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con Kurona, Hitachi

17:23 Kurona:
  [Zona Boschiva] Il sole torpido che si affaccia della cascata di Taki bagnandone la terra e gli alberi spogli, che s'innalzano, come torri e palazzi di una grande città, rendendo lei e Med, la striata nella sua età dello sviluppo, due anime silenti nel nulla. Il fiato della iena, all'unisono con quello di questa Yurei, si fondono in aria in soffi evanescenti. La pelle rialzata dal freddo gelido che la sfiora, come la carezza d'un uomo rude, ruvida, la pitta di innumerevoli pori sensibilizzati. Il petto stretto, azzerato, in bende strette che ne compattano il busto, tenendo le braccia libere, invece. Lo scempio. Par essersi strappata con le unghie e con i denti la bellezza da ogni centimetro d'altezza. Quel fiore. Quella donna. Ora divenuta un mostro ed un animale. I capelli che sfiorano il costato. Liberi. S'agitano sotto il vento andando a graffiarle le gote arrossate, dove le labbra rimangono schiuse, proprio come il muso di Med, che come al solito, cresce perdendo la classica bellezza del cucciolo e divenendo bestia. Con la dentatura conformata verso l'esterno, pronunciata. Le labbra ritirate in quello che sembra un ghigno sinistro. Sfiata. Ansimante, mentre sotto un paio di pantaloncini di stoffa elastica, fasciano i primi centimetri di quelle cosce marchiate a fuoco da diverse rune e kanji, quasi disposti senza filo logico e senso. Un michiyuki che pende dalle spalle, in un variegarsi di bianco e nero, vola, si gonfia sotto il vento, aprendosi e liberandola dall'impiccio delle stoffe. <E' l'ultima possibilità che hai, per mostrarmi che tra me e te, sei tu la bestia. E io la donna.> La destra si posa sul capo della iena striata, del bellissimo alternarsi di grigio e nero, in variazioni appena percettibili. Con occhi color dell'oro, accesi e ridenti. "Ihihihih" Il classico verso, isterico, le tende un sorriso amorevole, vano, mentre fissa il vuoto ed attende. <Sh. Ascolta. Stanno arrivando.> Le prede, ovviamente. Le scapole che spingono in fuori, tramite la stoffa opacizzata dell'haori che si gonfia, come il respiro di una bestia appena prima d'attaccare. Le mani riunite a poggiarsi e fare perno appena sopra al ginocchio, lasciando che quei capelli color dell'ebano, si gonfino come una criniera di leone sotto il primo sbuffo del vento. Il fruscio della cascata. Infuria. Ne azzera parole e movimenti. Posta sul viso il respiratore nero opaco, che ne copre solo metà del volto, lasciando liberi gli occhi rossi come grumi di sangue. Carezzano la cresta degli alberi, attendono. Med s'alza, piano, lasciando andare il solito verso baritono e roco, basso, un ringhio, verso qualcosa. O qualcuno.[Chakra on][Innata off]

18:23 Kurona:
  [Radura - Zona Boschiva] Gli occhi, come un manto di sangue vellutato, si spostano sulla rosea luce che carezza la cresta degli alberi. Med impaziente lascia uscire quel suono baritono, alzando la coda fine e frustando la cresta d'erba fine che ne copre la piccola radura in cui ha deciso di far partire quella caccia in due. Le labbra, come petali di rosa in balia dell'aria, si serrano sfregando il superiore con l'inferiore, contrae, rilassa, lasciando che la forma piena ed opaca, le faccia schiudere debolmente. Fruscio. Passi. Ne tendono lo sguardo, l'altra parte d'una fune che la lascia scivolare sulla presenza in avvicinamento di Hitachi, lento e stanco, non ricava che uno sguardo sbieco della Ganma. Capelli come pece al vento, s'aprono sotto quella bava d'aria che ne apre l'haori nero, privo d'obi che si può rivedere, legato alla coscia destra. Man mano che s'apre, si scontra con il corpo. Una dolce collisione che ne crea grinze, che lo stropiccia, ridisegnando seni stretti in quelle bende, contro le braccia coperte per tre quarti, facendone una sagoma.. Solo per poi strapparla agli occhi di chi guarda. E' Med a muoversi per prima, pari ad un condor sulla sua carcassa, ne gira la figura parandosi, alta sulle zampe tese, davanti a Kurona stessa, ammutolendo il ringhio e battendo la lingua prima penzolante, a ridosso del naso, il muso, curvando il tartufo verso Hitachi che per primo, s'avvale della parola per rivolgersi verso di lei. Non ne muta lo sguardo, ne par captare quelle parole e quella figura. Per un attimo, sembra solo disturbata da un mutarsi del suo paesaggio. Ed impotente al suo voler comunicare con lei. Il piè destro si sposta, coperto da quegli anfibi neri, dove delle parigine del medesimo colore, ne carezzano il ginocchio, appena sopra, verso la coscia, morbida. Sfregano tra loro, si schiudono, in un movimento impercettibile. Il bacino che ne risponde, che ne accoglie quel desiderio di parlare, mentre la pelle si pitta delle scaglie d'un drago. Brividi. Il vento. La notte s'affaccia su quella coperta rosa, del Crepuscolo che come un anziano dittatore, impone un colore poco tangibile su tutta la zona Boschiva che circonda la Grande Cascata. Il fruscio lontano, impetuoso, ne rilassa i muscoli. Mentre il gelo, infame nemico, ne rizza e rassoda la pelle, facendole spasmare il costato in uno scatto, poco visibile: Cosa dovrebbe rispondere? Gli occhi scendono sulla iena, gustandone la beltà. E' passato troppo tempo, da quando s'è considerata