudere la partita, ammesso e concesso ci riesca. Gli dà di nuovo le spalle, questa volta per scostare la porta sottile di legno e carta che la separa dall’esterno. Apre, lasciando che la stanza s’imbratti di frescura, fuoriuscendo. All’esterno, l’engawa di legno è coperto da un soppalco del medesimo materiale e ospita – appeso al soffitto – una sorta di dondolo, un’amaca imbottita, circolare e capace di sorreggere cuscini e guanciali senza problemi. < Siedi con me.> pigolerebbe, osservandolo da lì manco attendesse sia lui ad avvicinarsi o addirittura aiutarla a risalire sul medesimo supporto – cosa che, alla fine, potrà fare anche tranquillamente da sola issandosi al di sopra di quest’ultima.

00:11 Kioku:
  [Casa Hana] Nel silenzio dell’attesa, la mente del Rikudo Sennin spazierebbe fino ai lidi più lontani, terre remote visitate e altro ancora, poiché ancora inebriato dal profumo del loro vento, della loro aria, incredulo di ciò che ha visto, triste poiché insoddisfatto di quel poco che ha appresso a confronto con l’immensità che vi era. Per quanto possa sembrare paradossale, quei tre anni sono stati un tempo limite, assai breve per soddisfare la mente del Seiun, ma questioni urgenti e lasciate in sospeso lo hanno richiamato dove tutto ha avuto inizio, nascita e avvenimento. La voce d’ella ridesterebbe nuovamente la sua attenzione, svegliandolo da quel torpore mentale in cui era sprofondato, dando così ascolto a quelle parole, trattenendo a stento una smorfia divertita, mantenendo comunque il suo solito e rilassato viso, lasciando che le parole termino, pronunciandosi solo sull’affermazione dei granelli…<non ti preoccupare, vedrò che farmene se mi servissero> poiché qualsiasi gioco tu voglia instaurare con il Rikudo Sennin, che tu lo voglia accettare o meno, colui che decretare in ogni caso se la partita finisce o meno sarà sempre lui. Accettando con un cenno del capo l’invito ad uscire, coglierebbe dunque l’occasione di quei pochi passi per dare di rimando risposta alla sua prima frase, inerenti alle piante e tutte le allegorie possibili, poiché vi è sembra una risposta celata, così come ogni verità…<l’abitudine e la speranza, non sono che illusioni create dall’uomo, debolezze e nulla più> qualche attimo di pausa per poi continuare…<solo uno sciocco si nutrirebbe di debolezze> seguendola dunque fino a fuori, accettando così l’invito a salire sul dondolo, terminerebbe dicendole….<ma si sa che gli umani sono avvezzi a questo pensiero> cercando un nuovo contatto con gli sguardi, non che lo faccia apposta, una caratteristica di Akendo, come tante altre del resto. Raggiunta la di lei figura e accomodatosi al suo posto, lascerebbe che il silenzio sovrasti ora ogni cosa, dandole modo di chiedere se vorrà, poiché per quanto gli piaccia parlare e dilettarsi in complicati racconti e metafore, il Rikudo Sennin non è nato narratore di novelle e probabilmente mai lo sarà…<hai forse qualche richiesta o domanda?> vocerebbe semplicemente, spostando poi lo sguardo verso l’esterno, spezzando così la connessione tra i loro sguardi e focalizzandosi sulla pioggia, il lento picchiettio, rilassante eppur incessante, forse fastidioso in alcuni casi. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

00:29 Hana:
  [Casa Hana] Come sentirsi derubare in casa propria e non poter far nulla per evitarlo. Abitudine, speranza e debolezza che vanno a braccetto – sembra di sentire suo padre. < Nh.> corruga appena la fronte in un fastidio appena palpabile. A scrostare tutta la sporcizia, tra le sue parole ci riscopre un fondo di verità non indifferente – ed è questo il punto. E’ per questo che, anche se non sembra, è così frustrata nei suoi riguardi. Il suo essere debole che la irrita, il suo sentirsi dominata dalla consapevolezza che sarebbe tornata da lei: perché nutrire una speranza che avrebbe potuto spazzare facilmente? E a darle il colpo di grazia, la consapevolezza che tutto ciò non fosse altro che un’illusione creata dalla propria mente: quella d’attenderlo, quella di sentirsi patetica nel rivangare piccoli avvenimenti passati, quella di trovare poi irritante il suo nome ogni giorno che passa intriso della sua assenza. E, a troneggiare su tutte, la consapevolezza d’essere la sola ad averlo pensato. < Ne parli come se tu ne fossi immune.> all’abitudine e alla speranza. E forse è così. Ma a lei, quel giorno, è bastato così poco per vedere i tuoi occhi diversi che ora sarebbe spinta solo a stuzzicarti per rivederli. < E invece, sei più umano di quanto tu non possa credere.> Raggiunge la morbidezza dei cuscini dell’amaca, la schiena trova ristoro su quest’ultimi e le gambe vengono inclinate appena lateralmente – seduta e adagiata lì, nel soffice, stringendosi nell’haori a mezzo busto che ne copre e involve le carni. < Sai, ci ho pensato.> principia, senza fretta < Se tu non avessi avuto questi occhi, ti avrei additato semplicemente come un egocentrico che crede di poter fare più di quanto gli è concesso. Se non fossi stata così…> “nel mezzo” < ti avrei trovato irritante. Snervante. Ti avrei odiato.> per quanto l’odio sia una parola troppo grossa, proprio per lei che non è abituata a sbilanciarsi. Ma poi è subentrato quel famoso pallino per la storia, la fissazione, il suo essere “maniaca dell’ordine” ed è per questo che < Ora, invece, penso d’aver compreso. E me ne sono fatta una ragione, anche per la tua assenza.> come se vivere in un ciclo di dolore infinito possa essere una scusa valida per giustificare le tue mancanze. Non è questa, forse, la pena che si prova per qualcuno? Sprofonda nuovamente tra i cuscini, incapace però di concedergli lo sguardo – di fatto, anche nel cercarlo, troverà la siccità. Non un’occhiata. < Mhn.> una richiesta, una domanda? Non propriamente, tuttavia… < Parlami di cosa ti ha spinto a tutta quest’assenza. Parlami di chi hai incontrato, chi è stato con te, e chi non c’è stato.>

01:09 Kioku:
  [Casa Hana] Ora che tutti e due possono godersi il conforto della struttura adibita ai lunghi pomeriggi passati nella contemplazione e rilassamento della mente più totale, le orecchie del Rikudo Sennin sarebbero esclusiva della ragazza, ascoltando ogni singola sillaba e parola da lei vociate, interessato più che mai dal suo punto di vista, divertito da come ribatta e cerchi qualcosa di analogamente opposto al pensiero suo, di come combatta e cerchi risposta, uno dei motivi che lo hanno spinto ad incontrarla una seconda volta e a tornare da lei in questa notte, dopo lunghi anni di separazione. Prima ch’ella possa dar risposta alla domanda posta dal Seiun, schiuderebbe nuovamente le labbra…<umano dici?> d’un tratto senza un perché o un motivo, lentamente il suo busto si piegherebbe, accasciandosi sempre più verso la figura di Hana, cadendo lentamente sul ventre di lei con il capo…<a volte, è bello sentirsi umano, riallacciarsi per qualche istante al ricordo di quello che si è stati, di quello che si era> contemporaneamente, si sistemerebbe con tutta calma, se ella lo permettesse nonostante l’improvvisa decisione di agire in tal modo, portando la lunga criniera ad adagiarsi lungo le gambe di lei, mentre il volto, rivolto verso il viso di lei, mentre le palpebre lentamente si socchiuderebbero, rilassando così per un po’ il Rinnegan, pur rimanendo attivo….<questi occhi?> quasi scoppierebbe in una risata, isterica a tratti…<sono un qualcosa che non augurerei a nessuno> una maledizione per certi versi, accettare ogni male e bene del mondo, accettare il mondo stesso e la sua natura, venire a patti con ogni forma e frammento del proprio essere, unirlo ed infine…accettarlo, comprenderlo, amarlo e ripudiarlo al tempo stesso, divenire un qualcosa di unico e al tempo stesso unito alla terra, suo schiavo, piegato alle leggi che governano il mondo, figlio e schiavo allo stesso tempo, amato ed odiato dalla stessa madre terra, abominio concepito per sanare e distruggere, nato dall’amore e dall’odio…qualcosa di indefinito e al tempo stesso unico nel suo genere. Un sospiro, mentre il calore di esso raggiungerebbe Hana…<sono molto stanco Hana> mentalmente ovviamente, di certo non fisicamente, il suo tono di voce parrebbe tutto tranne che freddo e distaccato come suo solito…<hai mai dormito veramente?> Una domanda di certo strana, non per lui ovviamente, il cui sonno e paragonabile al mero socchiudere gli occhi di una qualsiasi persone, quando magari i raggi del sole si scontrano con la sua iride ed in un gesto di ripudio di tale amore, coprirsi socchiudendo le palpebre…ecco…questo è ciò che significa dormire per Akendo, connesso per sempre alla natura e terra, percependo ogni irregolarità, sofferenza, paura e rabbia che prova, non vi è sorpresa nel constatare come i precedenti possessori persero il senno, cercando una soluzione drastica per far cessare tal delirio, fallendo irrimediabilmente, se non altro questo non è il caso del Rikudo Sennin…mera coincidenza, casualità o fortuna, susseguirsi di eventi che lo hanno portato a comprendere cosa realmente sia questo potere e cosa vi sia dietro a tutto. Ma ciò di certo non deve interessare Hana e men che meno coinvolgere la sua mente…<io purtroppo non posso ritenermi così fortunato dal poter riposare, se non socchiudere gli occhi, attenuare ogni cosa e rilassarmi per quel che posso> al susseguirsi delle di lei parole, abbozzerebbe una smorfia divertita…<probabilmente si, mi avresti odiato, però chissà> andando a fare una piccola pausa…< è ormai un così ricordo sbiadito che non par esser nemmeno più mia quella vita> quell’Akendo Seiun, morto durante l’attacco dell’Akatsuki per proteggere ciò che più gli era caro al mondo, per proteggere i principi in cui credeva, le persone, il proprio credo. Dunque ecco la curiosità principale, la risposta che attendeva alla domanda posta poc’anzi alla giovane Hyuga…un sospiro, chiamando a raccolta ogni parola per formare frasi di senso compiuto ed un discorso che abbia un senso, rimanendo pur sempre con le palpebre socchiuse ed in quella posizione, se ella lo permettesse…<Cercavo risposte ed indicazioni, informazioni ed infine il poter vedere coi miei occhi ciò che è precluso alla maggior parte> tornerebbe così indietro ad ogni avventura e momento passato…<in compagnia di Azrael Nara, sono partito ed in parte ho trovato ciò che cercavo, seppur non avevo tenuto in conto il tempo, siamo rimasti bloccati per molto, forse troppo tempo in alcune circostanze> pausa brusca, come se ricordasse in tal momento, ricordi vividi riemergere, rammentare ciò che è accaduto, ciò che li ha bloccati per mesi se non di più, difficile scordare….<ciò ci ha tenuti lontani ben più di quanto avessi considerato> errori di valutazione? O il semplice volere dei Kami, sottoporli alle prove più intense e al viaggio più assurdo che possa mai esistere. Con un sospiro, ben più profondo, concluderebbe per adesso. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

