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赤い糸

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con Kioku, Hana

22:58 Hana:
  [Foresta] Pezzi di cielo si sgretolano e cadono, rantolano, grondano dai vestiti ormai diventati fradici: ed è il sentirli drappeggiati e colanti sul corpo a farla sentire viva – scivolosi, quella sensazione viscida e allo stesso tempo fresca che sa donare ristoro e a sua volta ristagna parte del suo pensiero facendole conoscere l’agio e la via giusta da perseguire. C’è chi come lei campa sulla verità del fatto che tutto sia una bugia: tutto, a partire dai sensi e per concludere sull’istinto, una mera illusione che se sfiorata appena con le mani, rasente lo specchio d’acqua d’un lago tacito, sa deformare la propria immagine. Eppure, come rivangato più di una volta, come potersi ambientare in questa bugia se non creando un fitto reticolo di menzogne nel quale sapersi districare per raggiungere quella più alta? Inspira. Si fida di se stessa? Scuote il capo. Non è il momento adatto forse per chiederlo, specie quando si ha la consapevolezza di poter dire una cosa con la testa e non obbedire col cuore. Quello, dicono sia un organo di fuoco: capace di dare vita così come stroncarla. Ultimamente, il suo, riesce a perdere qualche battito nella velocità del suo moto, pompando troppo sangue, favorendole l’affanno della corsa che ora i suoi piedi s’accingono a compiere evitando a tratti il contatto con il terreno se non per mera necessità. Fende l’aria, lasciando che il proprio mantello s’impregni di quell’aroma boschivo e allo stesso tempo fradicio che la fitta vegetazione sa donare, cucendo un perfetto arazzo di quesiti e fili d’erba incastrati tra i capelli dal colore spezzato ma privo di sfumature. Maniaca del controllo, potrebbe addirittura saper rivelare il numero esatto dei capelli bianchi e quello dei capelli neri. Occulta parte del volto, come sempre, quel suo modo di essere incompleta ma allo stesso tempo integra: degli occhi ne lascia l’immagine delle iridi, bianca e nera. Delle labbra, nemmeno l’ombra giacchè celate dietro il collo alto del mantello nero che per l’occasione sembra addirittura occultare la fascia da genin legata al collo, sotto il mantello, mostrata solo per l’occorrenza ai cittadini e relativi anbu. Ciò che vi è sotto il mantello non è nemmeno visibile, tuttavia nasconde sapientemente sulla coscia destra una fascetta che ne recide il perimetro ove vi è appoggiato il porta oggetti con relativi shuriken, kunai, fili di nylon e chi più ne ha più ne metta. Ha trovato un’utilità anche per il proprio ruolo “femminile”, imparando a fare d’ogni esposizione una necessità, infilato quindi nel seno il proprio tessen e nascondendolo in quell’abisso al quale solo lei ha accesso. E così, come bianco e nero, stringe nella mano destra un kunai e nella sinistra una pergamena: lì dove le parole non arrivano, c’è sempre un’arma a fare la propria parte. Corre, calpesta le foglie fradicie, sembra addirittura incapace di produrre suono per com’è stata ben ammaestrata – trova nella pioggia un’affinità che prima d’ora non le era stata concessa e che non potrà far altro che accrescere, seguendo il ticchettio delle stille piovane e a tratti fidandosi solo di quel suono per raggiungere parte del suo obiettivo. Tra la volta infuocata dai fulmini, il riflesso dei suoi occhi di tanto in tanto s’adagia su qualche pozzanghera sfruttandole a mo’ di specchio per individuare eventuali presenze senza tuttavia fermarsi. Non è mai stata particolarmente amante delle speranze, diciamo che si è armata di “buoni intenti” e non ha potuto far altro che questo: prendere la propria identità tra le dita e scuoterla affinchè diventasse più forte dei tuoni. E poi… poi c’è lui, Hitomu, un uomo armato più di esperienze che di rughe e che forse vale la pena ascoltare quando sa sganciare consigli, anche se questa la obbligano a setacciare in lungo ed in largo Konoha per trovare una sola persona. Lui. Ancora. [ Chakra ON ]

info: Estemporanea allo scontro con Ryota

23:50 Kioku:
  [Foresta--->Radura] Il cielo del paese del fuoco piange, come il preludio a qualcosa di atroce o assurdo, come se il mondo piangesse, consapevole che da li a poco qualcosa si abbatterà su quelle terre, piange poiché cosciente di ciò ma incapace di agire…impossibilitato, costretto ad osservare, negatagli la possibilità di distogliere lo sguardo…condannato ad assistere. Un sentore condiviso dallo stesso Rikudo Sennin, il cui potere lo connette alla natura e al cuore pulsante del mondo attorno a se, percepisce del disagio, qualcosa che disturba l’armonia di cui il mondo solitamente si fa pregio d’essa, condividendolo con gli essere umani, percepisce ed ambe due le proprie iridi sono puntate verso il cielo, scrutandolo, come a cercare di capire, interpretare questi segni, ma Akendo non è un indovino e nemmeno il miglior donasimiento di Konoha, per cui il futuro gli è precluso, l’unica cosa che può fare è essere pronto. Come in questo istante, l’ignara Hana alle prese con la sua assurda ricerca come potrebbe mai trovare qualcuno cui lo stesso Kage deve mandare missive o pergamene per rintracciarlo? Eppure in quella sua dose di “buona volontà” lo sguardo del Rikudo Sennin non la lascerebbe mai nemmeno per un momento, come nei giorni precedenti, senza mai divenire un vero e proprio stalker, venendo incontro a quel suo desiderio, lontano da lei, si troverebbe una radura, il cui bosco ha risparmiato la presenza di alberi, lasciando solamente qualche erbetta e pietra, insomma una radura a tutti gli effetti, salvo un unico e importantissimo particolare. Bagnato dalla pioggia che fredda scivolerebbe lungo tutta la sua gote, priva di maschere e altro, li...al centro di quella radura vi sarebbe lui…il possessore del Rinnegan, un manto nero questa volta coprirebbe l’intera figura del Seiun, salvo ovviamente il volto e la folta chioma bagnata, come l’ intero manto, una sola Katana sul suo fianco, il sinistro per la precisione, non avendo ancora recuperato la seconda, lasciata quella notte ormai famosa per Hana e Akendo, vivida nei loro pensieri. Calcolando il percorso da lei intrapreso, dunque si farebbe trovare li, dopo diversi metri macinati dalla Hyuga, troverebbe infine questa radura spuntare tra la folta flora presente, il suo sguardo potrà facilmente scorgere la figura di Akendo, coperto da quel manto, la lunga chioma piangente, lentamente il capo del Rikudo Sennin si girerebbe, percependo la ragazza, lo sguardo violaceo posarsi sul di lei viso, assottigliare per qualche istante le palpebre, inutile prendersi in giro o illudersi, in quello incrociarsi di sguardi, Hana potrà facilmente capire che non è una coincidenza ne la fortuna, se in quella radura ha trovato ciò che cercava. Non proferirebbe parola, girando interamente il suo busto, mantenendo la stessa posizione eretta, il picchiettio della pioggia sul nero manto e sul terreno sempre più morbido, gocce d’acqua scivolare sulla delicata pelle di Akendo, infrangendosi all’impatto e scivolando inesorabili lungo l’intera gote, rigandone il viso, come se piangesse. Il respiro caldo, cedere al freddo esterno, condensarsi in alcune nuvolette, eppure neanche un solo muscolo muoversi, semplicemente l’aspetterebbe e forse è quello che ha fatto da quando l’ha riportata a Konoha, lo stesso motivo per cui l’ha seguita fino a questo bosco, poco distante dalla sua grotta, per la stessa ragione per cui ora è lì, d’innanzi a lei, il cielo straziato dal dolore e dalle lacrime come sfondo… [equip descritto] [Rinnegan off] [chakra on]