graziosa. Dove i passi erano una scia di miele e il suo sguardo, simboleggiava già un grande premio per qualsiasi shinobi. Tuttavia, si prende il privilegio di non commentare il suo insulto e complimento, lasciando che ne goda solo Med, tuttavia in posizione difensiva al rispetto di Kurona, esile e minuta figura femminile, dalle spalle morbide, ma composte. Il ventre teso, contratto dal freddo. Per la dottrina ha subito di peggio. Quella pelle ha visto il ghiaccio, ed ha visto il fuoco. E sembra sempre una distesa di neve pura. La prima neve. Quella che le storie; storie antiche s'intende, si dice che porti il primo amore, ma solo.. Se hai onorato la tradizione. Dal viso, il collo, si siede lui, rifiata d'un viaggio lungo o corto, di cui lei non è a conoscenza, ma è interessata. Ciglia lunghe che s'abbassano, un sipario silenzioso che priva il pubblico del suo spettacolo. I suoi tempi, sovrana silenziosa. S'abbassa assieme al suo sguardo, andando ad allungare dita affusolate verso dei fiori rossi -karkadè?-, prendendone due steli tra i polpastrelli stretti in bende che ne celano i graffi ricalcati. <Siete solito onorare le tradizioni?>..<Somigliate a chi decide di purificar il proprio Samsara.> Le porta al naso, piccini come occhi della madonna, rilassando le palpebre e le spalle. La voce, canto di sirena, in un filo intimo. Il bosco sente. Lei lo sa. [Chakra on][Iena on]

18:37 Hitachi:
  [Bosco] Le nere iridi , profonde e silenti come la notte, collanti nella loro magnetica attrazione come la pece della palude che trae a se le vittime di passaggio facendole cadere nel baratro dell’immobilità, si poggiano come un manto solenne sugli indumenti della donna scostati dal suo incidere femmineo. La sua grazia, sciupata da una storia che ha deturpato il suo patrimonio femmineo, si fa largo avvolta nella stringente morsa di quelle bianche bende legate e unite come per contenere qualcosa che desidera trasbordare e fuoriuscire dal suo corpo, alla ricerca di lido più accogliente, un posto dove poter trovare la pace che ogni uomo e ogni donna merita. La carezza al fiore, rosso germoglio di spiccata bellezza in quella cupa foresta, la fiera che la segue silente ed obbediente, la osserva e lei lo osserva, seduto su quella fredda pietra mentre la tensione dei muscoli viene sciolta in un profondo respiro che gonfia il petto celato da quel lungo mantello nero. Scosta la ciocca di capelli neri che cade sugli occhi, lascia libero campo alla vista in maniera tale che possa catturare i tatuaggi, i simboli, le rune e kanji che tingono il corpo della kusana. Una domanda strana gli viene posta, cattura le sue poche parole come se fossero l’unica cosa interessante in quel posto oltre ai due presenti. La voce non riesce a nascondere la grazia che accompagna, o forse accompagnava, i lineamenti precisi ed eleganti del suo corpo. Il gomito scivola sul ginocchio, poggiando da perno e colonna per la mano aperta e con il palmo rivolto verso l’altro, pronta ad accogliere il mento che si protrae per essere sostenuto tramite l’incurvatura della schiena. Samsara, la vita che ognuno di noi vive, una vita condannata dai tormenti delle energie negative che ognuno di noi affronta ogni giorno, e ogni volta che una di queste energie negative si fa nostra, e la possediamo, siamo condannati a scendere un gradino verso il basso, allontanandoci dal raggiungimento della vetta dell’eternità. Purificare le nostre colpe, espirare la condanna di ciò che siamo stati, ottenere la purezza che conduce al distacco meramente materiale che tanto attanaglia le nostre vite sotto varie forme, denaro, donne , potere e fama, tra le più comuni. <Onorare la tradizioni …> un punto forte dell’indole di Hitachi, un uomo, un progetto, estremamente religioso, che trovato il suo appoggio nella storia del suo clan non tanto per la rincorsa al potere, ma per l’eterna dannazione divina, e la teologia, che fa da contorno a ciò che è il clan Uchiha e al destino dell’uchiwa. < Non importa se onoriamo o meno le tradizioni … nella vita, per regola naturale, le situazioni tendono a ripetersi assumendo la forma di tradizione… è una predisposizione naturale … è la Natura che onora le tradizioni.> schiude le fredda labbra facendo fuoriuscire il viso dalla mantella per intero <Volenti o nolenti … siamo solo processi della tradizione della Natura … che come ogni giorno provvede affinchè Amaterasu sia inseguita da Tsukoyomi , tanto fa con le nostre vite … facendo si …> breve pausa mentre il muso viene sollevato ridistribuendo il carattere perpendicolare della schiena < … che per tradizione .. la nostra nascita e la nostra morte altro non siano se non il ripetersi di un processo … ciò che c’è nel mezzo poco conta, sono solo cerimonie e tradizioni secondarie che possiamo anche permetterci di non osservare … ma questa regola fondamentale .. a questa tradizione naturale … non possiamo sottrarci.> esclama rigando il viso con un sorriso appena accennato, come se il volto non fosse in grado di prevedere un sorriso più amplio di quello appena fatto. <Ma di massima si … rispetto le tradizioni … > pausa, si scurisce il volto <e per purificare il mio Samsara ho bisogno di molte altre reincarnazioni …> per le colpe di chi gli ha dato quell’aspetto.