01:38 Hana:
  [Casa Hana] Non si tratta di negare ogni principio intavolato dall’altro: per certi versi la pensa come lui. Per altri, forse nemmeno se ne accorge, ma effettivamente onde evitare fonte di frustrazione eccessiva troverebbe comunque il pelo nell’uovo. Con lui non c’è mai stata, effettivamente, nessuna barriera che potessero farla sentire troppo distaccata. Non c’è mai stata nessuna formalità, da principio: è sempre stato tutto così strano e paranormale che non riesce a spiegarselo – e questo, ovviamente, non giova alla mente di chi è un maniaco dell’ordine. A pensarci, ora come ora, potrebbe persino additarsi come stupida nell’aver formluato la domanda che ha dato l’input a tutta la discussione: perché è tornato? Lei lo sa. E più parla, più ne è convinta – per quanto lui possa credere che sia stata una sua decisione, lei non può far altro che tirare la corda per tutta la lunghezza del filo rosso che la conduce a lui. E non lo nega che, per curiosità, all’inizio abbia provato a tirarlo così forte per vedere fin quando avrebbe potuto resistere senza spezzarsi: per quanto potesse essere frustrata, abbattuta, amareggiata dal rivedere il suo volto alla fine ha ceduto, debolmente, ad una pacifica rassegnazione. < O di quello che si è ancora. Senza quello che “sei stato” non puoi dire di “essere” quello che “sei oggi”. Noi siamo il frutto di quello che ci è stato fatto.> comprime le labbra senza crucciarsi delle proprie parole, intenta – ora – a seguire con la coda dell’occhio i suoi movimenti fino a vederselo scivolare in grembo. E’ naturale, fisico, per lei tendersi come una corda di violino per l’ennesima volta – se dapprima non avrebbe potuto farci caso o avrebbe potuto evitarlo, ora non può: il suo profumo raggiunge le narici e si fa spazio tra il proprio aroma di freesia e quello del sandalo. Il suo calore pervade e stronca il freddo del momento, facendola quasi avvampare e sgranare le palpebre. Perché, a fronte di tutto, sembra provare ancora imbarazzo? Forse, tra i due, è quella che risulta agli occhi degli altri quella più “intoccabile”. Che ricordi, nessuno s’è mai spinto più di tanto oltre con lei – a stento suo zio. E a lui, invece, concede libertà che non si sognerebbe mai di concedere a qualcuno. Forse perché si sente in colpa. Forse è stata colpa sua, per aver preteso qualcosa l’ultima volta. Glielo deve davvero? Si stringe nelle spalle, senza muoversi – immobile, forse punzecchiata dalla situazione. Abbassa lo sguardo trovando quasi sicurezza nel sol fatto che lui non possa vederla per propria scelta, benchè possa fidarsi sempre meno di qualcuno che, come lei, può vedere *oltre* anche se non abbastanza. < Lo so.> risponde, semplicemente. A differenza di chi può bramare qualcosa, lei ha compreso – neanche lei si augurerebbe una punizione simile. Le mani s’allungano, le dita affusolate ricercano la filigrana dei suoi capelli per toccarla, accarezzargli il capo, stringere tra le dita le ciocche corvine in quel moto lento capace d’intimargli una sorta di nenia. < Forse.> ha mai dormito veramente? Sicuramente “meglio” di lui. Eppure è sempre stata dell’idea che uno shinobi dovesse dormire con un coltello sotto il cuscino. Grandi ninja come il Kage, ad esempio, dovrebbero farlo; ma lei è di tutt’altro stampo, diversa da suo zio fin troppo, e dopo tutti questi anni non ha ancora imparato a non essere diffidente. Così, è diventata gli occhi di suo zio. E’ diventata la sua diffidenza. E’ diventata lo scetticismo e la sfiducia che invece suo zio non elargisce: qualcuno dovrà pur farlo il lavoro sporco. Abbassa di poco il capo, il segno del tempo passato è sancito dalle semplici punte dei suoi capelli – bianche e nere – che raggiungono il volto altrui, cresciute, più lunghe. Ne è passato, sì, di tempo. < Un giorno, non temere > ci rivedremo? < dormiremo. Insieme.> ed è inquietante, davvero, il modo calmo che ha di annunciare la Morte – un sorriso quasi pacato, calmo, capace di iniettare un’endovena di rassicurazione. Un giorno chiuderemo gli occhi, insieme, per sempre – se saprai aspettarmi. Riapre anch’ella le palpebre, inclinando la schiena – curvandola – lasciando che il viso si riduca a tratti ad un palmo da quello altrui, giusto per osservarlo e capire come diamine faccia a creare in lei una dissonanza di questa portata – sull’orlo della rabbia e del piacere nello stesso momento. Arrotola, intorno all’indice destro, una ciocca dei suoi capelli. Azrael Nara? Ahn, sì. Ora ricorda.< Sempre le foglie più alte di Konoha.> sempre queste ti circondano. < E’ una coincidenza?> che siano sempre loro, le tue preferite. E poi c’è lei, già seccata e al suolo, appassita, priva di rilievo. Lo trova strano. < Cos’hai trovato?> e quindi, cosa cercavi? Che tipo di indicazioni? < E come hai trovato me.> non che fosse particolarmente difficile – ma fin dove può arrivare per fare quattro passi verso di lei? < Andrai di nuovo via, lo so.> perché se così non fosse, sarebbe tremendamente facile. Andrebbe via lei, anche solo per la follia di continuare questo gioco. Non siamo adatti alla mobilità, non siamo adatti a stare perennemente in simbiosi – siamo adatti solo all’essere legati nonostante le lunghe distanze. E poi, alla fine < Tornerai da me, vero?> arresta il moto delle mani. < E non usare la scusa della fiamma.> non ne hai bisogno. < Tornerai, anche solo per rompere la cupola che leva ossigeno al mio fuoco. Mi sbaglio?>

01:41 Kioku:
  [Casa Hana] Quella pioggia, accompagna l’intero scenario, creando un incredibile contrasto, tra il calore percepibile vicino a quelle due figure, è l’esterno, freddo, umido...lacrime del cielo bagnare terreno e oggetti, ma loro sembrano essere immuni a quell’inesorabile destino. In un tempo arrestatosi, privo di valore e conseguenze reali, le due figure si scambierebbero parole, il rinnegan ora celato dalle stesse labbra del Rikudo Sennin, posatosi sul grembo della ragazza quasi più per capriccio che per motivi veri e propri..<hmm?> sembrerebbe quasi ridestato all’udir le parole della giovine Hyuga…<vorrei poterla pensare allo stesso modo> già, ma quando vieni privato di tutto ciò che eri affinché tu possa rinascere, affinché tu rinato, possa accogliere ogni dolore, ogni collera che questo mondo prova? Divenire colonna e perno di un mondo che senza di esso sfogherebbe la propria ira sui comuni mortali? Destinato a cedere in un modo o nell’altro, poiché questo è il volere stesso della padrona madre terra…è dunque forse errato il pensiero di Akendo sapendo queste cose? Lo stesso definirsi ancora Seiun, cognome che ormai ha abbandonato e con il quale ormai più non si presenta, è giusto? Cosa effettivamente lo lega a tutto ciò che lo circonda? Questo è l’occhio del Samsara, l’occhio divino…un potere in egual misura al fardello da portare. Non proferirebbe oltre su quell’argomento, lasciando che la ragazza possa parlare liberamente, affinché le di lei parole cadano come cascata sul Rikudo Sennin, il cui sguardo è ancora celato ad Hana, atto a rilassarsi come meglio può in una giornata rugiada…<attenderò> sussurrerebbe, un flebile sussurro nell’aria, rispondendo al futuro sonno eterno che prima o poi li abbraccerà, nulla di più però, prima c’ella ponga la domanda…<Il potere attira potere, è così nella maggior parte dei casi, nel profondo del nostro animo quel potere ci lega inesorabilmente fin dalla nascita, non è un qualcosa che possiamo calcolare, ne controllare> d’altronde è una delle tante frasi di cui abusa maggiormente..<cercavo informazioni riguardanti alcune arti ormai dimenticate> riprenderebbe poco dopo il discorso inerente alla domanda di Hana…<non ho propriamente trovato quello che cercavo, in compenso ho appreso molte altre cose, nuove prospettive, nozioni ed altro> cose che mancano o che sono sconosciute al mondo ninja, insomma non un fallimento su tutta la linea, d’altronde qualcosa ha trovato, eppure, con il senno di poi, facile per chiunque tirare le somme. Il respiro diviene sempre più lento, tra il calore del ventre della giovane Hyuga, il picchiettio della pioggia, l’odore che inebria la mente e pervade il suo corpo, eppur non si addormenta, cosciente ancora, quel tanto che basta per ascoltare le ultime parole di Hana. Una smorfia, divertita, quel che per lo meno sembrerebbe…<una scusa? E’ questo ciò che credi?> riprenderebbe una delle sue parole poc’anzi udite…<perché pensi che io usi proprio questo termine? Davvero credi che quando te ne parli, lo faccia per valorizzarti o semplicemente usare una…scusa?> di certo enigmatico come suo solito eppure nella sua mente tutto appare così chiaro…<è per me quella fiamma Hana> una risposta complicata quanto poco trasparente, eppure in quell’ultimo sussurro appena pronunciato con il tono di voce più flebile che possa esistere, si potrà evincere senza problemi, che tornerà e continuerà a farlo….finché la sua fiamma arderà. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