00:04 Hana:
  [Radura] Coincidenze o meno, Hana non è mai stata particolarmente incline a svincolare le sue parole diramandole in emozioni – quelle che ovatta, eppure c’è una parte di lei che la spinge a credere che per mano dei Kami tutto possa essere scritto. E’ una di quelle persone che, ad esempio, a volte leggendo qualche monogatari non può fare a meno di credere che un akai ito, un filo rosso stabilito dalle divinità e capace di congiungere dalla nascita due persone per i mignoli, possa davvero esistere: credenze che additerebbe come sciocche, di cui in parte se ne vergogna e giacciono con le emozioni sul fondo di una scorza dura che si è costruita passo dopo passo. Eppure non rifiuta di vivere, respirare a pieni polmoni, di bagnarsi la faccia senza asciugarla – perché un po’ d’acqua piovana non ha mai fatto male a nessuno. Non ci intravede poi la sofferenza di un cielo straziato, quanto più l’acqua che ne leviga la terra e cancella: odori, tracce, ricordi. Ne costruisce di nuovi, scivola via scavandosi la strada come solo lei sa fare trovando nei piccoli spiragli un valido passaggio, ramificandosi e adattandosi a qualsiasi superficie. Dalle ciglia la poca luce filtra rendendole possibile intravedere, anche senza l’utilizzo di qualsivoglia sotterfugio, qualcosa smuoversi: un’ombra, un odore familiare forse trasportato dalla scia del vento ed ora impegnato nel destreggiarsi davanti alle sue narici prima di scivolare via col corso d’acqua. Proust la chiamava “memoria involontaria”, quella secondo la quale con un solo odore ti viene in mente un episodio. Si lascia trascinare da questo pensiero e allo stesso tempo trova pace per i piedi dai talloni stanchi, la suona ormai arrossata, le scarpe diventata un grumo pesante d’acqua affondate nella fanghiglia e nel prato della nuova distesa che si prospetta davanti ai suoi occhi. Si ferma, senza arretrare, quasi di scatto: per mero istinto trascina l’arto destro a protezione del volto, lasciando lungo il fianco il sinistro. Il petto s’allarga e allo stesso tempo s’appiattisce a ritmi regolari ma frenetici, calibrando l’aria da filtrare, inalare, risputare fuori senza che nessuno se ne avveda. Il tutto, ridotto ad una semplice nuvola di condensa insufficiente ad ostruirne lo sguardo che pare fiondarsi sulla sua figura e la sensazione dello “scomodo” pronta ad abbracciarla dalle spalle. Si sente scomoda, nonostante sia riuscita a trovare quanto cercato: è un contrasto il suo che, nonostante le sfumature bianche in contrasto con le nere che è abituata a sopportare, ora la mette in una posizione di svantaggio. Davanti a sé un tappeto rosso pronto ad esser calpestato dalle parole, parole che per la seconda volta vengono cedute a lei in quel silenzio: perché deve iniziare sempre lei? E’ così … scomodo, sì, ancora. D’altro canto non sospetta minimamente che sia stato lui a tracciarne il percorso, per il suo modo di vederla è stato una mera casualità quella di averlo trovato lì a diminuirne le distanze: sarebbe stato davvero estenuante dover ripercorrere del tutto la strada che riporta alla sua grotta, benchè ci sia quasi riuscita. <Io.> Ah, già. Giusto. Come cominciare una conversazione nel migliore dei modi. Abbassa il kunai, non ritrovando saliva nella cavità orale: l’ha persa nella corsa. Cosa dire? Come dire? Perché è andata fino a lì? Potrebbe vigliaccamente additare Hitomu. < Ti ho mentito.>< Forse.> [Chakra ON]

20:50 Kioku:
  [Radura] L’attesa pare quasi infinita, come narrano le leggende del clan Uchiha, pare che il mondo rallenti di qualche battito di ciglia all’attivazione dell’occhio cremisi, così questa attesa pare al Rikudo Sennin, immortali ed estranee da ogni logica temporale, le lacrime di pioggia versate sul suo volto parrebbero non cadere più al suolo, un’attesa quasi straziante se ci cerca di cogliere il senso di tali profonde parole, ma non è forse questo strazio a rendere il tutto più unico? Il possessore del Rinnegan ne è conscio ed in questo strazio temporale egli si crogiola, gustandosi ogni impercettibile battito di ciglia, mentre rugiada scorre da piante e gote, una lentezza che trascende ogni tessuto temporale, toccare terra? Una bellissima illusione. I sensi, ormai sviluppati oltre ogni possibile concezione, grazie ad allenamento e tempo, renderebbero Akendo in grado di seguire i movimenti della Kunoichi di Konoha fin all’entrata di quella radura, ove posto come statua al suo centro attende ovviamente la sua venuta…immobile, al principio solo il capo puntare a lei, lentamente l’intero busto e quindi la figura al completo, portando immediatamente le proprie iridi sul di lei viso, cercando fin da subito un contatto tra i loro sguardi, tutto tace, il respiro si condensa, nuvole pregne di parole mai udite, pensieri e desideri mai espressi, abbandonare le loro carni, librarsi nel cielo e scomparire nella pioggia. Il suono della dolce voce di Hana raggiungerebbe l’ex Seiun, incuriosito da tali parole, solo al termine di esse, schiuderebbe le proprie labbra, parole precedute da un ennesimo respiro congelato nel vento <menzogna…> andrebbe a sussurrare ripetendo la frase poc’anzi udita…<non vi è forse parola più sincera e adatta per celare ciò che realmente desideriamo> abbozzerebbe quasi una risata, cosa assai rara e poco credibile <paradossalmente è forse l’azione più pura e istintiva per rappresentare il nostro sentimento più sincero> d’altronde mentire, che sia per una missione, se vogliamo ragionar ad un livello più pratico, o che sia per celare ciò che realmente pensiamo o desideriamo, è probabilmente la conferma che in qualunque caso ciò che celiamo mentendo è forse quel sentimento o pensiero a cui più teniamo. Ovviamente in questi attimi di ragionamento, preclusi ad ogni altra forma di vita al di fuori del Rikudo Sennin, se esternasse ragionamenti simili, difficilmente si riuscirebbero a comprendere, per tanto non vi sarebbero ulteriori parole oltre a quelle proferite in precedenza, una semplice affermazione sul significato di menzogna, lasciando nuovamente quel silenzio, volontariamente, affinché la Hyuga possa dunque continuare e spiegare in maniera più approfondita a cosa si riferisca quando dice di avergli mentito. Probabilmente Hana sa benissimo che Akendo potrebbe anche arrivarci per deduzioni a capire il significato della frase proferita dalla nipote di Hitomu, e lo stesso Akendo conscio di questo potrebbe tranquillamente ragionarci sopra ma…dove sarebbe il bello? Il gioco stesso è curiosità, vedere fin dove può arrivare, vedere e ascoltare fin dove le sue parole arriveranno a pronunciarsi o non sarebbe così divertente. [equip descritto] [Rinnegan off] [chakra on]