19:09 Kurona:
  [Radura - Zona Boschiva] Ogni passo, leggero, lascia la pianta degli anfibi sfiorare i fili d'erba, eppure non s'avvicina ancora, senza tuttavia nascondere un solo pezzo della sua figura. Che sia una donna d'orribile aspetto, o una magnifica creatura, si pone rispettivamente ad ore dodici dell'Uchiha, gustando un profumo lieve, una nota impercettibile come i suoi movimenti. L'obi rosso, cremisi, in tre giri attorno alla coscia destra, ne lascia un seguito alla figura, non esageratamente allungato. Due pezzi di stoffa opaca che s'allungano, s'arricciano, divengono grinze ed ancora, divengono lisci come i panni gonfiati al soffiar addosso intabile. Ora si, ora si, ora no, ora si. Non vi sono leggi, nella natura. Ne puntualità. E il suo silenzio, che la lascia in balia di quel fischio di vento che accompagna solitarie, le parole di Hitachi. Gli occhi socchiusi, in gocce, cristalli rossi. E i petali di quel fiore piccino, che si scompongono, sfiora il naso, scivolando lungo l'incavo tra il limitar del labbro superiore con l'attaccatura delle narici: Lo ascolta, certamente, pur rimanendo in cheta contemplazione del nero più profondo. Da quella fessura dove il mondo è piccino e sfuocato. Certamente non è così banale da perdersi in certi pensieri. O almeno, non da far in modo di non seguire l'altro che con immane cortesia, le risponde. Con i suoi tempi, i suoi spazi, lascia che Med s'accheti tornando a posar il costato in terra, azzendo l'altezza del garrese, ma senza staccare un attimo gli occhi di dosso a colui che ha fermato la loro grande caccia. Le tradizioni. Purificare. Santificare. Elevare. <Nhm.> Quelle labbra vibrano, un verso vocale dato semplicemente dalla contrazione del diaframma e morto, su petali opachi. Il fiore che s'abbassa, gradualmente, andando a sostare ad un soffio dal labbro inferiore, rigonfio. Colei che fu bella. Che fu saggia. Ed ora è un raggrupparsi di cocci incoerenti. Di ferite. Bruciature. Inchiostro rosso, dalla gola, fino a dove l'occhio non può arrivare. Il ventre che si contrae, muovendo un altro passo, annullando la gravità d'azzerare la distanza tra due sconosciuti. Come se non si fosse mai mossa. Come una serpe, è la pelle che parla. Le ossa delle creste che pigiano, come le clavicole, il costato. Un mostro, sotto pelle. <Il venire di nuove tradizioni è inevitabile.> Ora che è ritto sulla schiena, seppur dislivellato rispetto a lei, che rimane in piedi, abbassa lo sguardo rosso ad incontrar quei pozzi bui. Illeggibile torpore, perennemente uguale. Inespressivo, o forse, a tratti, malinconico. <Tuttavia le grandi terre hanno tradizioni. Tradizioni vecchie come la vita e la morte. Tradizioni nuove, che gli shinobi, adorano onorare.> Parlando di chi viene dall'accademia, non ch'essa abbia un grado superiore, ma ha decisamente iniziato l'accademia troppo tardi. In seguito a vita e insegnamenti diversi. Oserei dire, opposti. La sinistra si muove, lasciando che l'haori s'accosti al fianco, stanca, si tende, andando a donar il palmo, in pieno cenno d'accoglienza, verso Hitachi. Incavato, ma rilassato ed appena richiuso, domandandogli dunque qualcosa che a voce non esprime. <La guerra è oramai tradizione. Com'è tradizione quel che ne viene dopo. La ricerca della pace e dell'abbondanza, è una tradizione.> Le labbra, delicate, s'accostano tra loro, mentre il palmo s'abbassa in direzione della man corrispondente di lui, domandandogli in silenzio, di posarla sul suo palmo. <Nessuno tuttavia, celebra più l'effimero. Tutti dimenticano che le antiche tradizioni, sono l'elevarsi dell'ordinario allo straordinario, per non dimenticare che nulla, di quello che abbiamo, ci è dovuto.>..<Ma chi possiede, dimentica.> Gli occhi, abbassati a tanger con le ciglia la gota, tornano su di lui, andando ad abbassar appena la sua figura. Le ginocchia che flettono, i capelli scivolano oltre la spalla, davanti, in onde disordinate. <Chi non ha mai avuto, celebra.> Quegli occhi, che ora si donano a lui con una curiosità infantile, ne colgono tutto quello che lui ha da donarle. Rughe, luce, occhi, le labbra, il collo. La posizione delle mani, e delle spalle. Quel che il corpo tradisce. <Non hai potere, su questo. Non sarai tu a determinar la fine del tuo samsara. Ogni giorno, è l'opportunità più grande che tu abbia mai avuto. Non cantar fallimento.>[Ck on - Iena on]