02:13 Hana:
  [Casa Hana] Quanto può essere inquietante l’armonia che le si cuce addosso, adesso? Quanto può essere fuori luogo quel senso di quiete che prova in sua presenza e allo stesso tempo d’agitazione per esserselo ritrovato in grembo da un momento all’altro? E non lo nega, non può mentire a se stessa, che detesti ed ami allo stesso tempo i suoi modi di fare così invasivi e lontani dalla sua portata. Non giocare – te l’ha detto, giusto l’ultima volta. E invece? Ti ha accolto con uno dei suoi migliori giochi – quello di dare campo libero fino a quando i granelli della clessidra non saranno stati del tutto inghiottiti dalla forza di gravità: implicitamente, fa il suo stesso gioco. Studia le persone ponendole dinanzi ad una scelta del tutto liberale. E questo, a onor del vero, è il modo che ha scelto lui di bruciare i suoi granelli. Inclina di poco il capo verso destro, lasciando che nuova filigrana nera – da sinistra – ricada sul volto, rigando lentamente il proprio viso. Scuce le labbra, dal silenzio ne viene a galla una semplice frase < Sarebbe così un dispiacere.> pensarla come lei. Non perché lo creda sbagliato, anzi, quanto più non sarebbe minimamente solleticata all’idea di qualcuno che possa condividere il suo punto di vista senza argomentarlo. Socchiude anch’ella le palpebre inalando la scia di profumi che la pioggia porta via, trovando nell’oblio del nero donato dalle palpebre un morbido guscio di nulla nel quale trovare ricovero. Attenderà? Quella parola… così… dolce. Stonata, se la si accosta al volto che gli impresta sfumature troppo cruenti. Quel volto che, a fronte di questi anni, ora fa fatica ad accettare ma che si ritrova ad osservare, immaginare, lambire, accarezzare. E le regala a lui, quasi ne sentisse la necessità, tutte le carezze che mai ha ricevuto e che mai ha donato alla stessa maniera: regala a lui gesti di un’accuratezza quasi impressionante, allarmante, meticolosa. Dipinge e sporca il proprio volto con un sorriso quasi sornione, intriso d’amarezza < Oh.> sospira, lasciando che dalle labbra una nuvola di condensa si dissipi < Temo che sarò io a doverlo fare.> ad aspettare. Ad aspettare, per l’eternità. Perché chiunque può dare fine al ciclo samsarico consumando il karma residuo, ma che fine può dare al Samsara chi reincarna il samsara stesso? < Confido, allora, in un’eternità lunga e altre mille di queste lune.> suona letale quanto una minaccia, ha il sapore però della verità per chi come lei vive con un piede nella tradizione. Che sia possibile, per un involucro di carne fallibile come lei, giurare di poter rimanere in vita fino ad allora? T’aspetterà al varco, esattamente come si fa alla fine del tunnel. Ci riscopre un piacevole dejav-vù in quelle parole: ci lega inesorabilmente dalla nascita, non si può calcolare né controllare. Scuote il capo, quasi chiedendosi se fosse riuscito a leggere parte dei suoi pensieri fraintendendone il concetto. < Non è il potere, quello che ci tiene legati.> che tu parli in generale o nel singolo caso, non è quello. Mai poi ne sciorina gli intenti, e addirittura le “arti dimenticate” possono stuzzicare chi è rimasto con la il naso tra i tomi impolverati. Mordicchia il labbro inferiore, sospirando – fuori dalla sua portata, se non ci è riuscito uno come lui.. <Mhn.> comprime le labbra. Il tempo non è qualcosa che le manca, le basta questo per consolarsi. Innalza un sopracciglio, quando man mano e lentamente le punta un coltello alla gola stroncandole il respiro. C-come osa? Una cosa del genere. Un’insinuazione di questa portata. Inspira, strozzata quasi. Sgrana le palpebre, manco qualcuno l’avesse pugnalata alle spalle. Come può esserne così sicuro? Come può dirlo senza un attimo di esitazione? Tempo fa l’ha lasciata con un quesito. Chi credi che io sia? Soltanto una persona sola. E adesso, è lei a chiederle < Chi ti credi di essere, a pensare che ti sia dovuta?> la mia fiamma. L’unica cosa che mi è dovuta. L’unica cosa che è mia. L’unica cosa che posso decidere di far ardere in favore di qualcosa che io scelgo e che non mi è stata imposta. Chi ti credi di essere per poterla fare tua? Piccata nel tono, forse un po’ irritata – le basta poco però per aggrapparsi alla propria lucidità. < Ti saresti lasciato uccidere, quel giorno, da me?> mi ridaresti di nuovo, tra le mani, la spada? Mi intimeresti di nuovo ad ucciderti? In cambio di questa fiamma, continueresti a prenderti gioco di me? Riapre le palpebre abbassando di nuovo il capo. < Forse farei bene a…> pigola, lasciando fluire un filo d’aria dalle labbra direzionato a scalfire quelle altrui, semplicemente col respiro, stuzzicandolo così < soffiarci sopra una volta per tutte. > l’espressione appena sbiadita, inconsistente a tratti. < Una fiamma per quanto può alimentarsi da sola?> per quanto posso essere io l’unica a rimetterci la scottatura?

00:41 Kioku:
  [Casa Hana] Ormai poco s’avvede del tempo, compagno sconosciuto lungo tutto il suo viaggio in compagnia del nuovo membro dell’Akatsuki, troppe cose sono accadute, troppe lune sono passate per poter calcolare o semplicemente dare una misura al tempo passato. La barba incola, il ciclo mangia e dormi, unici metri di paragone per constatare effettivamente quanto tempo potesse essere passato eppure…ove il sol sempre splende il tempo era distorto, lontano dagli schemi conosciuti e gli stessi abitanti di quelle terre avevano un modo completamente diverso di calcolare il tempo, questo ha letteralmente aperto la mente del Seiun oltre il conosciuto, oltre il mondo ninja. Di certo ora come ora, i granelli che fluttuano schiavi della gravità forse sono uno degli ultimi problemi che si pone, stanco di pensare, percepire, dolore, rabbia, paura e quant’altro, troverebbe riposo in quel grembo caldo ed accogliente, poco gli importa ora di ciò che lo circonda, se non fosse per la voce della Hyuga, si scollegherebbe dal mondo, lacerando carne e tempo, divenendo qualcosa di etereo la cui forma, spirito e pensiero sono un tutt’uno, privi di consistenza, privi di una forma delineata e precisa, fluttuando nel mare magnum del piano dimensionale divino. Questa è la mente del possessore del Rinnegan, probabilmente ciò che c’è più di lontano ad una mente umana…<un dispiacere? Probabilmente no> risponderebbe quasi a fatica, come se il risponderle fosse un azione così incredibile da provocare quasi un fiatone, sussulto del respiro, spezzato da uno più profondo, non risponde alle parole successive di Hana, lasciando che la sua voce funga da semplice coperta, al caldo del suo grembo, facendosi cullare da quel suono più che dalle parole. In quel tumulto di parole, sul volto “rilassato” del Rikudo Sennin, si formerebbe una sorta di ruga, volto crucciato all’udir l’affermazione d’ella…<poiché non vi è certezza nella tua frase, il mio unico sapere può derivare solo dalle mie esperienze, di certo ben più mature delle tue che sei ancora giovane> d’altronde nel mondo in cui vivono, raggiungere l’età del Rikudo Sennin equivale ad un titolo, quale il più scaltro o semplicemente il più forte, il resto sono solo chiacchiere, gli stessi predecessori hanno toccato simili anni e altri addirittura superati, per questo riconosciuti come indomiti e temibili ninja, poiché di esperienza è formato l’uomo, al fine di quell’affermazione, tornerebbe a godersi il suo meritato (?) riposo, ovattato dal di lei grembo, incurante di pioggia o altro, ridestandosi di tanto intanto dal profumo e dalla voce di Hana. Sul calar della notte, ove il ciel svotato d’ogni lacrima reclamerebbe a se qualche stella pur d’illuminare la sua stanza, la voce di Hana, sinuosa, reclamerebbe attenzione e spazio dal possessore del Rinnegan, che quasi scocciato, si ridesterebbe…<uccidere?> andrebbe a ripetere, con un filo di voce sul limite del rantolo…<se ci fosse stata una reale possibilità non avrei esitato> non tanto per vittimismo, ne per drammaticità, quanto per constatazione…a volte non si è stanchi di vivere? Guardare il cielo e chiedersi se non vi è altro oltre a questa lurida carcassa di carne destinata prima o poi a decadere? La risposta di Akendo seppur celata è molto semplice, quella notte non ha mai avuto una reale possibilità di morire, fosse bastato una semplice katana probabilmente sarebbe morte tempo orsono, eppure non è stato un gioco ne una prova quanto una curiosità personale, vedere fin dove poteva spingersi la giovane Hyuga, constatare coi propri occhi quanto può ardere quella fiamma in base a determinate situazioni e soprattutto per chi può ardere così immensamente. Quasi rattristato dalle seguente parole di lei, non arresterebbe il suo vociare, come ruscello cerca cascata ove poter sfociare infine nel mare, stessi sono i pensieri del Seiun, trovando in quelle labbra, schiuse nuovamente, il proprio mare…<anche volendo non te lo permetterei mai> riferendosi al soffiar su quell’ardente fiamma….<che sia per egoismo o per altro>….< quella fiamma continuerà ad ardere e non permetterò a nessuno di toccarla> trovando tutti i doppi sensi possibili riferiti alla figura della ragazza oltre che alla fiamma…<poiché io stesso ormai ne dipendo> attimi di pausa per poi concludere dicendo…<ne ho bisogno> il suo solito modo di parlare, enigmatico, poco chiaro, celando ogni possibile senso ed allusione. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