21:43 Hana:
  [Radura] Come diamine fa? Ad aprire bocca e ad avere quasi sempre la risposta sulla punta della lingua, come se per tutta la notte non avesse potuto far altro che perdersi in elucubrazioni mentali finalizzate a trovare le parole per chiudere tutta la giornata e tutte le parole, tutte le parentesi e tutti i pensieri, piazzare un punto ad ogni affermazione che pare già aver calcolato, ascoltato, ponderato. Che sia un suo deja-vù? Che lei sia il Deja-vù di chi si professa Dio senza apostoli né seguaci? Al suo cospetto, lei altro non è che un angelo maldestro senza ali né empireo al quale aspirare, e allo stesso tempo nemmeno un paradiso rasente quello dell’Amida in cui credere o sperare. Reclami scranni celesti, ti professi Dio, eppure cosa puoi offrire ai tuoi fedeli? Li osservi dall’alto, siedi e pensi che forse è il caso di spostare il piede poiché è arrivato il momento di lasciar la strada libera alle formiche che volendo potresti calpestare ma che invece lasci vivere, in una teca di vetro personale, e che per pura noia alimenti con luce artificiale e mangime occasionale. Regali risposte che potrebbero sembrare poco chiare ma che in realtà bruciano sulla pelle, come acqua salmastre sulla ferita aperta, colante di sangue. Menzogna – rimbomba nella testa, la sua voce è così tremendamente pesante – passi incancellabili sulla strada fangosa, come solchi rigati incapaci di essere colmati dall’altro terreno. Inspira, quasi le fa male il petto, ed è il freddo dell’aria che inala ad intorpidirle i muscoli ed il moto dei polmoni. Il cuore batte, pompa sangue, sancisce un ritmo irregolare ma scandito – divampa nel petto, nella costrizione di ossa che pare abbattere ad ogni frequenza cardiaca. Il respiro spezzato e che a tratti sembra reprimere, mentre dalle labbra gronda una nuova goccia d’acqua piovana scampata al sacrificio delle altre che sono state deglutite per puro errore. Dai capelli pende lo stillicidio del cielo, negli occhi anela la sua attenzione e quasi si fa schifo per la veemenza con la quale sembra ricercare il suo sguardo: chiude le palpebre, sa che a tratti può parlare più con gli occhi che con le labbra e questo non può far altro che male a chi come lei rifiuta d’accettare qualsiasi pulsione, sentimento, sebbene le basterebbe fare un passo in avanti e sprofondare nel crepaccio dei suoi desideri. < Io > ancora una volta lo sottolinea, manco volesse far distinzione tra lei ed il mondo < non sono una bugiarda >un appunto che avrebbe il diritto di tenere per sé, benchè senta il dovere di renderglielo noto. Lascia che le chiazze bianche e nere della filigrana ora piatta, lunga, a rigarle goti e viso ne nasconda parte di quest’ultimo così come lo sguardo ora riversato al suolo, quasi raso terra, inquadrando parte delle gambe altrui. Ne individua il saya della katana, la tsuka appena nascosta dal braccio ma che riesce a sporgere molto di più della tsuba. Con la destrorsa si premura di riporre il kunai benchè sappia che sia sconsiderato mettere da parte un’arma in un posto come questo: in compenso sembra trascinare davanti a sé un nuovo saya che dapprima giaceva sulla schiena, ivi dentro sopita la seconda katana che il Sennin ha lasciato all’hokage e che – prima di cercarlo – lei si è premurata di prendere lasciando una pergamena ad Hitomo ammesso e concesso non fosse riuscito a trovare Akendo. Lo guarda, davanti a sé – ora. E’ così… detestabile, e al tempo stesso non riesce nemmeno a capacitarsi del perché, nonostante sia tanto detestabile in quell’involucro che non è saccenteria ma convinzione, non riesca quasi a separarsi dalla sua immagine. Mordicchia ancora una volta il labbro inferiore, decidendo di tenere per sé qualsiasi forma di chiarimento qualora non richiesto: dirgli d’aver mentito è stato come levarsi un peso sul cuore sebbene in parte permanga la consapevolezza di non aver strizzato bene lo straccio imperlato d’acqua, lasciando parte delle sue colpe ancora in attesa di espiazione. S’avvicinerebbe, quasi senza timore, a lui allungando soltanto la mano destra una volta macinato il metro che la distanzia da lui e lasciando che siano almeno trenta i centimetri che intercorrono tra loro. Gli porge la katana con la destra, rivolta ai lati ed in orizzontale, tenuta per la tsuka. < Questa è tua.> [ chakra on ]