19:50 Hitachi:
 L’incipit di questa conversazione sembra trasportare l’argomento a qualcosa di intangibile, sebbene presente, di irreale, sebbene lo si possa provare, di non quantificabile, nonostante la distanza tra due spiriti così tormentati si stia passo passo restringendo. E’ Kurona, danzatrice lieve e silenziosa in quello specchio di natura morta invernale, che s’avvicina alla di lui figura, pietrificato e ancora a quella roccia, appena seduto, sembra essersi cementificato con lo stesso masso diventando silente e immobile spettatore , muto testimone della storia che scorre deturpando ogni cosa. La distanza si azzera, lei giunge imperatrice e dominante sul suo corpo stanco, stende il braccio, dall’indumento che nasconde i tatuaggi e le iscrizioni di quel passato, o presente, così oscuro, ne fuoriesce il polso che teso alla portata di Hitachi pare richiamare la sua attenzione con l’intenzione di chiamare a se la mano dell’Uchiha, come se entrambe fossero legate da un filo invisibile che si avvolge e chiude le distanze, così anche la sua rosea mano, imbiancata dal freddo invernale che penetra le ossa e impallidisce pelle e carne, viene sollevata in direzione della di lei mano, mentre il baricentro si leva in avanti, caricando le ginocchia di spinta sufficiente a far levare in piedi l’alto Uchiha. I padiglioni delle orecchie catturano tutto il suo dire. Il timpano vibra appena sollecitato da quella voce che si vorrebbe vedere giungere da un corpo meno martoriato. Il dualismo che vige in quella donna è il controsenso della vita, tutto ciò che è bello ha un suo lato mostruoso, e alla fine è la sofferenza che lascia i segni nella carne di ogni uomo, macchiato da tanti tatuaggi quante colpe. Le nere restano su Kurona mentre leva la sua posizione, si pone al di lei fianco, mentre la Iena passa in totale disinteresse non essendo tanto particolare e aulica quanto la sua padrona. <Il mio samsara è la proiezione di colpe ben più antiche della nostra esistenza. Risalgono ai tempi dei dispetti tra Kami creatori, quando all’origine del tutto v’era il nulla, quando quel nulla, preso e plasmato sotto forma di energia, s’è evoluto in chakra e lo stesso chakra è stato reso in dono agli uomini. Ci sono persone che si fanno carico di tradizioni … > pausa mentre la mancina resta ferma sul polso di lei anche dopo essersi alzato al termine delle sue parole, nel tentativo di condurre al fianco quelle fredde mani di donna, vittime del tempo, vittime della sofferenza. < … che si fanno carico di maledizioni … per espiare le colpe dell’intera umanità. Capi sacrificabili sull’altere dei Kami, come sentenza che per tradizione viene espletata ogni vita, facendo cadere la mannaia del sacerdote su vittime offerte in sacrificio, quale io sono. Capro costretto a far conti con leggende, con storie ormai dimenticate. Ogni potere ha un’origine, e affinchè qualcosa nasca e cresca è sempre richiesto del sacrificio. Nasciamo piangendo e soffrendo, moriamo soffrendo e facendo piangere, così anche i nostri poteri si originano da una perdita, fino a richiedere la nostra vita stessa.> un chiaro riferimento alla condizione di ogni Uchiha, così esasperata tuttavia, nella sua condizione di clone straordinario <Sono il parto di ciò che fu … chi più di me rappresenta il ciclo che si ripete? Dai miei occhi , a ciò che vedo, a ciò che sento … non sono un frutto originale… sono solamente la rincarnazione di chi ha ancora troppo da farsi perdonare. Se per ogni colpa passata avessi un tatuaggio … sarei forse più inciso di te … il mio corpo maschera meglio la sofferenza, ma i miei occhi … > breve pausa <Quelli veri … > il chakra verrebbe indirizzato all’interno dell’iride, chakra pronto a reagire con i geni del suo clan, attivando così un flusso di sangue aggiuntivo nell’iride, causando il tipico colore vermiglio e la comparsa del tomoe < … sono la sofferenza stessa …> e così, le vermiglie iridi si posano su Kurona, i tomoe stanziano su di lei, le porte di chakra visualizzano il suo etere scorrere fluente, ma non possono captare la sofferenza di lei, tanto oscura quanto la sua. [Sharingan a un tomoe][Chakra 48/50]

Freeze!