00:08 Hana:
  [Casa] Fermo immagine. La sensazione di grigio che perpetua l’etere, lasciando agli occhi della Hyuga la possibilità di scattare una fotografia mentale: la stabilità, l’immobilità tanto agognata dal classico dei mutamenti. E’ questo l’effetto che sortisce, quello di un attimo che riesce a ricavare più tempo di quanto concesso all’inizio, riesce a scavarsi un proprio varco all’interno dello spazio-tempo riuscendo a far guadagnare al Sennin qualche rantolo in più della propria considerazione. Perché, a fronte di tutto questo tempo, non è cambiato quasi di una virgola? Paragonato alla persona che vedrà tra qualche giorno, si potrebbe dire quasi un paradosso. Come il viaggio abbia modellato l’ex generale anbu è quasi una sorpresa considerando che – ai suoi occhi – il sennin rimane invece lo stesso. Non si trattava, tuttavia, della stessa esperienza? Tra qualche giorno maturerà ancora di più la certezza che – da quel ciclo di eterna sofferenza – lui non ha scampo. E’ un pilastro, immobile e fisso, incapace di essere modellato più di quanto non sia già stata fatto. Incapace di essere crepato, rimane intonso a qualsiasi esperienza eccetto… una. L’unica che ha potuto cogliere sul suo viso come una variante non calcolata, un contatto che sembrava aver fatto breccia nel suo cuore così presto da lasciare la ragazza quasi spiazzata dal sol fatto di esser riuscita a trovare l’unica apertura nella quale insinuarsi. Non ci sorprende – alla fine ella è e rimane acqua, capace di scavarsi la strada e raggiungere un punto se è sul tragitto. E lui, decisamente, è parte del suo viaggio. Rialza di poco gli occhi verso l’alto, umettando le labbra. < O forse sì.> per l’ennesima volta contesta le sue parole, esattamente come lui ha fatto con lei. Riabbassa lo sguardo, assottiglia le palpebre – lo fissa quasi con insistenza, senza tuttavia essere pesante né assillante: ha sempre avuto questo “dono” della leggerezza invidiato dagli altri. < Mi annoiano le persone.> al contrario, le parole che proferisce sono tutt’altro che leggere: non vuol peccare d’arroganza, quanto più giustificarsi anche a se stessa. <Talvolta.> non sempre. Diciamo che in questi tre anni ha potuto constatare sia quanto gli altri possano costituire universi a parte, sia quanto possano essere prevedibili talvolta < Specie quelle che la pensano come me. > aggiunge il dettaglio, nel particolare. < Ben inteso. Mi piace leggerle, esattamente come ogni libro. Ma ci sono libri che, nonostante la terza lettura, vorresti leggere ancora, ancora e ancora.> ti viene fame, vuoi divorarli, li conosci a memoria ma vuoi ancora leggerli. < Sono rari, questi libri.> esattamente come queste persone. < L’unica cosa nella quale le persone differiscono dai libri è che puoi dare alla loro storia un finale del tutto inaspettato, ai tuoi occhi.> ma non a quello del destino. < Ed è per questo che mi piace leggerti.> E sugli anni, quante cose potrebbe dire? Quello del tempo è un argomento assai raro, ma non lo sprecherà – non in questa sede. Sarà l’apertura di un altro discorso, quello che affronterà con Azrael e di cui ora non sembra interessata a sciorinare nulla benchè creda che ognuno senta il tempo che scorre a proprio modo. Ognuno ha gli anni che si sente, ecco. In questo, la stessa Hyuga potrebbe sentirsene quaranta al cospetto dei diciotto che ha adesso – forse quasi diciannove, nemmeno se lo ricorda più. Ma che importanza ha? Nessuna, quando viene intavolato un discorso di gran lunga più lugubre come la morte. Non che senta alitare il tristo sulla propria nuca, ma tanto le basta per sottrarre – dal capo altrui – la presenza delle proprie gambe. Ritira le leve inferiori, accertandosi che sotto il capo altrui ci sia un nuovo cuscino e non più le sue cosce. Si sposta, lateralmente, lasciando che le dita affusolate scivolino via dai suoi capelli ma che – nel compenso – tentino di avvicinarsi al suo collo. Sospingerà il proprio peso sulle ginocchia, ergendo la schiena ma rimanendo seduta ancora per poco: non s’alza da lì, da quel dondolo che oscilla appena ad ogni movimento. Tenta, più semplicemente, di scavalcare con la gamba destra il profilo sinistro altrui e sedersi – a cavalcioni – sul suo ventre, in un gesto di confidenza che a tratti nemmeno le si addice: del resto, è solo colpa sua. E’ colpa della confidenza che le ha dato, dei diritti che involontariamente le ha concesso facendo scivolare verso lei una mole di concessioni che nemmeno si sarebbe aspettata. Non troverebbe impaccio nei propri gesti, ammesso e concesso lui le lasci l’agio di potersi porre a cavalcioni sul suo corpo, lasciando che le sue mani s’avviluppino intorno al collo del sennin. Non è difficile per lei scavare aldilà dei sensi che egli stesso sottende, non è difficile trovare il significato sotto i muri di parole che costruisce. Eppure, per una volta < Dimmelo.> chiaro e tondo, senza tanti fronzoli. Il capo s’abbasserebbe, lentamente, lasciando che la punta dei propri capelli sfiori appena il viso del ragazzo ammesso e concesso le abbia dato la possibilità di arrivare fin lì. < Di cosa hai bisogno?> e lasciamo da parte fiamme, egoismo e qualsiasi altra scusa o barriera. Risparmiamele, per una volta.

01:05 Kioku:
  [Casa] Quanto tempo sia effettivamente passato da quando ha deciso di farle visita, ormai non lo sa più nemmeno lui, cercando ristoro sul grembo caldo della ragazza, ascolterebbe le di lei parole, immerso nei propri pensieri, lascerebbe che le parole di lei, facciano da contorno, le palpebre ancora chiuse, seppur la concentrazione rimane alta, volta a captare qualsiasi suono o rumore. Ascolterebbe ogni sua singola parola, fermo ed immutato nel suo stato, volto a cercare una pace che non troverai mai e che ormai egli stesso non vuole trovare, del resto ha accettato il suo ruolo e non vi è disperazione nell’accettar un onere di tal portata come il peso del mondo. Ma di certo non si è recato qui in questa notte piovana a casa di Hana per parlarle di simil cose, che come per lei, al resto del mondo intero devono rimanere nascoste, probabilmente la cosa migliore che possa esserci, incatenati all’illusione che ciò che gli si pone d’innanzi sia il reale mondo, creato da umani come loro, ignorando ciò che si cela dietro, le catene avvolte attorno al cuore pulsante del mondo. Un sospiro, mugugnerebbe, come a voler rispondere alle parole della giovane Hyuga sulle persone, trovando quasi con fatica poche parole….<ci vorrà un bel po’ di tempo> il tutto ovviamente sussurrato, come se il semplice atto di parlare togliesse tempo e respiro al Rikudo Sennin, parole in risposta all’ultima affermazione di lei, lasciando che il silenzio li circondi nuovamente, che la pioggia picchietti con il solito andamento, creando uno spazio d’armonia e d’odor piovano circondarli, avvolgerli nel caldo sguardo della luna e delle stelle, su quel dondolo che par intoccabile da tempo e spazio. Lascerebbe così a seguito di quelle sue ultime parole, cadere l’argomento riguardante le persone, per il Seiun di poca importanza, d’altronde nella sua immensa arroganza, qualsiasi uomo vivente rimane una nullità d’innanzi a quei viola occhi ora celati dalle proprie palpebre, anime erranti prigioniere di un mondo fittizio creato da loro stessi e per tanto la loro punizione sarà continuare a marcire in eterno su tale mondo, ignari di ciò che realmente li circondi…e dunque…cosa mai potrà interessare ad Akendo delle persone che abitano questo mondo ninja? Tale è il silenzio che lascia al cader dell’ultima sillaba, che par esser risposta più che soddisfacente al quesito appena nato…silenzio spezzato solamente dal movimento d’ella, un nuovo lamento, con conseguente smorfia, al sentir venir meno il caldo grembo di Hana sotto al proprio capo, trovandovi invece un cuscino piuttosto freddo e totalmente diverso da ciò su cui prima posava il proprio capo, eppure, par esservi miglior situazione, lasciando carta bianca alla giovane genin, trovandosela in pochi attimi a cavalcioni sopra. Lentamente la palpebra destra si schiuderebbe, una lentezza quasi innaturale, scorgendo infine il di lei volto…<hmm?> un semplice mugugnare, forse bofonchiare qualcosa d’impreciso, l’incredibile fatica con la quale dovrebbe cercare parole o forse altro, perché non poter rimanere in silenzio? Peccato sarebbe se così fosse, sprecando una situazione che probabilmente non si ripoterà mai più con una tale casualità ed ordine d’eventi…<ciò che mi stai chiedendo> il tono tornerebbe freddo e a tratti spazientito…<ha già avuto risposta> di certo non si nega il piacere di parlare con lei, ma se c’è qualcosa che odia e non sopporta è il doversi ripetere più e più volte a meno che non sia per scelta propria, come in questa stessa situazione, lasciando che la Hyuga si sia messa a cavalcioni sopra di esso. Le labbra del Rikudo Sennin non si fermerebbero a quelle semplici parole, lasciando che novelle parole scivolino via…<la vera domanda che ora mi sorge è….> inarcherebbe leggermente il collo, puntando il proprio sguardo violaceo ora più vivido e intenso che mai…pochi centimetri dal volto di lei, poter sentire respiro ed odore ed ogni altra visuale donatagli dal rinnegan, così come il calore di lei e della sua essenza inebriarlo, la destra sollevarsi lentamente, quella frase in sospesa…quella pausa…durar quasi mille e passa anni, il palmo della destra, posarsi dolcemente sulla guancia rispettiva d’ella, strusciare dolcemente su quella morbida base, sempre più vicino a lei, finché la loro posizione glielo consente…<cos’è che vuoi tu?> ecco la domanda che più interessa ad Akendo, rimasto forse anche troppo a fare il gioco di lei. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

