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con Azrael, Hana

15:30 Azrael:
  [Centro] Bianche nuvole velano il cielo del villaggio della Foglia, intramezzando lo spazio tra i brillanti raggi del sole e la vita del centro, forse non propriamente nel pieno del suo splendore, dato l’orario. Molti hanno finito di mangiare e stanno riposando, altri sono tornati alle loro mansioni lavorative. Ed infine c’è il Nara, che è semplicemente in una ronda non richiesta, onde evitare che qualche malintenzionato approfitti della calma pre pomeridiana per attaccare Konoha. Tanto per cambiare, di questi tempi. I lavori al monte dei Volti sono quasi ultimati, li ha bloccati giusto per permettersi di aggiustare l’ultimo volto degli Hokage che furono, quello di suo padre. Ancora si maledice per aver permesso quella distruzione proprio nel luogo commemorativo del lavoro del padre. Tuttavia, il suo vestiario non tradisce affatto le sue intenzioni “lavorative”. Non porta altro che una semplice camicia nera il cui lino lascia intravedere una stretta fasciatura che gli copre pettorali e bicipiti sia a destra che a sinistra, a coprire quei segni che lo contraddistinguono, uno come Generale Anbu, l’altro come… mostro? Maledetto? Alcuni nemmeno sanno come definire quel piccolo tribale che ha sul petto. A fasciare le gambe invece ci sono un paio di pantaloni dello stesso colore, retti in vita da una cinta di cuoio che reca sulla fibbia l’incisione del clan di appartenenza. A coprire il tutto è poggiato sulle spalle un lungo mantello grigio, cappuccio non al momento poggiato sulla testa ad occultare il volto, che invece è intento a scorgere ogni singolo dettaglio che i suoi occhi riescono a cogliere. Il copri fronte della foglia è semplicemente legato al collo, un nastro di raso bianco il cui nodo poggia sulla nuca, tra i capelli corvini, e la placca metallica è posta davanti la gola. Si prende ora un attimo di pausa, per poggiare la schiena contro la parete del chiosco di Ichiraku, che al momento pare chiuso, per estrarre da una tasca interna del mantello una sigaretta ed il suo fedele accendino in acciaio. Stringe il filtro tra le labbra e la accende, prendendo un primo e profondo tiro, non risparmiandosi un profondo sospiro di soddisfazione. Attimi di relax in una giornata finora sin troppo noiosa. [C on]

15:30 Hana:
  [Su di un tetto trallalà] Ritrarre la superficie è sempre stato uno dei suoi modi per passare il tempo, affiancando una clessidra ed ignorando parte dei granelli una volta ricongiuntisi con quelli del lato inferiore, incapaci di essere scissi in maniera numerata. Ora che può, effettivamente, scorticare la verità e guardarle attraverso riesce a rendersi conto di quanto possa essere affascinante l’inverso: il completo, il nascosto, l’involucro di carne che riveste ogni essere fittizio – se si bada alla consapevolezza degli aggregati di Dharma – ma che alla fin fine sa svolgere il proprio ruolo in questo cosmo di menzogne nel quale tutti, avidamente o meno, sguazziamo. E le sta bene: ha deciso di carpire ogni attimo, e dire che sia attenta a ricalcare i dettagli è dir poco. Ha le mani sporche di chi pare aver passato le ultime ore a privare del colore nero tutta la città, rinchiudendolo in un foglio bianco imbrattato ora dal carboncino che stringe nella destra e che di tanto in tanto ricalca il supporto cartaceo silenziosamente. E’ silenziosa ma non un’ombra: non le spetta quel ruolo, né se ne farebbe qualcosa. Sa semplicemente adattarsi, come acqua scorre sulle superficie e viene plasmata a seconda del luogo in cui si trova, a seconda dei desii di chi vuol bere e non riesce a soddisfarsi. Dall’alto guarda, storce la prospettiva semplicemente ruotando di poco il capo, le basta poco per inquadrare una cosa e spogliarla di qualsiasi piccolezza per poi di nuovo imprigionarla sul foglio. Le gambe penzolano, l’edificio che ha scelto sembra esserle stato assegnato non tanto dal caso quanto più dal destino: affianca parte del chiosco ma allo stesso tempo si rivela essere al fianco di quest’ultimo, indi il lato sinistro del suo corpo – tale profilo – vien regalato al chiosco. Saranno forse quattro o cinque i metri che la distanziano da lì, avendo scelto il cornicione superiore di un’abitazione come zona da utilizzare per adagiare al proprio fianco un rotolo di cuoio che, una volta srotolato, non ha fatto altro che rivelare una matita, una piuma nera, un foglio di carta arrotolato e diversi carboncini. Vederla non è nemmeno tanto difficile ma, fino ad adesso, nessuno s’è accorta di lei e tanto le è bastato per capire una cosa: nessuno, quando cammina, alza lo sguardo. Tutti a fissare ciò che vi è al proprio livello senza spingersi oltre. Inspira, in quel rantolo di vento proveniente dalle nuvole plumbee si cela la forza finalizzata a smuovere parte del proprio mantello riversato in un blu notte, dal collo alto a sufficienza per poter nascondere metà del viso tra cui labbra ed il proprio coprifronte da Genin legato al collo ma occultato dal mantello, un oggetto – quello dalla placca con lo stemma di Konoha – appartenuto per anni ad Hitomu ed ora diventato suo, per il momento. Difficilmente, oltre alle gambe nivee scoperte, sarà possibile intravedere sulla coscia il porta kunai e shuriken ove nasconde, oltre alle suddette armi, fili di nylon e bomba luce insieme a quel fuda. Dopo aver accettato di essere donna, non ha potuto far altro che sfruttare la propria femminilità ed è per questo che cela all’altezza del seno il tessen. L’aria tersa ma allo stesso tempo pacifica stona col clima di guerra, tant’è che potrebbe addirittura percepirne l’ansia palpabile. < Mnh.> comprime le labbra, accorgendosi di una nuova figura al cospetto del chiosco – non le rimane che disegnarla quando, malauguratamente, il carboncino cadrà al suolo e forse, deviato dal vento, ai piedi dell’altro. [ Chakra ON ]