22:37 Kioku:
  [Radura] Il cielo piange, la terra freme, quella radura è pregna di potere, in questa notte, vi saranno parole e pensieri che s’imprimeranno nel fango e nella corteccia degli alberi che circondano tale loco, impresse per sempre nella loro immortale memoria e presenza, parole che non lasceranno mai tale cortecce. Osserva ora la ragazza, il violaceo-grigio sguardo del Rinnegan sopito, fissarla, ma con una intensità diversa da chi sta osservando un qualcosa mai visto, le sue palpebre sono assottigliate, la fissa, lo sguardo penetrante cercherebbe di strappare via le di lei carni, spogliandola di ogni qualsivoglia materia organica e non, portando il suo sguardo oltre, infrangendo ogni possibile barriera psichica e fisica, arrivando al centro esatto ove ha origine la sua fiamma. Ovviamente non gli è possibile farlo, nemmeno con il Rinnegan, ma sa bene che tali caratteristiche e particolarità devono essere tirate fuori con la forza e uno dei modi è proprio questo, ignora che ella abbia risvegliato il potere dell’antico clan degli Hyuga, legato in un certo senso alla sua stessa abilità oculare dai mille e uno cerchi concentrici che vengono inondati da quel violaceo colore che tanto fa parlare di se ma ben poco si sa. Il silenzio regna a seguito delle proprie parole, ma non un silenzio imbarazzante, con Akendo difficilmente potrebbe accadere simil situazione, un silenzio denso di significati a tratti vuoto eppure dolce, una pausa riflessiva dal mondo, alcun pensiero o problema sembra toccare quel loco ora in presenza del Rikudo Sennin, un effetto non del tutto estraneo a chi ah già avuto il piacere d’incontrarlo più volte, godendosi chiacchierate o spunti riflessivi. Il cielo come in presenza del Kami del Tuono, s’infrange all’udir le parole della giovane Hyuga, spezzando tempo, pioggia e silenzio, parole che raggiungerebbero Akendo, rimasto fisso nello sguardo di Hana, che distolga o meno lo sguardo, brevi e semplici parole per poi avvicinarsi, qualcosa di sua proprietà tornerebbe dunque al padrone, alquanto sorpreso di vedere la nera lama nelle mani di altrui persona, non che gli procuri un particolare fastidio. Ad ogni passo d’ella, un passo dell’ex Seiun, lentamente le verrebbe incontro, velocizzandosi sempre più e macinando quei pochi metri che li separano, lo sguardo fisso su di lei, la destra estrarre la nera Katana, senza nemmeno badare troppo alle sue parole, afferrandola immediatamente, con agile torsione del polso stesso, padrone dell’elsa nera, porterebbe il manico verso Hana e la punta al suo stomaco….<Non sei forse venuta per questo?> palese ad entrambi che non sia così eppure è davvero così importante che tale discussione abbia un filo logico? Un sospiro per poi riprendere a parlare….<non è forse vendetta quella che cerchi? Per come sei stata trattata quel dì? Strappata via dalla presenza di tuo zio per puro egoismo, forse per noia, forse per gioco>….<in balia dei capricci di chi si dimostra essenzialmente indifferente d’innanzi al valore che ha la vita umana, fin dove può arrivare la sopportazione di un oggetto?> Il volto di lui si avvicinerebbe a lei, sempre più e contemporaneamente lo stesso andrebbe a fare la lama…la ragazza stessa, ora in possesso dell’elsa, stretta nella morsa della destrosa di Akendo, potrebbe tranquillamente percepire la lama avanzare sempre più nelle carni del Sannin, difficile dire fin dove o se è solo l’inizio. A pochi centimetri dal viso di lei, il respiro del possessore del Rinnegan, caldo, avvolgerebbe come serpe sulla preda il di lei collo, riscaldandola a tratti eppure, il suo sguardo ed il suo tono sono di un gelo incredibile, come se attorno a loro vi fossero solamente ghiacciai e nulla più…<fino a dove un oggetto può rinnegare se stesso?> un discorso che potrebbe sembrare senza senso, ma che tra i due è alquanto serio e profondo, sa benissimo che non è vendetta ciò che cerca o di certo non gli avrebbe portato la sua Katana ne avrebbe abbassato la guardia del Kunai, il discorso di cui ora sta parlando Akendo affonda nelle radici della natura di Hana, presentatasi a lui come oggetto eppure non vi sarebbe un oggetto uguale a lei e forse questo non la rende unica? Diversa da un oggetto? Diversa dalle tante altre fiamme opache e prive di volontà e pensiero proprio…fin dove arriva il limite di oggetto? Dov’è la sua morte e la nascita di una persona unica nel suo genere? Il respiro costante su di lei, le iridi violacee a pochi centimetri dalle palpebre di lei…<basterebbe spingere un po’ di più, lacerare queste carni…uccidermi e reclamare l’atto> d’altronde chi potrebbe mai dire di aver ucciso un dio o semi-dio o quel che sia? Leggendario possessore del Rinnegan….<La volontà è qualcosa che mal si accompagna all’essere un oggetto eppure sappiamo entrambi che ora come ora la mia stessa esistenza è un pericolo costante per ogni villaggio in qualsiasi momento>….<per Konoha> le sussurrerebbe….<come oggetto e strumento di Konoha, non sarebbe dunque meglio porre qui ora e subito fine ad un qualcosa che magari in futuro potrebbe trasformarsi in un pericolo maggiore se non l’apocalisse stessa?> ecco ora la scelta…<è tutto nelle tue mani Hana> un gelido sussurro che sovrasterebbe il calore del respiro di Akendo. La nera lama che tante vite ha portato via ora verrebbe spinta sempre più verso le carni stesse del padrone originale, la mano di lei stretta all’elsa nera e costretta dalla destra del Rikudo Sennin, eppure la scelta finale spetta a lei. Generalmente chiunque penserebbe che tutto questo non ah minimo senso eppure chi ha avuto la fortuna di conoscere o anche solo passare qualche ora con il Rikudo Sennin sa benissimo che nulla di tutto ciò che fa è mosso dal caso o da chi chissà quale mistica figura, vi è sempre un motivo per ogni sua azione. Ad Hana scegliere di essere un oggetto o comprendere che la sua stessa esistenza, il suo sguardo, il suo respiro, ciò che prova, ciò che sente, persino quello che percepisce attorno a se ed ogni sua pensiero sono la prova e la contraddizione stessa che ella è tutto fuorché un oggetto…fiamma. [equip descritto] [Rinnegan off] [chakra on]

23:02 Hana:
  [Radura] Gliela porge, come se non fosse già abbastanza: una katana rivolta quasi come a dirgli che lì, davanti a lui, c’è una scusa per vederlo servita su di un piatto d’argento. Dove il dolce ha il sapore del veleno, si lascia cullare sia dalla pioggia che dalle sue parole che per la prima volta scorrono come un fiume in piena – pronta a riempirle le orecchie, la testa, a scivolare in ogni anfratto della coscienza e a trovare ristoro nei pensieri. Per un breve istante lo sguardo s’adagia sul riflesso della lama che viene estratta ed è proprio lì che forse incontrerà i suoi occhi: un giorno le è bastato per capire quanto possano essere scomode quelle occhiate ma allo stesso tempo confortevoli – in questo paradosso. Ad ogni vibrazione delle sue palpebre sembra cedere, come un corpo rivestito da una sola coperta e che lentamente si fa strada, spogliandosi di sua volontà, denudandosi solo ubbidendo ad un’occhiata non in una forma di remissione quanto più d’ammaliamento. Non pretende di creare la stessa sensazione in lui, ancora inesperta benchè avvezza nel concedere più occhiate che parole. E’ quella dichiarazione, ogni sillaba composta è un aggregato che si compone come la materia più sottile ed invisibile, come gli atomi s’associa e allo stesso tempo sembra distruggere pezzo dopo pezzo, composto dopo composto, parte del suo essere: lo scompone, lo rende a tratti inerme ed ora ci sarebbe da domandare – chi spoglia chi? Si lascia togliere quel cappotto di insicurezze esattamente come pretende di rimuovere, pezzo dopo pezzo, parte della sua armatura e riporla con cura, lucidarla, e appoggiarla al proprio posto con la degna composizione che spetterebbe ad una creazione nuova. Stringe quasi involontariamente le dita intorno alla tsuka, avvertendone i ricami dei lacci neri e allo stesso tempo la pressione che lui – mediante il kisseki adagiato sul ventre – esercita. Forse le sarà possibile notare che magari, sotto la blanda stoffa, non c’è altro se non carne. Venuta per questo? E’ venuta per tante motivazioni. Forse *anche* per questa. < Vendetta.> è una parola che non ha sapore sulle sue labbra, insipida. Scuote il capo, quasi intenta a cancellare dal labbro inferiore la sillabazione delle lettere che ne consegue la stessa parola. < Davvero pensi che mi abbasserei a questo?> Alla vendetta. Non s’abbasserebbe mai. < Non sono così debole.> è così che la vede, la vendetta: la reazione di chi non sa perdonare. La reazione di chi erra col senno di poi. La reazione che, vigliaccamente, potrebbe avere anche lei ma che ora cerca di negare. Che stia mentendo? Fin quanto può dirsi bugia affermare qualcosa che non si sa con certezza? Davanti a lei di nuovo gelo, troppe le persone incontrate incapaci di donarle un briciolo di calore e lei non è da meno – arde dentro, però. Questo glielo riconosce. Arde in maniera impercettibile, un tizzone non stuzzicato, di quelle fiamme che sanno scaldarti quando meno te lo aspetti. Lo sa, anche lui è fatto dello stesso fuoco: e ci sono tante cose che potrebbe dire di sapere di lui, nonostante non lo conosca per niente – è come se, alla fine, non fosse altro che la grinza sulla propria pelle. Come se fosse stato sempre lì, ma venuto a galla soltanto adesso. Quello sul viso ha la parvenza di un mezzo sorriso, a tratti ilare, a tratti ironico, a tratti malinconico benchè questa emozione le si addica e difficilmente la si può intravedere in lei < E cosa me ne faccio, io, della tua carne e del tuo sangue?> retorica nel suo modo di formulare. Il suo respiro, freddo, pronto a lambire parte del collo scoperto – caldo, inumidito solo dall’acqua, pronto a diventare freddo anch’esso. Il suo viso a pochi centimetri da sé, quell’odore che la pioggia avrebbe dovuto cancellare ma al quale indipendentemente, inaspettatamente, involontariamente ci si aggrappa. Socchiude le palpebre per un istante, che sia soltanto uno. Lo ritrova lì, nella mente, esattamente come la prima e l’ultima volta in cui l’ha visto. < Tu non vuoi morire. Ed io non sono nessuno per darti la sentenza.> ritirerebbe indietro la lama, cercando di allontanarla dal suo ventre e appoggiando su quest’ultima la mano libera tentando di lasciar cadere al suolo sia la spada sia la pergamena che stava cingendo nella mancina. < Sono sicura che, come gli altri, nella tua vita hai peccato. Forse più di ogni uomo, forse hai rinnegato troppo per avere tanto e ti sei accorto di avere un pugno di aria.> incrocia il suo sguardo, e non è un modo di dire: quel suo modo di guardare, a tratti, sembra pretendere di trovare nelle altre iridi il proprio riflesso. < Se è vero ciò che dici, la morte sarebbe soltanto un favore. Vivi, come facciamo tutti, e sconta le tue pene.> era tutto nelle sue mani e l’ha rifiutato, perché non ne ha bisogno. Potrebbe dirgli che nell’effettivo, questo, non è un compito che le spetta. Proverebbe ad accostare appena la fronte sotto il suo collo, cercando ricovero su quest’ultimo. Inspira, cerca il suo profumo, l’alone della sua umidità. < Giocheresti così tanto con me da mettermi la tua vita tra le mani?> per il gusto di sentirti tanto onnipotente da saper di poterla stuzzicare? < Non giocare con me.> [ Chakra ON ]