02:08 Hana:
  [Casa] Chiedi tempo a chi, sostanzialmente…. < Ne ho tanto.> così tanto che potrebbe sprecare più di questa notte, potrebbe concederti giornate intere e trascinarti lontano dai tuoi incarichi e dal peso non solo del tuo nome, ma del tuo aspetto e della tua storia. Semplicemente, non troverebbe mai comoda una situazione del genere né tanto meno potrebbe compiere un affronto del genere a cospetto della natura, del destino e del mutamento. < a differenza tua.> si permette d’aggiungere, quasi come un monito – semplicemente il promemoria di una clessidra i cui granelli cadono ancora al suolo, giacendo e perdendosi in ogni sillaba da egli proferita per poter delineare in questo tempo – immobile o meno – cosa “siamo”. Gli uomini impiegano una vita intera a capire cos’è un singolo costrutto di sangue, ossa e carne e lei pretende – in una sola serata e pochi granelli di ore – di comprenderne cosa sono due nello stesso momento. Folle. Eppure, come cera si modella – scivola e si solidifica lì dove pone le sue basi, come radici, si radica sul suo corpo senza risultare tuttavia pesante. Proietta un’ombra capace di divorarlo per intero, ottenebrandogli la vista e coprendo l’unico spiraglio di luce esterna – la luna – opponendosi tra i suoi occhi e l’immago del satellite. Del resto, anche questa sera la luna è a metà: chi meglio di lei – che trova ricovero nel nero e ristagno nel bianco, può eguagliare il mezzo gancio lunare? A distanza di tre anni, forse un grammo d’audacia in più le scorre nelle vene. A distanza di tre anni, c’è stato il tempo a levigarle la mente quanto il corpo facendole assumere connotati meno acerbi dei tempi andati. Le ginocchia affondano ai lati del corpo del sennin, costruendo una prigione intesa solo dalle cosce i cui polpacci scivolano paralleli ai suoi fianchi. La schiena s’inarca leggermente in avanti, mentre lo stomaco sembra ritrarsi all’indietro ogni qualvolta che tenta di respirare. < Ti costa così tanto, ripeterlo?> non che ce ne sia il bisogno, ma talvolta sembra tradursi in necessità < Dirmelo senza tanti fronzoli, senza paragoni e metafore? Dirmi che hai->… come ripeterlo, con che coraggio? < bisogno di me.> nell’effettivo – sì. A chi non costerebbe nulla esternare una cosa del genere? Persino a lei, che esattamente come lui, ha fatto ricorso a metafore e fiamme per portare avanti il discorso le verrebbe difficile farlo diventare scevro di paragoni. Ma dopo così tanto tempo… pensa di meritarselo. E con questa consapevolezza, mordicchia il labbro inferiore – quasi fosse una colpa, un peccato. Le mani, entrambe, si allontano dal collo altrui – nel compenso il volto sembra piegarsi appena verso sinistra quando la mano di Akendo raggiunge la sua guancia. Esattamente come una ladra, come quando fa visita di nascosto a suo cugino per poter vegliare sul suo sonno, si sente scomoda manco avesse rubato un gesto non concesso – e adesso il disagio cresce, la paura di essere scoperta con le mani nel sacco ad assecondare una carezza che alla fine quasi nessuno le ha mai concesso. Che presuntuosa è stata a pretendere di conoscere, più di lui, cosa sono i legami? E dire che a considerazioni e gesti umani e carinerie stanno messi nella stessa maniera, se non lei peggio di lui. La spalla sinistra s’innalza, facendo aderire il palmo maggiormente alla guancia che ora schiaccia il dorso del suo arto lungo il derma e la stoffa dell’haori che riveste il suo corpo. < A volte basta un sì o un no.> a volte è così semplice. La destra alla stessa maniera discende in prossimità del colletto altrui, avvinghiandosi sulla stoffa del mantello che lambisce le sue carni – stringendo il pugno. Non lo pretende – non più. Un uomo che riuscirebbe a mandare all’aria un bastimento intero ma che si trova in difficoltà nel dire una cosa tanto lineare – a tratti è ironico. < Oh, Akendo.> il capo discende esattamente seguendo i suoi movimenti, respirando a tratti i suoi stessi respiri – incamerando la stessa aria, inalando il suo stesso profumo che a fronte di tre anni non è poi così variato < Ci sono così tante cose che mi hanno imposto di dover volere.> Il palmo destro, ora riaperto sul suo corpo, tenterebbe di percepire l’altrui battito cardiaco. < Ci sono così tante cose che ho sempre creduto di volere, da tempo > e per i primi anni della sua vita è stato così: pace, tranquillità, onore e protezione per il proprio paese, per la propria famiglia e per il proprio kage. < E tu non sei mai stato tra queste.> non esplicitamente, almeno. Non fino a qualche anno fa, s’intende. <eppure, ora che…> ora che ci sei. Lo omette, ma è il corso incompiuto di quella frase che ha quasi paura di ammettere a se stessa, tanto da costringersi a deviare. < Ci sono così tante cose che ora voglio, ma che non posso avere né desiderare. Non posso prenderle.> perché < e l’ultima volta che ne ho presa una, è sparita per tre anni.> inspira. < E allora, sono rimasta ad aspettare. Aspettare che venisse a prendersi ciò che io gli ho rubato.>

18:27 Kioku:
  [Casa] Le di lei parole si accompagnano al lento picchiettio della pioggia che lentamente si ritira col passar delle ore, così come il buio, prima pesto ora sempre meno, parole che verrebbe recepite dal Rikudo Sennin, senza perder tempo ribatterebbe con poche e semplici parole…<io ormai da tempo> lenta pausa <non sono più schiavo delle catene del tempo> un sospiro concludendo…<qualunque sia la situazione…qualunque sia il momento> ed effettivamente ora egli non teme ne tempo ne altro, forse l’unico dei favori che la madre terra gli ha fatto dandogli in consegna il potere dell’eremita delle sei vie, parole scelte forse non a caso, notando il senso di quelle della giovane Hyuga, con quelle poche sillabe metterebbe per inciso che qualsiasi sia la situazione egli non è mai sotto al giogo di nessuno se non per volontà propria. Eppure è capace che al finir di quei granelli se ne vada veramente, forse solo per capriccio stesso del vedersi imposto un tempo a lui, che di certo è padrone sulla maggior parte delle cose che al mondo esistono, forse proprio per questo, capriccio o meno, s’imporrebbe delle regole altrimenti dove vi sarebbe il divertimento? Non sembra comunque essere questa la tipica situazione, le parole di lei richiamano l’attenzione del Seiun, che ascolterebbe con attenzione, quasi divertito dall’udir lei di lei parole, trattenendo a stento una smorfia divertita…<saresti realmente soddisfatta se io usassi tali parole a me estranei e di cui mai farei uso? Non sembrerebbe quasi un semplice accontentarti?> certo è che parole tanto chiare quanto esplicite difficilmente poterebbero essere usate, soprattutto da una persona come Akendo…<io parlo così poiché non avrei altri mezzi tramite il quale esprimere ciò che sento realmente e dunque mi ripeto, non è forse più sincera l’unica parola che realmente comprendo?> che sia attraverso metafore o meno il senso è quello e dunque perché dover utilizzare parole a lui estranee e di cui ignora il vero significato? Dirti ho bisogno di te o dirti sei l’unica fiamma che arde, l’unica di cui ho bisogno per vivere…non è forse la stessa cosa? In ogni caso la ragazza gli pone una via di mezzo andando ad esclamare infine un semplice…<si> nulla di più, in risposta alle parole di lei. Ascolterebbe infine le ultime parole di lei, ma poco importa oramai, così vicini dal mischiare i propri respiri, sussurrerebbe semplicemente…<anche io ho aspettato questi tre anni> del resto è vero, come lei ha aspettato di rivederlo lo stesso è stato per il Rikudo Sennin, avventuratosi o meno per propria volontà in un viaggio lontano da lei, ogni giorno era uguale al precedente e al seguente, toccando il celo e rimembrando quei momenti passati da quanto? Un giorno? Un mese? Forse anni? Le dita della destra tenterebbe di levigar la guancia della giovane Hyuga mentre il collo s’inarcherebbe nuovamente, stanco forse delle parole con cui ha descritto ciò che prova…si avvicinerebbe, lentamente o meno che si possa percepire, ricercando le labbra di lei, accompagnato dal profumo e dal di lei respiro, penetrerebbe con il suo violaceo occhio, lo sguardo di lei…ciò che doveva dire l’ha detto, forse anche troppo, sentendosi vuoto…svuotato…stanco, cercando linfa vitale in quell’incontro. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

