E’ l’aroma di quercia, frassino e muschio ad essere trasportato fin lì dal vento. E’ questo l’aspetto forse più interessante di Kusa, quello di poter percepire nella brezza sia l’alone della fitta boscaglia e allo stesso tempo azionare quella sorta di memoria involontaria messa in moto dal ricordo di un semplice profumo, sia l’eco di qualche vecchia storia riportata alla mente in qualche piccolo lapsus del caso. Nel sibilare della bonaccia intersecata tra i rami fitti costituenti un reticolato quasi incapace di far filtrare la luce del sole calante, aldilà del folto boschetto, un ponte di legno s’erge costeggiando le due estremità legate da quella semplice lingua lignea in grado di ricongiungere la crosta terrestre separata dal divario, dal crepaccio, dall’ignoto. Vecchio quante tutte le rughe sommate dei vecchi Kage, se non di più, testimone di forse troppe atrocità, festività e controsensi il ponte Tachi offre una comoda strada per passare da un lato all’altro di Kusa. All’estremità della costruzione un enorme pilone ospita i caratteri in kanji del suo nome e dunque quello di cielo e quello di terra, non una casualità per tutti coloro che si sono ritrovati a cercare la retta via nella mediazione di questi due elementi. La giornata sgocciola nella più completa atonia, i sintomi della pace sembrano diramarsi come una cancrena che lentamente attecchisce in ogni dove, senza risparmiare nessun paese – incluso Kusa. Un puntino non poi così lontano, azzurro, sosta a circa cento metri dall’inizio della struttura e giace indisturbato nella beatitudine del silenzio increspato soltanto dal vento e dal profumo di vegetazione. Di tanto in tanto, una foglia sembra adagiarsi ai suoi piedi trasportata dal vento: una stranezza, considerando la lontananza del boschetto e allo stesso tempo una mera casualità che può essere spiegata con l’ausilio della brezza se non fosse che nell’effettivo oggi il vento spira poco. Nell’ennesimo respiro, tratto dalla Hozuki con la finalità di donare ristoro ai polmoni, potrà tuttavia – qualora riuscisse ad affinare i sensi – udire un leggero scricchiolio: un po’ come quando si calpestano le foglie troppo secche ma leggermente più ovattato, tenue. A distanza di due secondi, un puntino nero parrà sferzare l’etere e allo stesso tempo viaggiare in direzione di Aiako: assottigliando le palpebre e con una buona messa a fuoco, ammesso e concesso riesca ad accorgersene, le sarà possibile adocchiare due Shuriken lanciati in direzione del suo braccio destro percorrendo in parallelo il passamano di legno del ponte. Nulla le vieterà né di opporsi, né di scostarsi, né di ignorare il tutto: del resto ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. [ Ambient ]
Sulla scia dei due shuriken e dell’ombra da essi proiettati sul passamano, l’aria tagliata dapprima in due pare ricongiungersi e solo alla fine fornire un valido supporto finalizzato a fungere d’ausilio alla ragazza che, senza neanche batter ciglio, si prodiga nel rilascio del chakra. Le mani dell’Hozuki viaggiano in proiezioni veloci, dita e falangi che s’incontrano e si lasciano nel tempo d’un batter di ciglia mentre la mente altrui comanda la disposizione dell’energia finalizzata a richiamare il proprio elemento e allo stesso tempo farsi scudo con quest’ultimo. Entrambi gli shuriken sembrano in parte arrestarsi, così come un corpo intento a cadere al suolo e prima dell’impatto trovarsi vittima di un capovolgimento di gravità, anche le due armi in balia del fuuton e quindi della barriera sono soggette ad una diminuzione di velocità fino a sfiorare l’arresto. In quello stesso istante, ad aiutarla, la terza legge della dinamica: una reazione uguale come quella di rispedire gli shuriken indietro con la medesima forza – rasente l’effetto di una molla – e contraria, indi nella direzione opposta dell’arrivo, di conseguenza mirante la figura che pare aver macinato in così poco tempo così tanta distanza da sembrare paranormale. Due sono le ipotesi: o è troppo veloce, o semplicemente sa nascondersi bene dissimulando e occultando la propria presenza a livelli magistrali. Nonostante questo, dubitiamo vivamente che ora