23:54 Kioku:
  [Radura] Lama contro ventre, il bianco ed il nero mischiato al viola, caldo e freddo, contrasti nati ancor prima che nascessero le prime forme di vita senzienti, eppure tutt’ora tali contrapposizioni persistono, nascono e muoiono. Come in questo caso, la nera Izanagi lacerare lentamente le carni di Akendo, quasi ci provasse gusto o forse è il gusto stesso di tale scena, tanto teatrale e scenica quanto profonda e significativa, non ha scelto parole casuali per forare le sue precedenti frasi, la sua lenta e meticolosa ricerca nell’io della ragazza è qualcosa che lo intrattiene per la maggior parte del tempo di questi tempi, fin dal primo incontro e da ciò che è avvenuto nella grotta. Ode le di lei parole, ribattendo subito con lo stesso tono precedentemente usato….<la vendetta non è che un pretesto, scusa inventata semplicemente per agire come meglio si crede, è la parola stessa ad essere debole non tanto l’azione> pretesti e scuse, nulla di più, l’uomo cerca significati ovunque, attribuendo importanza ed altro. Le parole continuerebbero a scorrere, trovando per ogni sua frase un’affermazione….<c’è chi si farebbe il bagno nel mio sangue pregno di potere e chi venderebbe le mie carni> forse a qualche folle che le osannerebbe, fanatico del culto dell’occhio del Samsara. AL solo pensiero riderebbe se non fosse in tale situazione, riflettendo su quanto sia stupida l’indole ed il comportamento dell’uomo stesso. Alcuna parola verrebbe proferita dal Rikudo Sennin, catturato dalle parole della Hyuga e cullato dal suono della pioggia, ascolterebbe con attenzione ogni singola sillaba, trattenendo il respiro e stuzzicando con la punta della lama la sua carne ferita in precedenza. Aveva posto Hana d’innanzi ad una scelta, essere un oggetto come la prima volta si è presentata ad Akendo o cominciare a comprendere che il suo stesso modo di essere è la prova che l’oggetto è qualcosa privo di essenza, essenza che arde nella giovane più di quanto lei creda. Probabilmente non ha ben compreso il perché delle parole e delle azioni di Akendo, volutamente istigatorie e prive di un qualche reale senso, pensate appositamente per portarla a quel confronto con se stessa, un confronto interno, non importa per quali motivi l’abbia fatto o meno, la scelta stessa è l’inizio del confronto…l’inizio di tutto. La lama si ritrae ed ella si avvicina, cercando riparo da quella pioggia, le labbra schiudersi lentamente, come morente un rantolo, un sibilo raggiungerebbe le delicate orecchie di Hana…<mia cara, l’essere qui> inteso ovviamente come senso generale, essere li vivo sulla terra e non nel momento che ora stanno vivendo…<è la mia pena da scontare> attimi di silenzio per poi aggiungere…<giorno per giorno> Il suo sguardo ora si porterebbe verso la boscaglia ed infine sul terreno, mentre il suo collo cederebbe di poco, quanto basta affinché Akendo possa accostarsi ai capelli di lei. Una smorfia, quasi divertita all’udir le parole di lei…giocare, forse è così, forse no, non è estraneo a tali situazioni eppure vi sono sostanziali differenze, differenze che potrebbero significare molto per Hana come per Akendo stesso….<se avessi voluto giocare probabilmente a quest’ora ti avrei costretto ad infilzarmi da parte a parte> di certo una ferita sopportabile per uno come lui, eppure per quanto possa sembrare assurdo, il lasciare il completo e libero arbitrio alla Hyuga è forse la prova stessa che tutto era fuorché un gioco, potrebbe testarla, forse analizzarla come al loro primo incontro ma non è questo il caso e le parole pronunciate poc’anzi non hanno bisogno di spiegazioni. Lasciare che lei decidesse del suo futuro, un infinità di possibilità, miriadi di casualità unirsi a formare questo determinato momento, ove la katana ora è lontana dalle sue carni ferite ed ella è al suo fianco…il naso scavare verso lei, distanziandola dal suo collo e creando così lo spazio necessario affinché il suo sguardo possa nuovamente raggiungere le iridi di Hana…un sussurro...così lieve da essere quasi impercettibile, brivido gelido, respiro mortale, essenza vitale, raggiungerla e cullarla….<non credi?...> domanda alquanto retorica eppure pregna di significato. [equip descritto] [Rinnegan off] [chakra on]