19:02 Hana:
  [Casa] Schiavitù. Pensa di non averla mai provata sulla propria pelle o, per lo meno, sa di per certo che qualcuno sia riuscito nei suoi intenti – quelli di indorarle la pillola. Così gli ordini sono diventati obiettivi, le imposizioni sono diventati doveri, la schiavitù è diventata lealtà. E’ reduce di un processo di limatura non indifferente, quasi letale se lo si considera nella sua interezza – letale quanto geniale. Pertanto, si ritrova ad obiettare, ancora una volta, remando negativamente rispetto al corso di un fiume il cui senso è stabilito semplicemente dal Sennin < Non è schiavitù.> non quella del tempo. Tutti a parlare di lui come se fosse un tiranno, eppure egli concede la stessa possibilità a tutti per la sua imparzialità, il suo continuare a scorrere. E’ colpa nostra, del nostro modo di prenderlo con le pinze e non definirlo una costante quanto più una variabile < E’ relazione. E’ conseguenza. > questo è il tempo, ora come ora. < E’ dipendenza.> non come una droga, intesi. Così come il fato, il tempo non dipende da te. < Che tu riesca ad eluderlo o meno, sarà sempre lui a vincere. Perché nel momento in cui il tempo passerà per gli altri > e non per te, non con questo viso che – nonostante gli anni è sempre lo stesso, nonostante la storia di secoli e secoli fa si ritrova qui, ancora, immutato a tratti < ti renderai conto che è proprio quello il torto più grande che possa farti.> sottrarti a quei pochi, vanesi, legami. E’ forse questa una delle motivazioni che l’ha spinta a rimanersene sempre sulle sue, in qualsiasi evenienza. E’ questo il motivo per il quale vede di cattivo occhio ogni legame, trovandoli semplicemente un qualcosa capace di indebolirti – la sua stessa parentela è diventata un problema benchè faccia lo sforzo smisurato di non pensarla come tale. Hitomu dice che non è così. Che i legami sono una cosa “splendida” e che un giorno si renderà conto di quanto possano valere. Hitomu sicuramente ci è arrivato prima di lei che ora, si ritrova a farsi così tanto male da stare bene tra le sue braccia. Una sensazione così scomoda con la quale potrebbe e vorrebbe morire, con l’egoismo di chi matura in fretta l’idea di trascinarsi nella tomba ciò da cui non vuole separarsi. Lenta, la mano destra verrebbe smossa soltanto per assecondare l’idea – il desiderio nascente – quella di raggiungere la guancia sinistra altrui ricambiando quella mezza carezza che lui stesso le ha donato, il cui palmo giace ancora sotto la pressione della spalla e della guancia dal derma niveo. Ed è quasi tenera l’idea che ha di lei, ai suoi occhi < E secondo te, dopo tutto questo tempo, sono riuscita ad arrivare così lontano dal peccato di non accontentarmi?> l’hai lasciata con un percorso bianco spianato, come una tra le più pure delle anime aspiranti alla rosa dei santi, ma imperfetta. L’hai ritrovata nella stessa misura, incapace di separarsi dai mortali poiché anch’ella desiderosa nonostante ritrosa nell’ammetterlo – forse, per la prima volta, ammette a se stessa d’essere peccatrice almeno quanto gli altri ed è per questo che non sa accontentarsi. La schiena s’inclina, segue le movenze del corpo che giace sotto di sé adattandosi ad ogni suo singolo respiro, allontanando di poco il proprio palmo dalla sua guancia per poter tentare di porla sui suoi occhi – quasi a spegnerne il viola tenue, a fargli chiudere le palpebre istigandolo al buio fornito dalla mano, come benda, sul suo viso. < Visto, nh?> pigola, privandogli probabilmente la vista di quel solo e singolo accenno di sorriso, ironico, assai raro sul volto. < Non è stato poi così…> inspira, inalando parte del suo aroma < difficile.. > come siero, le sue labbra scivolano sulle proprie ritrovando un morbido ricovero. Il suo gusto, dolce, s’arrampica sul derma e si dirama, levigandone la bocca. Inghiotte l’effluvio del suo sapore, concedendosi lo stesso buio visivo che ha concesso a lui e di cui, qualora fosse riuscita nei suoi intenti, lo libererà a breve lasciando scivolare la mano verso la mascella, accarezzandola e lasciando che sia l’altra mano a raggiungere parte dei suoi capelli stringendoli lentamente tra le dita.

20:10 Kioku:
  [Casa] Le parole di lei scivolerebbero come acqua piovana sul dorso della pelle, non tanto per la poca importanza, quanto per la concentrazione, totalmente dedicata ad altro, lasciando che la sua voce faccia da contorno e lo culli, formando un momento del tutto unico. Nonostante comunque qualcosa ci sia da discutere, ma d’altronde il tempo è viziato quanto clemente e come un bambino dona o meno ciò che vuole, un discorso che potrebbero richiedere anni anche solo per capirvi qualcosa, poco importa al Rikudo Sennin, trovando noioso l’argomento in se e privo di interesse. Ormai così vicini, poco importerebbe del resto, d’altronde per quanto possa essere o sentirsi un dio…perfino tali divinità hanno desideri carnali e come tali carne chiama a se carne e per tanto reagisce, non disdegnando ciò che si trova d’innanzi…cresciuta e ben più matura dell’ultima volta che hanno semplicemente condiviso un letto. D’un tratto i pensieri tornerebbero sulle proprie parole vociate poc’anzi, su come tanto quanto lei lo abbia aspettato, reciproco è stato il sentimento…riflettendo su ciò, comincerebbero a rammentare cosa effettivamente è accaduto lungo l’arco dei tre anni in viaggio, tanto da spingerlo a desiderare un ritorno nelle terre a lui ormai fin troppo conosciute e prive di mistero. Eppure, nonostante l’incredibile disinteresse che ormai prova verso gli umani che lo circondano, per lei vi è ancora attenzione, bisogno e tutto ciò che ne consegue o si vuol chiamare, ma da tali cupi o gioiosi pensieri, al voce d’ella lo ridesterebbe…come tratto per attimi dal sonno, l’attenzione si riporterebbe sulla giovane Hyuga, inebriandosi nuovamente dell’odore della sua pelle, delicata e curata, così come il profumo, perdendovisi quasi come in un labirinto infinto. Un sospiro, quasi come se la vita lo abbandonasse di tanto in tanto prima di schiudere le fredde labbra…<non è mai stato difficile Hana> attimi di silenzio dove lentamente tutto si mischia…sempre più vicini, il mondo stesso perde sempre più importanza, atono…senza colori ne suono, se non quello del respiro di Hana e del suo odore, pervadono mente e corpo del Rikudo Sennin…<dipende solo da come la si vuole vedere> la situazione, è mai stato veramente difficile? Eppure il Rikudo è stato chiaro, se non altro nella sua mente, facendo ordine e scegliendo parole ben specifiche seppur sempre metafore e aforismi si trattassero…quella è la voce più pura che possa esistere del Seiun e con l’inarcarsi del collo cercherebbe conferma in lei e al tempo stesso ne darebbe. Lentamente attimi eterni, le labbra s’incontrerebbero, aderendo lentamente l’una all’altra, trovandovisi come se mai tempo fosse passato, come se destino li unisse, l’altra metà mancante ora ritrovata, la metà perfetta, ricercherebbe lentamente la gemella schiudendo quelle labbra, sempre s’ella si muovesse nello stesso senso, successivamente tentando di intrecciarla con quella d’ella, divenendo un tutt’uno. La mente si abbandonerebbe all’atto di quell’unico gesto, semplice quanto denso di emozioni, carica…tutto svanisce nulla rimane, grattaceli cadono trovando un semplice ed immenso silenzio nella mente del Seiun, trovando realmente pace una volta per tutte……hai mai dormito veramente? Ora forse si…. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