il primo pensiero di Aiako sia rivolto ad una questione tanto sottile: del resto le si para dinanzi una nuova figura, slanciata, maschile nei canoni eppure dal volto coperto. Un haori roseo, calante nel marroncino-beige- riveste quello che par essere uno yukata informale, lungo ma allo stesso tempo scarno e privo di ornamenti: una tenuta decisamente tradizionale e di certo poco pratica ai movimenti, così pare. Tra le pieghe della stoffa pregiata ma priva di motivetti, il saya di legno d’acero accoglie una katana sopita all’interno del suddetto fodero. Il viso, schermato da una maschera a forma di Kitsune – o volpe che dir si voglia – è incorniciato dalla filigrana castana, mora, dei capelli leggermente lunghi, ma non troppo. Stretto tra le falangi della mancina, un kiseru fumante capace di creare troppe volute di fumo, mentre la destra è intenta a stringere un ventaglio normale all’apparenza, ma capace di rivelarsi un vero e proprio tessen. I due shuriken, in viaggio verso di lui – ormai giunto a forse una decina di metri da Aiako e fermatosi lì, alla sua destra – verranno bloccati a primo sguardo da un semplice gesto: la mano destra pronta a compiere una sorta di tondo roverso, indi da destra a sinistra – ma con un semplice ventaglio. Così, come si spazzerebbe via un moscerino, egli si limiterebbe a deviare la traiettoria degli shuriken. Con uno sguardo più attento si potrà notare come – mediante il foro delle labbra applicato appositamente sulla maschera – egli si sia prodigato nello scomodare il proprio chakra e farlo fluire dalla cavità orale per “soffiare” via entrambi gli shuriken che vedranno la loro direzione deviata e quasi bloccata, conficcandosi nel legno del passamano più in là l’uno e cadendo direttamente giù dal ponte l’altro. < Che peccato. Era nuovo.> pigolerà, lui, avvicinandosi con una lentezza estenuante all’altra di qualche passo: con sé, l’odore di cannella sembra avvolgere l’intera sagoma del ragazzo. < E adesso, chi mi restituirà il mio shuriken?> [ Ambient ]
http://static.zerochan.net/Wakatsuki.Yuuki.full.1112731.jpg (unica eccezione, il volto è coperto dalla maschera)
Nella nuova stasi trova ricovero ogni fibra muscolare che pian piano s’arresta, soggiogando i movimenti al minimo possibile: passi, null’altro. Si limita a poco ostentando a tratti la pigrizia di chi sembra far risultare pesante anche una cosa come un sottile stilo, un kiseru posto tra le labbra e pronto ad inspirare i flutti vaporosi del tabacco levigato dal sapore del legno nel quale vien filtrato. Espira, senza tuttavia perdere parte del discorso che apparentemente sembra entrare da un padiglione auricolare e uscire dall’altro. Socchiude le palpebre, rilasciando nell’aria l’aroma di tabacco e cannella aldilà della maschera – da quel semplice foro ove prima è fuoriuscita l’aria ora si diramano capriole di fumo bianco. < Yare, yare > pigola, una semplice esclamazione che può tranquillamente non essere tradotta. La voce a tratti ovattata dalla maschera che lascia rimbalzare le onde sonore all’interno di quel costrutto in parte aderito al volto, è comunque udibile dalla ragazza che pare aver compreso – senza neanche tanti preamboli – le sue mancate intenzioni offensive. < Che simpatica.> cinguetta, abbozzando sul volto i lineamenti di un mezzo ghigno invisibile alla Hozuki. Repentino, le dita della destra accompagnano l’estremità del ventaglio a ricongiungersi con l’altra in modo tale da chiuderlo e producendo un piccolo suono metallico. Riporrà l’oggetto all’interno delle pieghe dell’haori e dello stesso yukata, facendolo quasi del tutto sparire mentre la mancina ospiterà ancora la pipa. Due, tre, quattro passi gli bastano per avvicinarsi di più a lei e tentare d’allungare la destrorsa in prossimità della sua fronte: qualora non opponga resistenza, sarà lui stesso a rinchiudere il medio e bloccarlo col pollice, prima di far scattare il dito in corrispondenza della fronte altrui facendolo impattare lì al suono di un < Quanto parli.> non sembra frustrato dalla cosa, né arrabbiato. A poterlo vedere, ci si potrebbe quasi perdere nelle grinze del suo sorriso affabile. < Che senso ci sarebbe stato nella tua morte? > una domanda quasi retorica < Potresti servirmi, da viva, al momento.> e da morta quando avrà l’esigenza, semmai, di strapparti la faccia per poterti fregare eventualmente l’identità. < Non t’importa chi sono io.> altrimenti non indosserebbe una maschera: un anbu è colui che sceglie di rifiutare anche ai propri connotati per potersi preservare e preservare l’incolumità degli altri. < Piuttosto, chi sei tu?> [ Ambient ]