00:21 Hana:
  [Radura] Chi, così stolto, camminerebbe nel samsara gioendo della morte del Sennin specie se consapevole di una sua reincarnazione? E sarebbe assurdo ucciderlo adesso con l’incapacità di poi di trovare ciò in cui si è reincarnato. E sarebbe stupido farlo, poiché consapevoli che il suo ciclo samsarico non è finito lì. I folli sono altri, i folli sono quelli che nonostante tutto possono aspirare al paradiso dell’Amida e credere di potersi reincarnare come petalo vicino dello stesso fiore di loto – questa, la massima aspirazione di paradiso che, tra l’altro, rimane prerogativa di chi non si crogiola nella sua condizione, chi rievoca il dolore antico e allo stesso tempo non se ne dimentica – perché una volta gettato nell’oblio, è il residuo karmiko a trascinarti indietro, buttandoti a calci fuori dal paradiso e condannandoti a vivere di nuovo la tua miserabile esistenza. < Le azioni concretizzano le nostre parole, i nostri pensieri. Se la vendetta è vile, agire per tale lo è lo stesso. > rimbecca, non lasciandosi infastidire nemmeno dalla filigrana che ne occulta parte dello sguardo < Tuttavia, tra tante cose che posso volere da te, questa è l’ultima che cercherei.> è vero, è arrivata fin lì per trovare qualcosa ma... su che base riuscire a farlo se non si sa nemmeno cosa o come cercare? Di sicuro non è andata lì con l’intensione di essere la cavia della curiosità di dio, umano o natura. Non è stupida, ci si arriva a comprenderlo che una scelta bene o male la svincola dal suo essere un oggetto: potrebbe ribattere, dirgli che alla fine tutto potrebbe essere risolto in una semplice chiacchierata tra zio e nipote il giorno in cui ella stessa gli ha chiesto perché si fidasse di un uomo come lui. Se ne sarebbe preso le sue responsabilità – ha detto. Tanto le basta per potersene lavare le mani, in parte, sebbene con una rassegnazione che non vorrebbe ammettere: obbedisce, null’altro. Perché lei è oggetto, è vero, ma non è l’oggetto di Akendo – non ora, non ancora. Storce il naso, quell’epiteto stona terribilmente con l’essenza di chi ha di fronte. Cara. Che significa? Trova sia una tra le parole più insulse che le sue labbra potessero accarezzare. < Lo so.> che quella è la sua pena da scontare: è stata lei a dirglielo. < Di fatto, la morte sarebbe stata troppo semplice.> La morte gli starebbe troppo stretta. Come già rivangato da lei, se pensa d’aver peccato allora che soffra le sue pene, le patisca, che non rinneghi i suoi scheletri nell’armadio. In questo grumo di cinismo, tuttavia, c’è parte del suo corpo che tradisce la propria mente manifestando la sua presenza: quasi a dirgli “sono qui, se vuoi condividere” – e questa volta non c’è bisogno di specificare cosa, tra solitudine, peccati e amnistia c’è l’imbarazzo della scelta. In tutto questo, c’è la cruda realtà del fatto che non le potrebbe importare con quante donne o persone abbia avuto voglia di impiegare tempo e giocare, semplicemente non con lei. Ci sono persone fatte di titanio fuori ma che avrebbero paura solo a sentirci addosso: lui, una di queste. Lei, una delle peggiori specie – di quelle incrollabili e fredde all’esterno, ma vulnerabili sotto alcuni punti di vista se scoperti. Che non giochi con la sua mente, se non necessario. Che non la costringa a quello di cui non c’è bisogno. Che le armi vengano riposte se non è la via del tao ad obbligare. < No, non credo > pigola, abbassando il capo, privandogli della propria vista e del proprio sguardo – una negazione che vale come ogni parola taciuta. < Sarebbe stata solo vigliaccheria. E tu non sei vigliacco.> puoi rinnegare tutti e sette i precetti, ma il tuo orgoglio sarà sempre troppo forte: questo, quello che crede. Che abbia la decenza di designarla come sua kaishakunin, se proprio ne ha bisogno: persino un ronin senza più casa né onore si concederebbe al seppuku. Di quel respiro, poi, lei ne fa vita: nuovo ossigeno da incamerare e risputare, soffusamente, da mutare in una nenia dolce con la quale scalfire le sue goti. E ancora gli nega lo sguardo, ma se potesse esprimersi a gesti glielo direbbe – lasciami vivere così come non farebbe un oggetto, in queste situazioni, almeno per un po’.[ Chakra ON]

22:34 Kioku:
  [Radura] La distanza tra le due figure è così ridicola che da lontano parrebbero una cosa sola, eppure al tempo stesso sono ben distanzi con lo sguardo con il cuore e con la mente, forse il motivo per cui il Rikudo Sennin si sta concedendo più del previsto rispetto alle persone che incontra, così come si sarebbe comportano in diverse occasioni, in maniera totalmente differente se a quest’ora, invece della giovane Hyuga ci fosse stata un’altra persona , sia maschio che femmina non importa ad Akendo ma non per cattiveria pura ne per perversa mente sadica, d’innanzi ai suoi occhi…sono tutti uguali. La pioggia assorbita completamente dagli indumenti e dalla criniera lunga del Seiun, così come per Hana, completamente inzuppati da capo a piedi eppure ad entrambi poco importa, le parole ed i gesti valgon ben più di pioggia ed altro, momenti che non capiteranno mai più, momenti che, immortali saranno nelle loro menti e in tale loco. La voce di lei lo raggiunge, così vicini eppure così povera di tonalità, come se non fosse consentito parlare normalmente, semplici sussurri nella notte, sussurri che raggiungono ben più delle semplici orecchie, un sospiro, l’aria nei polmoni raccolta, parole pronte a schiuder con forza quelle fredde labbra seppur così morbide, pronte a raggiungere Hana….<le parole, i termini stessi non sono che scuse, mezzi creati dall’uomo per giustificare le proprie azioni>….<vigliaccheria, paura, odio, amore, felicità> un attimo di pausa….<non sono che parole concepite dall’uomo stesso per dare un senso a quelli che sono i propri istinti> d’altronde le azioni paradossalmente sono proprio quelle che vengono concepite prima delle parole e non si parla del semplice concetto di recezione di impulsi e stimoli, formulazione di parole all’interno della propria mente, nel proprio animo, aldilà del cuore, li nascono le azioni, gli istinti puri, le parole son un qualcosa che si legano l’una all’altra secondo propria volontà formulando così una frase, ma una azione dettata dall’istinto è qualcosa che nessuno può comandare e dunque varrebbero così tanto cotali parole rispetto ad un atto così puro e naturale? Le parole continuerebbero a scorrere, ormai non gli interessa neanche più di tanto la risposta in se quanto il concetto alla base di tutto….<dove te vedi codardia, io vedo naturalezza, così come una persona che colpisce alle spalle amico o nemico che sia, le parole son sol di mezzo come se contassero davvero qualcosa d’innanzi agli istinti puri quali tradire, amare, condannare, odiare e tutto ciò che si lega a loro e che detta leggi su tali azioni spinta dal nostro istinto e desiderio più profondo> che ella lo guardi negli occhi o no, il suo sguardo rimarrebbe fisso su di lei, nuca, guancia o volto che sia…<la morte? Chi ti dice che non sia solo una tappa? Un passaggio necessario affinché si possa andare avanti, magari ricominciare> d’altronde l’uomo si è sempre evoluto nei millenni, perché il morire non può essere un successivo passaggio evolutivo? Ed ecco che entrano in gioco tutte le parole, le spiegazioni scientifiche, gli studi, l’occulto e ogni altra assurdità legata alla morte ed il suo culto, ma possiamo veramente esserne sicuri? <Per me la morte è inevitabile, soprattutto sapere quando sopraggiungerà, dunque perché curarsi più di tanto del mondo terreno? Il mio tempo giungerà alla fin fine dunque perché non giocarci?> Non vi sono regole e sapere questo non può fare altro che paradossalmente darti il potere che serve per dettare a proprio piacimento le regole. Quel giorno di anni fa, sblocco il Rinnegan, accettando ogni sentimento del mondo, ogni peso possibile e con esso verità e conoscenze che forse con il senno di poi avrebbe fatto volentieri a meno, compresa la sua morte, come per ogni possessore del Rinnegan che lo ha preceduto…tutto sta nel capire cosa si vuole fare prima che giunga il proprio corso. Non vi è collera, ne rabbia ne disperazione, sa cose che anche solo accennarle, come nel caso di Kurako, hanno provocato incredibili traumi psicologici, dunque frenerebbe il suo ardire e le proprie parole, affinché non si addentri in verità scomode di cui Hana non si deve curare vivendo per quello in cui crede sostanzialmente, rivelargli ciò che il Rinnegan gli ha mostrato, non servirebbe a nulla se non a distruggere pezzo per pezzo ogni pavimento o sostegno su cui ogni vita umana cerca appoggio. Il volto rigato con alternanza, da gocce di acqua piovana, scender giù per la gote fino al mento e li inevitabilmente cadere sul capo o sul viso di della giovane ninja di Konoha. Per il discorso su ciò di cui hanno discusso fino a poc’anzi si concluderebbe senza problemi al calar della sua ultima parola, avendo ottenuto in ogni caso ciò che voleva sapere di Hana, si interesserebbe a questo punto, sul motivo principale di tale incontro che tanti pensieri ha scaturito. Un lento movimento del capo, lo sguardo al celo scuro e depresso, il respiro condensato librarsi nell’aria e abbandonare tali boschi…<dunque perché mi hai cercato?> la domanda più ovvia suscitato dal più ovvio perché ella abbia voluto incontrarlo, tralasciando i discorsi che sono scaturiti dal fare bizzarro del Rikudo Sennin. In attesa di una sua risposta, il capo e con esso lo sguardo si riporterebbero su di lei, mischiando odore di pioggia al suo. [equip descritto] [Rinnegan off] [chakra on]