Sfreeze!

21:33 Kurona:
  [Radura.] Lei che si ritira lontano dagli occhi umani, rimane di rimpetto a lui, lasciando che le sole sue parole diventino il canto portante di quel coro fatto di venti e rami gelidi che cozzano tra loro. Nella destra quel fiore rosso e minuto, che ricorda la stessa Kurona. Dalle spalle esili, i capelli corvini che s'estendono in ciocche diverse e separate. Le ginocchia flesse in precedenza, che la portano ad abbassarsi fino a sfiorar con la mano opposta, gli umidi fili d'erba che si estendono come anime in pena, sotto la dittatura del vento, immenso quanto gracile compagno. Eterea figura, sorta dagl'inferi, o in ascesa dal paradiso? Mentre tutto si muove attorno a lei, l'aurea di Kurona sembra esser immobile in un tempo separato e differente, rendendone anonime, un vero e proprio punto interrogativo, le intenzione e la mera natura del cuore. Che sia buona o cattiva, non è dato sapersi a nessuno. In quel rialzarsi, dove uno strappo netto denota il derubar d'un filo spesso d'erba al prato, ne sente il calore della voce. Il calore del corpo, eretta la figura stanca, struscia lo sguardo dal taglio netto, felino, su di lui. Perennemente flemmatica e torpida, come la luce di una candela immersa nel buio. Il lato più enigmatico, è la di lei percezione; mai puntata di guardi e smorfie vere e proprie, si alimenta come una bestia, del calore che si muove, incentrato in questo caso, nel palmo della mano. Il fruscio delle vesti, del mantello nel suo caso. Nelle vibrazioni impercettibili della voce, incrinata o stabile. Roca o melodiosa. Sebbene sia martoriata, da tagli non in vista. Sebbene le gambe, le cosce, narrano di vicende che non sazian curiosità alcuna. Il portamento della geisha rimane perenne, sotto pelle. Quel fare d'una donna, che ti porta a bramarne anche solo lo sguardo. Che ti porta a considerarla tanto donna, quanto creatura imprevedibile e sopra elevata a quello che sei: solo un uomo. Solo un umano. Il palmo sul polso, ne sente il cuore, il calore che si concentra contro quel polso esile che non si distacca, che non s'allontana da quella presa. Ma ne è colpita: Come può osare così tanto? Qualcosa di cui, il volto di Kurona rimane sterile. Bianco come un cencio. Con labbra accese, d'un rossore opaco che ricorda i petali di rose. E le sue pene, la sofferenza stessa. Frutto del passato, che si ripete. Il venerabile Rikudo, inevitabilmente, le saetta in testa distogliendola dall'infame movimento dell'altro. Tirarla a se, in quel modo. Nel dislivello sensibile d'altezze, par spalancare appena gli occhi. <Nhmp.> Un mugolio che le esce dalle labbra, involontario, finendo per urtar il petto contro il suo. Sebbene non vi sia violenza nel gesto, si sbilancia solo appena in avanti, con troppa enfasi, travolta a causa di quella sensibilità -decisamente al di sopra della norma-, dal calore corporeo dell'uomo. O meglio, del clone. Le labbra che si schiudono, per qualche momento ne rimane basita. Ed ora, come si comporterebbe una donna? Forse, arrossirebbe. O forse, si tirerebbe indietro? Quei petali che si sfioran tra loro, ancora, andando a deglutire un fiotto di saliva bollente. Certo non può sentirne pulsazioni, ne il cantar del corpo dell'altro, come quando ha assaggiato quella dose di potere, al di sopra delle sue capacità. Ma ora, insomma.. E' mai stata così vicina ad un altro umano? I secondi scorrono, rendendo ostico il tempo d'attesa per le sue risposte. Il fruscio delle bende sul petto d'Hitachi, compatte tanto da renderla quasi nulla. Il ventre infossato che sfiora, saetta, quello dell'altro. Pezzi di particolari che sfuggono nell'ordinario, ma che quella mente, memorizza come apice di piacere effimero. Lo stuzzicarsi, dei ricordi dove rimembri forse, gli occhi nascosti tra i capelli. Un pezzo di pelle, nei pressi della spalla. Il calore del respiro. Non è di certo, quel tipo di situazione. Ma l'ossessione di Kurona, è proprio catturare il dettaglio. La destra che abbandona il fiore, disarmata, lo lascia cadere, svanire, oscillando da un lato all'altro dal fianco, fino a sostar riverso in terra, come un cadavere. <Non sei erede di tanta sofferenza..> Quel tono dolce, come se stesse parlando ad una bestia pronta a ringhiarle contro. La mano che s'alza, fragile, con un palmo raccolto e le nocche schiuse. Leggera, tenterebbe di sfiorarne la gota con il dorso delle dita: Medio, indice, anulare. Dall'interno, all'esterno, riversando il mento in alto, a guardarne gli occhi. Quel riempirsi di rosso, le tomoe. <Non sei altro che il capriccio di qualcuno, che non vuol vedere la tua famiglia morire.