20:41 Hana:
  [Casa] Il caldo è un contagio che si spande a macchia d’olio sul suo corpo, zampillando fino a raggiungere le gote che dal proprio canto a fronte di così tanto tempo risultano ancora poco avvezze ai contatti fisici. Averlo a così poche spanne da sé, centimetri ridotti a millimetri per poi essere divorati, le procura lo stesso colore paonazzo di chi trattiene il fiato per troppo tempo – graduale, macchia il viso e stupra il candido derma, lasciando aloni leggermente più rosei lì dove sembra addirittura bruciare, riducendo in brandelli persino quella fiamma di cui tanto ama parlare. Le basta così poco per sentirsi ribollire, consumata da tutto ciò che le è stato privato e da tutto ciò da cui s’è tenuta alla larga? Accantona i discorsi, chiudendoli a chiave in un baule lontano – non vi è altro, e non le sue labbra e la sua lingua che per la prima volta risulta più chiara di tutte le volte in cui s’è dimenata per esprimersi. Nulla, più del suo silenzio, fu tanto eloquente. Ricambia con una dose di incontrollabile frenesia, la medesima sedata per troppo tempo e che la spinge a precipitare in un bacino di fremiti appena annunciati – gli stessi che la costringono ad essere ebbra di quella sensazione deglutita, insieme alla saliva, nel medesimo istante in cui per breve tempo le labbra sembrano separarsi dalla sua bocca e le mani allontanarsi dai suoi capelli, quasi per sincerarsi – toccando la propria gola – di ciò che la sta inghiottendo < Quest’arsura > è una strana voglia che percepisce scendere sul fondo della gola, depositarsi lì e costringere il corpo a vibrare <… che mi consuma le viscere.> un nodo non in gola, ma all’altezza del ventre che lo sente spandersi assoggettato al proprio respiro prima che l’intero busto possa aderire lungo il torace altrui, adagiando il proprio seno lì dove potrà sincerarsi del battito cardiaco di Akendo. Ricerca di nuovo le sue labbra – sa di buono, sa di attesa. Troppa. Le fessure rosee tentano di comprimersi, catturando tra le stesse il labbro inferiore altrui prima di stuzzicarlo incostantemente con i denti, senza nuocere ma semplicemente strattonandolo di poco in avanti. Non c’è pensiero che possa ridestarla più di quanto la situazione non possa, non vi è ricordo in particolare trapiantato nella testa – semplicemente la consapevolezza che, per una volta o forse due, è stata lei a decidere o a credere fosse tale. Lui – l’unica cosa che nessuno le ha mai imposto, l’unico vincolo che non avrebbe mai dovuto forzatamente rispettare né accollarsi, ma che ora risulta letale quasi come la dipendenza di cui un giorno si dannerà quando, guardandosi allo specchio, cercherà l’individualità mancata e un riflesso che non comparirà alle spalle. Con te appura l’appurato: si sta distruggendo con le sue stesse mani, pezzo dopo pezzo sta dissembrando la sua unica armatura per riporla di lato e vedere cosa si prova a sopravvivere senza. Dovrebbe forse considerarsi patetica se, dopo tutto questo tempo ti basta tornare e reclamare la sua attenzione? Dovrebbe considerarsi patetica se, nonostante tutto, sembra essersi crogiolata nel cordoglio di un’attesa asfissiante? Dovrebbe considerarsi patetica perché, alla fine, ha creduto alle parole di quello che poteva essere un estraneo? E’ patetica, indubbiamente, ma non si sente di farsene una colpa. Abbandona qualsiasi pensiero in favore di una necessità – quella del suo sapore da cui a malincuore si distacca, lasciando che la mancina navighi dietro la propria schiena, sciogliendo il fiocco dell’obi che cingeva in malo modo l’haori. Lascia sfilare così la lunga fascia di seta, cercando di farla scorrere sotto il collo del Sennin trattenendone un capo con la destra e l’altro capo con la mancina, provando a far di quell’obi una fascia che gli cinga la nuca. Isserà la schiena, tentando di tirare a sé la fascia e quindi costringere il capo del Sennin – così con tutto il busto – ad issarsi in parte, assecondandola nei movimenti. Qualora fosse riuscita, proverebbe a ricongiungere i lembi della fascia di modo che possa tenerla stretta in una sola mano costruendo per lui un cappio rasente una cravatta, un abbraccio di morbido lino intorno al collo. La fronte, qualora fosse riuscita, s’avvicinerà a quella altrui tastandola, mentre lo sguardo scivolerà sulla propria mano libera nell’intento di toccare l’incavo tra le due clavicole – il sinodo vascolare. < Insegnami a vederla così come la vedi tu.> perché di questo si tratta: insegnarle a corrodersi, corpo e anima.

22:15 Kioku:
  [Casa] Abbandonato ormai ciò che vi è intorno a loro, estraniati completamente dal mondo che li circonda, si perderebbe nella loro stessa unione, lasciando che la mente si sgombri divenendo un qualcosa di etereo ed il corpo assecondi ogni proprio vizio e volontà, senza alcuni rigor o logica, lasciando che sia solo il torrente di emozioni e voglie a trascinarli con veemenza verso ciò che più vogliono. Akendo non è di certo da meno, per quanto appaia pacata ed impassibile in ogni istante in quell’intimo quanto privato atto, risponderebbe a quell’avida ricerca di lei delle sue labbra, con altrettanta voglia, giocando e stuzzicando a vicenda le labbra di lei, ogni volta possibile, arrivando anche solo a provare nascere un semplice taglietto, nulla di doloroso, continuando a premere con le proprie labbra su quelle d’ella. Attorno a loro pioggia ormai sparita cade senza suono…al ritmo dei loro respiri spezzati, delle labbra che si scontrano per poi prendere nuovamente distanze, affannati a tratti, mentre i loro odori si mischiano come il caldo dei loro respiri che si poggia sulla loro pelle, ode le sue parole senza frenarsi, avvinghiandosi al collo d’ella, baciandola e leccando ogni centimetro del suo collo disponibile, come se volesse letteralmente strappare l’odore di quel derma…farlo avidamente suo, per poi tornare sulle di lei labbra, rispondendole ad ogni suo movimento, venendole incontro e assecondandola a tratti, del resto ambedue sembrano essere ormai in balia l’uno dell’altro ove la mente ormai non li raggiunge più…discorsi del genere non hanno nemmeno più senso d’esistere. Lascerebbe dunque campo alla giovane Hyuga librarsi in tal momento come meglio dispone la sua volontà, lasciandosi “legare” e portare a se, issandosi verso di lei, il seno a contatto con la sua gabbia toracica…cuore contro cuore….un battito unisono che si mischia in un unico e tonante suono, i loro respiri spezzati un contorno di suoni e calore…<posso fare qualcosa di meglio> un sorriso tutt’altro che angelico deformerebbe il suo volto… il suo sguardo cambierebbe d’un tratto a quelle parole, scelte non a caso per rispondere all’affermazione udita poc’anzi da Hana, ambedue le braccia del Seiun lentamente si eleverebbero, portando le mani all’altezza del collo, tra clavicole e lembo di pelle...lentamente ogni singolo polpastrello farebbe sua una zona…chiudendola quasi come se cercasse di cingerle il collo, un movimento e una presa morbida attorno alle tenere carni d’ella, il violaceo Samsara penetrare lo sguardo di lei, mentre moto continuo e violento come tale momento, porterebbe il chakra del Rikudo Sennin ad esplodere con vigore, cominciando ad emanarsi al difuori del suo corpo, ma essa non è altro che dispersione del troppo chakra sprigionato d’un tratto, mentre la vera quantità verrebbe condotta attraverso il sistema circolatorio verso gli tsubo presente nei suoi arti superiori…toccando polpastrello per polpastrello. Se la Hyuga glielo concedesse, Akendo lentamente lascerebbe passare il suo chakra tramite gli tsubo in lei, grazie a quella presa, lascerebbe che il suo chakra penetri in quello della giovane Kunoichi, quasi come se volesse disturbarglielo durante un comune genjutsu…la sensazione potrebbe essere quella ma ben altre sono le intenzioni del Seiun…<chiudi gli occhi> una semplice pretesa? Così la si potrebbe chiamare? Forse, d’altronde ella gli ha fatto chiaro esplicito di mostrarle come vede le cose il Rikudo Sennin e dunque perché non fare proprio così? A differenza del semplice atto di disturbarle il chakra, seppur la sensazione risultasse simile, il chakra del possessore del Rinnegan si amalgamerebbe a quello della Hyuga ed essendo di molto superiore in potenza e quantità prevarrebbe per alcuni attimi su quello della giovane, pervadendola completamente. Se la giovane avesse acconsentito a tutto ciò la voce di Akendo infine la raggiungerebbe nuovamente…<puoi aprirli> allo schiudersi delle palpebre, la bianca sclera degli occhi umani si pervaderebbe di un violaceo colore ma il cambiamento non sarebbe solamente estetico…per quei pochi istanti concessole dal Rikudo Sennin lei vedrebbe con il chakra del Rinnegan, scorrerle in lei….<questo ciò che vedo…ciò che percepisco> un affluire di sensazioni...emozioni risalirebbero lungo tutto il di lei corpo, ogni pianta, vita, emozione la cui terra condivide ed è connessa all’occhio del Samsara scorrerebbero in lei…il contatto tra le mani del Seiun e la Hyuga non cesserebbe mai affinché egli possa controllare il suo chakra, così come gli attimi concessi poiché non vi è nulla di più pericoloso che poter vedere e sentire ciò che per natura è precluso a chiunque e tale deve rimanere. Una violazione della natura stessa, al cui arroganza di Akendo ha piegato alla propria volontà e desiderio di compiacere Hana, preso anche dal momento…momento che cesserebbe, esauriti gli attimi concessi, il violaceo colore sparirebbe e così l’intero fiume di emozioni ed altro ancora, lentamente abbandonerebbero il corpo della giovane Hyuga <….> un sospiro, quasi pregno di stanchezza, per lo sforzo computo nel piegare le leggi della natura, condividere qualcosa che non si potrebbe e non si dovrebbe mai condividere, eppure ecco dove può arrivare la volontà ed il potere del Rikudo Sennin, che non cesserebbe l’accarezzare il collo d’ella donandole qualche bacio di tanto in tanto. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on]