23:25 Hana:
  [Radura] Avrebbe voluto contemplare il proprio corpo fiorire con la sua anima e crescere liberamente in terribili giochi; indovinare, dalle umide brume che fluttuano negli occhi altrui, se il suo cuore covi un’oscura fiamma oppure se di queste si alimenta per poter gongolare. Sarà forse la terza volta che si trova al suo cospetto e, ancora una volta, sembra essere particolarmente abile nel glissare e limare la tensione che la sua sola immagine – il suo solo viso – sa ricreare: con quell’aspetto tutto sembra indicare irreparabilmente alle aspettative di cui lui sa farti carico, senza che tu ne sappia qualcosa, senza neanche accettare ti ritrovi a fare qualcosa inconsapevolmente: non deludere, essere degno, la sensazione che soltanto un Kami saprebbe ricreare – qualcosa che in parte sembra corroderla e d’altro canto le lascia la calma per potersi rifugiare in una remissività che dal canto proprio sa di tutto meno che di vigliaccheria. Serra entrambe le mani in due pugni che sanno quasi d’irrazionalità, un sapore che difficilmente può vantare sulle labbra ma che a strascichi lo sente grava, impastarsi insieme alla saliva. Stringe le dita affusolate in una morsa atta a placare parte di una buona fetta d’istinti, gli stessi che la propria famiglia le sigillato in una bolla di convenzioni, buone maniere e rigidità. Si morde la lingua per non scadere nell’eccesso, lei sa moderarsi, lei sa contenersi: lei sa qual è il suo posto, è tempo che gli altri imparino qual è il proprio. < E tu non fai e non sei da meno.> pecca quasi d’insolenza, benchè si stata coro bianco e voce asettica per tutto questo tempo, incapace di essere davvero presuntuosa e lo si intravede anche or ora. Con le tue parole, tu non sei da meno: non sei di più, non sei di meno degli altri. E’ a questo punto che riesci a farti degradare dallo sguardo di chi riesce a guardarti dal basso soltanto per i centimetri che, a causa dell’altezza, ti separano da lei? < Fino ad ora, non hai fatto altro che usare le parole. Questa sera particolarmente.> un metodo che lei, alla violenza, potrebbe preferire ovviamente. Eppure, stando a quel che dice, non sta facendo altro che… scusarsi? Giustificare le proprie azioni che per ora si sono ridotte all’osso almeno nei suoi confronti? Scuote il capo appena, flebilmente. Chi diamine è, lei, per decretare cosa debba fare lui nei suoi confronti? Dovrebbe ringraziare chissà quali Kami se è stato particolarmente misericordioso nel non strapparle un arto quella volta. < Perché giocando con il tuo tempo, giocherai con tutti quelli con i quali lo spenderai. Anche con me.> e da qui, si ritorna al punto di partenza in quel cerchio di conversazione che lei ama sempre chiudere con le sue parole < E questo, ti ripeto, non è quello che voglio.> lapidaria, sembra addirittura fatta di marmo quando l’acqua piovana le scorre sul viso senza intaccare minimamente l’aria di bronzo che sembra aver ingaggiato questa sera. Inscalfibile, ci si sente quasi invincibili – senza rendersi conto di quanto invece si è fragili, un pugno di sabbia negli occhi dei giganti. La cosa divertente invece, sarebbe poterle dire che tutto quello in cui crede è una menzogna: questa è una cosa che ha maturato al tempo iniziando a credere nei dharma. Essere una Hyuga e avere un paio di occhi che le permettono di scavare oltre la superficie non ha fatto altro che incentivare la sua visione di menzogna. Come se non bastasse, così diffidente da non riuscire a fidarsi in tutto e per tutto nemmeno delle sue stesse potenzialità reputando di dover affinare gli altri sensi che – per quanto mentitori – possono aiutarla a districarsi in situazioni dove gli occhi potrebbero non bastarle o la vista potrebbe esserle ostruita. Se solo lo sapesse, però, potrebbe quasi rabbrividire – forse positivamente – della premura altrui nel non sottoporla a qualche shock che ad ogni modo una persona con poca esperienza non potrebbe sopportare. Premura o semplice pietà, non è dato saperlo. Non si distacca, non si allontana, filtra semplicemente il suo sguardo e riceve sulle labbra le parole che lui elargisce ad un palmo dal naso. < Akendo > è la prima volta, oltre quella sera, che riesce a pronunciarne il nome: fino ad ora si è sempre trattato di riferirsi al sennin come “lui”. Tanto le bastava per far capire il soggetto. Privatasi della Katana può vantare or ora la man dritta libera e a questo punto proverebbe a raggiungere parte del colletto appartenente al mantello, tentando di lambirlo e strattonarlo in avanti affinchè sia lui quello costretto in parte ad abbassarti per raggiungere l’altezza del suo viso. < sai qual è la regola venticinque dei ninja?> chiosa ma, senza fornirgli ulteriori spiegazioni, sospingerebbe parte del proprio peso sulla punta dei piedi in modo tale da facilitarsi il compito e provare a raggiungere parte del suo viso, le sue labbra dove tentar di trovare un morbido ricovero per le proprie e forse vantarsi del sol fatto di poter portare un rantolo di calore sul suo stesso corpo mediante un semplice contatto che non scada in qualcosa di particolare – non per lui, forse troppo per lei che si costringe segretamente a deglutire un nodo in gola. Per ogni passo che farai tu, ne farò due io. Per le troppe parole che sprecherai tu, saranno i miei fatti a parlare. Per ogni emozione che proverai tu ad elencare con la voce, provvederò io a tenermele dentro e a dimostrartele – senza parole, lasciando agli altri l’illusione di una bambola di porcellana incapace di esprimere sentimenti e a te, forse, l’intenzione di chi vuole insegnarti l’unica cosa che tu non potrai mai insegnarle. Perché è nella perfezione della tua atonia che voglio rientrare e allo stesso tempo è tutto quello che tu ti sei lasciato alle spalle, che anche io voglio buttare via. In questa scusa, in questo frammento di tempo preso quasi come distrazione, proverebbe ad infilare nella sua cintola un rotolo privo di potenzialità magiche o illusorie, indi non si tratterà nemmeno di un rotolo contenitivo. Un rotolo semplice, poco voluminoso, quasi un pezzo di carta. Qualora fosse riuscita a lavare dalle sue labbra parte della pioggia utilizzando le proprie, si distaccherebbe occultando parte delle guance arrossate con la filigrana bagnata, per poi dargli completamente le spalle ruotando semplicemente su se stessa. E adesso, come te, anche io ho bisogno di parlare e < Scusami.> scusarmi, con le parole, ma allo stesso tempo senza altre giustificazioni né girarci intorno. Inspira, prima di far scaturire – col piede destro – quello che sarà l’inizio di una rincorsa a ritroso per la voglia che potrebbe maturare: quella di seppellirsi. A rimbombare nella testa, la regola venticinque: un ninja non deve mai mostrare quello che prova dentro, non deve farlo per nessun motivo altrimenti la missione perde la sua priorità. [ Chakra ON ]