> Parole che graffiano, che sradicano dall'interno di Hitachi, ogni singolo sentimento d'appartenenza. <Voi, voi tutti. Siete un progetto. Siete numeri di serie. Cellule venute bene, o venute male.> Quel canto di sirena, che scivola addosso ad Hitachi, come un bacio di giuda. <Avessero voluto concludere quel circolo, avrebbero dovuto bruciare il--problema alla radice. Ed invece, continuate a vivere. E nascere. Crescere. Nutriti da gente malata, per chissà qualche motivo.> Quelle dita che scivolano via, leggiadra, privandolo del calore del suo corpo, che si muove. Ma non addosso a lui, non a scaldarlo e coccolarlo. Ma gli scivola via. Lontano. Passi che vogliono allontanarla, i talloni che poggiano sull'erba, nudi, andando a metter nuovo spazio tra i due. L'haori nero che si gonfia, si stropiccia contro la pelle e ritira, come un mantello, facendo risuonar contro ogni curva, il leggero fruscio della stoffa. <Farsi carico d'inutile colpe da espirare, non farà che lasciar sanguinar la tua schiena sul tuo cammino. Ogni passo è troppo duro. E la strada così lunga, che la fine par ogni dì impercettibile. Avere grandi figure davanti, non fa che lasciar di quello che sei solo un ombra, lo capisco ma..> Il bacino che si muove, in sincro con quelle cosce. Si staccano, si volta. E' conclusa? Se ne sta andando? Un passo soltanto, girandogli le spalle. <Ma non sempre è importante avere radici. Ciò che sei. Ciò che vuoi essere. Ti spingerà a recidere il filo che fa di voi, marionette di chi, desidera la perpetuazione del sangue Uchiha.> Il viso che si volta, lo guarda da sopra la spalla. Quell'occhio rosso, circondato da folte ciglia ebano. <Domandati, viaggiatore: Perchè la famiglia Uchiha, vede costretta la clonazione. Non vi è amore. Non vi è procreazione. Siete tutti discendenti della perfezione, quest'è vero. Ma perchè nessuno di voi è capace di onorare il clan con prole degna?> Gli occhi che si socchiudono, mentre lascia il quesito all'altro. Che stia insinuando che gli Uchiha non son capaci di distinguersi? Che stia insinuando che.. <Hai paura di non trovar la pace, alla fine del tuo cammino?> [Ck on][Iena on]

22:12 Hitachi:
  [Radura] In quell’incontro di dannazione, in cui più maledizioni si uniscono e si fondono in unico insieme di vite segnate dalla sofferenza e condannate al soffrire perpetuo per semplice eredità di colpe e di disgrazie, in quel preciso momento in cui il contatto carnale, semplice e minuto, di un paio di dita della donna che si poggiano sul viso d’un uomo stanco, v’è l’espressione della più acuta tristezza. In quell’incrocio di sguardi, occhi rossi sangue, e gli occhi di una donna che soffre, sono riunite le disgrazie dell’essere umano. Nell’uomo che sanguina dagli occhi, ingrato della vita, indegno di vivere, che piange sangue per il misero destino che la vita gli ha riservato, e la di lei tristezza, che sciupa quel corpo meraviglioso costringendolo in un insieme di bende strette e di marchi neri che da tatuaggi permettono di ripercorrere una storia che una volta che hai conosciuto, vorresti dimenticare. In quel momento in cui i due corpi vengono a contatto è percettibile una sensazione non plasmabile normalmente, che si realizza nel contatto fisico tra due persone così terribilmente interconnesse sulla stessa lunghezza d’onda, tanto che non c’è bisogno di parole fin quando la donna non si stacca, fugge via da quel contatto così intimo che sussurra cose mai udite, e mai narrate, troppo estranee per essere comprese con facilità, sensazioni così eterogenee alle loro esperienze da esser prese con diffidenza. Il distacco della donna è un sollievo per lui, s’accorge che la sua muscolatura s’è contratta d’un fiato, braccia, dorsale, addominale, tutto il corpo s’è mosso sugli attenti in quel gesto di trarla a se che così, innaturale sebbene naturale, è uscito spontaneo. Mai ha avuto donne, mai ha attratto a se donne, costretto a vivere in un ambiente sicuro da ogni sentimento, da ogni pericolo, che ora gli viene spiattellato davanti in quella radura, la donna immagine riflessa del suo animo ferito. <Quello che dici è vero … > esclama mentre le rosse vermiglie iridi si posano sulla figura della donna che scalza e leggiadra si allontana da lui, non riesce a bloccare i passi, ne segue le movenze e ne percepisce il profumo, si fa largo anche lui, seguendola a ruota, sempre distante uno, forse due metri, ma non troppo da impedire di leggere ciò che i suoi occhi dicono, cose ben differenti da quelle che pronuncia. <ma non mi feriscono le tue parole. Noi Uchiha siamo gente dannata, gente maledetta. Il nostro potere è la nostra maledizione, la gente muore intorno a noi, e noi moriamo con loro, uccisi dal nostro stesso potere. E’ vero che molti di noi sono le semplici proiezioni dell’ombra di una persona che fu. Ma affinchè vi sia un’ombra vi deve essere necessariamente una luce.