15:58 Azrael:
  [Centro] Lo sguardo è sempre volto all’orizzonte, un orizzonte che suggerisce chissà che cosa. Un infinito lontano, ma che ha bisogno di raggiungere, non può far altro. Per troppo tempo ha vissuto nelle quattro mura di una prigione immaginaria che lo ha tenuto troppo lontano da obiettivi certamente più alti e che lo soddisferanno di più in futuro. Il parlare col Rikudo Sennin gli ha aperto gli occhi in maniera che quell’infinito non sembri poi più così lontano. Ad intralciarlo solo le figure che da tempo ormai immemore non fanno altro che punzecchiare i paesi ninja con le loro mire di potere. Uno in particolare, a cui non vede l’ora di trafiggere il cuore, è scolpito ormai in maniera da renderlo immortale sul Monte ora in ricostruzione. Un monito che per tutta Konoha significa qualcosa di positivo, il non aver permesso a quell’uomo di distruggere la volontà del Fuoco, ma per il Nara è segno del bruciante fallimento commesso nel lasciarlo andar via. Lo sapeva, sapeva che sarebbe riuscito ad evadere, era nell’aria mentre lo trasferivano al carcere di Kusa, eppure ha lasciato che andasse via. Perché? Se lo chiede ormai tutti i giorni. E la risposta è sempre stata “perché è giusto così”, ma per chi? Di certo non per lui, non più. C’è un futuro in cui sarà libero di scegliere e di esercitare se stesso al di fuori di leggi che cambierebbe volentieri, togliendo la vita a chi lo merita, per salvare chi invece se l’è vista togliere prematuramente. E se tra i morti di quella guerra ci fosse stato un nuovo luminare della medicina? Un Kage? Un eroe? Non lo sapremo mai. Durante tali elucubrazioni che scorrono nella mente dello Special Jonin come un fiume in piena che ha appena sfondato una diga e gli si riversa nel sistema nervoso, se ne sono andati altri tiri da quel cilindretto di tabacco che tanti brividi di puro piacere gli da’. E pensare che c’è chi gli ha suggerito di smettere di fumare, sempre perché è giusto così. Le sbarre si stringono talmente tanto attorno al suo vero essere da strizzarlo in maniera dolorosa e forzata. Il tutto viene interrotto dal suono di qualcosa che cade dall’alto. Un ticchettio di uno strumento che ha utilizzato più e più volte nel suo lavoro, un carboncino. Immediatamente cerca con lo sguardo la fonte da cui tale oggetto potrebbe essere caduto, di certo non si sono messi a piovere carboncini e matite. Si china a raccoglierlo, lo rigira tra le dita della mano libera come se lo stesse studiando. Individua finalmente una figura seduta su un tetto, la scelta è immediatamente ovvia. Separa il filtro dalle labbra per andare a catapultarlo con un semplice movimento di pollice ed indice in un indefinito punto del pavimento, l’altra mano a stringere ancora il piccolo strumento da disegno. Due minuscoli impulsi di chakra dal centro del keirakukei a diffondersi lungo i dotti che attraversano le gambe, sino agli tsubo dei piedi che vengono aperti per permettere ad una patina di quella cerulea energia, sottile, ma uniforme, di far da cuscinetto tra i calzari e la porzione d’appoggio. Un paio di passi a lunghe falcate sino a raggiungere il muro che lo dovrebbe condurre al tetto che ha ora come bersaglio, prima di flettere appena la gamba su cui fa da appoggio circa un metro prima di raggiungerlo e spiccare un balzo con cui far presa su di esso, utilizzando la patina di chakra prima formata come collante contro la parete. La corsa prosegue per i metri che servono a raggiungerne la sommità, le braccia s’allungano verso il cornicione ed un nuovo balzo viene spiccato quando la mano libera da impicci si aggrappi al cornicione, per far leva ad uno scavalcamento che vede il corpo del giovane parallelo al tetto stesso e poi ad atterrare su di esso. Null’altro che un semplice gesto atletico compiuto senza bisogno di scomporsi troppo, terminante in un quasi scherzoso < Hop. > dopo il quale, se avesse attirato l’attenzione dell’altra, le rivolgerebbe un inchino di educazione e rispetto, prima di avvicinarsi e riconsegnarle l’oggetto perso < Credo sia tuo. >fatto ciò andrebbe ad indicare un punto vuoto accanto a lei, dove sedersi < Posso? Vorrei vedere cosa stai disegnando. > qualora la risposta sia affermativa prenderebbe posto accanto a lei, saettando con gli occhi scuri tra il volto della giovane ed il disegno, mostrando un evidente sorriso compiaciuto, alla vista di entrambi < Non è per niente male. > si permetterebbe di dire, cercando di non superare mai il limite che lo farebbe sfociare nell’invadenza. [C on] [Rilascio del chakra finale]

16:19 Hana:
  [Centro] L’odore di sigaretta sa invecchiare le persone, sa conferire loro quell’alone di vissuto misto malinconia che soltanto il tabacco può accompagnato da una buona tazza di brandy. E’ nei gesti che svela lembi di verità da parte degli altri, glieli sottrae, porta via senza che loro se ne accorgano ed in un batter d’occhi ti ritrovi ad aver stampato sul corpo i nomi dei morti come chiazze di sangue, liquido ematico incrostato nei lembi della coscienza, difficilmente scrostabili o cancellabili, pronti a fare per te una coperta con la quale lambire le membra e stringere le carni. E’ questa la sensazione, l’unica che riesce a governare lei: quella di far attecchire, lì dove riesce a trovare negli altri terreno fertile, il proprio sguardo con la pesantezza di una sentenza; del resto è lì – negli occhi – che si cela il potere di uno Hyuga. Se non sapesse parlare con quest’ultimi, potrebbe davvero dirsi un membro del Clan? E nonostante questo elargisce occhiate atone ma profonde, di quegli abissi forse un po’ troppo appiccicosi nei quali non vorresti mai mettere un dito. Lo guarda ancora dall’alto per quel poco che può, riuscendo a comprendere in porzione minima come ci si senta a giocare a fare il Kami, un Dio senza apostoli, che impiega il tempo a giostrare di tanto in tanto le vite degli altri. Un nuovo rantolo di vento raggiunge le narici e l’odore di sigaretta diventa più forte, ne appesta quasi i vestiti altrui ma non per questo storcerà il naso sebbene abituata a tutt’altro tipo di fragranza. Ancora una volta si ritrova a comprimere le labbra e ad osservare, quasi passiva, i movimenti di chi in poco tempo presenzia al suo cospetto. Volta il capo in sua direzione con una lentezza disarmante che allo stesso tempo sa quasi d’aspettato, manco stesse aspettando effettivamente una situazione del genere. Prima di schiudere le labbra, si cimenterà anche lei in un mezzo inchino finalizzato a non sbilanciarsi troppo: farlo significherebbe rantolare giù, e non ci tiene. Raggiunge l’ampiezza necessaria sia per tenersi in equilibrio sia per onorare la propria istruzione, rialzando solo alla fine il capo. Non è timidezza né irruenza a guidare la sua voce, è solo il sapore piatto ovattato dal collo alto del mantello avvolto come una sciarpa intorno alla gola a camuffare parte delle vibrazioni vocaliche < Arigatou.> accoglie nel palmo destro l’oggetto caduto evitando volutamente di sfiorare l’altro per non sporcare le sue goti di nero causa carboncino. < Mhn, sì.> pigola, allontanando dal petto il proprio disegno e mostrandolo all’altro senza particolari timori: è una scena quotidiana, raffigura Konoha da quel punto – un esercizio di prospettiva eppure… al posto del ragazzo vi è solo l’alone della sua sagoma, nera, priva di altri lineamenti se non le linee guida a dispetto degli altri passanti raffigurati alla bell’e meglio. Riporterebbe lo sguardo verso il basso. < Uhm.> pondera. < E se lo fosse stato?> se fosse stato “male”? Avresti avuto la faccia tosta di dirglielo senza mezzi termini? [ Chakra ON ]

14:37 Azrael:
  [Centro] Si prende qualche attimo per osservare la ragazza che ha trovato a sostare su quel tetto: è particolare, ha un che di malinconico ed allo stesso tempo misterioso, il mix di colori da’ l’idea di una contraddizione costante, una lotta che tiene da sempre in vita l’universo. Cosa sarebbe la luce, se non ne conoscessimo l’assenza? Cosa sarebbe il bene, se non fossi afflitti dal suo opposto? Pensieri suscitati tutti dal guardarla, dall’osservare la maniera in cui in modo quasi sottile gli risponde e si muove. Educata, fine, ma senza mai ricadere nello stucchevole. Senza dubbio un incontro che non gli dispiace. C’è troppa volgarità in questo mondo per non essere affascinati nel momento in cui si riscontra quel tanto di eleganza da farti venir voglia di muoverti più lentamente e cautamente, come per non rompere un qualche invisibile filo di nylon. Ha dunque preso posto accanto a lei con quel genere di movimenti, piccoli, controllati, silenziosi, come a dover evitare minacce che lo colpirebbero se avesse anche solo un capello fuori posto. Alla domanda dell’altra riflette, distaccando gli occhi dal suo operato artistico per immergerli nello sguardo di lei, qualora lo stia guardando di rimando, altrimenti lo fisserà semplicemente sul di lei volto, senza insistenza alcuna, quasi a volerla accarezzare con le sole iridi color pece. Sembra una sciocchezza, ma in realtà è una domanda che può essere risposta a più livelli, specie in questo periodo in cui, dopo aver ragionato su se stesso e su quel che lo circonda, si ritrova ad assimilare le informazioni e ad elargirle in modo diverso. Come un trattato che ha quel po’ di filosofico, che non tutti possono comprendere. Eppure è una prova, un mettere alla prova sin da subito quello con cui parla, con quei ragionamenti che, il più delle volte, non vengono compresi. < Un disegno si può cancellare e ricalcare da zero. > e questo è ovvio, naturale ed evidente a chiunque si appresti a quest’arte < Ma se io avessi come modello un braccio e ne disegnassi uno rotto, non potrei semplicemente spezzare quello del modello, per farlo assomigliare a ciò che ho disegnato? > La realtà è tanto fragile quanto un tratto di matita, questo è quel che cerca di dire, per cui non esistono disegni fatti bene o fatti male, semplicemente disegni che non rispecchiano la realtà < Tecnicamente è un ottimo disegno e la tecnica è un dato oggettivo… > breve pausa, in cui umetta