00:52 Kioku:
  [Radura] Ha parlato, forse ha detto anche più di quel che avrebbe dovuto, normalmente le sue parole sono usate con il contagocce, ma d’altro canto quando vi è bisogno di confrontare i diversi pareri è giusto spendere qualche parola in più, addentrarsi nella psiche umana, riflettere sul senso di parole e connessioni, cercando di ricavare quanto più ci è possibile da ciò che si evince al fine della discussione. Eppure, forse proprio il modo di fare di Hana è uno dei motivi per cui spende volentieri il tempo con la suddetta e in particolare, ch’ella ancor si ritrova arti e testa ai loro soliti posti, privilegio che difficilmente ad altri è concesso se non a pochi eletti, cosa ormai risaputa probabilmente in tutto il mondo ninja. La pioggia continua a cadere, incessante, un pianto straziante che fende il celo scuro, le di lei parole, sibilo di serpente raggiungono il Seiun, che attento carpirebbe ogni singola sillaba, abbozzando quasi un sorriso e rispondendo di riamando….<per me le parole sono uno strumento tramite le quali posso insegnare ed apprendere> che poi nella maggior parte dei casi insegni è un altro discorso, ma di certo non è un sensei nomade…<stessa te, in questa triste notte acquosa hai appreso molte cose> fiducioso che in ogni caso i loro discorsi abbiamo fatto riflettere la giovane quanto basta per cominciare a nutrire dubbi e da quelli far nascere la curiosità di comprendere sempre più cosa la circonda, il mondo, le persone e tutto quello che ne concernerne. Eppure il silenzio non dura molto, novelle parole lascerebbero le labbra della Kunoichi di Konoha , raggiungendo l’orecchio di Akendo, questa volta senza formular risposte o altro, sarebbe inutile spiegare il perché passi tempo a dialogare con le persone, forse non ha nemmeno tutti i torti, gioca, non gioca, c’è un utilità, non ha una risposta certa e poco se ne bada di trovarne una. Come disse ad Azrael non più di qualche mattina fa, semplicemente parla, risponde, esprime concetti ch’egli stesso ha appreso lungo tutta la sua vita ed esperienza, dona parole a coloro che sapranno coglierne il senso, poiché agili di mente, trarranno da loro senso e risposte ai dubbi che hanno, risposte alle domande che cercano. Dunque rimarrebbe silente, immobile con lo sguardo fisso sulla ragazza, che d’un tratto gli cingerebbe il collo, trascinandolo verso di se, consapevole che non vi sia astio in tal gesto la lascerebbe fare, sgranando le proprie palpebre al contatto delle due carni, morbide e calde in confronto al gelo spietato delle sue fredde labbra seppur morbide di rimando. Attimi che durerebbero secondi, minuti, ore ed infine anni e secoli interi, una immagine che gli stessi alberi porteranno nelle loro cortecce, un momento immortale nei secoli, preclusi ad occhi indiscreti, racchiuso e custodito da antichi alberi, guardiani e protettori del bosco. L’interminabile silenzio, mentre con naturalezza benché mai si sia trovato a farlo, ricambierebbe quel bacio tanto quanto lo vuole lei, una semplice azione mossa d’istinto non avendo mai provato nulla del genere, per quanto possa essere un semplice bacio, casto o meno che sia, puro o no, è un qualcosa che non aveva mai ricevuto ne mai aveva dato, ritrovandosi per tutta la durata con gli occhi completamente spalancati. La regola venticinque? Una domanda retorica o meno che sia, che non avrebbe risposta dato il momento e che poco gli importerebbe di dare ora come ora, osservando con le proprie iridi il viso d’ella come meglio può ovviamente, dato il momento, nonostante si goda quel momento dettato dal suo gesto impulsivo nato dal puro istinto di contraccambiare, si interrogherebbe del perché? Cosa l’abbia mosso a tal punto dal fare quello che ora è palese stia facendo? La sua inadeguatezza nel trovare risposta a quelle che sono reazioni e azioni naturali per tutti gli altri esseri umani e che per lui rimangono un mistero, affascinato ovviamente da tutto ciò. Il momento giunge dunque alla fine, troppo presto? Forse, inarcherebbe leggermente il collo al separarsi delle labbra, cercandole nuovamente, ma più di sfiorarle non riuscirebbe, sbattendo contro quella semplice parola, che non comprenderebbe immediatamente….infine quel rotolo. Prima ch’ella scompaia nelle frasche, la sua destra afferrerebbe lembi di stoffa o quel che potrebbe afferrare, arrestando per qualche attimo il suo passo…<sono sicuro che ci rivedremo Hana> marcando in particolar modo il nome d’ella…..<non temere> una preoccupazione? Dal tono potrebbe sembrare più una minaccia, ma entrambi sanno che è più una promessa, lascerebbe così, con estrema lentezza la presa, osservando la di lei schiena allontanarsi sempre più. Di rimando in lontananza, al centro della radura un sorriso che di angelico avrebbe ben poco a che vedere comparirebbe sul viso del Rikudo Sennin…nel buio più totale una violacea luce risplenderebbe, accompagnando la ritirata della Hyuga.

END PER TUTTI E DUE <3

Un'intera serata trascorsa alla ricerca di lui solo per chiedergli una cosa: conosci la regola venticinque dei ninja?