Ci impiega relativamente poco nel ritrarre l’arto dalla fronte altrui, quel semplice contatto che non nuocerà più di tanto la ragazza le lascerà un semplice segno rosso sulla fronte giusto per una manciata di minuti, fino a dissiparsi. Espira nuovamente il tabacco, s’inebria di quel profumo al quale ha fatto il callo. Espira, a tratti parrebbe addirittura ricreare una nuvola di fumo capace di inglobare parte del viso della propria interlocutrice. Non risponde, non sulle prime: nonostante tutto non pare essere né avventato né effettivamente sprovveduto a tal punto da sciorinare più del dovuto. Soltanto in conclusione si riserverà il diritto di replicare: < E’ esatto. Sei nessuno. E tanto mi basta.> rimbecca, abbassando di poco il kiseru oltre il proprio viso. < Non devi obbedire ai miei ordini. Non devi farlo, adesso, perché non voglio.> perché non ne sente la necessità, ora. Perché nessuno glielo impone. O molto più semplicemente... < Perché non c’è nessun patto che ti lega.> batte le palpebre, risoluto sebbene si rifiuti di mostrare ogni inclinazione d’espressione a causa della maschera. < Ma possiamo provvedere anche a questo.> a sottoscrivere una sorta di “patto”, qualcosa che dia profitto sia a lei quanto a lui. < Vuoi sapere chi sei? Seguimi, allora.> metaforicamente, almeno per il momento. < Scoprirai se sei destinata ad essere qualcuno o se rimarrai nessuno per tutta la vita ma, con la consapevolezza che io – così come gli altri – saremo pronti ad accettare anche “Nessuno”.> più degli altri, addirittura. < Del resto, hai davvero bisogno di essere qualcuno?> borbotterà, per poi inumidire le labbra e riprendere il discorso < Diventa un anbu come me. Hai l’opportunità di sapere > principia < Vuoi sprecarla?> [Ambient]
L’epilogo: un’offerta. Di quelle che difficilmente puoi rifiutare. Non c’è bisogno di spiegarle effettivamente perché una determinata scelta è potuta ricadere su di lei: chiamalo caso oppure inizia a credere che ci sia un destino già scritto, pensi sia davvero così importante? La non-identità è un comodo passatempo, sono panni che piano piano imparerai a vestire e nei quali ti sentirai a tuo agio: essere Nessuno porta una sequela di responsabilità, è vero, ma anche grandi vantaggi. Il rumore del legno inizia ad infittirsi, sono geta che impattano sulle assi del ponte e da questo si può intuire come il ragazzo abbia ormai avviato il proprio passo fingendo di ignorare parte delle sue domande. Quello sguardo, non temere, l’ha notato: è esattamente quello che ricercava. Stupore incrostato nel dolore o nella mancanza di agio nell’andare a ritroso e scoprire che vi è un tassello mancante nel puzzle. E su questo che verte parte del discorso altrui, certo in parte finalizzato a trainare a sé nuove leve con la forza di una fiamma capace d’ammaliare più falene. D’altro canto offre i vantaggi che può, come ottimo riscatto. < Te l’ho detto, Baka-chan. Parli troppo> borbotta, ironico – adesso sembra addirittura lasciar trasparire il sarcasmo dalla maschera. <Preparati semplicemente a pagare quello che vuoi con un adeguato sacrificio: tutto ti verrà dato, se saprai ottenerlo.> questo è quanto. Seguilo: te l’ha già detto. Calcando i suoi stessi passi troverai determinate risposte da chi magari potrà spiegare chi sono gli anbu e cosa fare nel particolare: per ora accontentati di rischiare e di emulare i suoi gesti. Qualora di fatto fosse interessata ad obbedire, verrà scortata fino alla prima torre di vedetta e allo stesso tempo sarà in grado di porre tutte le domande del caso lontano da occhi indiscreti. Con questo semplice appunto, il ponte Tenchi rimarrà il ricordo di un nuovo punto di partenza per essere…Nessuno. [ Ambient ] { E n d }