> esclama portando nuovamente avanti la mano, nel tentativo di poter nuovamente cingere a se la figura femminile, la trarrebbe a se nuovamente, chiamandola con la mano aperta, afferrando il di lei braccio, trazionandola dolcemente sulla sua figura. Non per chissà quale intento, solo per poter ridurre la distanza tra sguardi, solo per riuscire a percepire ciò che lei tiene abilmente nascosto dietro la maschera che si pone sul viso e sul corpo, forse quelle dita calde , quella pelle nivea, hanno lasciato molta più impronta di tante altre cose che ha visto nella vita. <Io sono l’unica luce del mio clan … l’unico che non ambisce a quel potere in grado di divorare tra le fiamme nere qualunque cosa guardi. Non mi interessa sopraelevarmi, non mi interessa conquistare, io sono la proiezione di una luce, loro sono proiezioni di un’ombra. Io non onore lo scempio della creazione in provetta, non onore un clan creato dalla follia di un uomo. Io onoro la vita, le tradizioni, e colui di cui riporto l’aspetto. Perpetuare il nostro sangue, vuol dire aggiungere sofferenza a questo mondo. Ogni Uchiha su questa terra vuol dire morte, siamo chiamati da un Kami folle a combattere l’uno contro l’altro. Ed è una tradizione…> si riallaccia al discorso precedente <… l’unica tradizione … che non onoro. Io non temo la mancanza di pace nel mio futuro. Ho tanti sogni dentro di me … > questa volta è lui che tenterebbe di posare l’indice a sfiorare appena appena la gote della donna, un breve contatto con quella pallida carnagione, nivea e liscia essenza di donna <… più siamo speciali e più amiamo sognare cose normali. La normalità è la specialità più ricercata. La paura e l’odio sono troppo legate l’uno con l’altra. Ma questi occhi, non saranno mai schiavi di nessuno dei due, saranno sempre e solo servi del mondo, e di chiunque ne avrà bisogno.> le iridi rosse si fanno più pesanti sul sguardo femmineo, come se cercassero di penetrare dentro il suo sguardo, alla ricerca di cosa si vela e nasconde dietro di esso. <Non riesco a vedere dentro i tuoi occhi. Posso solo percepire. La tua anima, si allinea alla mia. Anche tu sei un capriccio. Fammi vedere la tua storia.> un’onda di chakra , emessa da quegli occhi sulla mente della donna, la mutazione dell’ambiente, un illusione che vien scambiata per realtà. Intorno a loro, tutto bianco, un ambiente privo di ogni oggetto. <Riempilo tu … fammi vedere> a discrezione della donna, ciò che immaginerà, si realizzerà in quell’illusione che vuole raccontare, non illudere. Un semplice modo di raccontare, potendo vedere e tastare. [Sharingan On][potere illusorio]

22:59 Kurona:
  [Radura.] Lo sente, inevitabile. La voce dell'Uchiha padroneggia su tutta la radura, coprendo il vento e divenendo lui stesso, principale forma di curiosità di Kurona che, anche se voltata di spalle, tiene ogni senso su di lui. Udito in primis. Poi le mani, le parole. Ancora la tira a se. Ancora ne cerca il corpo, il contatto. Gli occhi si sbarrano: che cosa sta facendo? L'ennesima volta, tra le sue braccia. Piccina, si stringe nelle spalle, aderendo all'interno delle sue, come un tassello mancante. E quando tutto si colora di bianco, lasciando che il mondo si sgretoli attorno a loro, unici dei di quel mondo, socchiude gli occhi rossi in una fessura magra e docile. Quel flusso che si raggruppa a livello del terzo occhio, violaceo e violento, s'infrange a combattere l'illusione di Hitachi, immenso potere, al di sopra di ogni possibile e probabile standard, entra, dirompente, andando ad intaccar vista ed udito dell'altro, in uno scambio d'illusione. Vuole vedere? E' lei a giostrare il gioco. Il rilascio che ne infetta i sensi, rende ed eleva lei ad unica regina. La vede ancora, di rimpetto a lui. E tutto quel che ne viene, sono solo flash fugaci. <Conoscermi non può esser così facile. Puoi veder quel che son stata. Tuttavia, non puoi arrivar a veder la mia anima. Sennò, avresti indubbiamente paura.