le labbra con la punta della lingua che esce appena, per poi rientrare nel proprio cavo, per quanto ne capisca di disegni – il che è un’informazione che potrebbe e non potrebbe essere conosciuta, dipende quanto la sua fama, sia come ninja che come tatuatore sia giunta lontano – c’è sempre un’altra faccia della medaglia < …ma per giudicare se è venuto bene o male dovrei conoscere la realtà che fu, quella che è e quella che sarà. > Nemmeno un Dio vero e proprio sarebbe in grado di far ciò, nemmeno quello a cui aspira a diventare. < Sapresti rappresentare un’emozione? Il dolore o la rabbia, magari. > cambio di argomento, giusto per tastare le abilità della ragazza, essendo naturalmente interessato a qualunque cosa sia “bellezza”, l’arte, per intenderci. < O ti limiti a riprodurre la realtà che vedi e che sta cambiando mentre sei impegnata a prestare attenzione a queste parole? > termina, volgendo lo sguardo al cielo. [C on]

14:59 Hana:
  [Centro] Ci ha lavorato così tanto che ormai lo reputa addirittura naturale: il distacco che elargisce, un chicco alla volta, tanto da vedere se i semi di questo suo modo d’essere diffidente ma mai scortese possano in un qualche modo attecchire; le dà modo di ricevere la stessa porzione di “distanze” – quelle che in una qualche maniera ci tiene a mantenere, le cura, le lucida con premura. Non ha particolare bisogno nel legarsi a qualcuno snodando le proprie radici per poter prendere un posto fisso, non sente l’esigenza nemmeno di rompere quella formalità a tratti reverenziale che sapientemente sa donare in ogni piccolo gesto. E le va bene così: il fatto che qualcuno faccia lo stesso con lei riesce semplicemente a confermare quanto effettivamente riesca nel suo compito. Attenta ai dettagli probabilmente le sarà bastato guardarlo nei punti essenziali: bacino e cosce, per intravedere eventuali porta-oggetti ma non lasciandosi sfuggire il dettaglio della cintola con tanto di stemma Nara, ammesso e concesso sia visibile, la katana che porta con sé e allo stesso tempo osservarne capo, collo o braccia per intravedere un coprifronte legato da qualche parte poiché una persona apparentemente “così dotata” nel saper sfruttare il proprio corpo anche solo per risalire un edificio senza prendere le scale non è di certo un “comune cittadino”. Come ogni shinobi che si rispetta, prende le sue precauzioni pur non sembrando né malintenzionata né sul piede di guerra. Sono passati giorni da quando, l’ultima volta, s’è sentita ripetere che “un giorno capirà” – crescendo. Cosa non è ancora dato saperlo, eppure sembra essere frustrata in minima parte dall’essere la cavia, la formica da tenere sotto controllo. C’è da dire che però, grazie agli ultimi incontri, le situazioni le hanno dato modo di comprendere come le persone con un grande potenziale siano facilmente annoiate e allo stesso tempo amino testare e sottoporre a chissà quale pressione psicologica chi hanno di fronte. Le persone, quelle che reputano di avere una grande esperienza, amano aprire la bocca – domandare e poi darti la lezione del giorno servita sul piatto d’argento poiché reduci della disfatta ed incapaci di tollerare che qualcuno possa fare il loro stesso errore, pagandone le stesse conseguenze. Questo la spinge a sentirsi sull’orlo del baratro ogni giorno, pronta a cadere così come a tirarsi su da un momento all’altro: un modo come un altro per dire che, benchè non sembri, è sempre attenta a dosare le proprie parole. < Ma l’alone rimane, non puoi fare finta di niente.> si permette di contraddire, poiché consapevole che a seconda del materiale il foglio non sarà mai lo stesso – annerito, stropicciato, maltrattato dalla gomma per cancellare all’evenienza. < A seconda della situazione, ci sono segni che si vedono meno e segni che si vedono di più. Altri indelebili. In mancanza di materiale, ci sforziamo di far finta di nulla, ma se il segno è particolarmente calcato, allora si vedrà sul risultato finale.> batte le palpebre sciorinando con facilità assoluta una grande legge. Del resto, se un corpo vien martoriato fino allo sfinimento, le cicatrici rimarranno a seconda della profondità d’incisione. E così, a livello più meschino, vale anche per la testa a seconda del trauma subito. < Se il gusto è soggettivo, un motivo ci sarà.> lei, ad esempio, userebbe tutt’altri tipi di parametri per giudicare un’opera d’arte. < Non me ne voglia, ma se ogni opera dovesse esser apprezzata sotto questi punti di vista, allora tutti gli artisti dovrebbero semplicemente mozzarti le mani e smettere di ritrarre.> chi non ha nulla da nascondere, non ha nulla da temere ed è forse per questo che gli permette di scandagliare anche il fondo dei propri occhi ricalcandone la singolarità delle iridi: l’una bianca, l’altra nera. Esattamente come i suoi capelli. < Un’emozione?> domanda, calcando quella parola. Un’emozione. Lei che rinuncia quasi a provarle per la presunzione di non voler avere pesi sulla coscienza, lei che decide d’annullarsi per essere un oggetto e servire agli altri, dovrebbe saperla illustrare? < Mhn. Me lo dica lei.> cinguetterebbe, adocchiando appena il proprio disegno. < Prova qualcosa nell’osservarlo?> nessuno è il miglior giudice di sé se non se stesso. [ Chakra ON ]

15:32 Azrael:
  [Centro] Le orecchie si beano delle parole proferite dalla giovane, così particolari e pregne di significato, quasi a seguire il Nara in quelle elucubrazioni che potrebbero anche sembrare fuori luogo. Sono stati tutti contagiati dal virus del possessore del Rinnegan? Prima di rispondere fa passare qualche provvidenziale attimo di silenzio, con cui riempire l’aria nella pausa tra una linea di dialogo e l’altra. < Oh… > richiude le labbra a formare una piccola “o” da cui far uscire quel singolo fonema, piacevolmente sorpreso < Un foglio stropicciato da’ nuove ombreggiature al disegno. > un nuovo punto di vista, quanto ne brama uno in ogni singola cosa a cui pensa. < Così come questa guerra… > I fatti di cronaca son noti a tutti, ma è sempre bene esaminare come ognuno reagisce ad uno stimolo così intenso < …finiremo stropicciati, ma sulle nuove pieghe potremmo disegnare una nuova Konoha. > il tono è sognante, ispirato ogni volta che le corde vocali vibrano per liberare il nome del villaggio in cui ha sostato per tutta la propria vita. Si alza ora, la mano va dietro la schiena, aperta per far leva col palmo sul tetto, i piedi reggono con le punte sul ciglio dello stesso il peso del corpo che si leva, con la schiena ritta verso il vuoto. Sospira, voltandosi di profilo rispetto al paesaggio sottostante, ma frontale rispetto alla Hyuga. Le tende la mano, la destra, opposta a quella che ha retto in precedenza il carboncino e che si è poggiato a terra. Non le sarà necessario alzarsi per stringerla, ma l’educazione ha imposto al giovane Special Jonin di farlo, dunque il disturbo sarebbe unilaterale, se l’altra decidesse di restare nella sua posizione, durante quella presentazione < Perdona la mia scortesia, non mi sono presentato. Sono Azrael Nara. > non si riempie la bocca di altri titoli di cui si potrebbe fregiare, non serve, non ora. < E tu chi sei? > c’è una curiosità sincera in quella domanda, la curiosità di scoprire con chi ha il piacere di parlare, di aggiungere una persona alla lista di quelli da proteggere durante le battaglie che seguiranno. [C on]

15:45 Hana:
  [Centro] Non è un contagio. E’ sopravvivenza. Abitudine. Devi imparare a sopportare, affrontare, saperti destreggiare in determinate occasioni: viverle in parte o tutti i giorni ti dà modo di farci il callo, se poi c’aggiungi il suo carattere tremendamente affine al proprio elemento, incline ad abituarsi a qualsiasi superficie sulla quale scorre, allora si può comprendere che non è difficile trovare con lei sia l’armonia sia il caos a seconda delle inclinazioni. < Ma questo, lei conviene con me, non porterà il disegno com’era prima e non sarà possibile ricominciare da zero.> tutta questa manfrina per poter smontare una semplice frase: uno dei suoi passatempi preferiti, quando ha l’occasione di approcciarsi a qualcuno privandosi in parte della propria diffidenza. < E’ quello che mi auguro.> ha sempre trovato affascinante quell’haiku improntato sulle violette flessibili: si piegano al vento ma il loro stelo resiste, come bambù, senza spezzarsi. Non gli dà molta soddisfazione in questo, è vero. Non si stropiccia in nuove ombreggiature, come direbbe lui, nel fornire emozioni o particolari turbamenti. La parola “guerra” sembra scorrerle addosso così come le scorrerebbe una qualsiasi altra parola di gergo comune: come se effettivamente non le facesse differenza. Non di certo poiché è davvero indifferente al tema, semplicemente… lei conosce il suo posto. Armata della stessa abilità nel saper spingere sul fondo del proprio corpo tutte le sensazioni che prova a pelle, che siano positive o negative, osserverà i suoi movimenti e li seguirà quasi emulandoli. Tanto le basta per indietreggiare di poco con i glutei e aiutarsi, con il palmo destro ed una buona spinta di reni, nell’alzarsi. Qualora fosse riuscita senza difficoltà e con relativa calma, procederebbe ad adocchiare la mano tesa. Non è nelle sue corde, quel saluto. E’ troppo… intimo, a suo dire, benchè in parte “professionale”. Non storce il naso né il viso pare sfigurarsi in alcuna smorfia di dissenso – anzi, si limita ad ascoltare quel nome e a chinare la testa facendo seguire il busto. Inutile sottolineare che i gradi di quell’inchino sanno dare il giusto peso al nome di cui si fa carico l’altro, ed è così che si presenza < Hana. > … ah, giusto. Quasi dimenticava. < Hana Hyuga.> non particolarmente avvezza a quel dettaglio che ora ha tutt’altro significato – l’appartenenza al proprio clan. Il viso vien incorniciato dai capelli che le solleticano le guance mentre si rialza, solo al termine. < Finalmente ho il piacere di conoscerla.> una frase più che perfetta al fine di rendergli noto che nell’effettivo non sembra essere sprovvista di informazioni. Specie quelle che riguardano il Kage. [ Chakra ON ]

16:41 Azrael:
  [Centro] Non che si offenda nel non sentir ricambiare quel gesto, fatto sta che semplicemente rilascia cadere il braccio alzato a peso morto lungo il fianco. La fissa, dritta negli occhi, non un accenno di emozione, sta solo cercando di capire il pensiero dell’altra. Forse troppo invadente? Può essere. Tuttavia non si scusa, non si considera maleducato e non considera tale la ragazza con cui sta parlando, forse ha problemi nel toccare altre persone, forse semplicemente non vuole sporcarlo coi residui del carboncino. Riprende fiato, schiocca la lingua contro il palato per dare nuovamente inizio al proprio parlato < Quel che dicevo prima. Il disegno cambia, la realtà cambia. È un confine sottilissimo, quasi da pensare che quel che viviamo sia lo scorrere della matita di qualcun altro. > E così si arresta, permanendo talmente dritto da parere quasi militare ed assistendo con estremo piacere a quel piccolo inchino. Fa sempre piacere essere riconosciuto, ogni tanto. < Rialzati pure e dammi del tu, te ne prego. > Non che non gli faccia piacere essere rispettato, più che altro la sua è quasi una falsa umiltà, a rimarcare ancora di più quanto sia egocentrico, tanto da aver bisogno di specificare come gli altri debbano rivolgersi alla propria persona. < Hyuga, mh? Conosco vari esponenti del tuo clan. > Daiko, Mekura, Hiashi e svariati altri. Si può quasi dire che conosca di più quello che il proprio. Quasi. < Sei per caso imparentata con qualcuno che potrei conoscere? > Magari un’altra sorella di Daiko, chi lo sa. < Come mai tanta felicità nell’incontrarmi, posso per caso aiutarti in qualcosa? > chiosa, palesando il primo sorriso di quella giornata tra le labbra, dopo che le parole ne saranno scivolate via con la naturalezza che lo contraddistingue. Incrocia dunque adesso le braccia al petto, picchiettando la punta del piede mancino al suolo, ritmicamente, come se stesse tenendo la base di una canzone appena inventata. < Che ruolo occupi nel Villaggio? > domanda inoltre, scostando con la mancina una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ché con la brezza pomeridiana è facile che qualche ciocca corvina scappi al controllo di uno che, del controllo, fa il proprio cavallo di battaglia. [C on]

16:55 Hana:
  [Centro] Con la coda dell’occhio le sarà possibile forse adocchiare il braccio altrui pronto a ciondolare di nuovo lungo il fianco. Non rialza lo sguardo, come l’etichetta le impone, sebbene non abbia l’ardire di immaginare quale sia l’espressione che troneggia sul volto altrui: un mistero che con la sua innata potrebbe svelare pur senza muoversi, eppure sembra non tenerci particolarmente. Non è insensibile, benchè poco avvezza a cimentarsi nella socievolezza di una chiacchierata, non prova particolare interesse nel ferire gli altri sia verbalmente che fisicamente a meno che non ce ne sia una ragione. Reputa, semplicemente, che chi ha di fronte sia abbastanza intelligente da farsi le sue motivazioni sul saluto così formale che concede senza soffermarsi più di tanto. E’ misurata, ecco tutto. Non straborda nell’eccesso né muore per la siccità del suo essere: è equilibrio. < Destino.> un modo semplicistico per riassumere quello che le somministra Azrael a più parole. Il Destino: qualcosa di nostro ma scritto dagli altri. < Mentirei se le dicessi di non crederci.> e mentirebbe anche qualora dovesse dire di non aver visto mai nessuno cambiarlo, prendere la matita e scriverselo da solo. Si rialza come suggerito, pratica nell’eseguire anche quelli che non sono ordini formali. < Mhn.> storce il naso solo adesso: è particolarmente difficile per lei dare del “tu” ad una persona estranea, specie se riconosciuta in termini di gerarchia più in alto di lei. < Ci proverò.> così come ha fatto con Yukio, così come ha imparato a fare con Hitomu. < E’ una concessione che mi prenderò, tuttavia, solo in casi affini a questo.> non in missione, non al cospetto di altri. Ci tiene particolarmente e, come già sottolineato, sa qual è il suo posto. Glissando e raggiungendo l’argomento degli Hyuga, si potrebbe dire quasi sconsolata nel poter ammettere che oltre al fantomatico Satoru Hyuga, non ne conosce altri. < Dipende.> tuttavia la domanda posta non le risulta specifica. < Dipende da chi.> potrebbe essere imparentata a qualcuno che conosce, ma non si tratta di uno Hyuga. E’ pronta a ribattere, a dire che di “felice” nel suo tono e sulla sua faccia non c’è proprio nulla eppure… una pronta ad individuare i dettagli come lei, come può farsi sfuggire quel sorriso? Che mostro sarebbe a strapparglielo via con una frase da ortica? Persino a lei, tra tutto quel freddo che cova in petto, le si stringerebbe il cuore. < Non credo. Anzi, spero di poterla...> ah, oh < poterti > ecco < aiutare io in qualche modo.> in futuro, probabilmente. Lentamente, con la mancina proprio in virtù di mano meno utilizzata e quindi pulita dal carboncino, slegherebbe il coprifronte nascosto dal collo alto del mantello e stretto al collo, per poterlo porre alla sua vista una volta agguantato nell’arto e fatto pendere l’oggetto verso il basso < Genin di Konoha.> replica, lasciando penzolare la fascia munita di placca e stemma del villaggio, prima di riportarla esattamente dov’era prima.[ Chakra ON ]

14:43 Azrael:
 Esamina con attenzione tutte le piccole informazioni che gli vengono proposte dall’atteggiamento e dalle parole di Hana. C’è come uno scudo ad isolare qualunque stimolo esterno da lei, almeno per quel che ne può sapere al momento il Nara. Tuttavia non è nel suo atteggiamento essere così riservato, anzi, tra le sue convinzioni c’è quella che il contatto fisico sia estremamente, estremamente importante, purché non sporchi – per così dire, sia a livello concreto che astratto – chi è coinvolto in esso. E glielo comunica, onde non parere scortese in alcun modo, sicché l’educazione è uno dei valori cui tiene di più. < Non sono un tipo poco avvezzo al socializzare anche in maniere più invasive di una semplice stretta di mano, ma come tu ti impegnerai a concedermi un po’ di confidenza > il semplice dargli del “tu” è già di per sé una grande conquista < Io mi impegnerò a non invadere il tuo spazio in alcun modo. > termina il proprio dire con un cordiale ed esteso sorriso, atto a farle comprendere quanto stia prendendo con leggerezza quella situazione, senza darvi particolare e fuori luogo importanza. In fondo, è solo una chiacchierata. Aggiunge però un qualcosa, che era insito anche nella richiesta di confidenza di cui sopra, un qualcosa a cui tiene molto perché più e più volte si è trovato a rifletterci su. < C’è una maschera diversa per ogni situazione. Ora puoi darmi del tu, un giorno potrei essere il tuo capoteam e dovrai darmi del lei, un giorno ancora potresti rivolgerti a me con l’astio che si riserva ad un nemico o con l’amore che si riserva ad un caro. > piccola pausa, la mancina a ravviare il folto crine corvino < Siamo nello stesso momento uno, nessuno e centomila.> e con ciò chiude il discorso, sicuro che l’altra potrà coglierne tutte le sfumature. Il discorso poi verte sulle conoscenze, su cui la ragazza si mantiene molto riservata, coerente a quanto mostrato finora. Forse anche un po’ misteriosa. < Ho avuto modo di conoscere molta gente nel corso della mia vita, da svariati membri del tuo clan, agli ex Hokage, a quello che oggi ancora risiede in magione, forse tra le mie conoscenze vi è anche il prossimo. Insomma, fammi un nome ed è probabile che lo riconoscerò. > schiocca con la lingua contro il palato, facendo vertere lo sguardo verso il copri fronte appena teso dalla Hyuga < Special Jonin. > replica senza superbia, benché il proprio sia un grado abbastanza alto. < Ricordo bene quando ebbi il mio primo copri fronte… ero compagno d’accademia di Hitomu Senjuu > non serve nemmeno specificare chi sia < E lo strappai in combattimento ad un mukenin che ha avuto i suoi momenti di fama a spese del villaggio, Zuko Ozai. > informazioni non richieste, ma che sempre prova gioia a narrare. Lo hanno portato lì dov’è. < Sentiamo, in che maniera pensi di potermi aiutare? > arriccia le labbra in un’espressione dubbiosa, conscio del fatto che, forse, potrebbe davvero essergli d’aiuto, fosse anche solo per la sua passione per il disegno.

15:12 Hana:
 Non gli risulterà un’analisi ostica: ci vuole poco a comprendere quanto siano rigide, robuste, solide le barriere che ha innalzato dai primi anni di vita rendendole giorno dopo giorno sempre uno spicchio più resistenti. Fragile all’apparenza, dal corpo esile e capace di piegarsi come un fuscello di bambù ma non spezzarsi – ha imparato che talvolta bisogna essere di titanio dentro, non fuori. Così risulta di difficile lettura a chiunque: iniziando dalla prima persona che le ha insegnato il primo jutsu, proseguendo con uno dei membri del suo Clan che l’ha iniziata all’arte oculare del Byakugan e concludendo addirittura con lo stesso Hitomu con i quali pare slacciarsi sempre in maniera moderata: glielo dirà a fine di questa guerra, lui sospetta fin troppo poco di chi lo circonda. E così, se non sarà lui a farlo, sarà lei a diffidare per lui. < Non volermene, il tuo nome è simbolo di devozione e quello che fai > come la reggenza temporanea < è sicuramente nei profitti del villaggio > su questo non ci piove < ma come un albero non può decidere dove nascere e né dove far crescere le proprie radici, allo stesso modo per me è difficile potermi comportare in maniera differente da quella che mi è stata insegnata.> un modo come un altro per dirgli che le proprie, di radici, giacciono sotto un velo di educazione rigida e formale difficile da abbattere, che nell’effettivo non è colpa sua se è incline a non fidarsi quasi mai di nessuno e se rimane fedele a solo tre principi: famiglia, paese e Kage. Secondo questo è già da considerare un privilegio appartenente ai cittadini del villaggio della foglia il suo sciorinare parole atte a formare una mezza conversazione con chiunque rechi il copricapo del villaggio della foglia e allo stesso tempo sia parte integrante di quest’ultimo: generalmente si sarebbe fermata ad un “buongiorno”. < Ti ringrazio per la premura.> quella finalizzata a non calpestare il suo spazio. Il modo di discorrere dello special jonin è completamente diverso da quello di Hitomu e da quello di Akendo, allo stesso tempo sembra introdurre la capacità di uno di voler dare una lezione per ogni parola e la capacità dell’altro di esemplificare ogni concetto: un punto a suo favore, specie per lei che può apprezzare le vie di mezzo essendo ella stessa il centro tra il bianco ed il nero. < Immagino che certe situazioni lo richiedano.> essere uno, nessuno e centomila. < e sono perfettamente d’accordo con lei.> sulla mutevolezza delle cose, specie quando il tuo più grande amico può diventare il peggior nemico della tua vita. < Per questo, le chiedo di comprendere il mio distacco.> null’altro. Distanze finalizzate ad annullare qualsiasi sentimento, a stroncarlo sul nascere: odio o amore che esso sia, privargli della vita prima del tempo. E’ la via più sicura, la più semplice apparentemente. < Mhn.