22:52 Hana:
  [Casa] Scivola in una panacea calda e accogliente, sciolta come cera e modellabile a suo gusto e desio tanto che ci si può sorprende di come nell’effettivo sembra trovarsi a proprio agio tra le braccia in cui ha scelto di sprofondare. E così, lentamente, prende di lui tutto quello che può dargli – gesti, parole, pensieri che tenta di sottrare con la stessa avarizia con la quale lui prende qualcosa da lei, che siano fremiti o una coperta di brividi da sedare. A lei ha sottratto ogni primo traguardo, che sia stato il suo inizio da genin o il primo sguardo da “persona diversa”, la prima a cui la cortesia non s’è mai aderita addosso e alla stessa maniera la prima che ha anche solo sfiorato le sue labbra per sua pretesa: è come mettergli tra le mani un pugnale e concedergli lo stesso diritto di provocarle la prima cicatrice, forse l’ultima. Lasciare dipendere da lui l’esito di una cosa importante quanto la fiducia – forse, effettivamente, gli ha piazzato tra le mani un giocattolo a cui lei sembra tenere particolarmente. E’ di fiducia, che si parla – la stessa che velatamente è stata richiesta quel giorno, sotto la risposta un po’ fasulla del “No, mai”. Non si sentiva al sicuro, non si fidava. E’ corsa via per poterti dire, giorni dopo, che non era una bugiarda per quanto abbia mentito: silenziosamente trovi una risposta, a fronte di tre anni, a quell’affermazione taciuta nella motivazione < M-mi fido di te.> o almeno, ci prova. Mordicchia le sue stesse labbra, trovando un leggero retrogusto ferroso nel momento in cui il labbro inferiore viene assaporato dalla medesima lingua – lì dove quel piccolo taglio ha lasciato la sua traccia, un ricordo che non soffocherà facilmente. Per sincerarsene, la falange del pollice destro verrà posta sulla propria bocca ripulendo quella goccia di sangue che ora vien cancellata e deposta tra le grinze della pelle per poi esser trascurata. Le gambe si stringono intorno al suo busto, costruendo con le leve inferiori una gabbia fatta di carne e ossa, sangue caldo che discende nelle arterie e che continua a riscaldarla – vittima di troppi brividi quando le labbra di Akendo scivolano lungo la gola, facendole – di rimango – inclinare il capo per il solleticare. < Nh.> mugugna, espirando lentamente. Contro il suo petto, il rintoccare del proprio cuore scandisce battiti capaci di lasciar intendere la voglia di distruggere la propria gabbia toracica e fuggire in quella altrui. La mano destra, sentendo scivolare la lingua oltre la mascella, s’avvinghierà alla stoffa che è deposta sul suo corpo, stringendola ma senza lederla. Non riuscirebbe comunque a vedere del tutto le sue mani stringersi attorno al proprio collo, mentre il corpo della Hyuga s’irrigidisce – quasi ne provasse… timore? Impossibile. Come può… temerlo? E’ solo il riflesso di una fiducia che non ha mai concesso a nessuno e che ora le si ritorce contro: una donna che da sempre s’è professata gli occhi e la diffidenza dell’Hokage – fin troppo permissivo – che ora non riesce a nascondere l’innata paura della fiducia verso qualcuno? Deglutisce, dandogli modo di comprendere quanto possa esser difficile per lei arrivare a tanto. Lascia scorrere il suo chakra lungo il proprio corpo, disseminandosi lì dove potrà incontrare quello generato da se stessa che – come la corrente – lascerà fluire liberamente quello del Sennin, non impedendogli di scorrere quanto più accompagnandolo come un’ombra sempre presente. Di reazione, entrambe le mani proveranno a stringersi sul suo petto, serrandosi a pugno sulla stoffa lasciando che solo poco dopo la destra s’innalzi all’altezza dei suoi polsi, senza però sfiorarli. Obbedisce, silente, calando le palpebre – il buio inizia a divorarla lì dove incontra non solo la sua voce, ma un eco di sottofondo che man mano ne amplifica le percezioni. Riaprire gli occhi è un po’ come trovarsi spiazzati. Destabilizzati. Quasi come la prima volta con la propria innata: riuscire a vedere i piccoli dettagli degli insetti, o semplicemente riuscire a scorgere qualcosa a troppi metri di distanza – qualcosa a cui non era abituata e, per quanto ora c’abbia fatto l’abitudine, fatica ancora a trovare “normale”. Raggruppare l’intera percezione del mondo in uno scricciolo che a stento riesce a reggersi in piedi è totalmente follia: benchè tutto ciò sia filtrato e dimezzato dal Sennin, quanto riesce a percepire le basta tanto da sentire il cuore battere più velocemente. La cassa toracica s’allarga per accogliere l’ossigeno, mentre le palpebre ricercano a destra e a manca un punto stabile verso il quale guardare: un’ennesima scarica di fremiti s’abbatte su di lei, mentre annaspa aria stringendo le mani intorno alla stoffa sul suo petto. Davanti a lei – il suo viso, come un àncora a ricordarle dov’è e che nonostante tutte le percezioni alterate, vi è un punto fisso: e se dovesse definire tutto ciò, nemmeno tra una settimana troverebbe le parole esatte. Non c’è una vera e propria emozione-reazione che possa giustificarla o guidarla: vi è solo un attimo, fatto di tutto e niente alla stessa maniera. Le labbra, secche, non trovano più saliva da deglutire mentre il viso sporgerebbe in avanti – per tentare di spezzare in maniera forzata quel contatto – andandogli incontro. Le braccia tentano di scivolare intorno a lui, alle sue spalle vivendo nella paranoia di essere stata adocchiata in un momento in cui non doveva esser vista: per una maniaca dell’ordine, questo è un dramma. Forse, solo per distoglierlo dalla vista del proprio viso che per la prima volta giace sotto un rantolo di timore, le labbra s’avvicinano a quelle altrui provando semplicemente a comprimerle. Non avrebbe dovuto chiedergli una cosa del genere – forse. Non è una cosa che effettivamente toccherebbe ad una come lei. Lascerebbe scivolare le braccia verso il suo capo, issando il proprio quasi a suggerirgli di scendere sul suo petto e lì rimanere – accostare l’orecchio, sentire il tumulto del proprio cuore mentre velocemente riacquista il respiro, tra la pelle nivea che termina lì dove le garze cominciano a comprimerle il seno. < Non avrei… dovuto.> con lui, molte cose non avrebbe dovuto fare, dire o anche solo pensare.

22:49 Kioku:
  [Casa] Immutato il momento, complici al tempo stesso di qualcosa che ormai è solo loro, avidi dei loro stessi capricci e desideri, uniti a ricercar carni e gemella altrui, senza sosta, senza freno, paradossale se si pensa a quale figure si cuciono tali parole. Una figura come quella del Rikudo Sennin, così pacata ed indifferente al mondo che lo circonda, agli esseri che vi abitano e lo sfiorano per le strade…eppure anche di questo è capace poiché per quanto dio possa essere, sempre di carne è composto il suo essere e per tanto agogna più di ogni altra cosa altra carne. D’altronde non è un pensiero stupido quel che carne chiede carne e potere attira potere…tutto il resto sono solo parole, pensieri umani ad un qualcosa che non sanno spiegarsi, parole inutili d’innanzi a quelli che paiono semplici istinti e tanto devono essere interpretati…la filosofia non è che la malsana e malata ossessione dell’uomo di spiegar ogni cosa a loro ignota o difficilmente comprendibile. Ma ora filosofia e parole sono le cose più distanti che ci possano essere in questo momento, corpi uniti all’unisono battito e respiro, divenendo unica cosa ed unico pensiero stravolgono ogni ragionamento logico lasciando che sia il loro istinto a guidarli senza preoccuparsi di nulla, un sospiro, spezzando l’irrefrenabile corso di eventi e d’incontri delle loro labbra, spezzando così il ritmo…quanto basta per udir la di lei voce alla quale risponderebbe con un rantolo più che di respiro finale par eccitazione e fatica, una fatica di ben altra natura da quella normalmente conosciuta….<farò in modo che tu non rimanga scottata> riferendosi al discorso della fiducia e al tempo stesso ad una domanda posta ormai molte ore fa, dandole così certezza della sua fiducia reciproca e dell’impegno nel tener viva quella fiamma, tanto agognata, con le proprie forze. Respiri e nulla più coprirebbero ogni rumore fin a quando il chakra del possessore del Rinnegan non mostrerebbe alla giovane Hyuga qual è il mondo celato a tutti gli essere umani…uno sprazzo di libertà totale in mezzo a tante catene, uno schizzo d’inchiostro bianco su di una tela completamente nera, quel verde pennellata leggiadra dell’artista porsi a contrasto su di uno sfondo rosso sangue…questo è il Rinnegan. Rimarrebbe in silenzio, concentrato nel momento, osservando ogni singolo movimento…gemito e reazione della stessa Hana, mantenendo controllato il flusso di chakra, fino a quanto tutto cesserebbe così come si è venuto a creare, lasciando solo ricordi di quanto è accaduto; portando il proprio capo vicino al petto d’ella tanto dal sentir, già in lontananza, il tumulto del cuore d’ella…impazzare, veloce…inarrestabile a tratti spaventato dall’incredibile visione avuta, qualcosa che non è facile comprendere o anche solo percepire. Un sospiro dato dallo sforzo nel compiere un tale gesto senza preoccuparsi di quali conseguenze si possano abbattere sul proprio fisico, darebbe ascolto alle parole della Hyuga, scossa e dal battito ancora irregolare piano piano riprendersi…così come il respiro, abbozzerebbe una semplice smorfia, quasi compiaciuto forse dal fatto che il cuore stesso ha retto, ma vi è ben altro…lentamente le braccia scivolerebbero dietro al collo di lei, portandosi con la destra fin dietro al capo, accompagnando con un semplice gesto, il portarla contro il proprio petto…chiudendosi lentamente a riccio attorno a lei, coprendola con vesti e quant’altro…non di certo per il freddo esterno quanto per un semplice è simbolico gesto di protezione, chiudendola e celandola agli occhi del mondo, nell’egoistico pensiero ch’ella ora l’appartiene e mai permetterà che venga portata via da quella stretta. S’ella lo permettesse, il capo del Seiun si poserebbe sopra a quello della giovane, inebriandosi del profumo donatogli dalla chioma delicata, qualche secondo…forse minuti, prima di scioglier quell’abbraccio, lentamente porsi, senza proferir alcuna parola, in posizione eretta e con estrema calma, porre le proprie braccia al di sotto della figura di Hana, issandola senza problemi come piuma pregiata dal dondolo, tenterebbe nuovamente la ricerca delle labbra d’ella in un ultimo bacio…o per lo meno quello visibile agli occhi della luna nel cielo e delle stelle sue compagne. Un passo dietro l’altro portandola all’interno dell’abitazione, nella camera da letto o quel che troverà di più comodo…lontana da tutti e da tutto, sotto il suo violaceo sguardo ella ora non fa più parte del mondo conosciuto ma solamente del mondo di Akendo Seiun…del Rikudo Sennin. [equip arabian mode: ON] [rinnegan on] [End x2]

«Tornerai, anche solo per rompere la cupola che leva ossigeno al mio fuoco. Mi sbaglio?»

«E’ per me quella fiamma Hana»

«Forse farei bene a… soffiarci sopra una volta per tutte. Una fiamma per quanto può alimentarsi da sola?»

« Anche volendo non te lo permetterei mai. Che sia per egoismo o per altro … quella fiamma continuerà ad ardere e non permetterò a nessuno di toccarla. » - « poiché io stesso ormai ne dipendo.»