> La voce che risuona nella testa di Hitachi, qualcosa che è donato solamente a lui, in quel momento. Qualcosa che può sentire, che deve sentire, e da cui, non può scappare in nessun modo. Se non respingendola. Partendo dunque da quel che c'è di più recente, la vedrà come una shinobi: La guerra di Kusa, l'attacco alla cattedrale. La meditazione. Kurona e Med, in viaggio tra i villaggi, eremita. In flash che vedrà, come lo scorrere di una pellicola silenziosa. Kurona tra le fiamme, con cinquanta politici salvati. Proprio sul termine della missione, dove si sposta in cima alla colonna, per condurli al Bunker. E poi, indietro. Una delle più belle geishe di Kusa. Quando era l'incarnarsi della beltà. Crine nero pece. Pelle di porcellana chiarissima. La grazia d'un fiore. La stessa grazia, che ha ora. Ma con lo sguardo di una bestia addormentata. Ed ancora, immagini distorte. Fugaci. Una bambina nel seminterrato, piange, lo può sentire. E' chiusa li. Nutrita poco. Picchiata. Dorme con il collo rialzato per la dottrina del portamento. La pelle dipinta di bianco. La luce filtrata, arretrando con gli anni. Tra le stoffe pregiate, una schiena nuda e bianca come il latte. Ed un uomo che la dipinge, minuzioso artista. "Mia piccola Ruko.." .. "Il loto nero, è l'occhiello di questa famiglia.." Una voce roca e graffiante. E quelle mani, che scivolano sul solco dei seni, intravedibile da dietro. E in quel viaggio, Kurona, posa gli occhi sul viso di Hitachi. Lo osserva, ogni spostamento, ogni respiro. <Anche io pensavo d'esser la luce in mezzo al buio.> Confessa lui, riprendendo il suo discorso iniziale. Quel che lui suppone e pensa di essere. La scena cambia, come ombre di fumo che si michiano, dinamiche, riempite di paranoia e orrore. Arretra ancora. Quand'era Maiko. Veniva comprata e rivenduta. Due uomini che s'incontrano e parlano di "Burakkurotasu" ovvero, il Loto Nero. Un Uchiha ed il suo Damma, il suo proprietario. Viene venduta la sua verginità, ai tempi simboleggiata con il "Tortino di riso". Una volta offerto, voleva dire che la bambina era pronta. Tredici anni. Laboratorio. Kurona è in coma. E' più veloce, la visione, sembra un viaggio astrale, velocizzato, dove non si ha tempo di vedere o respirare. La sua pancia, cresce, è solo l'ennesimo numero di serie. Enma. Strappata dalle sue braccia. <Poi ho scoperto che non ha importanza, bene o male. Qualsiasi cosa io possa rappresentare per questo mondo. Qualsiasi cosa, sarò. Sarà la cosa giusta. Il bene e il male coesistono.> La voce di Kurona che lo guida, le immagini son talmente veloci, da prender possesso del corpo e delle reazioni di Hitachi. Lei le conosce. Lei uccide, con questo. Una portata di 0,05 di velocità. Il cuore che pompa sangue, ossigeno per il cervello che necessita di maggiore concentrazione. Tanto quasi, da fargli male. Una pressione sul petto, calda. E' Kurona. Il palmo lo carezza, dolce e morbido, premendo sul cuore e scivolando, verso il basso. <Credi ci sia sofferenza in me?> Una domanda posta alla sua affermazione. Vederla simile a lui. <Oh, io ho amato così tanto spesso da lontano. Ho sentito così tanto male, lungo il mio samsara. Ho peccato, così spesso.> Avvolge, calda, questa voce. Mentre lo lascia scivolare fuori da quelle visioni, lo lascia così, privo, di nuovo, all'improvviso, nella radura. Di fronte a Kurona. <Così spesso che sono stata punita. Non sento più niente. Non sento il bisogno di versar sangue su quel che m'è successo. Non sento il bisogno d'arricchirmi. Di diventare potente. D'avere maggiore sapienza. Sento solo la paura, di--- dissolvermi e divenire nulla.> Quella mano che scivola in giù, si stacca dalla maglia, dal petto, ritirandosi verso di lei. Distaccandosi ancora. E ora, a saettare nella sua testa, son le immagini delle carezze di Hitachi. Delle sue parole. La sua speranza. Chi di speranza vive, disperato muore, come si suol dire. No? <Non c'è altro destino segnato per te. Vivi nell'illusione d'esser una luce. Mentre nella sofferenza che è venuta e che verrai, diverrai bestia nell'ombra. Non c'è pace. E non c'è modo, di distaccarti da quello che sei.> La destra schizza, si contrae, innalzandosi a bloccar il mento nel solco tra pollice ed indice, arpionandone le guancie con unghie nere come la pece. Quelle dita affusolate, che lo obbligano ad ascoltarla, infettandone l'udito. La sente. E non può evitarlo. Ma quei petali, non si muovono. "Il potere che hai, ti divorerà. O diverrai morto, come me." .. "E' inevitabile." [Ck on][Illusione di due sensi: Vista e Udito][Gen 125]

Non necessita di valutazione, giocata estemporanea tre anni e mezzo fa..

Kurona e Hitachi s'incontrano e si guardano attraverso. Uno deciso ad aver un approccio con l'altra e l'altra, decisa ad andar oltre, lasciandosi solo un altro spettro alle spalle.

Grazie Hitachi, con taaanto tempo di distanza, è stata una bella giocata XD