> comprime le labbra comprendendo quanto le viene detto, batte le palpebre concedendosi un mezzo minuto di silenzio giusto per ponderare. < Allora vuol dire che lei conosce un mio parente.> sicuramente. < E un giorno capirà il perché io sia tanto restia a dirle chi.> più che altro è sempre stato un suo pallino tacerlo, da quando l’ha saputo: ha passato buona parte della sua vita nell’ignoranza e nell’inconsapevolezza. Ora che ne è venuta a conoscenza, reputa sia l’ultima cosa da dire quella faccia della terra per preservare l’incolumità di un legame. L’ironia della sorte le riserva una storia che può essere parte integrande di quello stesso coprifronte che lascia pendere dalla mano e che poi, subito dopo, ritorna ad allacciare intorno al collo di modo che non venga nuovamente coperto. < Immaginavo.> che fosse un ninja di tale portata < del resto la reggenza del paese non può essere data ad uno sprovveduto > un complimento, se così può intenderlo. < Quindi è da molto che conosce l’Hokage?> incalza così il discorso: se prima poteva minimamente dubitarne, ora ne è certa: Hitomu ha fin troppe conoscenze e si fida fin troppo delle persone. Un ottimo Hokage, invida di lui forse la capacità di fidarsi così tanto: in questo riesce a riconoscere quanto sia ancora tremendamente acerba. < Il prossimo Hokage. Mhn.> ci pensa su: come può sapere già il nome del prossimo se Hitomu non pensa di destituirsi. Non ancora, immagina. < Se lo reputeri opportuno, assegnami una missione. Dimmi cosa fare. Eseguirò in qualche modo.> non c’è bisogno di sapere “come”, che sappia semplicemente che potrà farlo e lo farà. [ Chakra ON]

15:58 Azrael:
 Come ha finito di ascoltare tutto ciò che ha detto viene quasi costretto dal proprio corpo a rispondere ad una delle ultime domande, quella riguardante Hitomu. < Come ti ho già detto eravamo compagni in accademia, insieme abbiamo guadagnato il copri fronte e abbiamo iniziato quella che per me è una delle amicizie e collaborazioni a cui più tengo. > si arresta un attimo per umettare le labbra con la punta della lingua < Ho vissuto con lui le varie promozioni che ci hanno portato dove siamo ora, sebbene poi i doveri ci abbiano costretto ad accantonare il lato più amichevole a vantaggio di quello lavorativo. È una delle poche se non uniche persone a cui affiderei la mia vita. > conclude con quell’affermazione che ha del sacro, quasi. Dopo la fuga di Zuko, gli attacchi di Nokemono, la carestia sventata, il doppiogioco ai danni di Kuugo, l’attuale Hokage è agli occhi del Nara forse una delle due – considerando Akendo – persone effettivamente degne della più cieca e totale fiducia. < Sono lusingato dalle lodi che ricami nei confronti unicamente del mio nome, è lo sconfinato amore che provo per Konoha ad avermi guidato, ma sono sicuro che se ci dovessimo incontrare in diversa ambientazione potrò darti prova che non sono solo voci. > incrocia le braccia al petto, gonfio di orgoglio e fierezza come solo una persona che tiene a quel che fa potrebbe essere. Ora, come se avesse risposto a tutti i punti del discorso della ragazza in ordine inverso, quel che le dirà sarà semplicemente un cortese < Comprendo. > riguardo tutto, sia la sua riservatezza, sia la rigida educazione, sia il tenere per sé alcune importanti informazioni < E per quanto non sia nel mio normale atteggiamento, posso comprendere che tu voglia evitare di lasciare piccole confidenze, anche non importanti. Come fosse un veleno… più lo disperdi, più diventa debole. > non in accezione negativa, ma la metafora dovrebbe calzare. In più parti dividi i tuoi affetti parlandone con tutti, meno sembrerà che ci tieni, come se ne lasciassi il controllo ad altri. Ma detto ciò andrà ad accogliere la “richiesta” della ragazza. Lancia uno sguardo nuovamente al disegno incompleto fatto dalla Hyuga. Estrae dalla tasca dei propri pantaloni un foglietto di carta, non più grande di un fuuda, su cui va a vergare alcune informazioni con un lungo stiletto imbevuto di inchiostro, preso sempre dallo stesso luogo da cui ha fatto capolino il foglio. Glielo porge e , quando lo guarderà, potrà leggervi un indirizzo. Non molto lontano dal centro cittadino, una residenza non particolarmente lussuosa, ma immersa nel pieno della vita del villaggio della Foglia. < È casa mia, oltre che lo studio dove esercito la professione di tatuatore. Mi piacerebbe vedere qualche altro tuo lavoro e magari insegnarti la mia arte, se la cosa ti interessa. > uno sguardo all’orizzonte, quindi, prima di constatare l’ovvio < S’è fatto tardi, ho da tenere delle lezioni in accademia. > Un piccolo inchino per salutare la sua interlocutrice < È stato un piacere, spero ci rivedremo presto. > e con questo, che lei abbia o meno accettato il suo “bigliettino da visita”, prende un paio di passi di rincorsa, prima di scattare verso il ciglio del tetto e saltare giù, le gambe flesse per attutire l’impatto col terreno, il busto chino in avanti quanto basta da non sbilanciarlo durante la caduta, le braccia aperte a favorire l’attrito. Dopodiché si dirige nel luogo appena annunciato. [END]

Anche il tetto di una semplice abitazione può risultare un punto strategico per poter osservare dall'alto ed immortalare su di un foglio le sagome di Konoha. Ed è proprio quando il carboncino traccia l'ombra della sagoma di Azrael che il fato sembra farglielo sfuggire dalle mani: a raccoglierlo, proprio lui.